Cosa ci si deve aspettare dalla Lady Macbeth del distretto di Mcensk, l’opera
che risuonerà in milioni di televisori collegati con la Prima della Scala?
Beatrice Venezi merita il posto in cui è stata calata, alla Fenice di Venezia,
uno dei teatri più importanti del mondo? L’album spaccatutto di Rosalia – Lux –
può davvero bastare come ponte tra la musica pop e la musica classica? Teatri,
sale concerto, auditorium aspettano e sperano che le loro platee si colorino non
solo di teste canute ma anche dei colori sgargianti della gioventù. Qual è la
formula per distrarre occhi e orecchie dalla musica scelta non solo sull’onda
del trend ma perfino con le istruzioni di un algoritmo social? In un tempo –
questi giorni, questi mesi – in cui la musica cosiddetta colta bussa alla porta
anche di chi non ne conosce tutti i segreti c’è urgente bisogno di un po’ di
senso dell’orientamento. E lungo questa strada Ilfattoquotidiano.it ha scelto di
chiedere indicazioni alla direttrice – e fondatrice – di una rivista online
specializzata in informazione e cultura musicale. La rivista si chiama Music
Paper e la direttrice è Paola Molfino, giornalista che per più di trent’anni ha
lavorato ad Amadeus (che ha anche diretto) e ora da tre guida questo giornale
dinamico, vivace, fresco, capace di utilizzare tutto l’alfabeto nuovo della
comunicazione (podcast, playlist, reel) accanto a quello più tradizionale (le
grandi firme, le recensioni, la critica), di risultare sofisticato e nello
stesso tempo inclusivo nei linguaggi: “Musica da leggere” la chiama Paola
Molfino. Un lavoro formidabile in quella disciplina apparentemente impossibile
che è offrire ai lettori tanto il paesaggio familiare e confortevole di ciò che
conosce e riconosce quanto nuovi impulsi da mondi meno frequentati.
Direttrice Molfino, partiamo da lontano: Rosalia. Il suo album brucia i record,
è stato accolto come una rivoluzione, ribalta le regole pop, demolisce quelle
tiktok, esalta la contaminazione tra generi e mondi. Compresi quelli della
musica colta con riferimenti a Vivaldi, Mozart, la musica sacra. In questa
standing ovation generale voi siete stati più cauti.
A Music Paper nessun pregiudizio, però cerchiamo sempre di stimolare il giudizio
critico, di aprire riflessioni, confronti di idee anche attraverso i social. Di
non di appiattirci sul percepito dello scrolling o del like. Siamo stati subito
colpiti dal singolo di Rosalia Barghain e dal video. Dalla sua potenza e dai
riferimenti musicali, simbolici, visivi. E dall’impatto della strategia di
comunicazione, azzeccatissima, come si è visto. Prima ancora che tutto l’album
Lux uscisse abbiamo pubblicato un reel perché ci siamo detti che era giusto
registrare il fenomeno. E poi con un articolo di approfondimento abbiamo posto
una domanda che è giusto farci mentre ascoltiamo Rosalia e che provo a
sintetizzare così: “Siamo sicuri che basti usare degli archi e cantare in un
certo modo per dire che si tratta di musica classica?”
Non crede però che una popstar che rimanda alla musica barocca sia un’occasione
per aprire nuove finestre di fronte a generazioni meno abituate alla fruizione
della musica classica?
Assolutamente sì, quindi benvenuta Rosalia. Che si unisce a un elenco di
illustri predecessori: artisti del pop, del rock, della musica urban che da
sempre attingono a sonorità e arrangiamenti “classici”. Negli anni Duemila per
esempio lo ha fatto perfino Kanye West in Late Orchestration. O per venire a un
recente caso nostrano sfuggito forse ai più Caparezza in una traccia del suo
ultimo disco Orbit Orbit: Purification con un’orchestra di più di 70 elementi e
un coro. Però noi poi abbiamo il dovere – essendo una testata specializzata – di
approfondire di esercitare il pensiero critico. Ed è stata un’occasione per una
bella discussione in redazione: a Music Paper lavorano giovani storici della
musica e critici, che sono anche musicisti, curiosi e competenti. E uno spunto
per parlare a nuove generazioni e soprattutto a persone che come noi, amano la
musica ma quella bella, al di là dei generi.
Cosa consiglierebbe allora a un ventenne che volesse avvicinarsi a certi suoni a
cui non è abituato perché radio, tv, social non gliene danno occasione?
Di non avere paura e di abbandonare i preconcetti, come noi dobbiamo abbandonare
quelli che spesso abbiamo sui giovani: che non sono curiosi, che sono ignoranti
che non vogliono fare fatica. Sappiamo benissimo che la classica è considerata
musica per vecchi, che è vissuta come noiosa. E che in Italia non la si insegna
a scuola come succede per la storia, la letteratura, l’arte o la filosofia. E
paradossalmente è più facile che i ragazzi si appassionino all’opera con le sue
storie senza tempo, al rito del teatro del vestirsi bene piuttosto che alla
musica sinfonica o da camera. Oppure pensiamo al fenomeno dei candlelight
concerts musicalmente cheap ma esperienziali. Anche ascoltare i Notturni di Jonh
Field (compositore irlandese del primo Ottocento creatore del genere reso famoso
da Chopin) come sottofondo mentre si studia o si lavora va benissimo. I Notturni
di Field (non quelli di Chopin!) suonati al pianoforte da Alice Sara Otto sono
l’album più ascoltato in streaming su Apple Classical Music nel 2025.
L’importante per ascoltare e amare la classica non è avere il diploma di
conservatorio o la laurea in Musicologia ma orecchie, cuore e mente aperti. Ciò
detto, sono 50mila le ragazze e i ragazzi che studiano musica nei conservatori
italiani e migliaia ancora nelle università e sono esattamente come tutti i loro
coetanei. A loro affidiamo il futuro della musica che amiamo, confidando che
loro sappiano essere “virali”.
Con i nuovi canali social è più facile avvicinarli. Ci sono musicisti-influencer
che si fanno domande e danno risposte for dummies come si dice, raccontano le
sinfonie di Beethoven o analizzano i notturni di Chopin. Percepisce che può
esserci un momento di apertura nei confronti del resto del pubblico anche non
“forte”?
Sicuramente l’approccio conta, i media e i nuovi linguaggi sono fondamentali,
gli influencer dell’opera e della classica anche in Italia stanno diventando
sempre più numerosi, però ancora vige un po’ la regola del “fai da te” e i
risultati non sono sempre esaltanti. A Music Paper interessa molto esplorare
tutto quanto si può fare per comunicare e abbattere barriere. Ma il rischio che
noi non vogliamo correre è quello della banalizzazione e intendiamo mantenere
alta l’asta della qualità. Per esempio sta per partire una collaborazione social
con Eugenio Radin che su Instagram è Whitewhalecafe: Eugenio è un filosofo ma
anche musicista ed è un ottimo divulgatore e un content creator che ha una
visione della creazione di contenuti culturali molto affine alla nostra.
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La Prima della Scala sarà la “Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di
Shostakovich, non proprio un titolo nazionalpopolare né un modo ammiccante per
aprirsi a un nuovo pubblico. Le chiedo però di contraddirmi, di farmi cambiare
idea.
La contraddico con piacere: Lady Macbeth di Mcensk è un’opera fortissima e ha
una musica tellurica, espressiva, esplicita. Un capolavoro, una storia di sesso
e morte potrebbe essere uno di quei casi di cronaca nera che oggi tanto
appassionano la tv e il web: adulterio, assassinio, c’è tutto. Parla di temi
attualissimi, con una figura femminile che si trasforma in un mostro, ma è una
vittima di violenza famigliare, di uomini che abusano di lei psicologicamente e
fisicamente. È ambientata in Russia, paese ora in guerra al centro della scena
internazionale, ma venne scritta nel 1934 nell’Unione Sovietica di Stalin da un
ragazzo con gli occhialini tondi di soli 28 anni, Dimitri Šostakovič, un genio.
Un’opera di successo che invece Stalin bollò come “caos anziché musica”.
Scattarono la censura e il terrore: era il 1963 quando Šostakovič la modificò e
la ripropose in teatro a Mosca. E poi chi l’ha detto che la Scala debba
inaugurare con opere “nazionalpopolari”? L’audience Rai? È quello che sembra
essere “consigliato” dal nuovo Codice dello Spettacolo la cui bozza strenuamente
difesa dal sottosegretario alla Cultura Mazzi, sta suscitando tanti “mal di
pancia”. Proprio un teatro importante come la Scala ha invece il dovere di
proporre a un pubblico più ampio possibile anche titoli belli e meno noti: non
solo Verdi e Puccini che pur adoriamo. Come ha detto il sovrintendente della
Scala Ortombina al nostro giornale: “Noi siamo un servizio pubblico come un
ospedale“.
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ULTIMI PREPARATIVI A MILANO PER LA PRIMA DEL TEATRO LA SCALA
Preparativi alla Scala per la Prima
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Una esibizione di Beatrice Venezi a una convention di Fratelli d'Italia
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Una scena della Lady Macbeth di Shostakovich alla Scala
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ULTIMI PREPARATIVI A MILANO PER LA PRIMA DEL TEATRO LA SCALA
Il regista della Prima Vasily Barkhatov (AP Photo/Antonio Calanni)
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LATIN GRAMMY AWARDS 2023 - LO SHOW
Rosalia ai Latin Grammy Awards: il suo album Lux ha bruciato tutti i record con
uno stile raffinato che mescola generi e atmosfere diverse
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ULTIMI PREPARATIVI A MILANO PER LA PRIMA DEL TEATRO LA SCALA
Il teatro alla Scala (AP Photo/Antonio Calanni)
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Una giovane spettatrice a una Prima under 30 alla Scala
Da mesi la lirica finisce sui giornali generalisti – compreso questo – non con
le varie inaugurazioni di stagione bensì per la contestatissima nomina di
Beatrice Venezi alla Fenice, con proteste insistite e quasi quotidiane (mai
viste) da parte degli orchestrali. Vicende seguitissime dai lettori, anche
quelli che non vanno a teatro. Su un giornale specializzato come il vostro come
avete affrontato l’argomento?
Da tempi non sospetti ci occupiamo del “caso Venezi”, sin da quando siamo usciti
nel 2022 con una serie di articoli e retroscena molto approfonditi di Paola
Zonca. Io da giornalista mi occupo di classica da 35 anni e la carriera di
Beatrice Venezi è da tempo un’anomalia perché più che su argomenti musicali lei
sembra aver sempre puntato più sulla comunicazione, l’immagine, il marketing, la
questione di genere e la protezione politica con gli incarichi di consulente, le
nomine piovute dall’alto. E questo – noi lo abbiamo scritto anni fa – non le
avrebbe portato bene. Anche della cronaca della vicenda Fenice ci siamo occupati
e ci stiamo occupando ovviamente con retroscena e aggiornamenti. Ma la domanda
che mi sono posta al di là della cronaca è stata un’altra. Come quando nel
calcio gioca la Nazionale, nel caso Venezi tutti si sono sentiti autorizzati a
intervenire: ma sappiamo chi è un direttore d’orchestra, cosa fa, a cosa serve
il suo lavoro? E come lo si giudica, da quali parametri? Due grandi firme come
Michele dall’Ongaro e Giovanni Gavazzeni hanno dato delle spiegazioni molto
interessanti sul nostro giornale. Un approfondimento per chi vuole capire oltre
che informarsi.
Tolte le eventuali tifoserie, resta la domanda: Venezi sa dirigere?
Beatrice Venezi ha studiato direzione, ha un diploma di Conservatorio, ha
diretto orchestre in concerti sinfonici e (poca) opera: quindi “sa” dirigere. Ma
non abbastanza da poter ambire alla direzione musicale, quindi alla guida, alla
formazione, alla costruzione del valore di una grande orchestra
lirico-sinfonica. Con la quale per di più non ha nessuna consuetudine del fare
musica insieme. L’orchestra della Fenice l’ha diretta solo una volta per un
concerto privato. È questione di talento, certo, di bravura, ma anche di
repertorio: bisogna saper affrontare autori di epoche e stili diversissimi tra
loro. Quello del direttore musicale è un incarico articolato, completo e
complesso. I professori di un’orchestra meritano rispetto per poter restituire
rispetto. Non ridere di loro mentre si guarda Prova d’Orchestra di Fellini, come
ha raccontato di recente il presidente di Biennale Buttafuoco, ormai veneziano
d’adozione e suo grande fan, come il ministro Giuli il quale come noto ha
sentenziato che lei “diventerà la principessa di Venezia e l’Orchestra si
innamorerà di lei”. L’aria è di normalizzazione. Colabianchi, il sovrintendente
sfiduciato dai lavoratori e Venezi non si toccano. Non so come andrà a finire.
Ma Claudio Abbado diceva: “Nella musica come nella vita bisogna sapersi
ascoltare”.
Questa storia ha avuto almeno il merito di suscitare maggiore curiosità nei
confronti della musica classica e lirica? C’è più o meno “fame” di informazioni
su questi mondi a volte percepiti come distanti?
C’è fame di informazione e di retroscena quando si tocca la politica e
l’attualità, meno di approfondimento. Gli articoli su Beatrice Venezi sono da
sempre tra i più cliccati di Music Paper. Con una dose niente male di haters e
fraintendimenti da mettere in conto sui social.
Come si fa a raccontare la musica colta solo sul web utilizzato più da lettori
giovani che da “maturi”? Che strumenti anche operativi e che linguaggio usate
per “farvi scegliere”?
Usiamo il web per gli approfondimenti, articoli di “storia e storie della
musica”, interviste, recensioni di spettacoli, libri, dischi, pezzi di
attualità, le rubriche degli editorialisti e parliamo di anche jazz, danza,
letteratura. La musica e il mondo che le gira intorno. E lo facciamo pure con i
podcast e con le nostre playlist Spotify create dalla redazione a corredo degli
articoli. Musica da leggere, da vedere, da ascoltare. Abbiamo grandi firme per
l’autorevolezza e giovani (anche giovanissimi) collaboratori per la freschezza.
Preparati, appassionati, curiosi. Music Paper è un giornale, un magazine che fa
informazione, divulgazione e opinione. E sui social decliniamo questa vocazione
con un altro linguaggio, più catchy e attento alle tendenze ma sempre profondo e
curato nel contenuto. Digitale ma non superficiale, insomma. E la cosa bella sa
qual è? Che questa comunicazione in continuo cambiamento, tanto complicata da
gestire perché richiede velocità e il continuo aggiornamento di nuove competenze
e nuove skills va colta come una grande opportunità per chi ancora crede
nell’intelligenza delle idee.
L'articolo “La Lady Macbeth della Prima della Scala? Sesso e morte, un crime
perfetto. La carriera di Beatrice Venezi anomalia da tempo, gli orchestrali
meritano rispetto” proviene da Il Fatto Quotidiano.