La missione delle Nazioni Unite in Libano (Unifil) ha denunciato che un proprio
convoglio è stato bersaglio di colpi sparati dall’esercito israeliano mentre
pattugliava un’area della Blue Line, in territorio libanese. L’episodio,
avvenuto ieri nei pressi della località di Sarda, è stato reso noto attraverso
un comunicato ufficiale. Nessun peacekeeper è rimasto ferito.
Secondo la ricostruzione dell’Unifil, i militari a bordo dei veicoli della
missione stavano effettuando un pattugliamento regolarmente programmato. In quel
momento, un carro armato Merkava dell’Idf avrebbe aperto il fuoco. “Una raffica
di mitragliatrice da dieci colpi è partita verso il convoglio, mentre altre
quattro raffiche da dieci colpi sono andate nelle vicinanze”, si legge nella
nota.
Unifil afferma di aver immediatamente attivato i canali di collegamento con
l’Idf, chiedendo lo stop ai colpi. La forza Onu sottolinea inoltre che
l’esercito israeliano era stato informato “in anticipo della posizione e
dell’orario del pattugliamento previsto”, in conformità alla prassi abituale.
Nel comunicato la missione definisce l’accaduto “una grave violazione della
risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza” e invita le forze israeliane a
“cessare comportamenti aggressivi e attacchi contro o vicino ai peacekeeper”,
ricordando la delicatezza della situazione lungo il confine.
Fonti informate precisano che i soldati coinvolti nell’episodio appartengono ai
contingenti francese e finlandese del Force Commander Reserve di Unifil. Non
risultano militari italiani tra i peacekeeper coinvolti.
Il 16 novembre scorso un altro episodio. Tel Aviv aveva giustificato i colpi
sostenendo “che fosse stato un incidente causato dal maltempo”. A settembre le
granate israeliane avevano sfiorato i caschi blu innescando anche una serie di
reazioni internazionali. Il 27 ottobre scorso invece era stato lo stato
israeliano ad accusare l’Onu di aver abbattuto un drone.
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L'articolo Unifil denuncia: “Colpi dell’esercito israeliano contro un convoglio
Onu in un’area della Blue Line. Grave violazione” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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Papa Leone XIV ha concluso il suo primo viaggio all’estero che lo ha portato,
dopo la Turchia, anche in Libano, dove vive la più vasta comunità cristiana del
Medio Oriente insieme a 18 diverse confessioni religiose riconosciute nel Paese.
Almeno sulla carta, in Libano i cristiani maroniti hanno ancora la maggioranza.
In un Paese dove politica e religione non conoscono separazioni, a un cristiano
spetta la più alta carica dello Stato. Il presidente della Repubblica, Joseph
Aoun, maronita e precedentemente a capo delle forze armate libanesi, ha accolto
e accompagnato Papa Leone in diverse tappe del suo itinerario.
La visita è stata accolta calorosamente, da cristiani e non. Appena arrivato
Papa Leone ha attraversato parte della periferia sud di Beirut, oggi a
maggioranza musulmana sciita, per recarsi alla residenza presidenziale. Per la
strada una folla si era riunita ad attendere il passaggio del Pontefice,
nonostante la pioggia e il diverso credo. “La visita del Papa rappresenta un
qualcosa di significativo nella vita dei libanesi. Di tutti. Musulmani,
cristiani, e di tutte le confessioni, senza eccezioni”, dice Mer Marry, madre
superiora delle suore Antoniane di Nabatieh, congregazione maronita nella
cittadina a maggioranza sciita.
L’itinerario del Papa non ha previsto il sud. Per questa ragione, la visita in
Libano non ha portato solo gioia e speranza, ma anche frustrazione tra la gente
delle aree meridionali che più di tutti ha pagato il prezzo della guerra e che
più di altri si aspettava la visita del Pontefice. “Mi aspettavo che venisse
principalmente al sud, che è proprio l’area che soffre maggiormente a causa dei
continui attacchi da parte di Israele”, spiega Sahar Shakaroun, imprenditrice di
Nabatieh, senza nascondere la sua frustrazione. Il sud del Libano è ancora
l’area più colpita da bombardamenti israeliani che si verificano quasi
giornalmente, nonostante l’accordo di cessate il fuoco. Secondo l’esercito
israeliano, che occupa ancora cinque postazioni in territorio libanese, gli
attacchi sono finalizzati ad impedire la ricostruzione di Hezbollah, il cui
disarmo a sud del fiume Litani sembra essere invece quasi completo.
Non è chiaro se la visita sia stata esclusa per ragioni di sicurezza o per
ragioni politiche. Secondo alcune fonti vicine alle autorità libanesi non sembra
che la possibilità di visitare l’area sia mai stata presa realmente in
considerazione. “La visita di Papa Leone è stata puramente religiosa e non
politica”, sostiene Saher al-Mokaddem, libanese, musulmano sciita cresciuto al
sud. Secondo il sindaco di Chebaa, Adam Farhat, a livello popolare molti sono
convinti che il Papa desiderasse recarsi al sud, ma che le condizioni relative
alla sicurezza non lo abbiano permesso. Mentre altri credono che la decisione
sia stata dovuta a difficoltà organizzative o di diversa natura. “Senz’altro
tutti avrebbero apprezzato questo gesto simbolico e molti avrebbero sentito che
le difficoltà della vita quotidiana vicino al confine venivano riconosciute”.
Chebaa è una cittadina di montagna a maggioranza musulmana sunnita situata tra
il Libano e le alture del Golan occupate da Israele. È anche ultimo avamposto a
est della missione delle Nazioni Unite, Unifil, che dal 1978 controlla la zona e
monitora sulla linea di demarcazione che divide Libano e Israele. Per la
vicinanza ai territori rivendicati da Beirut e occupati da Tel Aviv, quasi tutti
gli abitanti sono stati costretti a scappare durante le fasi più acute dei
bombardamenti.
Nel corso della visita, il Pontefice non ha fatto riferimento diretto alla
condizione del Libano, mettendo al centro il tema più generale della pace. In
risposta alle domande dei giornalisti sul volo di rientro a Roma ha detto che
per convincere le parti ad abbandonare le armi e la violenza si lavora dietro le
quinte, ma la mancata visita del sud ha senz’altro influito sul morale di una
fetta della popolazione che già si percepisce come largamente marginalizzata.
“Qui la gente è abituata a essere esclusa da molti eventi ufficiali o
spirituali, sia per motivi di sicurezza che politici, quindi non è stata una
sorpresa”, spiega il sindaco Farhat accennando alle ragioni storiche del
sentimento di lontananza dal governo centrale.
Dalle voci raccolte in diverse zone del sud del Libano, quello della marginalità
è un tema diffuso e accusato da gran parte della popolazione. Eppure, la
comunità cristiana locale fa notare come il sud includa luoghi che hanno
caratterizzato la vita del figlio di Dio. “Il sud del Libano è stato
attraversato da Gesù, da Kawkaba fino al monte Hermon”, spiega George Nakad, ex
sindaco del villaggio di Deir Mimes e a capo del pronto soccorso dell’ospedale
al-Najdaha Shabeya di Nabatieh. “Anche Qana e Magdoushi”, sottolinea Linda
Akiki, insegnante in pensione della stessa città, riferendosi al luogo del primo
miracolo di Gesù e a quello in cui, secondo la religione cristiana, Maria lo
attendeva mentre praticava a Sidone.
Anche nelle zone a maggioranza drusa del sud del Paese, la visita del Pontefice
sarebbe stata accolta come un momento di speranza. “Qualcosa di cui abbiamo
disperatamente bisogno”, dice Dany Emasha, membro della municipalità della
cittadina drusa di Hasbaya e volontario della Croce Rossa durante i mesi di
bombardamenti, poi sfociati nella guerra di ampia scala che ha coinvolto tutto
il Libano. Insieme al sostegno morale, oltre alle affiliazioni religiose,
“avrebbe ribadito che il sud è una parte essenziale dell’identità libanese”,
continua Labib al-Hamra, sindaco di Hasbaya e presidente dell’unione delle
municipalità del distretto. “Il sud non è una regione marginale, è pieno di vita
e di persone che hanno vissuto esperienze dure, guerre, bombardamenti,
sfollamenti e che nonostante tutto continuano a sperare” conclude Farhat. Se il
papa non ha visitato il sud, in molti dal sud si sono infatti spostati a Beirut
anche solo per attendere il passaggio della sua auto.
L'articolo Papa Leone in Libano, la popolazione delusa dalla decisione di non
visitare il Sud in guerra: “Sarebbe stato un segnale di vicinanza” proviene da
Il Fatto Quotidiano.
Tregua sempre più a rischio in Libano a un anno dall’entrata in vigore. Nelle
ultime ore infatti l’esercito israeliano ha condotto raid aerei nel Libano
meridionale, dopo aver emesso un avviso di evacuazione. Attacchi che riaccendono
i timori per un’escalation nell’area. “Gli aerei da guerra israeliani hanno
lanciato un attacco sulla città di Mahrouna“, mentre un altro raid ha preso di
mira una casa a Jbaa, ha affermato l’agenzia di stampa libanese Nna. Israele ha
confermato di aver avviato un’ondata di attacchi contro obiettivi di Hezbollah
nel sud del Libano e in una nota ha specificato di aver colpito “diversi
depositi di armi di proprietà di Hezbollah nel Libano meridionale”, che si
trovavano “nel cuore” della zone abitate da civili. “Questo è l’ennesimo esempio
del cinico uso dei libanesi come scudi umani da parte di Hezbollah e delle sue
continue operazioni dall’interno di aree civili”. La presenza di depositi di
armi, si legge ancora nella nota diffusa dall’esercito, “costituiva una
violazione degli accordi tra Israele e Libano”.
Prima dell’avvio dell’operazione, il colonnello Avichay Adraee, portavoce in
lingua araba dell’esercito, aveva esortato gli abitanti a evacuare. “L’Idf
attaccherà le infrastrutture militari appartenenti all’organizzazione
terroristica Hezbollah in tutto il Libano meridionale, in risposta ai suoi
tentativi proibiti di ricostruire le proprie attività nella zona”, aveva
avvertito Adraee. Insieme all’annuncio, l’Idf aveva pubblicato mappe con
l’ubicazione dei siti presi di mira, nelle città di Jbaa e Mahrouna.
Da Gaza intanto arriva la notizia dell’uccisione di Yasser Abu Shabab, leader
della milizia palestinese anti-Hamas Forze popolari, che nei mesi scorsi aveva
collaborato con Israele. Lo ha reso noto la radio dell’esercito israeliano
spiegando che Abu Shabab è morto in un ospedale nel sud di Israele per le ferite
da armi da fuoco riportate in uno “scontro interno”. Non è ancora chiara la
dinamica ma secondo le stesse fonti, insieme a lui sono stati uccisi, in
un’imboscata tesa dai miliziani di Hamas, un gran numero di membri del suo
gruppo e il comandante Ghassan al Duhine. Hamas non ha ancora rilasciato
commenti in merito. Secondo Sky News la milizia beduina di Abu Shabab stava
introducendo clandestinamente veicoli nella Striscia di Gaza con l’aiuto
dell’esercito israeliano e di un concessionario di automobili arabo-israeliano.
Nonostante lui abbia sempre negato, Abu Shabab era stato accusato da più parti
di essere armato dal governo di Tel Aviv proprio in funzione anti-Hamas. E nella
primavera scorsa aveva lavorato con la Gaza Humanitarian Foundation per scortare
i camion carichi di aiuti in entrata nella Striscia.
Gli scontri tra gruppi palestinesi rivali si sono acuiti dopo l’entrata in
vigore del cessate il fuoco e il ritiro dei soldati israeliani. A ottobre erano
state diffuse sui social immagini di esecuzioni pubbliche in cui venivano
freddati alcuni uomini accusati di essere collaborazionisti di Israele. Episodio
non isolato da inserire nella resa dei conti tra Hamas e le diverse fazioni
palestinesi che da sempre contendono il potere al movimento islamista, tra cui
il clan della famiglia Doghmush, attivo a Gaza City, e quello di Shabab radicato
invece nel sud.
L'articolo Raid di Israele sul Libano meridionale: “Colpiti obiettivi di
Hezbollah”. A Gaza ucciso Abu Shabab, leader della milizia anti-Hamas proviene
da Il Fatto Quotidiano.
Papa Leone XIV è arrivato in Turchia per la prima visita di Stato del suo
pontificato. Nei prossimi giorni sarà anche in Libano, dove la tensione con
Israele è tornata a crescere nelle ultime settimane, a un anno da cessate il
fuoco firmato con Israele. “Questo viaggio ha, prima di tutto, un significato di
unità, celebrando i 1700 anni del Concilio di Nicea. E io ho desiderato tanto
questo viaggio per quello che significa per tutti i cristiani, ma è anche un
grande messaggio nel mondo intero. E soprattutto, la presenza mia, della Chiesa,
dei credenti sia in Turchia sia in Libano, speriamo possa annunciare,
trasmettere, proclamare quanto è importante la pace in tutto il mondo”, ha detto
il pontefice salutando i media sul volo che lo ha portato ad Ankara, dove è
stato accolto dal capo di Stato, Recep Tayyip Erdogan.
Papa Leone sarà in Turchia fino al 30 novembre, quindi volerà in Libano dove
resterà fino al 2 dicembre. Dopo la tregua con Israele entrata in vigore il 27
novembre 2024 la situazione nella regione resta tesa. Secondo i dati raccolti
negli ultimi dodici mesi ed elaborati dal quotidiano L’Orient-Le Jour,
l’esercito di Tel Aviv ha violato il cessate il fuoco oltre 12 mila volte. Gli
attacchi, che nella narrazione israeliana mirano all’eliminazione della minaccia
costituita da Hezbollah, – partito sciita anti-israeliano fortemente indebolito
dopo l’ultima guerra con lo Stato ebraico – hanno provocato la morte di 343
persone, tra cui 136 civili, tra incursioni, bombardamenti, spari e
installazioni militari su territorio libanese.
Nonostante il formale stop alle ostilità, le Israel Defense Forces stanno
portando avanti una capillare operazione di eliminazione dei vertici del
“Partito di Dio”. L’ultima vittima eccellete è del 23 novembre, giorno in cui
l’esercito di Tel Aviv ha confermato di avere “colpito nella zona di Beirut ed
eliminato il terrorista Haytham Ali Tabatabai, Capo di stato maggiore di
Hezbollah”, considerato “un agente chiave e un veterano dell’organizzazione
terroristica” nella quale “entrò negli anni ’80 e da allora ha ricoperto una
serie di posizioni di rilievo, tra cui il comando dell’unità ‘Forza Radwan‘ e la
guida delle operazioni di Hezbollah in Siria”.
L’obiettivo di Israele è il disarmo dell’organizzazione – progetto per la cui
realizzazione gli Stati Uniti hanno incaricato il governo di Beirut guidato da
Joseph Aoun e l’esercito regolare che ad esso risponde – e ieri il ministro
della Difesa Israel Katz lo ha messo nuovamente in chiaro: “Non credo che
Hezbollah si disarmerà volontariamente entro la fine dell’anno come chiesto
dagli Stati Uniti – ha Katz alla Commissione Esteri e Difesa della Knesset -.
Non vedo che questo sta accadendo. Se non si disarmeranno, non ci sarà altra
scelta che intervenire di nuovo con forza in Libano”.
L’operazione, tuttavia, presenta molteplici difficoltà. Hezbollah non è soltanto
una formazione militare, ma anche un movimento politico rappresentato in
Parlamento e un’organizzazione radicata sul territorio che gestisce scuole,
ospedali, centri culturali e programmi di assistenza per la comunità sciita. Ma
soprattutto è la longa manus dell’Iran nell’area. “La presenza di Hezbollah è
diventata più necessaria al Libano dell’acqua e del pane”, ha affermato ieri Ali
Akbar Velayati, consigliere della guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali
Khamenei. “L’Iran ha sostenuto e continuerà a sostenere Hezbollah e gli attacchi
di Israele dimostrano che qualsiasi disarmo di Hezbollah porterà a risultati
disastrosi”, ha aggiunto Velayati.
L'articolo Il Libano aspetta il Papa mentre Israele continua a bombardare:
“Oltre 12 mila attacchi in un anno di cessate il fuoco” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Gianni Infantino diventa cittadino libanese. Il presidente del Libano, Joseph
Aoun, ha infatti comunicato al presidente della Fifa, Gianni Infantino,
l’approvazione del decreto per concedergli la cittadinanza libanese, come
riferito dal presidente della Federazione libanese di calcio (Lfa), Hashem
Haidar. “Il decreto che concede la cittadinanza a Infantino arriva perché è una
figura pubblica che presta servizi al Libano”, ha spiegato Haidar.
Infantino, 55enne italo-svizzero, è sposato con una donna libanese, Leena
al-Ashqar. “La cittadinanza non ce l’ho ancora, ma spero presto – aveva
dichiarato all’emittente Lbci – Mi sento molto bene e molto orgoglioso, felice.
Sono libanese da molti, molti anni, quindi è bello formalizzarlo”, aveva
spiegato l’attuale presidente della Fifa.
Nel frattempo, Infantino ha annunciato l’intenzione di finanziare la costruzione
di un nuovo stadio a Beirut da circa 20-30.000 spettatori. “Oggi uno stadio non
è solo un luogo di svago – ha detto – è un simbolo del Paese e il Libano ha
bisogno di un simbolo sportivo moderno, per i giovani”.
Il presidente della Federcalcio libanese ha aggiunto che Infantino si è
impegnato a coprire tutti i costi della struttura, mentre il governo si occuperà
di mettere a disposizione il terreno e costruire l’impianto. Il progetto punta a
rinnovare il “dimenticato” Camille Chamoun Sports City Stadium, costruito nel
1957.
L'articolo Gianni Infantino diventa cittadino del Libano e finanzia un nuovo
stadio: “È un simbolo del paese” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Da un carro armato Merkava israeliano sono partiti colpi di mitragliatrici che
hanno bersagliato Unifil. L’episodio è stato denunciato su X dalla stessa forza
Onu di interposizione nel sud del Libano. Ma Idf, poche ore dopo, ha precisato
che i militari di Tel Aviv non hanno “sparato deliberatamente”, ma hanno
scambiato i soldati per “sospetti“. “Dopo un’analisi, è stato stabilito che i
sospettati – identificati nella zona di El Hamames, nel Libano meridionale –
erano soldati delle Nazioni Unite che stavano effettuando un pattugliamento
nella zona e che erano stati classificati come sospetti a causa delle cattive
condizioni meteorologiche”, afferma l’Idf, aggiungendo che le truppe hanno
sparato “colpi di avvertimento” e che l’incidente è in fase di ulteriore esame.
“Le Idf sottolineano che non hanno sparato deliberatamente contro i soldati
Unifil e che la questione viene gestita attraverso i canali ufficiali militari”,
aggiunge l’esercito israeliano.
L’Unifil ha aggiunto che i colpi di mitragliatrice pesante hanno colpito a circa
cinque metri dal loro personale, senza causare feriti. La forza ha affermato che
i peacekeeper sono riusciti a “partire in sicurezza trenta minuti dopo”, dopo
che il carro armato si è ritirato all’interno della posizione israeliana.
L’Unifil ha affermato che la sparatoria “rappresenta una grave violazione della
risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, che ha posto
fine al conflitto del 2006 tra Israele e Hezbollah e ha anche costituito la base
della tregua dello scorso novembre. Tale cessate il fuoco mirava a porre fine a
oltre un anno di ostilità tra le parti, scoppiate dopo l’inizio della guerra di
Gaza. In base all’accordo, Israele avrebbe dovuto ritirare le sue forze dal
Libano meridionale, ma le ha mantenute in cinque aree che ritiene strategiche.
Ha inoltre continuato a effettuare attacchi regolari in Libano, affermando
principalmente di prendere di mira siti e operatori di Hezbollah. L’incidente di
domenica non è stato il primo in cui l’Unifil ha accusato Israele di mettere in
pericolo le sue forze di pace. “Ancora una volta, chiediamo alle Idf di cessare
qualsiasi comportamento aggressivo e attacchi contro o nelle vicinanze delle
forze di pace”, ha dichiarato la forza.
L'articolo Le Idf sparano contro Unifil in Libano. Poi spiegano: “Colpa del
maltempo, non abbiamo fatto apposta” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Da quasi un anno, da quando a fine novembre 2024 è stato firmato il cessate il
fuoco tra Israele e Hezbollah, Israele continua a colpire il Sud del Libano
quasi quotidianamente. I droni israeliani sorvolano costantemente i cieli e i
raid non si sono mai fermati. In queste condizioni, la tregua è rimasta solo
sulla carta, violata da Israele giorno dopo giorno.
Il 1° ottobre, l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Volker Türk ha
confermato che negli ultimi dieci mesi 103 civili libanesi sono stati uccisi,
nonostante il cessate il fuoco. “Continuiamo a vedere gli effetti devastanti dei
raid aerei e degli attacchi con droni nelle aree residenziali, così come vicino
ai caschi blu delle Nazioni Unite nel sud”, ha dichiarato. E mentre tutto questo
accade, gran parte dei media mainstream distolgono lo sguardo.
Tra le vittime, c’è anche l’ennesimo giornalista, fotogiornalista e direttore
della piattaforma Hawana Lebanon, Mohammad Shehadeh, colpito nel distretto di
Nabatieh l’8 agosto 2025. Un altro nome in una lunga lista di giornalisti uccisi
da Israele, responsabile del maggior numero di giornalisti uccisi al mondo lo
scorso anno, secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ).
Queste vittime si aggiungono agli oltre 4.000 morti e circa 17.000 feriti
causati da Israele dall’8 ottobre 2023 al novembre 2024. Da quel momento, il
Libano non ha mai avuto il tempo di rialzarsi.
Ma la distruzione non si misura solo con le perdite umane: è nella terra che il
popolo trova la propria vita e la propria storia. I campi del Sud, unica fonte
di sostentamento per migliaia di famiglie, sono stati colpiti con il fosforo
bianco, provocando uliveti secolari distrutti, raccolti persi e stagioni
agricole cancellate. Anche dopo il cessate il fuoco, molti agricoltori non
possono tornare sui propri terreni, resi pericolosi dai bombardamenti, dai droni
e dalle restrizioni imposte dall’esercito israeliano, oltre ai danni ambientali
che impediscono la coltivazione. Il Sud è ora spopolato, e il futuro delle
comunità locali sembra sgretolarsi.
Secondo la ricercatrice Michelle Eid, pubblicata dal Tahrir Institute for Middle
East Policy (TIMEP), Israele ha colpito numerosi villaggi, distruggendo
abitazioni, infrastrutture, foreste e vaste aree agricole. Questa regione è
cruciale per l’economia agricola libanese, producendo frutta, agrumi e olive.
Gli attacchi hanno aggravato una situazione già critica a causa della crisi
economica iniziata nel 2019.
L’uso del fosforo bianco ha inoltre contaminato suolo e acqua, con effetti
duraturi sull’ambiente e sulla salute delle comunità. La devastazione non è
quindi solo immediata: minaccia la sicurezza alimentare, il sostentamento e il
futuro delle famiglie, lasciando il Paese profondamente segnato.
Perché puntare con questa ossessione alla terra? Come scrive la giornalista Sara
Manisera nel suo articolo “Ecocidio in Palestina: perché custodire i semi è un
atto politico”, “ogni forma di vita – umana o non umana – che appartiene
all’indigeno diventa un potenziale nemico. Una risorsa da sottrarre, uno spazio
da depredare, una memoria da cancellare”. Ed è proprio per questo che
l’attaccamento dei libanesi alla terra è resistenza.
Mariam, una donna del Sud del Libano, racconta alla giornalista Dana Hourany per
The Public Source:
“Abbiamo costanza e resistenza; è nella natura della nostra terra. Siamo
attaccati a questa terra, anche se è difficile viverci. Ti rende forte,
resiliente, disposto a sacrificare la vita pur di non lasciare che qualcuno la
attacchi.”
E allora, aspettiamo che Hezbollah decida di rispondere – una risposta che
sarebbe legittima secondo il diritto internazionale – per iniziare finalmente a
parlarne, passando così il messaggio che si tratta di un “conflitto” e che
Hezbollah è la causa dell’escalation. Perché quando a morire sono solo gli
arabi, non è neppure una notizia.
L'articolo Israele non smette di colpire il Sud del Libano. Perché
quest’ossessione per la terra? proviene da Il Fatto Quotidiano.