Una nuova tempesta si è abbattuta sulla Striscia di Gaza e sulle tende degli
sfollati. La pioggia e le forti raffiche di vento hanno devastato i campi
profughi dove vivono circa 850mila persone che in due anni di bombardamenti
hanno perso tutto. I rifugi sono vecchi e logori e faticano a resistere alla
forza del vento. Servirebbero nuovi materiali e tende per affrontare l’inverno
ma le restrizioni imposte da Israele bloccano una grossa parte degli aiuti
umanitari al confine. Intanto la protezione civile ha fatto sapere di aver
recuperato 45 corpi dalle macerie dei palazzi distrutti a Gaza City.
L'articolo Gaza, una nuova tempesta di vento devasta le tende degli sfollati.
Protezione civile palestinese: “Recuperati 45 corpi dalle macerie” proviene da
Il Fatto Quotidiano.
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Si apre con una lettera di censura il mio nuovo libro Empatia selettiva: perché
l’Occidente è rimasto a lungo indifferente al genocidio di Gaza. La lettera,
scritta da chi avrebbe dovuto essere il mio editore, chiedeva di sostituire il
termine “genocidio” con “atrocità di massa”. Rifiutai e mi ritrovai senza
editore. Per mesi nessuno ha voluto pubblicare il libro: né nel Regno Unito né
negli Stati Uniti, dove ho lavorato per quasi due decenni, né in Italia, dove
ora risiedo.
Non elenco le case editrici che hanno rifiutato il manoscritto, tergiversato,
avanzato distinguo o provato a convincermi a non usare la parola “genocidio.”
Analizzare le loro singole motivazioni richiederebbe un approfondimento, ma non
è questo il punto. Il vero problema è la loro presunta indipendenza e il “panico
morale” scatenato dal timore di essere accusati, in modo pretestuoso e
manipolatorio, di antisemitismo, come sottolinea Donatella Della Porta.
Paradossalmente, molti degli autori citati nel libro, tra cui Albert Einstein,
Hannah Arendt, Erich Fromm, Noam Chomsky, Gabor Maté, Norman Finkelstein e molti
altri, sono ebrei. Un dettaglio del tutto irrilevante per chi strumentalizza
l’antisemitismo per zittire chi denuncia un genocidio di 20.000 bambini
innocenti.
Tutte queste case editrici, ne sono abbastanza certo, si percepiscono come
istituzioni libere di Paesi avanzati, che promuovono nobili valori come i
diritti umani. E, in parte, lo sono davvero. Il problema è che si tratta di
diritti umani a targhe alterne, riconosciuti ad alcune vittime ma negati ad
altre.
Il doppio standard morale ed emotivo di fronte al genocidio di Gaza, è il tema
centrale del libro. Come sottolineato nella copertina del saggio, “Gaza è
diventata un punto cieco morale nell’occhio occidentale”, uno specchio che
riflette l’ipocrisia della nostra politica internazionale. A ben vedere, non
dovrebbe sorprendere più di tanto che il libro non sia stato voluto da un lungo
elenco di case editrici. Per molte, pubblicarlo avrebbe significato guardarsi
allo specchio e ammettere di operare in una società che, normalizzando un
genocidio, ha assistito al crollo dei propri principi etici. Come si legge nel
libro, “sotto le macerie di Gaza, l’Occidente ha seppellito la propria anima”.
Chi ha avuto invece il coraggio di pubblicarlo?
La casa editrice Brill, grazie a David Fasenfest, che ha reso possibile la
versione inglese, Selective Empathy: The West Through the Gaze of Gaza, in
uscita il 18 dicembre, e la Compagnia Editoriale Aliberti, grazie a Francesco
Aliberti, che ha pubblicato Empatia selettiva: perché l’Occidente è rimasto a
lungo indifferente al genocidio di Gaza, il 26 novembre scorso. Senza di loro,
questo libro non sarebbe stato pubblicato.
Ma siamo davvero sicuri che si tratti di censura e “panico morale”? C’è sempre
la possibilità che il libro non sia sufficientemente meritevole, per
originalità, qualità o leggibilità. Esaminiamo allora ciascuno di questi tre
aspetti.
Originalità. Si tratta del primo libro pubblicato in italiano con il titolo
“Empatia selettiva” e del secondo al mondo in lingua inglese. Il primo testo in
inglese con lo stesso titolo, auto-pubblicato, si concentra prevalentemente sul
narcisismo, non sull’empatia selettiva. Nessun altro libro ha analizzato questo
concetto di psicologia politica nel contesto del genocidio di Gaza.
Qualità. Il libro si basa su un ampio apparato di fonti scientifiche, tra cui
articoli pubblicati su riviste come The Lancet e British Medical Journal, oltre
a rapporti di organizzazioni internazionali come Oms, Nazioni Unite, Amnesty
International e Human Rights Watch. La ricerca alla base del volume ha portato
anche alla pubblicazione di un articolo su The Lancet, firmato insieme a Ilan
Pappé, Ghassan Abu-Sittah e Jonathan Montomoli, e a una lettera aperta
sottoscritta da storici, politologi ed esperti di genocidio di rilievo
internazionale, tra cui Avi Shlaim, Rashid Khalidi, Omer Bartov e Martin Shaw.
Queste iniziative hanno contribuito al riconoscimento formale del genocidio di
Gaza da parte di numerose associazioni accademiche e professionali che contano
oltre 10 milioni di iscritti.
Leggibilità. Il testo è pensato per un pubblico ampio, non specialistico. La
qualità del manoscritto è testimoniata dalle recensioni e dai commenti
autorevoli di studiosi e intellettuali di primo piano, tra cui Nassim Taleb (Il
cigno nero), George Monbiot (The Guardian), Richard Wilkinson (La misura
dell’anima) e altri.
La ricezione iniziale del libro segnala un interesse diffuso, testimoniato dalle
numerose presentazioni pubbliche nelle prime settimane dall’uscita. I proventi
dei diritti d’autore, e una parte del ricavato dalla vendita del libro
dell’editore, saranno devoluti ai progetti di assistenza sanitaria di Emergency.
L'articolo ‘Empatia selettiva’, voglio parlarvi del mio libro sul genocidio a
Gaza che non doveva uscire proviene da Il Fatto Quotidiano.
Protestano sia Hamas che Israele dopo la pubblicazione del rapporto di Amnesty
International intitolato Prendere di mira i civili: omicidi, prese di ostaggi e
altre violazioni da parte di gruppi armati palestinesi in Israele e Gaza.
Protestano perché entrambi vorrebbero che le informazioni contenute nelle 177
pagine prodotte dalla ong rispecchiassero maggiormente i contenuti delle proprie
propagande: il partito armato palestinese nega le responsabilità che gli vengono
attribuite dal 7 ottobre 2023, mentre Israele ritiene le accuse contro il
Movimento islamico di resistenza troppo morbide. E pure il riconoscimento
dell’utilizzo del protocollo Hannibal non sarà certo piaciuto a Tel Aviv.
LE ACCUSE DI HAMAS E ISRAELE AL RAPPORTO AMNESTY
Nel documento, Amnesty accusa Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi di
crimini di guerra e contro l’umanità, per l’orrore inflitto ai civili
israeliani: violenze sessuali, torture, rapimenti e omicidi contro persone
inermi, nelle loro case, senza pietà per bambini e anziani. Eppure Hamas
sostiene di non aver ucciso civili nell’eccidio del 7 ottobre 2023, né commesso
violenze su persone senza divisa. Anzi attribuisce la morte di molti israeliani
indifesi al fuoco amico dell’esercito di Tel Aviv. “Amnesty diffonde menzogne
israeliane”, l’accusa lanciata da Hamas dopo la pubblicazione del rapporto sui
crimini della milizia islamista. La miglior smentita alle accuse di Hamas contro
l’ong arriva proprio da Tel Aviv che non ha apprezzato il rapporto. Ma per
motivi opposti: “È molto lontano dal riflettere l’intera portata delle atroci
violenze di Hamas”, ha scritto su X il portavoce del ministero degli Esteri,
Oren Marmorstein, definendo “di parte” l’organizzazione per i diritti umani.
L’ECCIDIO DEL 7 OTTOBRE E IL PROTOCOLLO HANNIBAL: ALMENO 15 ISRAELIANI VITTIME
DI FUOCO AMICO
Attaccata da ambo i lati, Amnesty lascia parlare i dati e gli indizi raccolti.
Ingenti, nel caso dei crimini commessi da Hamas e altri gruppi islamisti della a
Gaza, dal 7 ottobre 2023 ad agosto 2025. Le sigle terroristiche coinvolte nelle
violenze sono le Brigate Al-Quds e le Brigate dei martiri di Al-Aqsa. Ma
all’eccidio del 7 ottobre, scrive Amnesty, hanno partecipato anche “uomini
armati palestinesi in abiti civili”, compiendo “saccheggi diffusi di case e
proprietà in comunità residenziali di Israele. Alcuni hanno partecipato anche a
omicidi, distruzione di proprietà, rapimenti e altre violazioni gravi”. Giova
ricordare i numeri del 7 ottobre: 1200 persone sono state uccise. Altre 251 –
per lo più civili – sono state rapite e tenute in ostaggio a Gaza: in 36 casi,
le persone sequestrate “erano già morte al momento della cattura”.
Secondo Amnesty, “nella grande maggioranza dei casi, i responsabili delle
uccisioni erano combattenti palestinesi”. Tuttavia il rapporto conferma vittime
civili per mano dell’esercito israeliano, anche a causa del protocollo Hannibal:
un codice militare che mette a rischio le stesse forze armate di Tel Aviv, pur
di evitare il rapimento di un soldato Idf. “In alcuni casi, civili israeliani
sono stati effettivamente uccisi dalle forze israeliane in caso di errata
identificazione e/o nell’applicazione della direttiva Hannibal”, si legge nel
rapporto. Amnesty cita i due attacchi a Be’eri e Nahal Oz: “Sono state uccise
dal fuoco militare israeliano fino a 12 persone e tre persone rispettivamente,
secondo le indagini militari israeliane”. Ma è bene ricordare la responsabilità
delle milizie palestinesi, il 7 ottobre. Anche perché, “l’esercito israeliano
non era presente quando sono avvenute la maggior parte delle uccisioni”.
IL CATALOGO DEGLI ORRORI DEL 7 OTTOBRE
Il rapporto di Amnesty smentisce la narrazione di Hamas, secondo cui i miliziani
avrebbero commesso violenze solo contro i soldati. “Combattenti pesantemente
armati di fucili d’assalto, mitragliatrici, granate e granate a propulsione a
razzo hanno compiuto attacchi sistematici e deliberati contro la popolazione
civile”, si legge nel rapporto. Più di 3 mila combattenti palestinesi hanno
superato il muro che separa Gaza da Israele, dopo che migliaia di razzi furono
lanciati contro i civili israeliani, uccidendo e ferendo “diverse persone
civili, per lo più minori”. Poi le violenze indiscriminate contro “i kibbutz di
Be’eri, Holit, Kfar Azza, Magen, Nahal Oz, Re’im e Sufa, il moshav di Netiv
HaAsara, le città di Ofakim e Sderot, la spiaggia di Zikim e il sito del
festival musicale Nova”.
A Be’eri, Amnesty conta 101 civili uccisi,” tra cui 10 minori, la più giovane
dei quali Mila Cohen, di nove mesi, uccisa tra le braccia della madre nella
stanza di sicurezza della famiglia”. Molte famiglie hanno contemplato l’orrore.
Come “le due sorelle Yahel e Noiya Sharabi, di 13 e 16 anni, uccise insieme alla
madre Lianne Brisley-Sharabi, 48 anni, nella loro casa a nord-ovest del kibbutz,
dopo aver assistito alla cattura del padre, Eli Sharabi, 51 anni, da parte di
combattenti delle Brigate Al-Qassam”. Il papà Eli, ostaggio a Gaza per 16 mesi,
ha saputo dello sterminio di moglie e figlie solo al momento del rilascio.
Rotem Matthias, sedicenne del villaggio di Holit, “ha raccontato ad Amnesty
International che degli uomini armati palestinesi hanno lanciato una granata
nella stanza di sicurezza della sua casa di famiglia, uccidendo sua madre,
Schahar Matthias, 50 anni, e suo padre, Sholmi Matthias, 47 anni”. Rotem ha
detto di essersi salvato perché “sua madre lo ha fatto sdraiare sul pavimento in
uno spazio piccolo tra il letto e il muro, e si è sdraiata sopra di lui,
proteggendolo e salvandogli la vita”.
I residenti di Kfar Azza hanno raccontato l’assalto alle case di israeliani
disarmati, per un bilancio di 57 civili uccisi. Tra le vittime, gli ingneri
trentenni “Hadar Rosenfeld e suo marito, Itay Berdichesky, uccisi a colpi di
arma da fuoco nella loro abitazione, lasciando i loro gemelli di 10 mesi. Il
cugino di Hadar, Yahav Winner, attore e regista di 36 anni, è stato ucciso nella
sua casa mentre sua moglie è fuggita con la loro bambina di tre settimane e si è
nascosta per ore fino a quando non sono state salvate.
Neppure gli anziani e i migranti sono stati risparmiati. A Sderot “vi era un
gruppo di 13 civili, la maggior parte pensionati provenienti da aree vicine,
uccisi a colpi di arma da fuoco a una fermata dell’autobus nelle prime ore del
mattino, mentre si accingevano a partecipare a una gita di un giorno verso il
Mar Morto”. La violenza si è scagliata anche contro i lavoratori stranieri.
Amnesty ha documentato l’omicidio di 14 lavoratori agricoli thailandesi tra
Re’im e Nir Oz. In quest’ultima località i terroristi palestinesi hanno ucciso
10 studenti agricoli nepalesi. Una violenza cieca che non distingue più neppure
la nazionalità. L’eccidio al Festival Nova, scrive Amnesty, non era neppure
pianificato ma del tutto casuale: “Hanno sparato in aree piene di persone
civili, hanno preso di mira civili terrorizzati che cercavano di fuggire e hanno
dato la caccia ad altri nei luoghi dove cercavano di nascondersi – in rifugi
antiaerei, bagni pubblici, fossi e cespugli”.
GLI OSTAGGI
Dei 251 ostaggi, solo 27 erano soldati, mentre “la stragrande maggioranza delle
restanti 224 persone erano civili: 124 uomini, 64 donne e 36 bambini”. Tra le
persone sequestrate c’era la pacifista Shoshan Haran, fondatrice e presidente
dell’Ong israeliana Fair Planet. I miliziani hanno preso in ostaggio anche i tre
figli e due suoi nipoti, dalla loro casa a Be’eri. Ecco il racconto di Shoshan
ad Amnesty: “Uno dei terroristi ha urlato in inglese: ‘Donne, bambini, prendere.
Uomini, boom-boom’”. Solo dopo 50 giorni di “terrificante prigionia”, la donna
ha scoperto l’uccisione di suo marito.
L'articolo Hamas e Israele contro il report Amnesty. I miliziani negano i
crimini di guerra, l’ong conferma che Tel Aviv ha ucciso suoi cittadini proviene
da Il Fatto Quotidiano.
“Quello che è successo il 7 ottobre è l’attentato più devastante, più ripugnante
che si sia mai visto da parte di un’organizzazione terroristica. Quello che è
successo dopo è 30 volte peggio, perché a farlo è stato un governo, nostro
alleato, di un Paese che è una democrazia che ha sterminato 70mila persone, che
per lo stesso esercito israeliano erano composte per l’83% da civili”. Lo ha
detto il direttore de il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che alla festa dei
giovani di Fratelli d’Italia ha intervistato il ministro della Difesa, Guido
Crosetto. Travaglio ha ricevuto più volte l’applauso del pubblico durante la sua
analisi di ciò che è successo a Gaza negli ultimi due anni. Poi ha domandato a
Crosetto: “Il governo italiano ha fatto abbastanza? Siete sicuri di aver detto e
fatto il possibile? Perché la Russia, dopo l’atto criminale dell’invasione
dell’Ucraina, ha beccato 22 pacchetti di sanzioni, e Israele zero, e allora mi
metto nei panni di un cittadino palestinese o arabo che dice: ‘Ma quanti miei
concittadini devono morire prima che qualcuno si indigni?'”.
L'articolo Gaza, Travaglio parla di genocidio alla festa di FdI tra gli applausi
del pubblico. E a Crosetto: “Avete fatto abbastanza?” – Video proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Sono almeno 14 le persone morte a Gaza a causa della tempesta Byron che si è
abbattuta negli ultimi giorni sulla Striscia. Lo ha segnalato il ministero degli
Interni e della Sicurezza Nazionale palestinese. Le morti sono collegate alla
tempesta, che ha scatenato forti piogge e venti sull’enclave palestinese. Almeno
tre bambini sono morti di freddo. I campi profughi dove vivono centinaia di
migliaia di sfollati si sono allagati e le tende sono affondate nel fango. Il
ministero segnala inoltre che ci sono alcune vittime per i crolli di diverse
case bombardate nei mesi scorsi e ormai ruderi
L'articolo Gaza, 14 morti per la tempesta Byron. Crollati alcuni edifici
danneggiati dalle bombe nei mesi scorsi proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha chiesto agli
organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto
accaduto in alcune scuole in Toscana dove Francesca Albanese, relatrice speciale
dell’Onu per i territori palestinesi occupati, ha tenuto incontri durante
l’orario scolastico. Ne è seguita un’interrogazione di Fratelli d’Italia che ha
chiesto l’intervento del ministro, che ha dichiarato “di aver letto su organi di
stampa che la relatrice avrebbe rilasciato dichiarazioni che, se comprovate,
potrebbero costituire ipotesi di reato. Le ispezioni mirano a verificare la
realtà dei fatti e la eventuale responsabilità degli organi scolastici
coinvolti”. Le accuse sono quelle riassunte da un comunicato della Lega in
Toscana, riferendosi a quanto scritto sulle pagine dei quotidiani il Giornale e
il Tempo: “Come riportato da alcuni organi di stampa, sembrerebbe addirittura
che la relatrice speciale dell’Onu abbia accusato l’attuale governo di essere
‘fascista’, ‘complice di un genocidio’ e detto ai ragazzi di occupare le
scuole”. Mentre per il M5s le ispezioni richieste “puzzano di propaganda”.
L’iniziativa del ministro riguarda in particolare due istituti scolastici già al
centro dell’interrogazione parlamentare presentata dal deputato di FdI
Alessandro Amorese: “Alcune classi del Liceo Montale di Pontedera (Pisa), ed una
classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo “Massa 6” avrebbero
partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti “Docenti per Gaza”,
con la partecipazione di Francesca Albanese, incentrato sulle tematiche del suo
libro ‘Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina’”,
evidenziava l’interrogazione. “Iniziative scolastiche di questo tipo, se svolte
in assenza di un adeguato contraddittorio, rischiano di assumere il carattere di
un indottrinamento ideologico, lontano dai principi di pluralismo, equilibrio
formativo e imparzialità che devono guidare l’attività educativa nelle scuole
italiane”. Da qui la richiesta a Valditara di “accertare che, pur nel rispetto
dell’autonomia scolastica, le modalità con cui è stato organizzato l’incontro
siano state svolte nel rispetto della salvaguardia dell’equilibrio formativo e
dell’imparzialità”. Il responsabile nazionale Cultura e innovazione di FdI,
Federico Mollicone, rincara: “Il numero di studenti italiani che hanno
partecipato a questi incontri sarebbe superiore a 11mila. Inaccettabile che sia
stato dato spazio ad una persona che ha, più volte, giustificato le azioni di
Hamas, ha partecipato a una conferenza con i volti più noti dell’organizzazione
terroristica e ha definito un ‘monito’ per i giornalisti le gravi azioni
vandaliche e intimidatorie contro la sede del quotidiano La Stampa”.
“Ci risiamo! Dopo Pisa e Massa, ora è il turno di Pontedera. Anche qui, infatti,
Albanese ha potuto fare la sua consueta propaganda in un liceo. Gli italiani
conoscono già il tristemente noto incontro virtuale – parte di una serie fornita
a oltre 150 scuole medie e superiori italiane, dalla chiara connotazione
politica – e siamo certi che la stragrande maggioranza di loro non voglia i
figli in una scuola ideologizzata”, dichiarano il commissario della Lega in
Toscana, Andrea Crippa, assieme ai deputati toscani del Carroccio Andrea
Barabotti, Elisa Montemagni, Tiziana Nisini ed Edoardo Ziello., che plaudono
alle ispezioni. “È inaccettabile che nelle scuole si svolgano lezioni
chiaramente orientate contro il Governo e prive di contraddittorio (come
previsto esplicitamente da una circolare ministeriale)”.
A dire invece che le ispezioni richieste “puzzano di propaganda” è il Movimento
5 stelle. “Non abbiamo certezze su cosa abbia detto Albanese, vedremo cosa
emergerà e se ci sono delle responsabilità. Però questa improvvisa operazione di
Valditara puzza parecchio, ancora una volta, di propaganda mascherata da zelo
istituzionale”, dichiarano gli esponenti M5S in commissione Cultura. “Forse
sarebbe più urgente farla in tutte quelle scuole utilizzate in questi anni come
passerella politica per campagne elettorali in stile Valditara. Oppure in quelle
in cui i lavori del Pnrr, arrivati grazie a Giuseppe Conte, sono ancora fermi a
causa della cattiva gestione di questo governo. Sarebbe interessante ispezionare
anche le scuole che si ritrovano a fare i conti con quasi 900 milioni di tagli
messi in manovra da questo governo. E, perché no, quelle in cui docenti e
dirigenti avrebbero attivato volentieri percorsi seri di educazione affettiva e
sessuale, se solo non fossero stati costretti a sottostare alla linea ideologica
della galassia Pro Vita di cui Valditara sembra essere ormai l’instancabile
alfiere”.
L'articolo Il ministro Valditara chiede ispezioni in due scuole che hanno
ospitato incontri con Francesca Albanese proviene da Il Fatto Quotidiano.
Gli arabi leggono Primo Levi per capire la tragedia della Striscia di Gaza. “I
palestinesi spogliati dell’Idf, messi in fila per le strade di Gaza, ricordano
quegli ebrei lasciati nudi davanti alle SS”. Per questo, ricorda Luay Abdul Ilah
sulle pagine del quotidiano saudita as Sharq al Awsat, diventa importante
leggere Se questo è un uomo, alla luce degli eventi nella Striscia. La
riscoperta delle opere dello scrittore italiano, di origine ebraica, non è però
qualcosa di nuovo: “Avevo questo libro da dieci anni”, scrive, ma “non ho mai
trovato una sufficiente attrazione che mi spingesse a leggerlo”. Il motivo?
“Forse l’illusione che lo sterminio su vasta scala degli ebrei in Europa, per
mano dei nazisti tedeschi durante gli anni della Seconda guerra mondiale,
appartenesse alla storia e non si sarebbe più ripetuto, vista la capacità di
documentare ciò che accade nel mondo istante per istante”.
È forse dalla necessità di comprendere il presente che, nel febbraio 2025, è
apparsa una nuova traduzione in arabo di Se questo è un uomo, pubblicata dalla
casa editrice al Mutawassit, tradotto dall’accademico iracheno Gassid Mohammed,
professore di lingua araba all’università Ca’ Foscari di Venezia. “È molto
importante – sottolinea Mohammed al telefono con Ilfattoquotidiano.it – che
questa opera sia stata pubblicata da un editore palestinese”. La casa editrice è
stata fondata a Milano da un poeta palestinese, Khaled Soliman al Nassiry.
Ma il lettore arabo che cosa trova in Levi? “Sicuramente – spiega Mohammed –
nella realtà descritta rivede molte somiglianze con le difficoltà e la poca
considerazione del valore della vita umana che si sono viste anche nel mondo
arabo, in Palestina e in altre parti del mondo”. In effetti, Levi rientra
benissimo in quel filone della letteratura araba che si chiama adab al sujun, la
letteratura delle carceri, in cui gli scrittori hanno descritto la loro
esperienza carceraria. Su questo tema, sulle pagine di Al Hewar, quotidiano
progressista arabo, lo scrittore Ahmad Saloum mette in parallelo il suo romanzo
con Se questo è un uomo di Levi. “In un solo istante – scrive – possono
convivere nella memoria umana due immagini opposte: il campo di Auschwitz, dove
il silenzio inghiotte le voci, la fame divora i corpi e l’uomo viene spogliato
della propria umanità fino a diventare un numero nella macchina della morte, e
l’immagine di Gaza oggi, una città assediata che si trasforma in un teatro di
genocidio trasmesso in diretta, dove le macerie ricoprono le case, i bambini
vengono estratti da sotto le rovine davanti alle telecamere del mondo e il
sangue diventa un linguaggio quotidiano che non ha bisogno di traduzione”.
Realtà lontane, anche a livello temporale, possono quindi convivere lasciando
aperte molte domande. Leggendo Levi, Saloum, autore palestinese, si chiede: “Può
l’essere umano restare umano davanti alla macchina dello sterminio, o la storia
è condannata a ripetersi in forme sempre più crudeli?”.
L'articolo Leggere Primo Levi a Gaza: “In ‘Se questo è un uomo’ ritroviamo lo
scarso valore della vita che si vede in Palestina” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“Sì, dopo il 7 ottobre i giovani che obiettano come noi sono aumentati, il
nostro movimento cresce, ma è troppo lento. Non si può aspettare che la società
israeliana cambi per fermare il genocidio e la pulizia etnica: la comunità
internazionale deve agire ora”. Hanno fatto 2.700 chilometri da Tel Aviv per
diffondere questo messaggio, ne faranno altre centinaia in giro per l’Italia per
essere sicuri che venga ascoltato, accompagnati in un tour da Assopace
Palestina. Ido Elam e Ella Keidar Greenberg sono due giovani di 19 anni,
obiettori di coscienza o refusenik, come si dice in Israele. Hanno rifiutato di
prestare servizio nell’esercito quando sono stati chiamati a farlo raggiunta
l’età della leva obbligatoria, come capita a tutti i ragazzi e ragazze
israeliane. “Sono attivista contro l’occupazione nei Territori palestinesi da
quando ho 14 anni, avendo conosciuto l’apartheid in West Bank mi è stato subito
chiaro che non potevo prendere parte alla politica di pulizia etnica messa in
pratica dal nostro governo a Gaza”, spiega al Fatto Ella Greenberg.
Il 19 marzo 2025, a 18 anni, mentre da quattro era già un’attivista transgender,
si è presentata al centro di reclutamento di Tel Hashomer con in mano la lettera
di chiamata, e ha dichiarato il suo rifiuto di partecipare al genocidio a Gaza,
l’opposizione all’occupazione e alla guerra in generale. La mossa le è costata
un mese di carcere, da cui è uscita l’11 aprile scorso. Aleggia la minaccia di
ulteriori misure penali, ma in realtà per Ella, come gli altri refusenik, il
trattamento è stato piuttosto lieve, se paragonato a quello riservato ai
cittadini e non di origine palestinese incarcerati nel Paese (quasi la metà in
detenzione amministrativa senza accuse formulate, secondo le ong dei diritti
umani di Israele). “Ora siamo persone libere”, continua Greenberg, “le punizioni
per gli obiettori sono piuttosto lievi perché le autorità ci tengono a evitare
di farci diventare dei martiri agli occhi degli altri israeliani”. Lei e Ido
Elam sono i volti più vista dell’associazione Mesarvot, ossia “noi rifiutiamo”
in ebraico, rete che si concentra sull’opposizione al servizio militare
obbligatorio e all’occupazione dei territori palestinesi.
Piuttosto, come capita a molti attivisti radicali israeliani che definiscono
fuori dai denti le politiche del governo di Gerusalemme come apartheid e pulizia
etnica, gli obiettori sono tacciati di essere dei traditori, in un Paese in cui
l’esercito è un pilastro portante (e visibile) della società, e il servizio
militare associato a un dovere morale. Venerdì i due attivisti di Mesarvot
saranno al circolo Arci Angelo Mai per un’ultima conferenza, accompagnata dalla
proiezione del film Innocence di Guy Davidi (regista noto per il documentario
Five broken cameras): “Non lo abbiamo visto neanche noi, ne parleremo”, spiega
Ido, intervistato a margine di un incontro al Senato della Repubblica a Roma,
ospitato da Alleanza verdi sinistra con, tra gli altri, Nicola Fratoianni e
Luisa Morgantini.
Il film Innocence è stato lanciato alla Mostra di Venezia nel 2022, ma in
Israele praticamente non è stato distribuito. È una critica frontale della
militarizzazione della società israeliana, e solleva il tema dei suicidi tra i
soldati e degli effetti devastanti del disturbo post traumatico da stress, una
sorta di tabù per la politica israeliana, soprattutto per la maggioranza che
sostiene Benjamin Netanyahu. In un contesto in cui il racconto pubblico di
sh’khol (il lutto per i figli caduti) nel dibattito pubblico prende
esclusivamente le forme della commemorazione patriottica dell’eroismo dei
caduti.
Davanti al pubblico internazionale, Ella e Ido non vogliono portare soltanto la
loro testimonianza. Cercano piuttosto di suscitare un ribaltamento di
prospettiva: non limitarsi ad ascoltare quella fetta minoritaria di israeliani
critici con le politiche più violente portate avanti contro i palestinesi, non
aspettare che Mesarvot diventi un’organizzazione di massa prima di agire, ma
piuttosto prendersela con i leader, pretendere la massima pressione sul governo
Netanyahu da parte della comunità internazionale, per il rispetto del diritto
internazionale. “Quello che facciamo non sarà mai sufficiente”, confessa Ella.
“Non illudiamoci che le politiche del governo israeliano cambieranno per via di
un cambio di mentalità degli israeliani. Se tante persone oggi giustificano il
genocidio è perché queste politiche sono reali, se la comunità internazionale si
adoperasse per fermarle, per renderle illegali e impossibili, allora vedrete che
anche la maggioranza silenziosa cambierà idea”.
L'articolo “Noi, obiettori israeliani, ci rifiutiamo di entrare in un esercito
accusato di crimini di guerra. La comunità internazionale fermi Netanyahu”
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il piano di Donald Trump per la Striscia di Gaza sta per essere definito. E
l’Amministrazione statunitense ha invitato l’Italia e la Germania ad aderire al
Consiglio di Pace. La notizia è stata riportata da Axios che cita due fonti a
conoscenza diretta della questione. È inoltre previsto che a guidare il Gaza
Board of Peace sia lo stesso presidente Trump e che i suoi principali
consiglieri diventeranno membri del comitato esecutivo internazionale. Secondo
la stessa testata statunitense, gli alleati sarebbero stati informati anche
sulla Forza internazionale di stabilizzazione (Isf), che dovrebbe essere
composta da rappresentanti di diversi Paesi per il mantenimento della pace sotto
il mandato delle Nazioni Unite. Indonesia, Azerbaigian, Turchia ed Egitto hanno
già detto di voler inviare soldati. Non è ancora chiaro se questi Paesi ne
faranno parte e se qualche Stato occidentale accetterà di inviare truppe. La
seconda fase dell’accordo per Gaza – recentemente approvato dall’Onu – prevede,
infatti, un ulteriore ritiro dei militari israeliani, il dispiegamento delle Isf
a Gaza e l’entrata in vigore di una nuova struttura di governo, che include il
Consiglio di Pace. Come già trapelato nei giorni scorsi, del Board non farà
parte Tony Blair, dopo la ferma opposizione dei Paesi arabi. Rimangono però
ancora dubbi sulle tempistiche sull’inizio della fase due.
UN GENERALE USA A CAPO DELLA FORZA INTERNAZIONALE
Secondo quanto trapela, il tycoon starebbe anche pianificando la nomina di un
generale americano a capo della Forza Internazionale. Una nomina che sarebbe
finalizzata ad accrescere ulteriormente la responsabilità degli Stati Uniti
nella messa in sicurezza e nella ricostruzione della Striscia, mentre a Gaza si
continua ancora a morire anche per le inondazione e il freddo. Gli Stati Uniti
hanno già istituito un quartier generale civile-militare in Israele per
monitorare il complesso cessate il fuoco e coordinare gli aiuti umanitari. Gli
Usa guiderebbero così la forze di sicurezza dell’enclave senza però inviare
truppe americane sul terreno. La notizia sarebbe stata già comunicata
dall’ambasciatore americano alle Nazioni Unite Mike Waltz al primo ministro
Benjamin Netanyahu e ad altri funzionari. “Waltz ha persino affermato di
conoscere personalmente il generale e ha sottolineato che è una persona molto
seria”, ha detto un funzionario israeliano. Gli Stati Uniti hanno anche proposto
che l’ex inviato delle Nazioni Unite per il Medio Oriente Nickolay Mladenov
ricopra il ruolo di rappresentante del Board of Peace sul campo a Gaza,
collaborando con un futuro governo tecnocratico palestinese, secondo fonti
informate.
L'articolo Media: “Gli Usa hanno invitato Italia e Germania ad aderire al
Consiglio di Pace per Gaza” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Inondazioni, fango e freddo. La tempesta Byron si è abbattuta anche sui campi
degli sfollati di Gaza, che dopo due anni di distruzione e massacri si appresta
ad affrontare l’inverno in tende vecchie e logore e con abbigliamento
inadeguato. Mentre Israele continua a fermare gli aiuti al confine. A Khan
Younis, nel sud della Striscia l’agenzia palestinese Wafa e Al Jazeera hanno
denunciato la morte di una bambina di otto mesi a causa delle basse temperature.
“Continuava a piovere e il freddo stava peggiorando” ha raccontato la madre
all’emittente del Qatar. “Improvvisamente, ho trovato la mia bambina immobile,
morta”.
Secondo l’Onu sono 850mila le persone che dopo il cessate il fuoco hanno
ritrovato la propria casa in macerie e ora sono costrette a vivere in tende
distribuite negli oltre 760 campi improvvisati. Rifugi che in queste ore sono
stati flagellati dalla tempesta Byron. Le strade dei campi si sono trasformate
in fiumi di fango, l’aria è diventata gelida e carica di umidità, l’acqua ha
invaso le tende e inzuppato coperte e materassi. Le persone hanno cercato di far
fronte al disastro con i pochi strumenti a disposizione, creando barriere con
secchi di sabbia e provando a far defluire l’acqua. “A Gaza stanno cadendo
piogge invernali, portando con sé nuove difficoltà. Le strade allagate e le
tende bagnate rendono ancora più pericolose le condizioni di vita già difficili.
Il freddo, il sovraffollamento e le condizioni igieniche precarie aumentano il
rischio di malattie e infezioni”, ha scritto l’Unrwa, agenzia Onu per i
rifugiati palestinesi, sottolineando che “queste sofferenze potrebbero essere
evitate grazie ad aiuti umanitari senza ostacoli, compreso il supporto medico e
alloggi adeguati”. Oltre al rischio immediato per gli sfollati c’è quello legato
alle reti fognarie in gran parte distrutte: l’acqua delle inondazioni quindi con
tutta probabilità si è mescolata a quelle reflue, aumentando significativamente
il pericolo di diffusione di malattie come la dissenteria e il colera. Inoltre
il forte vento ha fatto crollare alcuni palazzi semidistrutti e ridotti ormai a
scheletri dai bombardamenti israeliani.
L’associazione israeliana Btselem accusa Israele di continuare a bloccare gli
aiuti umanitari anche dopo il cessate il fuoco: “Ci sono 6500 camion attualmente
in attesa di essere fatti entrare a Gaza con materiale invernale di prima
necessità, tra cui tende, coperte, abbigliamento caldo e materiali per l’igiene.
Intanto i bambini vanno scalzi e indossano abiti estivi al freddo gelido”.
Denuncia fatta nelle scorse settimane da diverse organizzazioni internazionali,
che in vista dell’inverno avevano lanciato l’allarme sull’assenza di rifugi
adeguati.
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Jazeera: “Bambina di otto mesi morta di freddo” proviene da Il Fatto Quotidiano.