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Hamas e Israele contro il report Amnesty. I miliziani negano i crimini di guerra, l’ong conferma che Tel Aviv ha ucciso suoi cittadini
Protestano sia Hamas che Israele dopo la pubblicazione del rapporto di Amnesty International intitolato Prendere di mira i civili: omicidi, prese di ostaggi e altre violazioni da parte di gruppi armati palestinesi in Israele e Gaza. Protestano perché entrambi vorrebbero che le informazioni contenute nelle 177 pagine prodotte dalla ong rispecchiassero maggiormente i contenuti delle proprie propagande: il partito armato palestinese nega le responsabilità che gli vengono attribuite dal 7 ottobre 2023, mentre Israele ritiene le accuse contro il Movimento islamico di resistenza troppo morbide. E pure il riconoscimento dell’utilizzo del protocollo Hannibal non sarà certo piaciuto a Tel Aviv. LE ACCUSE DI HAMAS E ISRAELE AL RAPPORTO AMNESTY Nel documento, Amnesty accusa Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi di crimini di guerra e contro l’umanità, per l’orrore inflitto ai civili israeliani: violenze sessuali, torture, rapimenti e omicidi contro persone inermi, nelle loro case, senza pietà per bambini e anziani. Eppure Hamas sostiene di non aver ucciso civili nell’eccidio del 7 ottobre 2023, né commesso violenze su persone senza divisa. Anzi attribuisce la morte di molti israeliani indifesi al fuoco amico dell’esercito di Tel Aviv. “Amnesty diffonde menzogne israeliane”, l’accusa lanciata da Hamas dopo la pubblicazione del rapporto sui crimini della milizia islamista. La miglior smentita alle accuse di Hamas contro l’ong arriva proprio da Tel Aviv che non ha apprezzato il rapporto. Ma per motivi opposti: “È molto lontano dal riflettere l’intera portata delle atroci violenze di Hamas”, ha scritto su X il portavoce del ministero degli Esteri, Oren Marmorstein, definendo “di parte” l’organizzazione per i diritti umani. L’ECCIDIO DEL 7 OTTOBRE E IL PROTOCOLLO HANNIBAL: ALMENO 15 ISRAELIANI VITTIME DI FUOCO AMICO Attaccata da ambo i lati, Amnesty lascia parlare i dati e gli indizi raccolti. Ingenti, nel caso dei crimini commessi da Hamas e altri gruppi islamisti della a Gaza, dal 7 ottobre 2023 ad agosto 2025. Le sigle terroristiche coinvolte nelle violenze sono le Brigate Al-Quds e le Brigate dei martiri di Al-Aqsa. Ma all’eccidio del 7 ottobre, scrive Amnesty, hanno partecipato anche “uomini armati palestinesi in abiti civili”, compiendo “saccheggi diffusi di case e proprietà in comunità residenziali di Israele. Alcuni hanno partecipato anche a omicidi, distruzione di proprietà, rapimenti e altre violazioni gravi”. Giova ricordare i numeri del 7 ottobre: 1200 persone sono state uccise. Altre 251 – per lo più civili – sono state rapite e tenute in ostaggio a Gaza: in 36 casi, le persone sequestrate “erano già morte al momento della cattura”. Secondo Amnesty, “nella grande maggioranza dei casi, i responsabili delle uccisioni erano combattenti palestinesi”. Tuttavia il rapporto conferma vittime civili per mano dell’esercito israeliano, anche a causa del protocollo Hannibal: un codice militare che mette a rischio le stesse forze armate di Tel Aviv, pur di evitare il rapimento di un soldato Idf. “In alcuni casi, civili israeliani sono stati effettivamente uccisi dalle forze israeliane in caso di errata identificazione e/o nell’applicazione della direttiva Hannibal”, si legge nel rapporto. Amnesty cita i due attacchi a Be’eri e Nahal Oz: “Sono state uccise dal fuoco militare israeliano fino a 12 persone e tre persone rispettivamente, secondo le indagini militari israeliane”. Ma è bene ricordare la responsabilità delle milizie palestinesi, il 7 ottobre. Anche perché, “l’esercito israeliano non era presente quando sono avvenute la maggior parte delle uccisioni”. IL CATALOGO DEGLI ORRORI DEL 7 OTTOBRE Il rapporto di Amnesty smentisce la narrazione di Hamas, secondo cui i miliziani avrebbero commesso violenze solo contro i soldati. “Combattenti pesantemente armati di fucili d’assalto, mitragliatrici, granate e granate a propulsione a razzo hanno compiuto attacchi sistematici e deliberati contro la popolazione civile”, si legge nel rapporto. Più di 3 mila combattenti palestinesi hanno superato il muro che separa Gaza da Israele, dopo che migliaia di razzi furono lanciati contro i civili israeliani, uccidendo e ferendo “diverse persone civili, per lo più minori”. Poi le violenze indiscriminate contro “i kibbutz di Be’eri, Holit, Kfar Azza, Magen, Nahal Oz, Re’im e Sufa, il moshav di Netiv HaAsara, le città di Ofakim e Sderot, la spiaggia di Zikim e il sito del festival musicale Nova”. A Be’eri, Amnesty conta 101 civili uccisi,” tra cui 10 minori, la più giovane dei quali Mila Cohen, di nove mesi, uccisa tra le braccia della madre nella stanza di sicurezza della famiglia”. Molte famiglie hanno contemplato l’orrore. Come “le due sorelle Yahel e Noiya Sharabi, di 13 e 16 anni, uccise insieme alla madre Lianne Brisley-Sharabi, 48 anni, nella loro casa a nord-ovest del kibbutz, dopo aver assistito alla cattura del padre, Eli Sharabi, 51 anni, da parte di combattenti delle Brigate Al-Qassam”. Il papà Eli, ostaggio a Gaza per 16 mesi, ha saputo dello sterminio di moglie e figlie solo al momento del rilascio. Rotem Matthias, sedicenne del villaggio di Holit, “ha raccontato ad Amnesty International che degli uomini armati palestinesi hanno lanciato una granata nella stanza di sicurezza della sua casa di famiglia, uccidendo sua madre, Schahar Matthias, 50 anni, e suo padre, Sholmi Matthias, 47 anni”. Rotem ha detto di essersi salvato perché “sua madre lo ha fatto sdraiare sul pavimento in uno spazio piccolo tra il letto e il muro, e si è sdraiata sopra di lui, proteggendolo e salvandogli la vita”. I residenti di Kfar Azza hanno raccontato l’assalto alle case di israeliani disarmati, per un bilancio di 57 civili uccisi. Tra le vittime, gli ingneri trentenni “Hadar Rosenfeld e suo marito, Itay Berdichesky, uccisi a colpi di arma da fuoco nella loro abitazione, lasciando i loro gemelli di 10 mesi. Il cugino di Hadar, Yahav Winner, attore e regista di 36 anni, è stato ucciso nella sua casa mentre sua moglie è fuggita con la loro bambina di tre settimane e si è nascosta per ore fino a quando non sono state salvate. Neppure gli anziani e i migranti sono stati risparmiati. A Sderot “vi era un gruppo di 13 civili, la maggior parte pensionati provenienti da aree vicine, uccisi a colpi di arma da fuoco a una fermata dell’autobus nelle prime ore del mattino, mentre si accingevano a partecipare a una gita di un giorno verso il Mar Morto”. La violenza si è scagliata anche contro i lavoratori stranieri. Amnesty ha documentato l’omicidio di 14 lavoratori agricoli thailandesi tra Re’im e Nir Oz. In quest’ultima località i terroristi palestinesi hanno ucciso 10 studenti agricoli nepalesi. Una violenza cieca che non distingue più neppure la nazionalità. L’eccidio al Festival Nova, scrive Amnesty, non era neppure pianificato ma del tutto casuale: “Hanno sparato in aree piene di persone civili, hanno preso di mira civili terrorizzati che cercavano di fuggire e hanno dato la caccia ad altri nei luoghi dove cercavano di nascondersi – in rifugi antiaerei, bagni pubblici, fossi e cespugli”. GLI OSTAGGI Dei 251 ostaggi, solo 27 erano soldati, mentre “la stragrande maggioranza delle restanti 224 persone erano civili: 124 uomini, 64 donne e 36 bambini”. Tra le persone sequestrate c’era la pacifista Shoshan Haran, fondatrice e presidente dell’Ong israeliana Fair Planet. I miliziani hanno preso in ostaggio anche i tre figli e due suoi nipoti, dalla loro casa a Be’eri. Ecco il racconto di Shoshan ad Amnesty: “Uno dei terroristi ha urlato in inglese: ‘Donne, bambini, prendere. Uomini, boom-boom’”. Solo dopo 50 giorni di “terrificante prigionia”, la donna ha scoperto l’uccisione di suo marito. L'articolo Hamas e Israele contro il report Amnesty. 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“Sussidiaria di Hamas”. Gli Stati Uniti valutano di contrassegnare l’Unrwa come “organizzazione terrorista”
L’amministrazione Trump conferma quanto evidenziato in passato: non si fida dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per il sostegno ai rifugiati palestinesi in Medio Oriente creata nel 1949, e medita di contrassegnarla – o di individuare in modo specifico alcuni suoi funzionari – come organizzazione terrorista per le sue infiltrazioni da parte di Hamas, a sua volta così designata dal 1997. Che questa dicussione sia in una fase avanzata lo hanno confermato due fonti all’agenzia Reuters. Il punto di snodo è il massacro del 7 ottobre 2023 eseguito dai miliziani che ha provocato 1.200 morti e la cattura di centinaia di ostaggi, nella maggior parte dei casi civili. Israele alla fine di gennaio 2024 ha presentato un rapporto con il quale indica una dozzina di dipendenti dell’Unrwa come fiancheggiatori degli stragisti, sostenendo che sette di loro hanno partecipato all’assalto in territorio israeliano, e due hanno avuto un ruolo nei rapimenti degli ostaggi. Il dossier contiene anche la documentazione filmata del rapimento del corpo di Jonathan Samerano, nel kibbutz Be’eri, e la testimonianza di uno degli ostaggi rilasciato alla fine del novembre 2023, che ha raccontato di essere stato tenuto nell’abitazione di un dipendente dell’Unrwa. Inoltre, un ufficiale di Hamas dislocato in Libano e ucciso da Israele lo scorso settembre, risultava impiegato nell’Unrwa. Lo Stato ebraico ha denunciato l’utilizzo da parte di Hamas di scuole, strutture e veicoli dell’organizzazione delle Nazioni Unite per nascondere miliziani, e scorte di munizioni. Diversi Paesi occidentali hanno congelato i fondi indirizzati all’Unrwa e l’Onu il 5 agosto 2024 ha presentato la sua indagine su 19 impiegati, che ha portato al licenziamento di nove dipendenti; ma, nel complesso, le Nazioni Unite hanno continuato a sostenere l’Unrwa, che opera, oltre che nella Striscia di Gaza, anche in Cisgiordania, Libano, Siria e Giordania. Gli Stati Uniti sono stati tra quei Paesi che hanno sospeso i finanziamenti da gennaio 2024 e da quel momento la presa di posizione della Casa Bianca è stata netta. Washington ha emanato un ordine esecutivo in cui afferma che “l’Unrwa sarebbe infiltrata da membri di gruppi da tempo designati dal Segretario di Stato come organizzazioni terroristiche straniere e che suoi dipendenti sarebbero stati coinvolti nell’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023”. In aprile la Corte internazionale di giustizia ha chiesto a Israele di collaborare con l’organizzazione delle Nazioni Unite, ma l’amministrazione Trump ha nuovamente sostenuto il parere negativo dello Stato ebraico, Israele, affermando che non aveva alcun obbligo di collaborare con l’agenzia e che aveva “ampie ragioni per mettere in dubbio l’imparzialità dell’Unrwa”. Si arriva così in ottobre, quando il Segretario di Stato, Marco Rubio ha accusato l’agenzia di essere diventata una “sussidiaria di Hamas”. Come gli Stati Uniti intendano procedere – se colpire l’intera agenzia o alcuni funzionari – non è chiaro. La designazione di “organizzazione terroristica”, utilizzata per gruppi che uccidono civili, come nei casi di Al Qaeda, Hamas, e Isis, potrebbe essere convertita in un provvedimento del Dipartimento di Stato e altre agenzie federali, mirato a congelare i beni o vietare spostamenti a funzionari Unrwa. L’agenzia delle Nazioni Unite non è l’unica a finire nel mirino di Trump. Ieri la sua amministrazione ha sollecitato la Corte penale internazionale (Cpi) a modificare il suo statuto per garantire che non indaghi sul presidente repubblicano e i suoi collaboratori, interrompere le indagini sui leader israeliani in merito al conflitto nella Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre e porre fine a una precedente inchiesta sui militari americani per le loro azioni in Afghanistan. Come ha riportato Reuters, se la Corte non darà seguito a queste tre richieste, Washington potrebbe penalizzare funzionari della Cpi e sanzionare la corte stessa. L'articolo “Sussidiaria di Hamas”. Gli Stati Uniti valutano di contrassegnare l’Unrwa come “organizzazione terrorista” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Hamas colpevole di crimini contro l’umanità. Stupri, omicidi e torture”. Il report di Amnesty
Amnesty International accusa per la prima volta Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi di crimini contro l’umanità durante e dopo il 7 ottobre 2023. L’associazione a tutela dei diritti umani sottolinea inoltre come Hamas abbia “continuato a commettere violazioni e crimini di diritto internazionale trattenendo e maltrattando gli ostaggi israeliani e trattenendo i corpi sequestrati”. Tra i delitti di Hamas e degli altri gruppi islamisti: lo stupro, la tortura, l’omicidio. Le accuse sono contenute in un lungo report di 173 pagine. Una “ricerca approfondita” per documentare come “le violazioni della legge umanitaria internazionale”, “i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi da Hamas e da altri gruppi armati durante e dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023“. Un documento che arriva dopo che l’organizzazione “ha ampiamente documentato come Israele abbia commesso e continui a commettere un genocidio contro i palestinesi di Gaza, nonostante il cessate il fuoco, e come il suo attuale sistema di apartheid costituisca un crimine contro l’umanità”. La ricerca, spiega Amnesty, “documenta gli abusi perpetrati da Hamas (…) contro il sud di Israele e il trattamento riservato alle persone sequestrate e tenute prigioniere nella Striscia di Gaza occupata”. Il report “conclude che la stragrande maggioranza dei civili deceduti è stata uccisa da combattenti palestinesi e che tutti coloro che erano detenuti a Gaza sono stati trattenuti illegalmente come ostaggi”. Il documento di Amnesty accusa i gruppi islamisti di praticare lo stupro come arma di guerra. Il testo cita “prove che alcune delle persone catturate sono state sottoposte a violenza fisica e sessuale e altre sono state uccise dai loro rapitori”. Tra i crimini di guerra e contro l’umanità, i gruppi islamisti si sarebbero macchiati di “omicidio e tortura”. L'articolo “Hamas colpevole di crimini contro l’umanità. Stupri, omicidi e torture”. Il report di Amnesty proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Un anno dopo Assad – “La Siria firmerà gli Accordi di Abramo. Gli arabi temono più Hamas di Israele”: il racconto di Salim, ultimo ebreo di Damasco
Tutto quello che resta di Damasco, sta in questo antiquario dietro la moschea degli Omayyadi che trabocca di tappeti, stoffe, lumi, ceramiche, argenteria: tutto intorno, Assad non ha lasciato che povertà, e strade da periferia sovietica. Un’ora di elettricità al giorno, dai rubinetti un filo d’acqua che va e viene. Ma qui, il proprietario ha custodito tutto come un’arca di Noè. Sa tutto di tutto, e davanti a un tè, ti racconta ogni storia: è l’angolo più siriano di una Damasco che non ha più niente della Siria che fu. Ed è singolare. Perché è ebreo. L’ultimo ebreo di Damasco. Si chiama Salim Hamadani. E in Siria, non ha mai avuto problemi. “Ma perché nella vita, se sei ricco non hai problemi”, dice. Neppure dopo Gaza. In tutto il mondo si parla di Gaza: tranne che qui. “Per gli arabi, i palestinesi sono sempre stati un peso e basta. Un fattore di instabilità. Non è certo un segreto. Ora, poi, i siriani temono che Hamas, che è stata a lungo di base a Damasco, venga a rifugiarsi qui. E si torni agli anni ’70. Né Hamas ha molto in comune con Ahmed al-Sharaa. Il nuovo presidente. Che è un islamista, sì, ma Hamas è sostenuta dall’Iran: che sosteneva Assad”, dice. “D’altra parte, chi vorrebbe mai un alleato così? Hamas non aveva detto niente a nessuno del 7 Ottobre. Ti svegli, una mattina: ed è tutto sottosopra”. ‹ › 1 / 14 DWEILA STREETS 3 La bandiera a tre stelle della rivoluzione siriana dipinta sulla saracinesca di un bar ‹ › 2 / 14 STREETS 1 Una strada del centro di Damasco. Le stuoie che riparavano dal sole sono ora teli di iuta con il logo dell'ONU. Imballaggi di aiuti umanitari ‹ › 3 / 14 STREETS 3 ‹ › 4 / 14 THE JEWISH QUARTER Il settore ebraico della Old City. Nel 1948, con la fondazione di Israele, in Siria rimasero solo 5mila ebrei su 15mila. Ora sono tre ‹ › 5 / 14 THE OLD CITY 1 Il 90% dei siriani è sotto la soglia di povertà. Molti guidano ancora auto degli anni '60 ‹ › 6 / 14 THE OLD CITY 2 ‹ › 7 / 14 THE OLD CITY 3 ‹ › 8 / 14 THE OLD CITY 5 Il principale souk della Old City. Un tempo, era famoso per stoffe, oro, madreperla, e spezie. Restano solo le spezie. Tutto il resto, è made in China ‹ › 9 / 14 WALKING 1 ‹ › 10 / 14 YARMOUK 2 A Yarmouk vivevano 160mila dei 560mila palestinesi della Siria. Essendo a ridosso del centro, a sud, era uno degli accessi alla città: e diventò il suo campo di battaglia. Finì per essere conquistata dall'ISIS. E per eliminare l'ISIS, Assad ordinò di raderla al suolo. ‹ › 11 / 14 YARMOUK 3 A Yarmouk vivevano 160mila dei 560mila palestinesi della Siria. Essendo a ridosso del centro, a sud, era uno degli accessi alla città: e diventò il suo campo di battaglia. Finì per essere conquistata dall'ISIS. E per eliminare l'ISIS, Assad ordinò di raderla al suolo. ‹ › 12 / 14 YARMOUK 4 A Yarmouk vivevano 160mila dei 560mila palestinesi della Siria. Essendo a ridosso del centro, a sud, era uno degli accessi alla città: e diventò il suo campo di battaglia. Finì per essere conquistata dall'ISIS. E per eliminare l'ISIS, Assad ordinò di raderla al suolo. ‹ › 13 / 14 CINEMA Uno dei cinema di Damasco. Ora chiuso ‹ › 14 / 14 UN CAFFÈ DI DAMASCO La verità, dice, è che gli arabi temono Hamas più di Israele. A un anno dalla caduta di Assad, la Siria è in ripresa, ma ancora in bilico. Ancora con molti fronti aperti. Gli alawiti, con i fedelissimi di Assad che a marzo hanno tentato una rivolta, i jihadisti, che controllano Idlib e Raqqa, i curdi, che vogliono l’autonomia, come anche i drusi, e soprattutto, l’economia, con il 90% dei siriani sotto la soglia di povertà: più Netanyahu. Da quando Israele ha istituito una sorta di buffer zone lungo il confine, allargandosi oltre il Golan, le incursioni dell’IDF sono continue. E a molti, ribolle il sangue. Perché fare i piromani con un paese che ha già mille focolai? Un paese allo stremo? Che sta ancora cercando gli scomparsi nelle fosse comuni? Il 28 novembre, a Beit Jinn, per eliminare non meglio precisati miliziani di Hezbollah, l’IDF ha ucciso 13 siriani. “Ma onestamente, non penso che l’obiettivo di Netanyahu sia la destabilizzazione della Siria. Che in fondo, ora fa da argine all’Iran. Penso piuttosto che stia esercitando pressione per trattare, e ottenere una frontiera smilitarizzata. Anche perché per quanto la Siria sia fragile, in questo momento, e vulnerabile, al sud, tra il Golan e i drusi, che sono legati a Israele, c’è Daraa: c’è il Southern Front. Uno dei pilastri delle forze anti-Assad”, dice. “E penso che siano molti a pensarla così. Per questo nessuno reagisce. Perché è chiaro a tutti che è una trappola”. Dopo Beit Jinn, Ahmed al-Sharaa ha chiesto l’intervento dell’ONU. Nient’altro. Ha detto che Israele combatte fantasmi. Pericoli che non esistono. E che non esisteranno, ha detto. Sa che Netanyahu cerca la sua reazione. Ma non solo nessuno reagisce: tutti pensano che si avrà la normalizzazione con Israele. Proprio ora che ti aspetteresti il contrario. E invece, qui nessuno ha dubbi. Prima o poi, la Siria firmerà gli Accordi di Abramo. “Ma forse, non è così strano”, dice. “Il 7 Ottobre, nessuno ha risposto all’appello di Hamas. Nessuno si è unito alla guerra. Neppure Hezbollah. Neutralizzata insieme ai suoi walkie-talkie senza avere mai davvero combattuto. Neppure l’Iran. E a tutti gli arabi è stato evidente quello che ai siriani era già evidente da tempo: che non erano che pedine. Che per gli Assad, i Gheddafi, i Saddam, l’opposizione a Israele non era che retorica: non era che un pretesto per imporre uno stato di emergenza permanente, e giustificare lo sfascio generale. E restare al potere”. E in effetti, ha funzionato. Damasco è intatta. La guerra, qui, non è mai arrivata. Ma a ridosso del centro, c’è Yarmouk, in cui vivevano oltre 150mila dei 560mila palestinesi della Siria: ed è completamente in macerie. In proporzione, ha avuto più morti di Gaza. Ma a nessuno è mai importato. Perché Yarmouk era contro Assad. E Assad era contro Israele. O appunto. Così si diceva. E il nemico del mio amico, no?, è il mio nemico. “Come ebreo, non ho mai avuto problemi con i siriani, ma con Assad: come tutti. Quando ero all’estero, la polizia passava subito da mio padre a dirgli che se non fossi tornato, gli avrebbero confiscato tutto. Perché era proibito emigrare. Eravamo circa 5mila: ed eravamo un’arma, per Assad. Merce di scambio. Eravamo ostaggi. Poi, nel 1992, quando la Siria fu sul punto di aderire agli Accordi di Oslo, il divieto fu abolito: e andarono via tutti. Come chiunque potesse”, dice. “Ebreo o meno”. E da allora, è rimasto solo. Nel Jewish Quarter oggi non c’è che il rumore del vento. Gli ebrei sono tre, in realtà, ma con i suoi 64 anni, Salim Hamadani è il più giovane. E l’unico, diciamo, lucido. Ma è rimasto solo nel senso che gli mancano anche i siriani. “Con Assad, è finito tutto. La Siria è tutta in macerie: anche quella che sembra intatta. Perché hai solo poveri, qui, impegnati a campare, o miliardari che hanno la casa a Damasco, sì, ma la vita a Dubai. A Parigi, a Londra. E comprano solo auto e donne. Non c’è più un cinema, un teatro, una libreria. Niente. Nessuno, qui, sa più dirti da dove viene uno di questi tappeti”, dice, iniziando a raccontarmi non solo la sua storia, ma la storia di tutti i suoi proprietari, uno a uno, come l’ultimo Sherazade: con cui da una storia all’altra, la Siria rivive. Ha girato mezzo mondo: ma non è mai stato a Gerusalemme. Con Assad, era troppo rischioso. Sarebbe stato sospettato di essere del Mossad. E ora, dice, non è il momento. “Preferisco Beirut. Istanbul. Questa guerra per Israele è un suicidio. Non sta attaccando gli altri: sta attaccando se stessa. Un tempo, eravamo gli Einstein, i Kafka, i Freud. Ora, siamo ai vertici solo nei droni”, dice. “Voglio un’Israele grande. Non una grande Israele”. Molti israeliani, dico, hanno paura degli arabi. “Non hanno idea di cosa si perdono”. L'articolo Un anno dopo Assad – “La Siria firmerà gli Accordi di Abramo. Gli arabi temono più Hamas di Israele”: il racconto di Salim, ultimo ebreo di Damasco proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Gaza, Hamas: “Siamo pronti a discutere il congelamento delle armi se verrà creato lo Stato palestinese”. Netanyahu: “Mai”
L’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff ha ospitato ieri a New York trattative fra Israele e Qatar. La delegazione israeliana era guidata dal direttore del Mossad, David Barnea. Si è trattato dell’incontro di più alto livello fra i due paesi dopo l’accordo per la fine della guerra a Gaza. E’ arrivato ora il momento della definizione della seconda fase dell’accordo, che in base all’accordo siglato a ottobre prevede il disarmo di Hamas e l’insediamento di una amministrazione per il governo della Striscia di Gaza. L’organizzazione che fino al 7 ottobre 2023 è stata al potere nella Striscia si è detta pronta a discutere il “congelamento o lo stoccaggio” del proprio arsenale di armi nell’ambito del cessate il fuoco con Israele. Lo ha dichiarato Bassem Naim, membro dell’ufficio politico, in un’intervista ad Associated Press rilasciata a Doha, la capitale del Qatar, dove si trova gran parte della leadership del gruppo. Naim ha affermato che Hamas mantiene il suo “diritto di resistere“, ma ha aggiunto che il gruppo è pronto a deporre le armi nell’ambito di un processo volto alla creazione di uno Stato palestinese. Il dirigente ha fornito pochi dettagli su come ciò potrebbe avvenire, ma ha ipotizzato una tregua a lungo termine di 5 o 10 anni per consentire lo svolgimento delle discussioni. “Possiamo parlare di congelamento, stoccaggio o deposizione, con la garanzia palestinese di non utilizzarle affatto durante questo periodo di cessate il fuoco o tregua”, ha affermato Naim parlando delle armi. Non è chiaro se l’offerta soddisferebbe le richieste di Israele di un disarmo completo. Di certo la richiesta di creare uno Stato palestinese non potrà essere accolta da Israele. “A Gaza avevano già uno Stato, uno Stato di fatto, e lo hanno usato per cercare di distruggere l’unico Stato ebraico – ha ribadito domenica Benjamin Netanyahu in conferenza stampa con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, poche ore prima che venisse alla luce la proposta di Naim. – Crediamo che ci sia una strada per promuovere una pace più ampia con gli Stati arabi, e anche una strada per stabilire una pace praticabile con i nostri vicini palestinesi, ma non creeremo uno Stato alle nostre porte che si impegnerà a distruggerci”, ha affermato il premier israeliano, aggiungendo che non lascerà la politica se il presidente Isaac Herzog gli concederà la grazia che lo salverebbe dal processo per corruzione a cui è sottoposto in patria, come chiesto anche dal presidente Usa Donald Trump. Le parti, che hanno concordato il cessate il fuoco a ottobre, si stanno preparando a passare alla seconda fase dell’accordo, più complessa. Da quando la tregua è entrata in vigore, Hamas e Israele hanno effettuato una serie di scambi di ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi. A Gaza resta una sola salma, un poliziotto israeliano ucciso il 7 ottobre, e le parti si preparano dunque a entrare nella seconda fase, che prevede il dispiegamento di una forza di sicurezza internazionale, la formazione di un comitato tecnico palestinese a Gaza, il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia e, appunto, il disarmo di Hamas. Un comitato internazionale, guidato da Trump, dovrebbe supervisionare l’attuazione dell’accordo e la ricostruzione della Striscia. L'articolo Gaza, Hamas: “Siamo pronti a discutere il congelamento delle armi se verrà creato lo Stato palestinese”. Netanyahu: “Mai” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Attacco del 7 ottobre a Israele, Netanyahu si nasconde mentre nell’Idf iniziano le purghe: rimossi già tre alti ufficiali
“Il fallimento del 7 ottobre è stato sistemico e non tattico e momentaneo”. La frase è da attribuire al tenente generale Eyal Zamir, capo dell’esercito israeliano, a conclusione di una inchiesta elaborata da una commissione guidata dal generale in congedo Sami Turgeman su quel che accadde il giorno del massacro firmato da Hamas, con 1.200 morti e più di 200 ostaggi catturati, la maggior parte civili. L’Idf vuole riconquistare la fiducia degli israeliani e per questo, al contrario di quanto sta facendo il governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu, mostra di essere attivo nell’individuare le responsabilità tra i suoi ranghi. Così, Zamir ha rimosso tre alti ufficiali. Il primo è il maggiore generale Aharon Haliva, ex capo della Direzione dell’intelligence militare che aveva annunciato le sue dimissioni nell’aprile 2024. A seguirlo l’ex capo della Direzione Operativa, il maggiore generale Oded Basiuk, che si è dimesso dall’esercito al termine del suo mandato nel mese di luglio. A chiudere la lista il maggiore generale Yaron Finkelman, ex responsabile del Comando Sud, sostituito nell’incarico lo scorso marzo dopo aver annunciato le dimissioni a gennaio. Nei confronti di altri ufficiali che sono ancora in servizio attivo, Zamir ha fatto sapere che saranno prese ulteriori misure. Queste decisioni sono state rese note nel bel mezzo di uno scontro aperto tra l’Idf e il governo Netanyahu, tanto che il ministro della Difesa, Israel Katz, ha annunciato il congelamento di un mese delle nomine di alto livello dell’Idf per riesaminare il rapporto di Turgeman. Katz ha incaricato il generale in congedo Yair Volanski di esaminare il documento e di presentare le sue conclusioni entro trenta giorni. Per capire a quale livello sia la frizione tra esercito e governo basta un esempio: secondo i media israeliani, Zamir non avrebbe aggiornato Katz sulle sanzioni indirizzate ai suoi ufficiali. Gli israeliani assistono a questo braccio di ferro continuando a chiedere al premier Netanyahu di avviare una inchiesta indipendente: sabato scorso, aderendo a una iniziativa lanciata dal gruppo October Council, in migliaia si sono radunati in piazza Habima a Tel Aviv e a gran voce hanno sollecitato l’esecutivo ad assumersi le sue responsabilità su quel che accadde il 7 ottobre. Alla protesta hanno preso parte molti esponenti dell’opposizione come l’ex primo ministro Naftali Bennett, Yair Lapid, Avigdor Liberman (Yisrael Beytenu), gli ex generali Benny Gantz (leader del partito Kaḥol Lavan), Gadi Eisenkot e Yair Golan (Democratici). Lapid ha poi scritto sui suoi profili social: “Stasera in piazza ci siamo riuniti con un chiaro intento, l’istituzione di una commissione statale d’inchiesta. Nel nostro governo, questo avverrà nei primi giorni”, profetizzando una sconfitta di Bibi Netanyahu nelle elezioni del prossimo anno. L'articolo Attacco del 7 ottobre a Israele, Netanyahu si nasconde mentre nell’Idf iniziano le purghe: rimossi già tre alti ufficiali proviene da Il Fatto Quotidiano.
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