L’orologio personalizzato appartenuto al regista Francis Ford Coppola – che per
recuperare i soldi persi per l’investimento del suo ultimo film sta vendendo i
suoi beni – ha raggiunto la cifra record di 10,8 milioni di dollari (commissioni
incluse) nell’asta organizzata da Phillips sabato 6 dicembre a New York. Il
pezzo, un F.P. Journe FFC Prototype unico al mondo e realizzato in
collaborazione con il celebre regista, è stato aggiudicato – come riporta
l’Adnkronos – dopo soli undici minuti di intense rilanci, secondo quanto
riferito dalla casa d’aste. L’acquirente è rimasto anonimo.
Si tratta del prezzo più alto mai pagato per un orologio in un’asta statunitense
dai tempi del celebre Rolex “Paul Newman” Daytona appartenuto all’attore,
venduto da Phillips nel 2017 per 17,8 milioni di dollari. Paul Boutros,
vicepresidente e responsabile del dipartimento orologi di Phillips per le
Americhe, ha definito il risultato “storico”, sottolineando come questo
segnatempo rappresenti “il frutto di una collaborazione creativa fra due menti
straordinarie del cinema e dell’orologeria”. Il prototipo, stimato inizialmente
almeno un milione di dollari, era stato indossato da Coppola anche alla première
di Megalopolis durante il Festival di Cannes del maggio 2024.
La vendita arriva in un periodo complesso per il regista 86enne de Il Padrino e
Apocalypse Now, travolto dalle difficoltà finanziarie seguite all’uscita di
Megalopolis. Il film, costato 120 milioni di dollari e interamente
autofinanziato, ha incassato appena 14,4 milioni al box office mondiale. In
un’intervista concessa lo scorso marzo al podcast Tetragrammaton, Coppola aveva
parlato apertamente della sua situazione economica: “Non ho più soldi. Tutto ciò
che ho preso in prestito per Megalopolis l’ho messo nel film. Praticamente è
svanito. Credo che tornerà tra 15 o 20 anni, ma al momento non ce l’ho”.
Negli ultimi mesi, il regista ha già venduto diversi beni, tra cui un’isola in
Belize, ceduta per 1,8 milioni di dollari. La decisione di privarsi
dell’orologio—uno dei pezzi più preziosi della sua collezione—rappresenta quindi
un ulteriore tentativo di riequilibrare la propria situazione finanziaria.
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un F.P. Journe unico al mondo per quasi 11 milioni di dollari proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Tag - Festival di Cannes
Jafar Panahi è stato condannato a un anno di carcere. Secondo quanto dichiarato
dal suo avvocato all’agenzia stampa AFP, il 65enne regista iraniano, vincitore
della Palma d’Oro a Cannes sei mesi fa con Un semplice incidente, è stato
condannato in contumacia in Iran a un anno di galera. La sentenza include un
divieto di viaggio all’estero per due anni e di appartenere a qualsiasi gruppo
politico o sociale. Il legale del regista, Mostafa Nili, ha affermato che verrà
presentato ricorso.
Le accuse mosse contro Panahi erano quelle di aver svolto “attività di
propaganda contro lo Stato”. Proprio negli istanti in cui veniva resa pubblica
la sentenza, Panahi ha vinto e ritirato ben tre premi ai Gotham Awards di New
York per il suo ultimo film, Un semplice incidente: miglior sceneggiatura
originale, miglior regia, miglior film internazionale. Per ben tre volte Panahi
è salito sul palco a ritirare i premi, ma non ha mai accennato al tema della
condanna.
Prima ha elogiato “i registi che tengono la telecamera accesa in silenzio, senza
supporto e, a volte, rischiando tutto ciò che hanno, solo con la loro fede nella
verità e nell’umanità”; poi successivamente ha ricordato un episodio della sua
giovinezza, quando ha iniziato senza saperlo la sua carriera: “iniziai ha girare
un corto quando ero studente, ma nel montaggio si era trasformato in
un’assurdità: rubai e distrussi i giornalieri affinché il film non venisse mai
distribuito col mio nome. Sono molto felice di aver preso quella decisione, se
non l’avessi fatto non sarei qui stasera. Allo stesso modo sono felice di non
aver tagliato o distrutto il mio ultimo film, altrimenti non sarei qui stasera”.
Panahi è stato incarcerato nel 2022 per aver protestato contro la detenzione di
due colleghi registi critici nei confronti delle autorità, ma è stato rilasciato
dopo aver scontato sette mesi di una condanna a sei anni. Era già stato
condannato a sei anni nel 2010 per aver sostenuto proteste antigovernative e
aver fatto “propaganda contro il sistema”. All’epoca venne rilasciato su
cauzione condizionale dopo due mesi. Un semplice incidente è attualmente nelle
sale italiane da una quindicina di giorni e ha incassato circa un milione di
euro, il maggiore incasso tra i suoi film distribuiti in Italia.
L'articolo “Propaganda contro lo Stato”, ancora una condanna per il
pluripremiato regista iraniano Jafar Panah proviene da Il Fatto Quotidiano.
C’è un nuovo film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne in sala. E non è di
certo tra i più memorabili. La comunità dei cinefili europei ci perdonerà, ma
dopo trent’anni di visioni, tra cui tutti i titoli dei maestri belgi, qualche
distinzione andrà pur fatta. Giovani Madri non vale mezza Rosetta o mezzo Il
figlio, ma nemmeno mezzo Tori e Lokita. Mettiamo subito in chiaro cosa non
funziona: la logica dell’accumulo di storie, di linee narrative intersecabili,
non è tra i pregi dei Dardenne, anzi. Se la peculiarità del loro cinema è la
pressione di sguardo in semi-soggettiva, scavo totale su una figura centrale, un
perno attorno al quale brulicano poche e precise figure di contorno, quando si
dà pari importanza drammaturgica ad almeno cinque co-protagoniste e una marea di
facce secondarie l’approccio stilistico salta per aria. O meglio: si svuota di
energia e di senso. Capita.
Giovani madri fin dal titolo spiega come al centro dell’osservazione pressante
dei Dardenne siano cinque adolescenti con neonato (una è incinta e sta per
partorire) che vivono in una maison maternelle di Liegi, una casa rifugio
pubblica dove le giovani possano sopravvivere degnamente vista la mancanza di
rapporti con i genitori e pure spesso con i propri partner adolescenti. Così
Giovani madri e un’illustrazione corale (sì, si tratta di coro, anche se le
singole tessere del mosaico si prendono cinque-sei minuti di spazio ogni volta
in solitaria) di una terribile situazione di crisi psicologica, sociale,
economica legata alla maternità precoce. Un disorientamento di fronte alla vita
che bussa anticipando in modo violento la crescita e la maturità, in questo caso
femminile. I Dardenne ci provano a far stare dentro tutte e tutto. A far pulsare
il disagio e la lotta per sopravvivere, a far scorrere il dolore sempre dentro
una logica stilistica comunque iperpresente e nient’affatto contemplativa. È il
loro marchio di fabbrica. Solo che in Giovani Madri l’abbondare di vicissitudini
al limite, alquanto sovrapponibili, crea traballanti apnee performative (non
tutte la attrici non professioniste o alle prime armi sono talentuose come la
povera Emilie Dequenne), alcuni incredibili scivoloni esplicativi con la parola
(il soliloquio di Perla/Lucie Laruelle che deve farci capire che quella di
fronte è la sorella cattiva è estenuante) e una sensazione di sostanziale
inconcludenza progettuale.
Un ultimo appunto per gli under 30 che vedendo Giovani Madri vedono per la prima
volta un film dei Dardenne. Ecco, sarebbe come approcciarsi a un Rossellini
partendo da Il Generale Della Rovere o a Chaplin da La contessa di Hong Kong.
Inspiegabile, davvero inspiegabile, il motivo per il quale Giovani Madri abbia
vinto il premio alla miglior sceneggiatura di Cannes 2025, l’anello oltretutto
più debole di un film già di per sé sbagliato.
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Fatto Quotidiano.
Un’enciclopedia dell’arte e del cinema in 100 episodi a firma Lars Von Trier. La
notizia giunge da Lecce, dove si sta svolgendo il Festival del Cinema Europeo. A
raccontarlo è stata Louise Vesth, produttrice di Zentropa, vicina al 69enne
regista danese. “Come tutti sapete, a Lars von Trier è stato diagnosticato il
morbo di Parkinson. Ho avuto modo di incontrarlo la scorsa settimana e,
nonostante le circostanze, devo dire che era di ottimo umore”, ha sottolineato
la produttrice tra gli altri di Melancholia e Nymphomaniac. “Lars sta lavorando
al suo ultimo progetto, After. Non è più impegnato per l’intera giornata come
accadeva in passato, ma posso dire con certezza che si tratta di un lavoro in
continua evoluzione”, ha continuato la Vesth prima di calare l’asso.
“Stiamo inoltre pensando a un progetto monumentale, perché Lars desidera mettere
a disposizione del pubblico tutto il bagaglio di conoscenze e prospettive che ha
accumulato in anni di lavoro. Si tratta di un’impresa imponente, una sorta di
enciclopedia del cinema e dell’arte composta da 100 episodi, nella quale Lars
von Trier riverserà tutto il suo sapere, includendo materiali d’archivio e molto
altro, per offrire una comprensione profonda e autentica del suo universo
creativo”.
Un progetto che sa di incredibile, proposto da uno dei talenti più visionari del
cinema mondiale degli ultimi 50 anni. Talento che nella sua imprevedibile,
naturale, libera vena provocatoria nel 2011 durante la conferenza stampa a
Cannes di Melancholia compì un passo falso che nessuno gli ha mai più perdonato.
In risposta ad una domanda sulle sue presunte origine ebraiche, Von Trier
rispose: “Ho pensato di essere ebreo per molto tempo ed ero molto felice di
esserlo… Poi si è scoperto che non ero ebreo… Ho scoperto che in realtà ero un
nazista, il che mi ha anche dato un certo piacere”. Brividi. “Cosa posso dire? –
ha messo il carico Lars – capisco Hitler. Ha fatto cose sbagliate, certo, ma
riesco a immaginarlo seduto lì nel suo bunker alla fine”.
“Vorrei innanzitutto ringraziare il Festival del Cinema Europeo di Lecce per
questo premio. Significa molto per me: dimostra che i miei film continuano a
raggiungere un pubblico ampio”, ha scritto Von Trier nella lettera letta in
pubblico proprio dalla sua socia in affari. “Da giovane ho frequentato
l’università e le scuole di cinema, ho visto moltissimi film, ma a un certo
punto ho deciso che dovevo smettere di guardare opere recenti. I film del
passato andavano bene, ma da una certa data in poi – difficile da definire con
precisione – ho scelto di non vedere più le produzioni nuove”.
L’autore di Idioti ha spiegato che per illustrare questo concetto è perfetta la
metafora dell’attraversamento di un’isola: “Immaginate un esploratore incaricato
di mappare un’isola: il suo compito è attraversarla seguendo una linea retta,
per esempio verso Nord-Est. La precisione è fondamentale per raggiungere
l’obiettivo. I dati diventerebbero inutili, perfino dannosi, se l’esploratore
deviasse dal percorso perché attratto da qualcosa che vede in un’altra
direzione, magari a Sud-Ovest”. Il regista danese ha poi concluso, sempre
trasversalmente caustico e non inquadrabile: “Allo stesso modo, come uno chef
che deve preservare il proprio senso del gusto, ho cercato di non guardare film
nuovi per non lasciarmi influenzare. Devo ammettere, però, che a volte ho
peccato: qualcuno l’ho visto. Ma il motivo per cui evito di farlo è il timore di
essere troppo stimolato da idee che non appartengono al mio percorso. Ho
mantenuto comunque una certa disciplina”. Al festival leccese si è tenuto un
omaggio a Von Trier curato da Massimo Causo, mentre di recente è uscito un bel
libro sulla figura e le opere del nostro, intitolato Lars Von Trier – La voce
oscura (Bietti), scritto da Elisa Battistini. Iniziative che tornano a mettere a
fuoco un cineasta scevro da mode e preconcetti, provocatorio, discusso, unico,
al cinema (a fatica) l’ultima volta con The house that Jake built nel 2018.
L'articolo Lars von Trier prepara la sua “Enciclopedia del Caos”: 100 episodi
per raccontare un mondo irripetibile proviene da Il Fatto Quotidiano.