Lo Zed di Pronto Raffaella può stare tranquillo. Rimane ancora lui il più
credibile robot umanoide della storia dopo quasi 40 anni. Di certo non sembrano
degli automi con forme umane quei due figuri in tuta apparsi in un video su
Instagram che è diventato virale. Stiamo parlando dell’apparizione di due
presunti robot – una donna e un uomo – dall’aspetto umano, apparsi tra gli stand
della fiera tecnologica Kish Inox Tech Expo 2025 svoltasi in Iran. Alcuni
espositori hanno presentato due robot umanoidi di nuova generazione che
interagiscono con i visitatori dandogli spiegazioni su questioni di robotica
avanzata. Peccato, però, che si trattasse di due attori travestiti da robot.
Ne riporta la presenza online il sito Multiplayer che sottolinea come “già in
passato, in Iran, sono stati presentati progetti di robotica poi rivelatisi
prototipi non funzionanti o hardware commerciali riassemblati e mostrati come
soluzioni originali e avanzate”. Sempre su Multiplayer si sottolineano le
numerose perplessità rispetto a queste fiere tecnologiche iraniane che sarebbero
prive “di documentazione tecnica a supporto delle dimostrazioni”. Insomma,
nonostante il grande successo di like sui social, il video sembra mostrare più
che altro una deriva kitsch e arrabattata di progressi scientifici molto vaghi e
imbarazzanti.
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L'articolo “Ecco i nostri nuovi robot di ultima generazione”: il video diventa
virale su Instagram, poi l’incredibile scoperta proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Iran
Arrestata e picchiata da poliziotti in borghese, con “violenti e ripetuti colpi
di manganello alla testa e al collo”. Queste le pesanti accuse che la Fondazione
Narges Mohammadi ha rivolto al regime iraniano dopo l’arresto della vincitrice
del Premio Nobel per la Pace avvenuto la settimana scorsa. Nei giorni seguenti,
la famiglia di Mohammadi non ha avuto sue notizie, fino a una breve e concisa
telefonata in cui sono emerse le pessime condizioni fisiche dell’avvocata e
attivista iraniana che è stata portata due volte al pronto soccorso per le
violente percosse ricevute dagli agenti durante l’arresto a Mashhad.
Parlando al telefono con i suoi familiari, Mohammadi ha raccontato di essere
stata accusata di collaborare con il governo israeliano. Oltre a ciò, non sono
ancora chiare le imputazioni rivolte a lei e alle altre persone arrestate, 39 in
totale secondo Teheran. L’attivista ha poi chiesto alla sua famiglia di
presentare una denuncia formale contro le modalità violente dell’arresto e la
sua detenzione. Sul secondo punto, il New York Times ha riportato che a
Mohammadi non è ancora stato comunicato quale autorità la stia trattenendo e in
generale non le sono state fornite delle spiegazioni.
Lo scorso sabato, il procuratore di Mashhad, Hasan Hematifar, ha dichiarato ai
giornalisti che Mohammadi e Javad Alikordi avevano incoraggiato i manifestanti a
inneggiare slogan che violano le norme del governo. Nei giorni scorsi, il
Comitato per il Nobel ha dichiarato profonda preoccupazione per il brutale
arresto subìto da Mohammadi. Nessun commento invece da parte delle autorità del
regime iraniano.
L'articolo Iran, la Nobel per la Pace Narges Mohammadi due volte al pronto
soccorso per le manganellate ricevute durante l’arresto proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Sono qui, ancora una volta, a fissare il vuoto. E ancora a scrivere le stesse
cose. Anno dopo anno, le mie dita scorrono su queste tastiere, componendo
resoconti che si assomigliano in modo disarmante: denunce, necrologi, appelli.
Troppi. Come un orologio rotto, il progresso in ogni angolo del mondo non fa che
acuire l’immobilità del solo luogo che sembra rifiutare la civiltà: la
Repubblica Islamica dell’Iran. Lì, il tempo è bloccato in un eterno, glaciale
presente.
L’ultima ferita aperta non è solo una notizia, è un insulto diretto alla
coscienza globale: l’arresto della mia sorella di penna e di lotta, Narges
Mohammadi. Premio Nobel per la Pace. E cosa fa un regime di fronte a un simbolo
mondiale di coraggio? Non riconosce l’onore, ma risponde con la forza bruta. La
rinchiude, ancora.
Il suo ritorno in carcere è stato un atto di brutale annientamento della
dignità. Non un “fermo” formale, ma un’aggressione in pieno giorno a Mashhad.
Narges era lì per un dovere morale: commemorare l’avvocato pro-diritti Khosrow
Alikordi. I testimoni hanno descritto scene agghiaccianti: Narges è stata
picchiata sulle gambe e afferrata per i capelli, trascinata via come un oggetto
e gettata nell’oscurità.
Questa è la risposta del regime: la violenza fisica è l’unica moneta che
conoscono. Stanno cercando di spezzare una donna che ha avuto il coraggio di
descrivere la loro crudeltà nel suo libro, White Torture. L’obiettivo è
annientare l’ultima scintilla di speranza.
Ma in questo frastuono, c’è un silenzio ancora più grave, che rivela la nostra
ipocrisia: quello delle vite perse ogni giorno, ignorate dai titoli di testa. Le
donne iraniane non sono vittime passive. Sono guerriere che vivono in una
trincea costante. Devono negoziare il velo, il passo, la parola, ogni giorno,
sapendo che la loro identità è sotto sorveglianza. Il loro coraggio non si
manifesta solo nelle proteste, ma nell’atto quotidiano di alzarsi e di esistere
in un sistema che le vuole invisibili e sottomesse. Hanno mostrato una forza
indomita che ha ispirato il mondo.
Ricordo a settembre 2022, quando il mondo intero trattenne il respiro per la
morte di Mahsa Amini. Ci sentimmo tutti fratelli e sorelle per un attimo, uniti
sotto lo slogan “Donna, Vita, Libertà”. Poi, ci siamo distratti forse. Abbiamo
spento i riflettori. Non abbiamo voluto capire che le Mahsa sono innumerevoli. E
in quel vuoto di attenzione, l’orrore ha continuato il suo macabro conteggio.
All’alba del 13 dicembre 2025, nella prigione di Urmia, un’altra donna curda è
stata impiccata: Sedigheh Ghorbani. Ventinove anni. Sedigheh è stata giustiziata
per un’accusa terribile (aver ucciso sua figlia di 4 anni), ma la sua fine è
l’ennesima applicazione del principio della Qisas (la “legge del taglione”). La
Qisas è un concetto chiave della giurisprudenza iraniana: “occhio per occhio”.
Un sistema che non cerca riabilitazione, ma vendetta legale. Tuttavia, esiste
una via di scampo: la famiglia della vittima può accettare il Diyeh, o “prezzo
del sangue”, un risarcimento economico in cambio della grazia.
Ed è qui che l’ingiustizia raggiunge il suo apice: il prezzo del sangue di una
donna vale, legalmente, la metà di quello di un uomo.
Questo non è solo un dettaglio legale; è l’essenza della discriminazione.
Significa che, in termini di valore umano e risarcimento, la vita di una donna
vale meno. Significa che il sistema giudiziario è costruito per sminuire il
valore stesso delle nostre sorelle. Con l’esecuzione di Sedigheh, il contatore
ha raggiunto un numero che ci copre di vergogna: 59 donne giustiziate solo nel
2025.
Penso a Narges, picchiata e rinchiusa. Penso a Sedigheh, impiccata e
dimenticata, la cui vita aveva un valore dimezzato per la legge. E in mezzo, a
tutto questo la nostra memoria corta e la nostra indifferenza lunga. Dobbiamo
urgentemente trasformare questa rabbia in una voce unica e inarrestabile, non
solo fino al rilascio di Narges, ma fino a quando il regime non sarà costretto a
lasciare il posto alla libertà e alla dignità per tutte.
L'articolo Penso a Narges, arrestata, e Sedigheh, impiccata. E alla nostra
memoria corta sull’Iran proviene da Il Fatto Quotidiano.
Era in carcere in Iran da quando aveva 18 anni, e dietro le sbarre ha passato
gli ultimi sette, in attesa dell’esecuzione: era stata infatti condannata a
morte per avere ucciso il marito, un cugino al quale era stata data in sposa,
senza il suo consenso, e l’anno dopo era rimasta incinta. Ma ora Goli Koohkan è
stata salvata grazie a una raccolta internazionale di fondi, rende noto “Nessuno
tocchi Caino”, che il tre novembre aveva segnalato il caso. La scorsa settimana,
i relatori speciali delle Nazioni Unite, compreso il relatore speciale
sull’Iran, avevano formalmente invitato le autorità iraniane a sospendere la sua
esecuzione. Koohkan, di etnia Baluca, ha ottenuto il “perdono” dalla famiglia
della vittima. Ha trascorso gli ultimi sette anni nella prigione di Amirabad a
Gorgan in attesa dell’esecuzione. Al processo ha raccontato di essere stata
sottoposta per anni a gravi violenze fisiche e psicologiche. Quest’anno in Iran
sono state giustiziate più di 50 donne, molte delle quali in circostanze simili.
Secondo l’agenzia di stampa Mizan, vicina alla magistratura, i querelanti nel
caso di Goli Kouhkan hanno accettato di rinunciare al loro diritto
all’esecuzione come punizione. I funzionari giudiziari non hanno rivelato
l’importo pagato, anche se la famiglia della vittima aveva precedentemente
richiesto 10 miliardi di toman (circa 100mila euro), oltre all’esilio permanente
di Koohkan da Gorgan.
L’avvocato di Goli, Parand Gharahdaghi, ha confermato in un post sui social
media che l’originale ‘diya’ è stata ridotta a 8 miliardi di toman (circa 80mila
euro) e che era stata raccolta attraverso donazioni e beneficenza.
Goli è stata condannata al ‘qisas’ (principio della giustizia islamica che in
Occidente viene spesso tradotto, con qualche approssimazione, come “legge del
taglione’) per una lite che ha portato alla morte di suo marito. Assieme a Goli,
anche Mohammad Abil, il cugino della vittima che Goli quel giorno aveva chiamato
in preda alla disperazione, è stato considerato responsabile della morte della
vittima, ed è stato condannato a morte. Va notato che Mohammad rimane nel
braccio della morte e rischia l’esecuzione. Mizan ha scritto che la grazia è
stata concessa “grazie alla mediazione del sistema giudiziario”. Tuttavia,
sottolinea l’ong, fonti indipendenti sottolineano il ruolo delle campagne
pubbliche e degli attivisti per i diritti umani che hanno raccolto il prezzo del
sangue per garantire il suo rilascio. Le sue ex compagne di cella hanno
testimoniato che Koohkan aveva subito anni di violenza domestica e che la morte
di suo marito è avvenuta durante una lite familiare senza premeditazione. Hanno
detto che lei aveva immediatamente chiamato i servizi di emergenza nel tentativo
di portarlo in ospedale. Durante la detenzione, Koohkan ha imparato a leggere e
scrivere ed è stata descritta dalle altre detenute come “la detenuta più calma e
gentile”. Al momento della condanna, Koohkan non aveva accesso a un avvocato
indipendente ed era analfabeta. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno descritto
il suo caso come un chiaro esempio di “discriminazione strutturale contro le
donne” in Iran.
(immagine di repertorio)
L'articolo La sposa bambina Goli Koohkan salvata dall’esecuzione in Iran: ha
ottenuto il “perdono” della famiglia della vittima proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Un’operazione in mare aperto per impedire all’Iran di ricostituire il suo
arsenale dopo i raid americani e israeliani di giugno. A raccontare del blitz è
il Wall Street Journal che, sulla base di resoconti di ufficiali Usa, scrive di
come a novembre le forze americane sarebbero salite a bordo di una nave
nell’oceano Indiano per sequestrare materiale partito dalla Cina e diretto a
Teheran.
Quando le forze speciali statunitensi hanno abbordato il cargo, la nave sarebbe
stata a centinaia di miglia dalla costa dello Sri Lanka. L’imbarcazione ha poi
potuto riprendere il viaggio, affermano le fonti del Wsj, secondo cui gli Stati
Uniti avevano monitorato attentamente la spedizione e le informazioni di
intelligence raccolte suggerivano il carico fosse destinato ad aziende iraniane
specializzate nell’approvvigionamento di componenti per il programma
missilistico della Repubblica Islamica.
Nel carico c’erano componenti potenzialmente utili per la realizzazione di armi
convenzionali, ha detto un ufficiale. Il materiale è stato distrutto, ha
aggiunto, e le componenti sequestrate erano ‘dual-use’. Nessun dettaglio è stato
fornito sull’armatore né sul nome della nave. No comment dal Comando
Indo-Pacifico, che ha condotto il blitz. Nessuna risposta è arrivata anche dalle
richieste di commento da parte del giornale ai ministeri degli Esteri di Cina e
Iran.
L'articolo “Gli Usa hanno attaccato una nave partita dalla Cina e diretta in
Iran” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’avvocata e attivista iraniana Narges Mohammadi, vincitrice del premio Nobel
per la pace nel 2023, è stata arrestata – di nuovo – durante una cerimonia
pubblica e portata in una località sconosciuta. Oltre a lei, sono stati
arrestati molti altri attivisti, tra cui Sepideh Gholian, Hasti Amiri, Pouran
Nazemi e Alieh Motalebzadeh. L’arresto è avvenuto a Mashhad, città situata nel
Nord-Est dell’Iran. A renderlo noto sono stati alcuni gruppi per i diritti
umani, inclusa la Fondazione Narges Mohammadi.
L’arresto avviene dopo mesi di pressione a Mohammadi da parte delle autorità
iraniane: nei mesi scorsi, l’attivista ha dichiarato di aver subìto anche
pedinamenti e minacce di morte. Oggi Mohammadi sta scontando una pena detentiva
di 13 anni e nove mesi al carcere di Evin a Teheran per le accuse di sicurezza
nazionale, ma ultimamente era stata congedata per motivi di salute.
Prima di essere arrestata dagli agenti di sicurezza e di polizia, Mohammadi
stava partecipando a una cerimonia per il lutto dell’avvocato e dissidente
politico Khosrow Alikordi, la cui morte in circostanze sospette nel suo ufficio
a Mashad ha generato indignazione nell’opinione pubblica iraniana.
I suoi sostenitori da mesi avvertivano che Mohammadi rischiava di essere rimessa
in prigione. Sebbene dovesse durare solo tre settimane, il periodo di libertà di
Mohammadi si era poi prolungato, forse per le pressioni sul governo dell’Iran
degli attivisti e delle potenze occidentali. Era libera anche durante la guerra
di 12 giorni tra Iran e Israele nel mese di giugno. Mohammadi ha continuato la
sua attività di attivista con proteste pubbliche e apparizioni sui media
internazionali, arrivando persino a manifestare davanti al famigerato carcere di
Evin a Teheran, dove era stata detenuta.
La vincitrice del premio Nobel ha più volte accusato il regime iraniano di
reprimere il dissenso di attivisti, giornalisti e critici, specialmente dopo il
cessate il fuoco con Israele. A confermare la notizia dell’arresto è stato anche
Javad Alikordi, fratello di Khosrow Alikordi, riferendo inoltre che degli agenti
in borghese hanno picchiato le persone arrestate prima di portarle via.
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L'articolo Arrestata ancora la premio Nobel per la pace Narges Mohammadi: stava
partecipando a una cerimonia proviene da Il Fatto Quotidiano.
In Iran sono stati arrestati i due principali organizzatori di una maratona
tenutasi ieri cui ha partecipato un alto numero di donne senza hijab: lo ha reso
noto la Corte rivoluzionaria di Kish, l’isola in cui si è svolto l’evento.
Secondo l’agenzia Mehr, uno dei due arrestati è un funzionario
dell’organizzazione statale della zona franca di Kish, che verrà sospeso
dall’impiego in qualsiasi ente governativo. L’altro è un dipendente di una
società privata, che sarà interdetto da qualsiasi incarico legato alla gestione
di organizzazioni ed eventi sportivi.
L'articolo Iran, migliaia di donne senza hijab alla maratona di Kish: arrestati
i due organizzatori proviene da Il Fatto Quotidiano.
Jafar Panahi è stato condannato a un anno di carcere. Secondo quanto dichiarato
dal suo avvocato all’agenzia stampa AFP, il 65enne regista iraniano, vincitore
della Palma d’Oro a Cannes sei mesi fa con Un semplice incidente, è stato
condannato in contumacia in Iran a un anno di galera. La sentenza include un
divieto di viaggio all’estero per due anni e di appartenere a qualsiasi gruppo
politico o sociale. Il legale del regista, Mostafa Nili, ha affermato che verrà
presentato ricorso.
Le accuse mosse contro Panahi erano quelle di aver svolto “attività di
propaganda contro lo Stato”. Proprio negli istanti in cui veniva resa pubblica
la sentenza, Panahi ha vinto e ritirato ben tre premi ai Gotham Awards di New
York per il suo ultimo film, Un semplice incidente: miglior sceneggiatura
originale, miglior regia, miglior film internazionale. Per ben tre volte Panahi
è salito sul palco a ritirare i premi, ma non ha mai accennato al tema della
condanna.
Prima ha elogiato “i registi che tengono la telecamera accesa in silenzio, senza
supporto e, a volte, rischiando tutto ciò che hanno, solo con la loro fede nella
verità e nell’umanità”; poi successivamente ha ricordato un episodio della sua
giovinezza, quando ha iniziato senza saperlo la sua carriera: “iniziai ha girare
un corto quando ero studente, ma nel montaggio si era trasformato in
un’assurdità: rubai e distrussi i giornalieri affinché il film non venisse mai
distribuito col mio nome. Sono molto felice di aver preso quella decisione, se
non l’avessi fatto non sarei qui stasera. Allo stesso modo sono felice di non
aver tagliato o distrutto il mio ultimo film, altrimenti non sarei qui stasera”.
Panahi è stato incarcerato nel 2022 per aver protestato contro la detenzione di
due colleghi registi critici nei confronti delle autorità, ma è stato rilasciato
dopo aver scontato sette mesi di una condanna a sei anni. Era già stato
condannato a sei anni nel 2010 per aver sostenuto proteste antigovernative e
aver fatto “propaganda contro il sistema”. All’epoca venne rilasciato su
cauzione condizionale dopo due mesi. Un semplice incidente è attualmente nelle
sale italiane da una quindicina di giorni e ha incassato circa un milione di
euro, il maggiore incasso tra i suoi film distribuiti in Italia.
L'articolo “Propaganda contro lo Stato”, ancora una condanna per il
pluripremiato regista iraniano Jafar Panah proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un certo fermento attraversa la sala da concerto Vahdat, nel cuore di Teheran,
quando la 42enne Paniz Faryoussefi, bacchetta alla mano, sale sul podio per
dirigere la principale orchestra di Teheran, composta da una cinquantina di
musicisti. È la prima donna a farlo in Iran dai tempi della rivoluzione. “Spero
che questa sia l’inizio di una nuova era per le giovani iraniane e che capiscano
che non bisogna avere paura di affrontare i rischi. È ‘unica via verso
l’emancipazione”, sottolinea.
L'articolo Iran, Paniz Faryoussefi è la prima donna direttrice d’orchestra:
“Spero sia l’inizio di una nuova era” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’Iran ha arrestato Hanieh Shariati Roudposhti, atleta e allenatrice di
taekwondo residente a Teheran, portandola in un luogo segreto, dopo essersi
esibita in strada e aver pubblicato sui social media dei video che la ritraevano
senza velo, obbligatorio nella Repubblica islamica. Lo denunciano
l’Organizzazione per i diritti umani Hengaw, con sede in Norvegia, e alcuni
media. Secondo quanto riferito dall’ong, Shariati Roudposhti è stata fermata la
sera di domenica 9 novembre 2025 e una fonte vicina alla sua famiglia ha
riferito che l’arresto è stato giustificato con la “mancata osservanza del
codice di abbigliamento pubblico durante un’esibizione pubblica”. La fonte ha
aggiunto che l’atleta ha fatto una breve telefonata alla famiglia. Da allora,
non c’è stata alcuna informazione sulla sua sorte o sulle sue condizioni.
L'articolo “Arrestata in Iran atleta di Taekwondo, si allenava senza velo”: la
denuncia dell’ong proviene da Il Fatto Quotidiano.