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Brindisi, colpo alla Scu: 13 arresti, nel mirino il clan Pasimeni-Vitale-Vicentino
Estorsione, usura, associazione mafiosa e truffa ai danni dello Stato. Sono alcune delle accuse con le quali il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce Alberto Maritati ha emesso 13 arresti in carcere e un’altra misura di custodia cautelare, eseguite dai carabinieri di Brindisi nella stessa provincia e in quelle di Lecce e Chieti, nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti affiliati al clan della Sacra corona unita “Pasimeni-Vitale-Vicentino”, egemone nella città di Mesagne, dove l’associazione mafiosa pugliese affonda le sue radici. Nell’inchiesta della pm antimafia di Lecce, Carmen Ruggiero, sono contestati, a vario titolo, anche i reati di concorso esterno, lesioni personali, detenzione d’armi da sparo e associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il giudice ha anche disposto il sequestro di un immobile e di un’attività commerciale – per un valore di circa 600mila euro – che sarebbe servita come base logistica e operativa del clan. Tra gli arrestati figura Daniele Vicientino, detto “Il Professore”, volto storico della Scu mesagnese. Secondo la ricostruzione degli investigatori, a impartire gli ordini ai presunti capi dei sottogruppi sarebbe stato il capo dell’organizzazione direttamente dal carcere. Le indagini sono partite dal Nucleo Investigativo brindisino tra il giugno 2020 e il giugno 2022, a seguito del ritorno in libertà di uno dei presunti leader dell’organizzazione, Tobia Parisi. Stando all’inchiesta, anche durante il tempo della sua detenzione, sarebbe rimasta pervasiva l’attività del clan nel territorio interessato, in parte grazie all’aiuto di un soggetto semi-esterno, operante sul territorio brindisino e al centro di un’altra indagine della Procura e Squadra Mobile di Brindisi. L’organizzazione dell’associazione – dalla ricostruzione – sarebbe stata questa: il capo impartiva direttive dal carcere al nipote, presente nel territorio e portavoce “ufficiale”. Il clan si sostentava in parte attraverso un codificato sistema di estorsioni: riscosso il “punto” o “pensiero” dagli spacciatori nell’area, cioè una sorta di tangente sugli stupefacenti smerciati, i fondi venivano utilizzati per mantenere il boss e gli affiliati in cella e per assicurare supporto economico alle loro famiglie. L’organizzazione era dedita anche all’usura, concedendo prestiti a tassi altissimi, e al riciclaggio di denaro attraverso reti di scommesse in canali non autorizzati. Tutto ciò sarebbe stato accompagnato da metodi – chiaramente – non accomodanti: pestaggi, estorsioni armate ai danni di imprenditori e commercianti e violente intimidazioni sarebbero solo alcuni dei soprusi scoperchiati dall’indagine. Sarebbero stati forti anche i rapporti con i capi di altri gruppi della cosiddetta frangia dei “mesagnesi” e altri leader della Sacra Corona. I vari vertici concordavano strategie comuni per la gestione di alcuni illeciti, mantenendo separate le rispettive sfere di competenza territoriale. L'articolo Brindisi, colpo alla Scu: 13 arresti, nel mirino il clan Pasimeni-Vitale-Vicentino proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Processo Gotha, la Dda chiede la condanna dell’ex senatore Caridi: “Mafioso o concorrente esterno della ’ndrangheta”
“L’ex senatore Antonio Caridi va condannato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso o, se riqualificato, per concorso esterno con la ‘ndrangheta”. È l’ex parlamentare di Forza Italia l’unico imputato del processo “Gotha” per il quale la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giuseppe Borrelli, ha presentato ricorso dopo l’assoluzione rimediata da Caridi in primo grado. Davanti alla Corte d’Appello, la requisitoria si è conclusa mercoledì pomeriggio quando i pm non hanno quantificato la richiesta di condanna avanzata nei confronti di Caridi. Alla sbarra c’è il direttorio delle cosche che, secondo l’accusa, ha trasformato la città dello Stretto in un “laboratorio criminale”, un “mondo di mezzo” tra mafiosi, massoni e pezzi deviati dello Stato. Per gli imputati, già condannati in primo grado, la Procura generale (guidata da Gerardo Dominijanni e rappresentata in aula dai magistrati Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino, Sara Amerio e Francesco Tedesco) ha chiesto la conferma della sentenza emessa nel luglio 2021 al termine del processo nato dalla riunione delle inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana”, “Alchimia” e “Sistema Reggio”. Le uniche eccezioni: la richiesta di assoluzione per l’ex dirigente comunale ai Lavori pubblici Marcello Cammera e la prescrizione per un’altra imputata. Per gli altri, la Dda ha chiesto la conferma delle condanne, come quella a 25 anni di carcere per l’ex parlamentare del Psdi Paolo Romeo, considerato una delle teste pensanti della ‘ndrangheta. Già condannato in via definitiva alla fine degli anni Novanta per concorso esterno, nell’ambito del maxi-processo “Olimpia”, nelle 7683 pagine della sentenza “Gotha” Paolo Romeo era stato indicato come “componente della massoneria segreta o componente riservata della ‘ndrangheta unitaria, quale esponente della consorteria De Stefano”. Una componente riservata che ha cercato di minare l’ordine costituzionale per poi trovare spazio nelle istituzioni e condizionarla. Secondo i giudici di primo grado, infatti, Romeo era “al vertice della struttura criminale” oltre che “l’esempio dello sviluppo moderno del ruolo ‘ndranghetistico”. Ma non solo: “Per l’accaparramento di risorse pubbliche, ed il controllo delle istituzioni, si avvaleva di politici spregiudicati come Alberto Sarra per il procacciamento di voti in favore di politici accomodanti o controllabili”. Pure per quest’ultimo, ex assessore e sottosegretario regionale di An, la Dda ha chiesto la conferma dei 13 anni di carcere rimediati nel primo processo in cui il Tribunale lo ha riconosciuto colpevole di concorso esterno, riqualificando l’iniziale contestazione di associazione mafiosa. Stando alla sentenza del Tribunale, Sarra sarebbe “espressione soggettiva della ‘ndrangheta, collaudato collettore di voti per sé e per gli altri candidati, trasponder tra la classe politica e la criminalità organizzata dei tre mandamenti, ai quali offriva costantemente disponibilità a raccordare gli interessi privati della criminalità con l’azione degli enti pubblici, per il perseguimento di interessi particolari delle famiglie criminali, e conseguente condizionamento dell’attività amministrativa”. Per i giudici, in sostanza, Alberto Sarra e Giuseppe Scopelliti (l’ex sindaco di Reggio Calabria e governatore della Regione che non è imputato nel processo “Gotha”, ndr) erano “eterodiretti da Paolo Romeo”. Assieme a Romeo, Sarra e Caridi è stata chiesta la conferma della condanna per gli altri tra cui il prete di San Luca, don Pino Strangio (9 anni e 4 mesi), l’avvocato Antonio Marra ritenuto l’uomo di fiducia di Paolo Romeo (17 anni), e Giovanni Zumbo il commercialista in odore di servizi segreti già coinvolto in altri processi antimafia (3 anni e 6 mesi). Ritornando all’ex senatore Caridi, invece, il Tribunale lo aveva assolto perché “non vi sono elementi, tratti dalle intercettazioni, per poter affermare che prendesse parte alla struttura riservata della ‘ndrangheta”. Pur definendolo “politico spregiudicato e avvicinabile”, infatti, nelle motivazioni depositate nel 2023, i giudici di primo grado hanno scritto che i riferimenti dei pentiti a Caridi “sono tutti generici e privi di circostanze specifiche idonee ad individuare il ruolo specifico che il politico avrebbe svolto all’interno delle singole famiglie criminali”. Sul punto, la Procura ha contestato il ragionamento. Nel ricorso in Appello, infatti, a proposito dei collaboratori di giustizia c’è scritto che “i medesimi elementi di prova in tema di sostegno elettorale da parte delle varie articolazioni di ‘ndrangheta, sono stati considerati idonei a fondare il giudizio di responsabilità penale a carico di Sarra Alberto, mentre sono rimaste acquisizioni dotate di forza dimostrativa insufficiente in relazione alla analoga posizione soggettiva del Caridi”. Da qui la richiesta della Dda di condannare l’ex senatore di Forza Italia e di ribaltare, nei suoi confronti, la sentenza di primo grado. Se sarà così lo si vedrà nei primi mesi del 2026 quando si concluderanno le arringhe della difesa e i giudici della Corte d’Appello si ritireranno in camera di consiglio per il processo “Gotha”. L'articolo Processo Gotha, la Dda chiede la condanna dell’ex senatore Caridi: “Mafioso o concorrente esterno della ’ndrangheta” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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