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Dà fuoco al Comune di Gioia Tauro e al container di un cantiere edile: incastrato dalle telecamere – Video
Riteneva di aver subito un torto dal Comune di Gioia Tauro relativo all’attività del cantiere edile che sta realizzando la nuova pista ciclabile della città della Piana. Per questo venerdì scorso ha appiccato due incendi dolosi a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro. Prima ha dato fuoco a un container adibito a deposito attrezzi che si trovava all’interno del cantiere. Subito dopo, con la propria auto, ha raggiunto l’ufficio tributi del Comune e, davanti alle telecamere dell’amministrazione, ha cosparso i locali di benzina durante l’orario di apertura al pubblico. L’incendio ha provocato significativi danni alla struttura nonché l’evacuazione dei dipendenti. Protagonista del pomeriggio di follia è una persona già nota alle forze dell’ordine, che è stata fermata nell’immediatezza dell’incendio al Comune dagli agenti della polizia di Stato. Ricevuta la prima chiamata al numero unico di emergenza, infatti, i poliziotti hanno avviato un’immediata attività di ricerca sul territorio, riuscendo a individuare e bloccare l’autore dei due incendi dolosi. Il provvedimento di fermo è stato convalidato dal gip che ha disposto un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’uomo il quale non ha potuto fare altro che confessare il reato. Davanti agli investigatori, inoltre, ha continuato a lamentarsi dei disagi che, a suo dire, gli provocava il cantiere edile. I dettagli dell’inchiesta sono stati illustrati stamattina nel corso della conferenza stampa tenuta dal dirigente del commissariato di Gioia Tauro Giorgio Di Munno assieme al questore di Reggio Calabria Salvatore La Rosa e al procuratore di Palmi Emanuele Crescenti. Il magistrato ha elogiato l’intervento degli agenti del Commissariato che “dimostra la presenza sul territorio assidua e professionale della polizia di Stato. Il soggetto è stato immediatamente individuato ed è stato bloccato prima che potesse fare ulteriori reiterazioni”. L'articolo Dà fuoco al Comune di Gioia Tauro e al container di un cantiere edile: incastrato dalle telecamere – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
Cronaca
Reggio Calabria
Reggio Calabria, si finge carabiniere e si fa consegnare i gioielli da un’anziana: arrestato. Il video
Un uomo ritenuto responsabile di una truffa aggravata ai danni di un’anziana di Reggio Calabria è stato arrestato dai carabinieri. L’uomo, spacciandosi per un tenente dei carabinieri, ha contattato la vittima sostenendo che fosse coinvolta in una presunta rapina avvenuta nei giorni precedenti e l’ha convinta a consegnargli gioielli per un valore stimato di circa 30mila euro. Informata della vicenda, la Stazione di Reggio Calabria Principale ha avviato le indagini e, grazie alle descrizioni e alle informazioni fornite dalla vittima, i militari hanno potuto ricostruire i movimenti del sospetto e segnalare la sua posizione. L’arresto è stato eseguito dai carabinieri della Compagnia di Palmi, che hanno intercettato l’uomo nei pressi dello svincolo A2 di Bagnara Calabra. Durante il controllo, i militari hanno recuperato tutti i preziosi sottratti poco prima arrestando l’uomo in flagranza di reato. L'articolo Reggio Calabria, si finge carabiniere e si fa consegnare i gioielli da un’anziana: arrestato. Il video proviene da Il Fatto Quotidiano.
Cronaca
Reggio Calabria
Assalto a un portavalori sulla A2 in Calabria: rubati 2 milioni, veicoli in fiamme
Colpo grosso in provincia di Reggio Calabria. Sarebbe di circa 2 milioni di euro il bottino sottratto da alcuni banditi durante una rapina a un furgone portavalori messo a segno lungo l’autostrada A2 tra Scilla e Bagnara. Con una tecnica ormai consolidata, usata soprattutto da criminali foggiani e sardi, l’assalto al mezzo della società Sicurtransport – avvenuto intorno alle 6.30 – è stato facilitato dall’incendio di due auto per bloccare il traffico lungo la carreggiata e i rapinatori avrebbero esploso colpi di arma da fuoco, cospargendo anche l’asfalto di chiodi a tre punte per impedire qualsiasi possibilità di fuga al portavalori. Il colpo è stato eseguito all’interno di una galleria, dove la visibilità è ridotta, della A2 del Mediterraneo in direzione nord. Sul luogo dell’incidente le squadre Anas e le forze dell’ordine per gestire la viabilità. Presenti anche i vigili del fuoco per spegnere le fiamme delle auto utilizzate come blocco. L'articolo Assalto a un portavalori sulla A2 in Calabria: rubati 2 milioni, veicoli in fiamme proviene da Il Fatto Quotidiano.
Cronaca
Reggio Calabria
Calabria
Tabaccaio ucciso perché si ribellò al cognato del boss: ergastoli confermati in Appello ma cade l’aggravante mafiosa
In Appello non ha retto l’aggravante mafiosa ma i due ergastoli sono stati confermati. E’ l’esito del processo per l’omicidio di Bruno Ielo, l’ex carabiniere che in pensione gestiva una rivendita di tabacchi a Gallico, nella periferia nord di Reggio Calabria, e che è stato ucciso perché non ha voluto “piegare la testa” davanti al cognato di un boss della ‘Ndrangheta. La Corte d’assise d’appello ha confermato la sentenza di primo grado del dicembre 2022 disponendo il carcere a vita sia per il mandante che perl’esecutore materiale del delitto. Si tratta di Franco Polimeni e Francesco Mario Dattilo. Cognato del boss Pasquale Tegano, il primo è ritenuto anche lui un pezzo da novanta degli “arcoti” pur non avendo mai riportato condanne definitive per associazione mafiosa. Dattilo, invece, per la sentenza, è stato il killer che sparò due colpi di pistola uccidendo il tabaccaio mentre rientrava a casa a bordo del suo scooter. Stando alla ricostruzione della squadra mobile, l’imputato pedinò la vittima con un mezzo a due ruote mentre Polimeni seguì entrambi a bordo di una Fiat Panda ripresa dalle telecamere lungo il tragitto fatto da Ielo prima di essere ucciso. Sulla stessa auto c’era Cosimo Scaramozzino, ritenuto l’uomo di fiducia del presunto boss Polimeni. Pure lui, al termine del processo di secondo grado, è stato condannato a 22 anni di carcere per aver partecipato all’omicidio dell’ex carabiniere. In primo grado aveva rimediato una pena più pesante (30 anni di reclusione) ma è stata rideterminata dalla Corte d’Appello che lo ha assolto per il reato di estorsione. Accusa, questa, che è caduta anche per il quarto imputato, Giuseppe Antonio Giaramita che, nel primo processo, era stato condannato a 15 anni di carcere. Oggi sono diventati 9 anni e 8 mesi solo per il tentato omicidio. Alcuni mesi prima dell’agguato mortale, infatti, durante una rapina ai danni dello stesso Ielo l’imputato gli aveva sparato un colpo di pistola in bocca. Gravemente ferito, neanche quell’episodio ha fatto desistere la vittima che, nonostante le minacce subite, non aveva mai abbassato la testa davanti a Franco Polimeni che aveva la sua attività commerciale a poche centinaia di metri dalla sua. Da qui l’accusa di estorsione contestata dalla Dda di Reggio Calabria e per quale sono stati condannati Polimeni e Dattilo. Entrambi, per i magistrati, avrebbero compiuto “atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Ielo e la figlia a chiudere, o comunque, diminuire il volume di affari della rivendita”. Tra 90 giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza e solo allora si capirà perché, nonostante gli ergastoli, secondo la Corte d’Assise d’Appello l’aggravante mafiosa non ha retto nel secondo processo. La dinamica resta così come il fatto che Bruno Ielo è stato freddato come un boss. Ma non lo era. Piuttosto, come ha affermato il procuratore aggiunto Stefano Musolino nel primo processo, Ielo era “un semplice e onesto tabaccaio” che, da solo, aveva messo in discussione il ruolo e il prestigio di uno dei più importanti casati di ‘ndrangheta. L'articolo Tabaccaio ucciso perché si ribellò al cognato del boss: ergastoli confermati in Appello ma cade l’aggravante mafiosa proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
Omicidio
Reggio Calabria
Francantonio Genovese assolto dall’accusa di riciclaggio, ora potrà scontare la condanna definitiva del 2021
La Corte di appello di Reggio Calabria ha assolto l’ex sindaco di Messina ed ex parlamentare del Pd Francantonio Genovese dalle ipotesi di riciclaggio contestate nell’ambito di uno stralcio del processo ‘Corsi d’oro bis’ con la formula “perché il fatto non sussiste”. La Procura generale aveva chiesto la conferma della sentenza di condanna di primo grado. Il procedimento, come ricostruisce il sito della Gazzetta del Sud che pubblica la notizia, era stato aperto nel 2022 dopo il rinvio della Cassazione, e aveva registrato parecchi rinvii d’udienza, trascinandosi fino al 2025. L’attesa per questo verdetto, come ricostruito dal Fattoquotidiano.it, aveva permesso all’ex parlamentare di non scontare una pena invece diventata definitiva. “Già nel 2019 – precisa il suo legale in una nota, l’avvocato Nino Favazzo – la Corte d’appello di Messina, confermando nel resto la sentenza di primo grado, aveva ritenuto insussistenti tali reati, ma la decisione, impugnata dalla Procura Generale di Messina, era stata annullata dalla Corte di Cassazione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte reggina. Ieri la conferma della assoluzione. Adesso bisognerà attendere il deposito della motivazione e, solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza, sarà posta in esecuzione la condanna, a sei anni e otto mesi, già definitiva ma sospesa dall’ottobre 2021. Pena – precisa il difensore – che dovrà essere, tuttavia, sensibilmente ridotta, sia in considerazione del presofferto già subito che di altre riduzioni che saranno tempestivamente richieste”. Nell’ottobre del 2021, ovvero ben 4 anni fa, la Cassazione ha confermato la condanna a 6 anni e 8 mesi che è dunque diventata definitiva. Avendo l’ex primo cittadino della città dello Stretto, già scontato 18 mesi in fase di indagini preliminari – tra carcere e domiciliari – resterebbero da scontare poco più di 5 anni. Genovese era stato arrestato nel 2014, dopo che il Parlamento aveva votato a favore della richiesta d’arresto avanzata dalla procura di Messina. L’allora deputato del Pd era stato coinvolto nello scandalo che aveva travolto l’assessorato regionale alla Formazione. A guidare l’inchiesta era stato Sebastiano Ardita, all’epoca dei fatti procuratore aggiunto a Messina. Nel 2021 la Cassazione aveva confermato la condanna per l’ex deputato, per tentata estorsione ai danni di Ludovico Albert, all’epoca dirigente regionale alla Formazione, e per due casi di reato tributario. La sentenza di 6 anni e 8 mesi era dunque diventata definitiva. L'articolo Francantonio Genovese assolto dall’accusa di riciclaggio, ora potrà scontare la condanna definitiva del 2021 proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
Reggio Calabria
Messina
Processo Gotha, la Dda chiede la condanna dell’ex senatore Caridi: “Mafioso o concorrente esterno della ’ndrangheta”
“L’ex senatore Antonio Caridi va condannato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso o, se riqualificato, per concorso esterno con la ‘ndrangheta”. È l’ex parlamentare di Forza Italia l’unico imputato del processo “Gotha” per il quale la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giuseppe Borrelli, ha presentato ricorso dopo l’assoluzione rimediata da Caridi in primo grado. Davanti alla Corte d’Appello, la requisitoria si è conclusa mercoledì pomeriggio quando i pm non hanno quantificato la richiesta di condanna avanzata nei confronti di Caridi. Alla sbarra c’è il direttorio delle cosche che, secondo l’accusa, ha trasformato la città dello Stretto in un “laboratorio criminale”, un “mondo di mezzo” tra mafiosi, massoni e pezzi deviati dello Stato. Per gli imputati, già condannati in primo grado, la Procura generale (guidata da Gerardo Dominijanni e rappresentata in aula dai magistrati Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino, Sara Amerio e Francesco Tedesco) ha chiesto la conferma della sentenza emessa nel luglio 2021 al termine del processo nato dalla riunione delle inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana”, “Alchimia” e “Sistema Reggio”. Le uniche eccezioni: la richiesta di assoluzione per l’ex dirigente comunale ai Lavori pubblici Marcello Cammera e la prescrizione per un’altra imputata. Per gli altri, la Dda ha chiesto la conferma delle condanne, come quella a 25 anni di carcere per l’ex parlamentare del Psdi Paolo Romeo, considerato una delle teste pensanti della ‘ndrangheta. Già condannato in via definitiva alla fine degli anni Novanta per concorso esterno, nell’ambito del maxi-processo “Olimpia”, nelle 7683 pagine della sentenza “Gotha” Paolo Romeo era stato indicato come “componente della massoneria segreta o componente riservata della ‘ndrangheta unitaria, quale esponente della consorteria De Stefano”. Una componente riservata che ha cercato di minare l’ordine costituzionale per poi trovare spazio nelle istituzioni e condizionarla. Secondo i giudici di primo grado, infatti, Romeo era “al vertice della struttura criminale” oltre che “l’esempio dello sviluppo moderno del ruolo ‘ndranghetistico”. Ma non solo: “Per l’accaparramento di risorse pubbliche, ed il controllo delle istituzioni, si avvaleva di politici spregiudicati come Alberto Sarra per il procacciamento di voti in favore di politici accomodanti o controllabili”. Pure per quest’ultimo, ex assessore e sottosegretario regionale di An, la Dda ha chiesto la conferma dei 13 anni di carcere rimediati nel primo processo in cui il Tribunale lo ha riconosciuto colpevole di concorso esterno, riqualificando l’iniziale contestazione di associazione mafiosa. Stando alla sentenza del Tribunale, Sarra sarebbe “espressione soggettiva della ‘ndrangheta, collaudato collettore di voti per sé e per gli altri candidati, trasponder tra la classe politica e la criminalità organizzata dei tre mandamenti, ai quali offriva costantemente disponibilità a raccordare gli interessi privati della criminalità con l’azione degli enti pubblici, per il perseguimento di interessi particolari delle famiglie criminali, e conseguente condizionamento dell’attività amministrativa”. Per i giudici, in sostanza, Alberto Sarra e Giuseppe Scopelliti (l’ex sindaco di Reggio Calabria e governatore della Regione che non è imputato nel processo “Gotha”, ndr) erano “eterodiretti da Paolo Romeo”. Assieme a Romeo, Sarra e Caridi è stata chiesta la conferma della condanna per gli altri tra cui il prete di San Luca, don Pino Strangio (9 anni e 4 mesi), l’avvocato Antonio Marra ritenuto l’uomo di fiducia di Paolo Romeo (17 anni), e Giovanni Zumbo il commercialista in odore di servizi segreti già coinvolto in altri processi antimafia (3 anni e 6 mesi). Ritornando all’ex senatore Caridi, invece, il Tribunale lo aveva assolto perché “non vi sono elementi, tratti dalle intercettazioni, per poter affermare che prendesse parte alla struttura riservata della ‘ndrangheta”. Pur definendolo “politico spregiudicato e avvicinabile”, infatti, nelle motivazioni depositate nel 2023, i giudici di primo grado hanno scritto che i riferimenti dei pentiti a Caridi “sono tutti generici e privi di circostanze specifiche idonee ad individuare il ruolo specifico che il politico avrebbe svolto all’interno delle singole famiglie criminali”. Sul punto, la Procura ha contestato il ragionamento. Nel ricorso in Appello, infatti, a proposito dei collaboratori di giustizia c’è scritto che “i medesimi elementi di prova in tema di sostegno elettorale da parte delle varie articolazioni di ‘ndrangheta, sono stati considerati idonei a fondare il giudizio di responsabilità penale a carico di Sarra Alberto, mentre sono rimaste acquisizioni dotate di forza dimostrativa insufficiente in relazione alla analoga posizione soggettiva del Caridi”. Da qui la richiesta della Dda di condannare l’ex senatore di Forza Italia e di ribaltare, nei suoi confronti, la sentenza di primo grado. Se sarà così lo si vedrà nei primi mesi del 2026 quando si concluderanno le arringhe della difesa e i giudici della Corte d’Appello si ritireranno in camera di consiglio per il processo “Gotha”. L'articolo Processo Gotha, la Dda chiede la condanna dell’ex senatore Caridi: “Mafioso o concorrente esterno della ’ndrangheta” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Reggio Calabria
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Neonato partorito da 13enne e trovato morto in uno zaino tra gli scogli: la nonna condannata all’ergastolo
Carcere a vita per la nonna del neonato trovato morto l’anno scorso tra gli scogli di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. La sentenza è arrivata giovedì sera quando il presidente della Corte d’Assise Tommasina Cotroneo ha inflitto l’ergastolo ad Anna Maria Panzera, la donna di 40 anni accusata dell’infanticidio del nipote appena partito dalla figlia di 13 anni con deficit psichico. I giudici hanno accolto, quindi, la richiesta di condanna formulata al termine della requisitoria dal pubblico ministero Tommaso Pozzati che, assieme al procuratore aggiunto Walter Ignazitto, ha coordinato le indagini della squadra mobile e dei carabinieri. La vicenda risale al 26 maggio 2024 quando, su segnalazione di un pescatore, era stato trovato uno zaino nei pressi degli imbarcaderi per Messina. All’interno c’era il neonato che aveva ancora con il cordone ombelicale attaccato. Dalle telecamere di videosorveglianza, presenti sul lungomare villese, gli investigatori sono risaliti alla donna che ha abbondato il bambino e che, pochi giorni dopo i fatti, è stata destinataria di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura di Reggio Calabria. Stando all’impianto accusatorio, infatti, subito dopo il parto di una delle due figlie minori, Anna Maria Panzera “si è adoperata per riporre il piccolo appena nato all’interno di uno zainetto e per abbandonarlo, poco dopo, sulla scogliera”. Essendo impossibile che una tredicenne, con difficoltà cognitive, possa aver gestito un parto da sola, un ruolo determinante è stato quello della madre di lei che, inoltre, avrebbe tenuto per mesi nascosta la gravidanza della figlia. Il contesto disagiato in cui viveva la minorenne, infatti, ha impedito che qualcuno si accorgesse che era incinta. Anche il padre della tredicenne, residente in Toscana da diversi anni, era completamente ignaro della gravidanza della figlia che, dopo il parto, era stata immediatamente ricoverata in ospedale perché affetta da una grave setticemia. Dall’autopsia, inoltre, era emersa aria nei polmoni del bambino. Che tradotto significa: il piccolo è nato vivo e poi è stato soffocato. Ancora non si conoscono le motivazioni della sentenza, che saranno depositate dal presidente della Corte d’Assise, entro novanta giorni. L'articolo Neonato partorito da 13enne e trovato morto in uno zaino tra gli scogli: la nonna condannata all’ergastolo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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