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Trump ora minaccia guerra anche al presidente colombiano Petro: “Sarà il prossimo, il suo Paese produce troppa droga”
“Lui sarà il prossimo”. Nel mondo di Trump, fatto di annunci secchi e dalla presa sicura, non c’è spazio per chi si occupa del traffico di droga. Così, dopo l’operazione contro i narcos venezuelani del Cartel de los soles – organizzazione che per Washington è gestita direttamente dal governo di Maduro, tanto da mettere una taglia sullo stesso leader chavista – ora tocca al presidente colombiano Gustavo Petro finire nel mirino di The Donald. L’avviso è stato recapitato tramite i giornalisti che il tycoon ha incontrato mercoledì. Come spesso accade, i toni del presidente americano sono stati altalenanti: se in un primo momento ha dichiarato che a Petro non aveva pensato più di tanto, ha poi cambiato atteggiamento durante lo scambio di battute. “La Colombia produce molta droga, quindi è meglio che si faccia furbo, altrimenti sarà il prossimo. Spero che stia ascoltando: sarà il prossimo”. Petro ha risposto durante una riunione di Gabinetto, affermando che Trump “è molto disinformato sulla Colombia. È un peccato, perché liquida il Paese che ha più conoscenze sul traffico di cocaina. Sembra che i suoi interlocutori lo stiano ingannando”. Già all’inizio della settimana, durante una conversazione con il media Politico, Trump aveva manifestato l’idea di estendere l’operazione anti narcos a Messico e Colombia. Che la Casa Bianca non si fidi di Petro è stato manifesto già a metà settembre. Washington in un primo momento ha detto che avrebbe continuato a inviare aiuti economici. Le cose sono peggiorate in ottobre: alla Colombia è stata revocata la certificazione di partner per il controllo sul traffico di stupefacenti e il 19 del mese il capo dello Stato è stato definito drug dealer: uno “spacciatore di stupefacenti”. Lo scambio di battute era avvenuto sulle piattaforme social. Trump su Truth aveva descritto Petro come “un leader del narcotraffico illegale che incoraggia fortemente la produzione massiccia di droga, in campi grandi e piccoli, in tutta la Colombia” e nel contempo aveva annunciato il taglio degli aiuti economici: “Questi pagamenti, o qualsiasi altra forma di pagamento o sussidio, non saranno più effettuati alla Colombia”. Petro aveva replicato su X affermando che Trump era stato ingannato dalle “sue logge e dai suoi consiglieri”, invitandolo ad “analizzare attentamente la Colombia e a determinare dove sono i narcotrafficanti e dove sono i democratici”. Il presidente colombiano ha sostenuto di essere stato lui a intralciare i legami tra le reti del narcotraffico e il potere politico: “Il principale nemico del narcotraffico sono sempre stato io”. Petro ha detto che il suo Paese aveva intenzione di denunciare i funzionari del governo americano che avevano permesso l’attacco letale nei confronti di un marinaio di una nave colombiana in acque nazionali, sempre nell’ambito della lotta al trafficanti voluta dalla Casa Bianca. La revoca della certificazione è stata un brutto colpo per la Colombia tanto che nei giorni successivi Petro ha inviato una delegazione nella capitale americana, per sottolineare la “forte cooperazione” tra i due Paesi e i progressi compiuti nella lotta contro il narcotraffico. Ma la diplomazia non ha fatto breccia nell’amministrazione Trump. Alla base c’è uno scontro sul metodo. Per il tycoon debellare i trafficanti è un obiettivo da perseguire by any means necessary: con ogni mezzo necessario, così come l’immigrazione illegale. Petro invece ha chiesto al suo Paese di creare “alternative pacifiche” alla coltivazione della coca, anziché perseguire gli agricoltori o i trafficanti di piccolo calibro. Resta il fatto che l’Ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine (UNODC) ha certificato che la Colombia è il principale produttore mondiale di cocaina e rappresenta quasi due terzi della produzione totale di questa sostanza stupefacente. Dunque, Trump ha una base solida da cui partire e ha fatto capire che non verserebbe lacrime se Petro lasciasse l’incarico: una possibilità concreta visto che in Colombia si vota il prossimo 31 maggio e il leader colombiano non potrà presentarsi per il secondo mandato consecutivo. L'articolo Trump ora minaccia guerra anche al presidente colombiano Petro: “Sarà il prossimo, il suo Paese produce troppa droga” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La Colombia vieta il reclutamento di mercenari. Il presidente Petro: “Zelensky liberi i nostri ragazzi trattenuti in Ucraina”
Duro colpo al mercenarismo, d’ora in poi vietato per legge in Colombia, pronta a “interrompere l’industria di sangue” che ha trasformato Bogotà nel “più grande serbatoio di soldati privati al mondo”, con almeno 4mila combattenti sparsi nei diversi conflitti, tra cui Ucraina, Sudan e Yemen. Nel mirino finiscono le compagnie private: saranno fino a 22 anni di reclusione per “attività di reclutamento”, “offerte ingannevoli” e altri “mezzi di adescamento”. La proposta (n. 156/2024), sostenuta dal Ministero della Difesa, è passata alla Camera dei rappresentanti, con 94 voti favorevoli e 17 contro. Il Paese ratifica così la “Convenzione contro il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari” delle Nazioni Unite trentasei anni dopo la sua approvazione. Il Paese sudamericano si lascia alle spalle decenni di attesa, ostacoli e intromissioni delle lobby e delle compagnie private. L’appello di Petro. Ma la vera partita inizia adesso. Ne è consapevole il presidente Gustavo Petro, in procinto di sancire la norma e intervenuto venerdì in occasione di una cerimonia di promozione dei sottotenenti delle Forze aerospaziali colombiane: “Sono lì i video dei ragazzi (colombiani, ndr) in Ucraina che cercano di uscire e non glielo permettono”. A tale proposito il ministero degli Esteri di Bogotà ha fatto pervenire al governo di Volodymyr Zelensky la richiesta di “liberare i mercenari colombiani” rapiti a Kiev perché “quella non è la nostra guerra” e “non deve neppure diventarlo”. L’Ucraina – che ha finora giustificato l’ingaggio di leve straniere sotto il cappello della controversa Legione internazionale – non ha ancora fornito riposte ufficiali all’appello del capo di Stato colombiano. “Né russi né ucraini ci hanno mai fatto del male”, ha detto Petro, per il quale la Colombia “non è più disposta a tollerare che i soldati formati con i soldi pubblici di Bogotà” mettano le loro conoscenze “al servizio dei narcos o di guerre altrui”, nelle quali “non ci vengono neppure restituite le salme dei caduti”. E ancora: “Non possiamo permettere che la Colombia continui ad essere vista come un fornitore di mercenari, l’esportatore di morte nel mondo. Vogliamo essere una potenza della vita”. Il dibattito. La proposta è stata fortemente contestata dalle opposizioni a destra, tra cui Centro Democrático, dell’ex-presidente Alvaro Uribe Vélez, e Cambio Radical, diretto da German Vargas Lleras per i quali la Convenzione Onu non andava ratificata da Bogotà, visto che “neppure Washington lo ha ancora fatto”. Ma non solo. Per le destre colombiane la nuova legge avrebbe leso il diritto di “migliaia di militari in pensione” di continuare a offrire i loro servizi all’estero. La ratifica della convenzione, si sa, aiuterà Bogotà a “dotarsi di strumenti legali per affrontare il fenomeno da diverse prospettive: dalla codificazione dei reati al rafforzamento della cooperazione giudiziaria”, ha commentato il ministro della Difesa Pedro Arnulfo Sánchez. Si parla anche di “prevenzione” affinché “la violenza non sia messa sul mercato”. Palazzo di Nariño conferma che la legge è indirizzata contro “agenzie di reclutamento e finanziatori“, ritenuti i “principali artefici di dinamiche ingannevoli che trasformano i veterani in carne da macello, senza diritti legali”. La norma introduce anche una prospettiva riparativa, dove “molte persone reclutate come mercenari” siano riconosciute come “vittime di reti criminali internazionali”. Persino l’Eln, l’Ejercito de liberación nacional, si è fatto portavoce di queste istanze denunciando la longa manus compagnie private come Constellis (l’antica Blackwater, fondata da Erik Prince), la colombiana A4SI, diretta dall’ex-colonnello Alvaro Quijano e Global security services group (Gssg), con sede negli Emirati Arabi Uniti. La portata del fenomeno. L’argomento è stato portato al centro del dibattito dalla testata locale Lasillavacía.com. Tra i punti più dolenti: la situazione dei mercenari in Ucraina – sono morti più di 300 in questi anni di guerra – l’improvvisa uccisione di 40 combattenti, che lottavano per le Forze di appoggio rapido, in Sudan e il coinvolgimento di 26 ex-soldati nell’omicidio dell’allora presidente haitiano Jovenel Moïse avvenuto nel 2021. Sempre su Lasillavacía Jaime Gómez Alcaraz spiega che il Paese conta su “una considerevole riserva di personale militare, altamente addestrato, dopo decenni di conflitto armato interno. Tuttavia la transizione a vita civile per molti ex-combattenti è stata segnata da precarietà lavorativa, pensioni basse, mancato reinserimento sociale”. In numeri: tra una pensione di 300 dollari – ce ne vogliono dai mille ai 2mila per vivere a Bogotà – e uno stipendio da 4.800, offerto da un contractor, in molti scelgono il secondo. Qui l’altra sfida: se dinamica persiste il mercenarismo potrebbe spostarsi dall’attuale zona grigia al mercato nero. 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“Come El Chapo e Pablo Escobar, comanda un’organizzazione violentissima”: l’ex snowboarder olimpico tra i latitanti più ricercati al mondo
L’ex snowboarder olimpico Ryan James Wedding è stato inserito a marzo dall’Fbi nella lista dei dieci latitanti più ricercati al mondo. Wedding è stato accusato di aver ordinato l’omicidio di un testimone, secondo quanto ha dichiarato il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) che avrebbe dovuto testimoniare contro di lui in un caso di droga negli Stati Uniti. Il testimone è stato ucciso a gennaio con cinque colpi di pistola alla testa in Colombia. Anche l’avvocato di Wedding, Deepak Balwant Paradkar – canadese come lui – è stato arrestato con l’accusa di aver consigliato all’ex atleta olimpico di uccidere la vittima per evitare l’estradizione negli Stati Uniti. Se condannati, l’ex snowboarder 44enne e gli altri imputati in relazione all’omicidio rischiano adesso l’ergastolo. Wedding è inoltre accusato di una congiura per lo spaccio di sostanze stupefacenti e omicidio in relazione a un’attività criminale in corso. Alcuni funzionari statunitensi hanno paragonato Wedding al narcotrafficante messicano Joaquín “El Chapo” Guzmán e al colombiano Pablo Escobar. “Ryan Wedding controlla una delle organizzazioni di narcotraffico più prolifiche e violente al mondo”, ha dichiarato il Procuratore Generale degli Stati Uniti Pam Bondi, aggiungendo che l’ex atleta “è il più grande spacciatore di cocaina in Canada“. Mercoledì l’Fbi ha dichiarato che la ricompensa per informazioni che portino all’arresto e alla condanna di Wedding sarà aumentata fino a 15 milioni di dollari. L’ex snowboarder ha gareggiato nello slalom gigante parallelo maschile alle Olimpiadi invernali del 2002 a Salt Lake City, classificandosi ventiquattresimo. Funzionari statunitensi hanno affermato che si ritiene che Wedding si trovi in Messico. L'articolo “Come El Chapo e Pablo Escobar, comanda un’organizzazione violentissima”: l’ex snowboarder olimpico tra i latitanti più ricercati al mondo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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