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Attacchi cinetici Usa contro presunti narcos: colpite altre 3 barche nel Pacifico orientale, 8 morti
Atre otto persone sono morte nella guerra che gli Usa hanno dichiarato al narcotraffico. Il fatto è accaduto il 15 dicembre nell’Oceano Pacifico orientale, dove già a fine ottobre erano stati effettuati dei raid dal Pentagono. Stavolta l’operazione è stata condotta dalla Joint task force southern spear e diretta dal segretario del Dipartimento della guerra, Pete Hegseth. Degli attacchi cinetici hanno affondato tre imbarcazioni in acque internazionali, uccidendo otto presunti narcotrafficanti: tre sulla prima imbarcazione, due sulla seconda e altri tre sulla terza. “L’intelligence ha confermato che le imbarcazioni stavano transitando lungo note rotte del narcotraffico nel Pacifico orientale ed erano coinvolte in attività di narcotraffico”, scrive l’Us Southern Command sulla piattaforma social X. Giovedì Pete Hegseth, il segretario di Stato Marco Rubio e alti ufficiali dell’esercito sono attesi a Washington per un aggiornamento a porte chiuse ai membri del Congresso sulla campagna di questa amministrazione contro il traffico di stupefacenti dall’America Latina. Il presidente Donald Trump ha più volte giustificato e rivendicato politicamente queste operazioni militari contro i cartelli della droga, che da settembre hanno ucciso almeno 95 persone nei 25 attacchi noti al pubblico. Secondo alcuni avvocati ed esperti di diritto, gli attacchi ai presunti narcotrafficanti sono delle esecuzioni extragiudiziali illegali. A queste accuse, il portavoce del Pentagono Kingsley Wilson aveva risposto così: “Le nostre operazioni nella regione di Southcom (il Comando Sud dell’esercito statunitense, che ha come aree di competenza l’America centrale, il Sud America, i Caraibi e le acque adiacenti della regione, ndr) sono legali sia secondo il diritto statunitense che secondo quello internazionale e tutte le azioni sono conformi al diritto dei conflitti armati”. L'articolo Attacchi cinetici Usa contro presunti narcos: colpite altre 3 barche nel Pacifico orientale, 8 morti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il trafficante di droga grida in aula contro il pm De Tommasi e lo minaccia: “Deve finirla di rovinare le persone”
Il trafficante già condannato per associazione a delinquere oggi torna in aula per altri capi d’imputazione. Sul piatto sempre droga. Aula bunker del carcere milanese di Opera, Luigi Ruggiero, tarantino classe ’87, considerato a capo della batteria di trafficanti del comune di Rozzano assieme al defunto Chicco Pagani, prende la parola per alcune dichiarazioni spontanee. E che fa? Minaccia chiaramente il pubblico ministero. E chi è il pm? Francesco De Tommasi per il quale Ruggiero è uno dei tanti protagonisti della sua maxi inchieste Barrios su sette piazze di spaccio a Milano, tra cui, quella più grande, annidata nel quartiere della Barona. De Tommasi, assieme al collega Gianluca Prisco, proprio per aver chiuso il cerchio attorno alla famiglia Calajò, storici reggenti della malavita alla Barona, sono finiti sotto scorta. Era l’ottobre 2023 e dal carcere erano state registrate chiare minacce di morte. Questa mattina la storia sembra essersi ripetuta. Un fatto gravissimo che rubrica a poco meno che una bagatella l’affare tutto interno alla Procura che ha visto De Tommasi vedersi bocciato lo scatto di avanzamento di carriera dal consiglio giudiziario distrettuale per il presunto poco equilibrio mostrato nell’indagine bis sul caso di Alessia Pifferi e che riguardava i tentativi di manipolare la perizia psicologica a favore di una infermità mentale esclusa dalle sentenze di primo e secondo grado. In quel fascicolo, per farla breve, risulterà indagata anche la legale della donna, recentemente assolta. Detto questo, quel troncone finito sotto la lente della Procura Generale e del ministero della Giustizia non ha rilevato alcun illecito disciplinare. La questione in valutazione al Csm, sembra solo un fastidioso rumore di sottofondo rispetto alle minacce lanciate da un pericoloso trafficante di droga. Torniamo allora a Luigi Ruggiero, già condannato in abbreviato nel maxi processo Barrios, e questa mattina imputato per altri capi di accusa (cinque episodi di spaccio) in una lista di 57 persone, Ruggiero ha chiesto così di fare dichiarazioni spontanee e qui proprio non si è tenuto e anche ha alzato non poco la voce. In attesa della trascrizione dell’udienza, queste sono state le sue parole: “Il dottor De Tommasi deve smettere di perseguitarmi”. Il pm, dice Ruggiero, deve smetterla “di rovinarlo” che gli “ha fatto prendere 30 anni” e deve “lasciarlo in pace” e “finirla di rovinare le persone”. Il tutto alzandosi in piedi, alzando la voce e ripetendo più volte “dottor De Tommasi”. Parole sinistre che ricordano quelle del 2023 quando in carcere a Opera fu intercettata questa frase di Nazza Calajò: “De Tommasi si fermi se vuole salva la vita sua e della sua famiglia”. De Tommasi come il suo collega Prisco non si sono fermati e sono finiti sotto scorta armata. E ancora, sempre per voce del capo Nazzareno Calajò: “De Tommasi non ti conviene, credimi. Lasciaci stare e siamo a posto così e ti salvi la vita! A me di questa galera non me ne fotte niente. E te lo faccio vedere, non è uno scherzo! Ti lascio in un lago di sangue. Tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli, le tue sorelle, i tuoi figli li uccido tutti!”. Non contento aggiungerà: “Io lo ammazzo De Tommasi, ti mangio come un cannibale, lo sgozzo (…). Ti faccio esplodere con una bomba (…). Il Tribunale di Milano lo faccio arrivare su Marte (…). Ti faccio fare la fine di quei due porci di merda (…). Ti faccio diventare un martire come loro”, riferendosi ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quindi spiega: “Non vi preoccupate, giù in cantina abbiamo quattro bombe e quattro mitra”. Quasi tre anni dopo, ancora minacce gravi. E però a tenere banco nei corridoi e tra le correnti della magistratura è solo quella legittima attività di indagine, finita con le assoluzioni degli imputati, come spesso capita nelle aule di giustizia. L'articolo Il trafficante di droga grida in aula contro il pm De Tommasi e lo minaccia: “Deve finirla di rovinare le persone” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Nella Repubblica Dominicana i partiti sono vuoti a perdere: prevalgono crisi e narcotraffico
A cinque anni dal primo insediamento di Luis Abinader alla presidenza della Repubblica Dominicana, il cui mandato è stato rinnovato per altri quattro dopo le votazioni del 19 maggio 2024, ho voluto fermarmi di nuovo nello stato caraibico prima di tornare in una Giamaica devastata dall’uragano Melissa. Quello che ho visto e sentito conferma la tendenza globale che punta alla privatizzazione della cosa pubblica, rendendo ormai superflua l’esistenza dei partiti. E sullo sfondo Trump ringrazia. Vuoti a perdere Avenida Simón Bolivar, il cimitero dei partiti: le sezioni deserte, una dietro l’altra, simboleggiano il vuoto politico attuale. Tutti gli schieramenti sfoggiano nomi altisonanti, di cui termini come “rivoluzione” “democrazia” “sociale” “popolo” sono ormai ridotti a etichette prive di riscontro reale: primeggia il Partido Revolucionario Moderno (Prm) la compagine governativa che ha prodotto i due mandati consecutivi di Luis Abinader, l’attuale presidente. Il governo è supportato da un’alleanza di pseudo centrosinistra composta da Unión Demócrata Cristiana (Udc), Partido Revolucionario Independiente (Pri), Partido Demócrata Popular (Pdp) e il Partido Revolucionario Social Demócrata (Prsd), un nome che è quasi un ossimoro. Sul fronte opposto, con altri partiti minori, Fuerza del Pueblo dell’ex presidente Leonel Fernández, due mandati come presidente della Repubblica Dominicana: 16 agosto 1996-16 agosto 2000 e 16 agosto 2004-16 agosto 2012. Fuori dalla mischia, le formazioni di estrema sinistra: Pcd (Partido Comunista Dominicano) – unico, oltre al Pcc cubano, a rimanere “comunista” – e il Movimiento Rebelde; per protesta contro gli inciuci delle alleanze, non si sono presentati alle scorse elezioni. Secondo fonti locali, i due mandati di Fernández furono contrassegnati dal rafforzamento del welfare pubblico. Adesso la privatizzazione della sanità è diventata invadente, così come nella distribuzione dell’energia. Percorrendo la stessa Avenida Simón Bolivar, dal lato opposto del lungo viale che parte da Calle Mercedes – arteria principale della Zona Colonial – proprio di fronte alla fila delle sedi dei partiti, si snodano ininterrottamente consultori, laboratori di analisi e cliniche private. Durante i primi quattro anni del suo secondo mandato, Fernández fece costruire seimila alloggi, di cui duemila destinati ai benestanti e gli altri quattromila ai ceti medio-bassi. Ebbe il merito di emancipare il paese dalla crisi economica dove era precipitato a causa del fallimento di ben tre banche, riducendo l’inflazione e il divario del cambio tra peso e dollaro, dando il via a un processo di stabilizzazione della nazione caraibica. C’è da dire che Fernández ha avuto la fortuna di poter contare nel suo primo mandato su una congiuntura economica favorevole, quando il boom dei Carabi negli anni 90 e all’inizio del nuovo millennio era in piena ascesa. Ma già nell’ultimo, che ha coinciso con la crisi globale provocata dai mutui subprime negli Usa, il turismo internazionale calò, e di conseguenza le difficoltà economiche ricominciarono. Dal canto suo, Abinader ha cominciato nel momento peggiore dell’economia moderna, cioè in piena pandemia Covid, nell’agosto 2020. A oggi, il salario minimo in vigore nel Paese è 19.450 Dop (pesos dominicani) equivalenti a € 340 mensili. Ma non tutti sono trattati allo stesso modo: se le grandi imprese pagano quasi 28.000 Dop, quelle piccole a gestione familiare hanno ribassi fino a 10.000 (€ 150) e persino le commesse che lavorano all’aeroporto, dentro attività carissime, sono sottopagate a 17.000 Dop. Nella miniera d’oro della splendida Zona Colonial – che è il fiore all’occhiello del business della capitale – e nell’area balneare di Boca Chica dove i turisti lasciano valuta pregiata, ho registrato i salari più bassi: uno sfruttamento della manodopera che incide sulla qualità del servizio, come spesso succede. I dipendenti usufruiscono però della propina (mancia) obbligatoria, 10% in più sul conto, che si aggiunge al 18% della Vat, la loro Iva. I Narco-Stati Oltre all’aumento incontrollato del costo della vita, all’attuale presidente viene attribuita la responsabilità di non aver saputo frenare lo strapotere dei trafficanti di droga. La Repubblica Dominicana è annoverata tra i paesi dove transitano più sostanze illecite, insieme ad Haiti, Ecuador e Colombia. Non è un caso che, mentre Trump si accanisce sul Venezuela facendo uccidere equipaggi di imbarcazioni sospettati di trasportare stupefacenti, mirando a rimpiazzare Maduro con la sua beniamina Maria Corina Machado (insignita di un Nobel della Pace scandaloso) questo trattamento venga risparmiato ai paesi alleati di Washington, malgrado Haiti sia ormai in piena guerra civile scatenata dalle bande del boss Barbecue, con l’Ecuador di Noboa fuori controllo a vantaggio del narcotraffico, nonostante una campagna elettorale basata sulla sicurezza interna. Ironicamente, proprio durante i dieci anni del governo Correa, l’Ecuador era una delle nazioni sudamericane più sicure. Trump vorrebbe ripristinare le basi navali statunitensi, ma il referendum di novembre ha respinto la riforma costituzionale che Noboa aveva imposto. Alla Repubblica Dominicana, gli Stati Uniti hanno assegnato reparti speciali della Dea per operazioni di polizia congiunte alle forze locali, che sembrano però più tentativi di legittimare il governo attuale, piuttosto che garantire dei risultati duraturi nella lotta ai trafficanti; nonostante l’operazione effettuata a Boca Chica abbia prodotto arresti di spessore, tra cui un ex aspirante sindaco appartenente proprio a Prm, il partito di Abinader, denunciato dallo stesso premier. Foto e video – F.Bacchetta L'articolo Nella Repubblica Dominicana i partiti sono vuoti a perdere: prevalgono crisi e narcotraffico proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Traffico di droga sul litorale romano, dall’inchiesta emerge un nome che riporta a Cosa Nostra e alle stragi
C’è un piccolo tassello legato a Cosa Nostra e alle stragi di mafia del 1992-93 che riemerge, più di 30 anni dopo, dalle inchieste sul traffico di droga nell’hinterland romano. Quel pezzo di puzzle porta il nome di Salvatore Spataro, 61 anni, palermitano, coinvolto nell’indagine sfociata nei giorni scorsi in 16 arresti ordinati dalla Procura di Roma ed eseguiti dalla Questura di Roma tra Latina, Aprilia e Nettuno (per Spataro l’istanza di arresto è stata respinta dal gip per “difetto dell’attualità delle esigenze cautelari). Negli anni ’90, infatti, Spataro fu condannato, insieme a molte altre persone, per aver favorito la latitanza dei fratelli boss Giuseppe e Filippo Graviano, il primo dei quali, ricordano i pm della dda di Roma, “accusato da numerosi pentiti di aver azionato il telecomando utilizzato per far esplodere l’auto-bomba che causò la morte del magistrato Paolo Borsellino e degli uomini della scorta” e “ritenuto responsabile dell’omicidio di Salvo Lima”. Addirittura, secondo i pm, durante la latitanza Giuseppe Graviano utilizzava un documento d’identità falso intestato proprio a Spataro. Nel 1998 Spataro poi è diventato collaboratore di giustizia. La nuova inchiesta della Procura di Roma, coordinata dal pm Francesco Cascini, tocca di due figure emergente della criminalità romana, quella di Pasquale Iovinella, ritenuto in passato dalla Procura di Velletri vicino al clan camorristico dei Casalesi, e quella di Simone Massidda, la cui influenza negli ultimi anni si è allargata nell’area pontina. I legami tra Iovinella e Spataro, rilevano gli stessi pm, risalgono addirittura al 2015. In particolare, risulta agli investigatori che il siciliano nel 2021 utilizzasse un terreno nei pressi di Nettuno, a sud della Capitale, dove allevava bestiame, per gestire i suoi traffici di cocaina, nascondere la droga e incontrare quasi giornalmente i clienti che poi rivendevano al dettaglio sul territorio. “Quando doveva incassare il ricavato delle cessioni di droga, specie dai clienti morosi, si faceva raggiungere nei pressi della sua abitazione” di Nettuno, spiegano gli investigatori nell’ordinanza di custodia cautelare. “Quando interloquiva telefonicamente con gli acquirenti”, invece, “utilizzava comunque una terminologia attinente alla sua attività di contadino (mucche, uova fresche ecc.)”. L’operazione, secondo fonti investigative, mostra ancora una volta la trasversalità del traffico di droga nell’area capitolina, dove esiste una saldatura tra le varie organizzazione, anche legate ad altri territori. Tra cui quella di Iovinella, accostato dai magistrati ai fratelli Genny e Salvatore Esposito, figli di Luigi Esposito detto “Gigino Nacchella”, famiglia legata al clan “Licciardi” della camorra napoletana. L'articolo Traffico di droga sul litorale romano, dall’inchiesta emerge un nome che riporta a Cosa Nostra e alle stragi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Esaudiamo i vostri desideri 24 ore su 24”: dentro il call center dello spaccio a Milano che riforniva Coca city
Il manager nei palazzi di vetro di Citylife, riunione in corso, il whatsapp sul cellulare fa bin. Il chirurgo di fama del grande ospedale ha appena terminato l’intervento, un altro bin. E poi un altro bin in tasca alla giovane ricercatrice universitaria, al titolare di quel noto locale notturno in Brera e all’avvocato che di fretta esce dal tribunale con ancora la toga addosso, allo studente, al funzionario pubblico, al fioraio, a quel tizio che si fa chiamare Ibra. Bin, bin, bin. Tutti nello stesso istante e nella stessa chat comune Mamasita Griselda 2.0. E tutti, qualsiasi cosa stiano facendo, si fermano e leggono perché sanno che quel messaggio questa sera, o forse domani, salverà la loro vita tossica: “Macciao!! Tutto bene? Questo numero è la fusione di Mamasita e Griselda 2.0, da oggi potete contattarci qui, come unico numero, gli altri verranno disattivati! Vedete di memorizzare questo nuovo numero, se no come farete senza di me? Anzi senza di noi, sempre presenti a esaudire i vostri desideri a qualsiasi orario. E chi ieri sera ha speso troppi soldini con un 15 prenderà una 20”. LA CENTRALE OPERATIVA DELLA COCAINA A MILANO Inizia così la straordinaria storia della Centrale operativa della cocaina a Milano, gestita e coordinata da Katia Adragna, la Mamacita o Griselda o Super Mamacita o la bionda o la nera, narco-madrina in nome e per conto dei boss del clan della Barona, Nazzareno e Luca Calajò. Il tutto riassunto in una annotazione della Squadra mobile di Milano agli atti dell’indagine sull’arresto di Adragna e altri. Una casa imbosco: via Lope de Vega 46 e una decina di centralinisti sempre operativi per ricevere gli ordini e indirizzare i cavallini o Glovo, che sono Nuvola, Pantani, Biondino, Indiano, per le consegne a domicilio. Le dosi sono “la spesa” e vanno a colori: bianco blu, viola. Tutti vogliono la cocaina e tutti vogliono il “perlage”, la migliore, la più buona. Mamacita ascolta, segna ed esaudisce i desideri di Coca city. La sua squadra è la migliore e arriva ovunque, da Porta Venezia e corso Buenos Aires, dai Navigli alla street del design di via Tortona. Si paga in contanti o comodamente su postepay o altri conti correnti. E quando Mamacita si prende qualche giorno di pausa, la Centrale mica si ferma: “Ciao ragazzi siamo la squad della Griselda, lei è andata in vacanza ma è sempre qua tra noi. Questo sarà il numero provvisorio perché gli altri se li è portati con sé, abbiamo sempre i nostri glovo simpatici e siamo a vostra disposizione per rendervi felici. Già disponibili da subito”. E via altri dieci, cento, mille bin! “UN ATTIMO PER FAVORE, SIAMO INCASINATI” La giornata tipo della Centrale operativa non ha orari, le richieste dei clienti arrivano mattina, pomeriggio fino all’alba. A volte le comande cadono una sopra l’altra: “Un attimo per favore – scrive Mamacita al cliente che insiste – siamo incasinati, adesso metto nella lista anche te, stai calmo, non devi aspettare le ore, ma non rompermi i coglioni, perché purtroppo c’è casino”. Non succede spesso, ma a volte succede che il cliente ordina ma poi non si presenta al ritiro e allora Katia si arrabbia: “La prossima volta che mi fate venire i ragazzi li per niente, mi pagate comunque il disturbo. Eh sì? Non portano in giro né banane e né caramelle, né fiori, quindi un po’ di rispetto per le persone che a quest’ora rischiano e ve la portano in bocca”. LE PROMOZIONI DI GRISELDA: “PRENDI 30, PAGHI 25” I clienti pretendono e soprattutto vogliono la cocaina buona: “Buonasera, come sempre siete operativi e niente comunque ne prenderei uno (grammo, ndr), sono qua in Giambella. È sempre la stessa di questi giorni vero? È buona spero, cioè spero, eh deve essere quella, perché l’altra non mi convince, ma io prendo sempre quella”. Dalla Centrale operativa rispondono: “Dovrebbe”. Il cliente un po’ spazientito: “Eh in che senso dovrebbe, faccio entrare un secondo a vedere se è lei, perché se no io non la prendo, se non mi mandate quella là, altre non ne voglio”. La Griselda della Barona quindi spiega il prodotto: “Tesoro quella che ti ho mandata è buona buona, almeno che ci sia stato un errore tra i miei ragazzi, sai che io ho doppia qualità, mi sembra strano, o hanno sbagliato che quella che dovevo mandare a te, magari ti mando la madreperla”. Il cliente: “Certo che voglio il perlage zia, io voglio solo quella più buona di tutte cristo! Domani, comunque, portane almeno due (grammi, ndr)”. Ma non sempre si tratta di perlage: “Quella di ieri mai più, ha mal di denti, ha il naso distrutto non è la stessa, è pessima, è avanzata, se vuoi te la rido indietro, ti assicuro che non è la stessa”. Nel frattempo Griselda lancia l’ennesima promozione: “Oggi promozione prendi 30 (0,30 grammi, ndr) paghi 25”. GLI SCONTI CHIESTI DA CHI PRESENTAVA NUOVI CLIENTI Come in ogni attività commerciale, il cliente è sacro, perché è quello che paga. Le dosi volano ogni minuto da un posto all’altro della città. E stare dietro a tutti non è facile: “Tesoro guarda – scrive la Mamacita in chat – ancora 10 minuti prima che arriva da me, non ti voglio dire cagate, poi parte e comincia a fare tutte le consegne e ci sarai anche tu, tempo umano, tempo della strada niente di più niente di meno. Adesso te lo mando” e la dose sarà “più cicciottella e più potente, bellissima”. Laura poi è una cliente affezionata, acquista e spende e in certi casi porta qualche cliente in più, e però si lamenta che qualche sconticino mai: “Ciao – dice – vorrei porre i riflettori su una cosa, io vi ho passato un fantastico personaggio cliente come Raoul, che boh, numero 1, cioè super affidabile, sarebbe carino, corretto, se almeno una volta al mese io avessi un regalino, no? Sarebbe carino da parte vostra”. LE LAMENTELE DELLA NARCO-MADRINA KATIA ADRAGNA Ogni tanto poi sulla chat, la narco-madrina manda alcuni avvisi a quei naviganti che ricevono un po’ meno del pattuito e si lagnano: “Se stiamo vedere il glovo è gratis, la benzina è gratis, il ragazzo è gratis, la portata a casa è gratis, non è che ci dobbiamo lamentare più di tanto eh, a qualsiasi ora 24 ore su 24 a disposizione, che ne dici? Diciamo che di me e del mio servizio non ci si può proprio lamentare, che ne dici? Se stiamo a guardare anche il puntino sulla i, come dovrei fare io! Dovrei fare come tanti, che faccio pagare il servizio glovo che ne dici? Comunque alla prossima ti faccio aggiungere quello che ti mancava adesso, tanto non muore nessuno dai, una briciolina!”. Dopodiché “se io ti tratto male e tu non tomi più ci ho guadagnato sto cazzo, per cosa? Per rubarti la cinque/dieci euro oggi e poi non guadagnarci più domani sarebbe da stupidi”. Insomma, le solite beghe di lavoro. “PANTANI”, IL CORRIERE DELLA DROGA PIÙ VELOCE Nel frattempo in Centrale i telefoni sono bollenti. I clienti fremono, Milano non attende, vuole pippare. “Ma in Corso Buenos Aires la puoi fare una corsa? 30, 40 euro (…). Tesoro scusa mi dai il numero del Giovo, perché boh, son giù da 5 minuti, almeno sento dov’è (…). Ciao per favore mi puoi mandare 50 (…). Pronti, ascolta, se non è un grande problema, preferirei appunto non salire, perché vado abbastanza di fretta, eh ti squillo quando sono lì (…). Ma riuscite a passare da me, qui in Giamba, se posso ne prendo 2 a 150 (…). Mandami Gino, please, che almeno viene direttamente al cancello (…). Va bene uno, e poi datemi quell’aggiuntina di ieri che l’abbiamo pesata era veramente bassissima e niente vi mando la posizione (…). Ehi Zia, sono Ibra, dopo per l’una riesci a farmi venire qua un ragazzo con un 40, in via Brioschi al ristorante (…). Dai va bene, sono qua che adesso inizia Amici, eeh che te voglio dì, avvisami soltanto mezz’ora prima (…). Son qua dentro che mangio, se me lo mandi al volo, qua dai di fronte com’è che si chiama qui al Golf Club di Opera”. Una giostra senza fine. E poi? Poi si ricomincia. Quasi l’alba di un giorno di spaccio a Milano. In centrale operativa c’è Federica: “A me sembra che il tempo oggi non passa più”. Lo dice al suo fidanzato che fa il Glovo. Lo chiamano Pantani, in bici è una scheggia: “Invece il cazzo amo, figa già le 4,20”. In sottofondo il cigolio della bici nel buio di Milano. 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Il cambista cinese, i narcos e la rete delle tre mafie. “Storia” di un traffico globale: 28 arresti
Un’altra indagine sul narcotraffico. Ma sotto la superficie, fra telefoni criptati, porti lontani tra uniti nell’utilizzo e scambi di denaro che non passano mai per una banca, c’è un traffico che attraversa mezzo mondo. E racconta la storia di un’alleanza silenziosa tra ’ndrangheta, broker albanesi e narcos sudamericani. E, in un angolo meno visibile, di un uomo che non porta armi: un cambista cinese capace di far viaggiare milioni senza far muovere un euro. E così martedì mattina i finanzieri del comando provinciale di Milano e gli investigatori del Servizio centrale anticrimine hanno notificato ventotto ordinanze: venticinque finite in carcere e tre ai domiciliari. L’accusa della procura di Milano è quella di fa parte di un’organizzazione criminale armata che ha orchestrato, finanziato e portato in Europa tonnellate di cocaina dal Sud America. LA RETE DELLE TRE MAFIE L’indagine, coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia, ha svelato una trama complessa, un intreccio di accordi tra gruppi criminali calabresi, lombardi e campani. Al centro, la “famiglia Barbaro” di Platì, un nome storico della ’ndrangheta, abituato a muoversi con disinvoltura tra le rotte globali della polvere bianca. È stata individuata una vera centrale operativa in Lombardia, con tentacoli in Germania, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Colombia e Brasile. Un hub internazionale che, in due anni, avrebbe movimentato droga per un valore di oltre 27 milioni di euro. Il metodo era quello dei professionisti: porti diversi—Livorno, Rotterdam, Gioia Tauro, Le Havre—e sempre la stessa tecnica, il “rip-off”, il trucco con cui i narcos infilano la droga dentro container perfettamente regolari, lasciando ai complici il compito di recuperarla prima che la merce legale venga scaricata. IL RUOLO DEI BROKER ALBANESI Il vertice dell’organizzazione parlava direttamente con broker albanesi di peso internazionale, figure chiave nel moderno narcotraffico europeo. Esperti di logistica criminale, in grado di muovere carichi di cocaina come fossero spedizioni commerciali. Le loro conversazioni, protette da sistemi di messaggistica criptata, sono state recuperate grazie alla collaborazione di Eurojust ed Europol. È da quelle chat che gli investigatori sono riusciti a ricostruire i movimenti della rete e identificare gli uomini coinvolti. IL CAMBISTA E IL DENARO INVISIBILE Tra gli arrestati, c’è un personaggio insolito per un racconto di mafia: un cittadino cinese, un cambista. Il suo compito era far viaggiare i soldi senza farli vedere, usando il sistema di compensazione informale noto come fei eh ’ien, un metodo antico e diffusissimo in Asia, dove il valore si sposta senza che si muovano contanti o vengano tracciati bonifici. Era lui a garantire che i narcos venissero pagati. Una sorta di banca ombra, silenziosa, invisibile, ma cruciale quanto le armi o i container. TRE TONNELLATE E MEZZO DI COCAINA Secondo gli investigatori, in due anni la rete avrebbe gestito importazioni per oltre 3,5 tonnellate di cocaina, di cui più di 400 kg sequestrati in Italia e all’estero. Una catena produttiva senza pause, dalla Colombia e dal Brasile fino alle banchine dei porti europei. Perquisizioni e controlli sono stati eseguiti nelle province di Milano, Pavia, Bergamo, Parma, Imperia, Como, Roma, Taranto e Reggio Calabria, con unità cinofile antidroga impegnate a setacciare depositi, abitazioni e magazzini. L'articolo Il cambista cinese, i narcos e la rete delle tre mafie. “Storia” di un traffico globale: 28 arresti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Venezuela, Usa annunciano operazione Southern Spear: due navi da guerra americane a 50 km dalla costa di Caracas
Gli Usa annunciano una nuova operazione contro il narcotraffico denominata Southern Spear, mentre due navi da guerra Usa sono state avvistate a 50 km dalla costa del Venezuela. Dobbiamo “proteggere la nostra Patria dalla droga”, dice il segretario alla Difesa americano Hegseth. La missione sarà guidata dalla Joint Task Force Southern Spear e dal Comando Sud degli Stati Uniti (Southcom) con l’obiettivo di difendere “gli Stati Uniti, rimuovere i narcoterroristi dal nostro emisfero” per stroncare lo smercio di stupefacenti che “sta uccidendo il nostro popolo”. “Pace” nel continente, è il messaggio lanciato dal presidente Maduro a Trump. Caracas paventa effetti “devastanti” da un possibile conflitto nei Caraibi. Mentre la Russia si dice pronta a supportare il Venezuela minacciato dagli Usa. MEDIA USA: “TRUMP VALUTA OPZIONE MILITARE, INCLUSA INVASIONE VIA TERRA” Cresce dunque il timore di un conflitto. Secondo l’emittente Usa Cbs, sul tavolo di Donald Trump ci sono nuove opzioni militari pianificate con il supporto dell’intelligence. Le riunioni si sarebbero svolte alla Casa Bianca con la partecipazione del segretario alla Guerra Pete Hegseth e del capo di Stato Maggiore Dan Caine. Non sarebbe esclusa l’invasione via terra con l’ingresso dei soldati Usa nei confini venezuelani. L’azione potrebbe essere lanciata “nei prossimi giorni”, anche se non esiste una data definita, sostiene Cbs. CARACAS: “PRONTI A COMBATTERE”. RUSSIA: “SOLIDARIETÀ INCROLLABILE AL VENEZUELA” “I venezuelani combatteranno per la loro patria, nessuno deve immischiarsi nei nostri affari e all’imperialismo diciamo: fuori di qui, lasciate stare il Venezuela”, ha dichiarato Maduro in diretta tv. “Il Paese vuole solo lavorare, avere la pace perpetua sognata dal Liberatore (Simón Bolívar) e noi la preserveremo”, ha aggiunto il leader di Caracas. Maduro si era rivolto a Putin dinanzi alla minaccia statunitense, con l’arrivo nel mar dei Caraibi della portaerei nucleare Usa Gerald Ford, la più grande del mondo. “La Russia ha dimostrato una solidarietà incrollabile nei confronti del Venezuela e siamo pronti a rispondere in modo appropriato alle richieste di Caracas”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa Tass. La collaboratrice di Lavrov conferma contatti “costanti” con Maduro: “Riaffermiamo il nostro fermo sostegno alla leadership venezuelana nella difesa della sovranità nazionale”. LA CAMPAGNA USA IN VENEZUELA: 20 ATTACCHI, 80 MORTI L’annuncio di Hegseths sull’operazione Southern Spear è arrivato poco dopo il ventesimo attacco Usa contro una presunta nave della droga. Dall’inizio della campagna l’esercito americano ha ucciso almeno 80 persone. Dieci giorni fa il Wall Street Journal aveva rivelato che Donald Trump stava pensando ad un’escalation e un’operazione in Venezuela. Secondo il giornale sono già stati identificati gli obiettivi, ma non è stata presa una decisione definitiva. Tra i potenziali target ci sarebbero porti e aeroporti controllati dall’esercito e usati per il trasporto di droga, ma anche strutture navali. L'articolo Venezuela, Usa annunciano operazione Southern Spear: due navi da guerra americane a 50 km dalla costa di Caracas proviene da Il Fatto Quotidiano.
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