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Trump: “Vicini come non mai alla fine della guerra tra Russia e Ucraina”
“Siamo più vicini che mai” alla fine della guerra in Ucraina. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nello Studio Ovale alla Casa Bianca, dopo il nuovo round di trattative e dopo aver parlato con il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky e con una serie di leader europei. “Stiamo ricevendo un enorme sostegno dai leader europei. Vogliono che finisca”, ha detto Trump sottolineando che gli Usa hanno avuto numerose conversazioni con il presidente russo Vladimir Putin. “Dobbiamo mettere tutti sulla stessa pagina”, ha aggiunto il presidente americano ribadendo di voler mettere fine alle morti causate dalla guerra. L'articolo Trump: “Vicini come non mai alla fine della guerra tra Russia e Ucraina” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L’Ue tenta di “contenere” Zelensky: “Serve più trasparenza nella nomina del procuratore”. Chi è Kravchenko, uomo del presidente che fa la guerra all’Anti-corruzione
“Non ho presentato e non presenterò le dimissioni”. Il post pubblicato venerdì su Telegram dal Procuratore generale Ruslan Kravchenko ha il tono dell’avvertimento: “Conosco tutti coloro che stanno lavorando contro di me e contro la procura. E’ inutile che vi nascondiate, verrò a prendervi di persona uno a uno“. E’ solo l’ultima puntata dello scontro in atto tra la Procura generale e l’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) titolare dell’inchiesta sulle tangenti per 100 milioni di dollari che ruota attorno a Timur Mindich, ex socio del presidente Volodymyr Zelensky. Una minaccia lanciata nelle stesse ore in cui dall’Ue è arrivata una nuova bocciatura sul modo in cui il governo gestisce la lotta alle mazzette: Kiev deve proteggere la Nabu da “indebite influenze” e nominare “in maniera più trasparente” il Procuratore generale. Per capire cosa sta accadendo bisogna partire dai protagonisti e dalle date della vicenda. Kravchenko, già procuratore militare e capo del Servizio Fiscale Ucraino, viene nominato Procuratore generale su indicazione di Zelensky il 21 giugno 2025. In quel momento è già noto che la Nabu sta indagando su Oleksiy Chernyshov, figura di primo piano dell’élite governativa, che il 23 giugno viene formalmente accusato di essere stato corrotto con uno sconto da 297mila euro su un immobile. Chernyshov è un pezzo grosso. Ministro dello Sviluppo delle Comunità e dei Territori, è anche vicepremier ed è molto vicino a Zelensky: le loro famiglie si frequentano, in una foto pubblicata dall’Ukrainska Pravda i due si troverebbero insieme per le feste del Natale 2022. Appena un mese dopo, il 21 luglio, Kravchenko invia i Servizi di sicurezza interni (SBU) negli uffici della Nabu. L’operazione è senza precedenti, perché quest’ultima non ricade sotto la giurisdizione della Procura generale ma è un’agenzia indipendente, pilastro delle riforme anticorruzione chieste dall’Ue. Gli agenti sequestrano materiale su diverse indagini e arrestano due investigatori: Ruslan Maghamedrasulov e Viktor Husarov. Il primo è un nome importante perché è il capo dell’unità investigativa dell’ente. “L’alto funzionario – rende noto l’SBU su Telegram – (…) ha agito come intermediario nella vendita di lotti di canapa industriale di suo padre alla Federazione Russa. Sono inoltre in corso verifiche relative ai contatti di Maghamedrasulov con i servizi segreti russi e al trasferimento di informazioni segrete a questi ultimi”. Un traditore, insomma, che merita la galera. Ciò che il 21 luglio gli ucraini ancora non sanno è che Maghamedrasulov aveva avuto un ruolo centrale nell’inchiesta “Midas”, come confermato dalla stessa Nabu a novembre quando l’indagine viene alla luce. Ventiquattro ore dopo, il 22 luglio, Zelensky firma una legge che mette la Nabu sotto la giurisdizione del Procuratore generale, ma minacciando il taglio di diversi programmi di finanziamento l’Ue gli fa fare dietrofront. Il 3 dicembre l’aria per Kravcenko inizia a cambiare. La Corte d’Appello di Kiev dispone la scarcerazione di Maghamedrasulov perché le prove presentate dalla Procura generale sono insufficienti. Immediata si scatena la bufera politica: “L’intero sistema è profondamente imperfetto e richiede un intervento urgente, soprattutto attraverso modifiche legislative”, attacca Anastasia Radina, presidente della Commissione anticorruzione del parlamento. Il 10 dicembre arriva il secondo ko per Kravchenko: il tribunale alleggerisce anche la posizione di Husarov, che dal carcere va ai domiciliari. Ma il colpo più duro arriva l’11 dicembre. Al termine della riunione dei ministri per gli Affari europei a Leopoli, la Commissaria per l’allargamento Marta Kos e il vicepremier ucraino Taras Kachka firmano un comunicato congiunto in cui chiedono al governo tra le altre cose di “rafforzare l’indipendenza della Nabu e del Sapo (la Procura specializzata anti-corruzione, ndr) e proteggere la loro giurisdizione da elusioni e influenze indebite“, “condurre una revisione completa della procedura di selezione e revoca del Procuratore generale” e “adottare una legge (…) per garantire un processo di selezione, nomine e trasferimenti trasparenti e basati sul merito per i magistrati che ricoprono posizioni dirigenziali e altre posizioni nell’ufficio del Procuratore generale”. La richiesta rientra nell’ampio contesto di riforme chieste a Kiev nella lotta alle tangenti, che Bruxelles considera fondamentale per l’adesione dell’Ucraina all’Ue. Ma è anche un atto d’accusa e un avviso di sfratto per Kravchenko. Poco dopo la Procura generale si arrocca: “Le informazioni diffuse da alcuni canali Telegram riguardo alla presunta presentazione delle dimissioni da parte di Ruslan Kravchenko sono false – dice l’ufficio in una nota – Il Procuratore Generale non ha presentato alcuna richiesta di dimissioni”. Quindi l’avvertimento firmato da Krevchenko in persona: “Verrò a prendervi di persona uno a uno”. L'articolo L’Ue tenta di “contenere” Zelensky: “Serve più trasparenza nella nomina del procuratore”. Chi è Kravchenko, uomo del presidente che fa la guerra all’Anti-corruzione proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Far entrare l’Ucraina nell’Ue segnerà l’inizio della nostra guerra con la Russia
di Francesco Valendino C’è qualcosa di davvero commovente nell’ottimismo dei nostri eurocrati. Mentre l’economia tedesca affonda, la Francia è politicamente paralizzata e i governi europei cadono come birilli, a Bruxelles hanno trovato la soluzione a tutto: imbarcare l’Ucraina nell’Unione Europea entro il 1° gennaio 2027. Non un giorno di più. La notizia, spifferata dal Financial Times, svela l’ultima genialata partorita sull’asse Kiev-Bruxelles per ingraziarsi il nuovo padrone, Donald Trump. Il piano è semplice e, come tutte le cose semplici pensate dai complessi burocrati europei, demenziale: offriamo a The Donald una via d’uscita. Lui non deve spendere più un dollaro per Zelensky, e in cambio noi ci accolliamo la ricostruzione, i debiti e la difesa di un Paese in guerra, facendolo entrare nell’Ue a tempo di record. Siamo di fronte al capolavoro dell’ipocrisia. Per decenni, la solenne Commissione Europea ci ha fatto una testa così con il “merito”. La Turchia aspetta dal secolo scorso, i Balcani occidentali sono in sala d’attesa da vent’anni, costretti a misurare la curvatura delle banane e a riformare i codici civili fino all’ultima virgola per aprire mezzo capitolo negoziale. Per l’Ucraina, invece, vale il telepass. Dei 36 capitoli negoziali necessari – che richiedono riforme strutturali ciclopiche in un Paese che, prima dell’invasione russa, Transparency International classificava come il più corrotto d’Europa dopo la Russia – Kiev non ne ha chiuso nemmeno uno. Ma che importa? Quando la geopolitica chiama, lo Stato di diritto risponde: “Obbedisco”. La parte più esilarante, però, è il metodo. Per far passare questa follia serve l’unanimità, e c’è quel guastafeste di Viktor Orban che continua a dire niet. E qui i nostri atlantisti “de sinistra”, quelli che dipingono Trump come il nuovo Hitler, a chi si affidano? A Trump stesso. Il piano prevede che sia il tycoon americano a torcere il braccio all’amico Orban per costringerlo a dire sì. Siamo al cortocircuito: l’Europa “dei valori” prega il mostro arancione di usare metodi da gangster per violare le proprie regole interne. Ma c’è un dettaglio che i nostri strateghi da aperitivo fingono di ignorare. L’articolo 42.7 del Trattato dell’Unione Europea. È la clausola di mutua difesa, che è persino più vincolante dell’articolo 5 della Nato: obbliga gli Stati membri a prestare aiuto “con tutti i mezzi in loro potere” a chi viene aggredito. Traduzione per i non addetti ai lavori: se l’Ucraina entra nell’Ue mentre è in guerra o in una tregua armata, e Putin spara un petardo oltre il confine, l’Italia, la Francia e la Germania sono giuridicamente in guerra con la Russia. Ecco il vero “piano di pace”: trasformare un conflitto locale in una guerra continentale automatica. E tutto questo viene venduto come un compromesso. Mosca, ci dicono, dovrebbe accettare di buon grado. Peccato che al Cremlino sappiano leggere i trattati meglio di Von der Leyen. Offrire alla Russia un’Ucraina nell’Ue ma fuori dalla Nato è come offrire a un diabetico una torta alla panna dicendogli che è senza zucchero perché sopra non c’è la ciliegina. La perseveranza è una virtù, ma l’idiozia è un vizio. E a Bruxelles sembrano averne fatto una dottrina politica. IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA” POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ – MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI! L'articolo Far entrare l’Ucraina nell’Ue segnerà l’inizio della nostra guerra con la Russia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Asset russi congelati, per usarli è determinante l’ultimo Consiglio Ue dell’anno. Ma l’Europa si presenta sgretolata
Lo hanno presentato come un Consiglio europeo decisivo per il futuro sostegno dell’Ue all’Ucraina, nel quale si cercherà un’intesa da chiudere prima della pausa natalizia. Ma al vertice tra i 27 capi di Stato e di governo del 15-19 dicembre che porta sul tavolo il delicatissimo tema dell’utilizzo degli asset russi congelati a garanzia del prestito per sostenere Kiev, l’Unione europea arriva di nuovo sgretolata. Da settimane, i vertici di Bruxelles ostentano ottimismo: si lavora senza sosta, dicono, esiste una “larga maggioranza“, aggiungono sostenendo che si percepiscono segnali positivi in vista del summit. Ma tra chi da anni ormai si oppone a un ulteriore inasprimento dei rapporti con la Russia, chi teme di incorrere in richieste di risarcimento plurimiliardarie e chi non può ignorare la posizione contraria degli Stati Uniti, tenere insieme i pezzi della cristalleria Bruxelles richiederà l’ennesimo sforzo diplomatico. “ANDRÀ TUTTO BENE” Fino a oggi, la strategia della Commissione Ue è stata quella dell’ostentare ottimismo. A veicolare questo messaggio ha pensato più volte la portavoce della Commissione, Paula Pinho, che ha spiegato alla stampa come sull’uso degli asset russi immobilizzati per il sostegno all’Ucraina la Commissione Ue con gli Stati membri sta cercando “di fare quanti più progressi possibili sui vari elementi del pacchetto, in modo che una soluzione possa essere trovata al Consiglio europeo”. In quella direzione si sono spesi anche alti esponenti delle istituzioni Ue, come il presidente del Consiglio Antonio Costa: “Credo che siamo molto vicini a trovare una soluzione – ha dichiarato – Per me è certo che il 18 dicembre prenderemo una decisione. Ma, se necessario, continueremo il 19 o il 20 dicembre, fino a raggiungere una conclusione positiva”. Posizione condivisa anche dal commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, che l’11 dicembre assicurava: “Stiamo lavorando molto da vicino con le autorità belghe per affrontare le preoccupazioni che esse hanno. E, in effetti, direi che abbiamo fatto davvero grandi passi per rispondere”. L’EUROPA SGRETOLATA Tutto bene, quindi? Nemmeno per sogno. Il primo ostacolo sono i soliti due Paesi contrari all’inasprimento di qualsiasi misura sanzionatoria nei confronti della Russia: l’Ungheria e la Slovacchia. Da Bratislava, il premier Robert Fico ha fatto sapere che non sosterrà alcuna soluzione che finanzi le spese militari dell’Ucraina: “La Slovacchia non prenderà parte a piani che non fanno altro che prolungare le sofferenze e le uccisioni“, ha affermato precisando di conseguenza che non sosterrà “alcuna soluzione che comprenda la copertura delle spese militari dell’Ucraina per i prossimi anni”. E l’utilizzo dei beni russi congelati, ha spiegato, “può minacciare direttamente gli sforzi di pace degli Usa che prevedono proprio l’utilizzo di tali risorse per la ricostruzione dell’Ucraina”. Anche il Paese guidato da Viktor Orban si è detto contrario. Budapest ha votato, proprio come la Slovacchia, contro l’eliminazione del rinnovo semestrale degli strumenti sanzionatori nei confronti della Russia, scelta che li ha resi di fatto a tempo indeterminato. Poi, dopo l’approvazione con larga maggioranza, ha commentato la scelta affermando che “oggi a Bruxelles si attraversa il Rubicone. La votazione causerà danni irreparabili all’Unione. Bruxelles abolisce il requisito dell’unanimità con un solo colpo di penna, il che è chiaramente illegale“. Se si trattasse dei ‘soliti noti’ Ungheria e Slovacchia il problema sarebbe aggirabile: se al voto sul prestito di riparazione garantito dagli asset russi si ripresentasse l’opposizione di Budapest e Bratislava, si potrebbe comunque procedere con la maggioranza qualificata che richiede l’ok di almeno 15 Stati membri e del 65% della popolazione totale. I contrari, però, questa volta sono molti di più. In primis va tenuta in considerazione soprattutto la posizione del Belgio che il 10 dicembre ha minacciato azioni legali nel caso in cui venisse approvato l’uso degli asset russi congelati come garanzia per il prestito all’Ucraina. Il motivo è semplice: nel piccolo Paese europeo sono conservati, attraverso Euroclear, la stragrande maggioranza dei beni in questione, ben 185 miliardi sui 210 totali. Un ricorso legale di chi deteneva gli asset prima delle sanzioni esporrebbe Bruxelles a un maxi-rimborso che, hanno spiegato dall’esecutivo belga, per il Paese significherebbe “la bancarotta“. Una posizione dura espressa non da un Paese ‘ribelle’, ma da uno solitamente allineato alle posizioni della maggioranza degli Stati europei. Tanto che anche il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha dichiarato quanto fosse importante che tutti gli Stati membri condividessero le responsabilità economiche per alleggerire il carico che pesa sulle spalle del Belgio. Negli ultimi giorni, il clima tra il governo di Bruxelles e le istituzioni Ue sembra essere un po’ più disteso, segno che le parti stanno trattando e che un punto d’incontro non è un’utopia. Se si parla di condivisione dei rischi economici, però, ci sono altri Paesi che hanno espresso più di una perplessità. La Francia, che detiene circa 19 miliardi di asset russi congelati, ha chiesto che quelli sul suo territorio venissero esclusi dal conteggio di quelli utilizzabili come garanzia per il prestito di sostegno a Kiev. E a dichiararsi molto dubbiosi sono stati anche Bulgaria, Malta e persino l’Italia. La posizione del governo Meloni è stata chiarita dai due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. “L’Europa prima non c’era, ora mi sembra che stia boicottando il processo di pace, forse perché Macron, Starmer e altri leader sono in difficoltà in casa loro e quindi devono portare all’esterno i problemi francesi e inglesi. Ma noi non siamo in guerra contro la Russia e non voglio che i miei figli entrino in guerra contro la Russia – ha dichiarato il leader leghista – Fa bene il governo italiano a tenere una linea di prudenza“. Tajani ha invece sollevato dubbi di tipo legale: “Noi abbiamo approvato la proposta di congelare gli asset russi. Ma questo non è un passaggio automatico sull’utilizzo di questi asset congelati per finanziare l’Ucraina, noi abbiamo serie perplessità dal punto di vista giuridico. Se fosse evitato qualsiasi dubbio giuridico si potrebbero utilizzare anche i beni congelati”. Anche con il ‘no’ di questi Paesi, la mossa potrebbe essere approvata, dato che a favore resterebbero 21 Paesi e oltre il 79% della popolazione. Lo stesso anche con l’opposizione della Repubblica Ceca che per ultima, con il neoeletto primo ministro Andrej Babis, ha dichiarato che “ogni corona ceca è necessaria per i nostri cittadini, non per altri Stati”, invitando la Commissione a trovare “un altro modo” per finanziare Kiev. DIALOGO O SCONTRO? Alla maggioranza del Consiglio Ue resta quindi da decidere se arrivare a una decisione la più condivisa possibile o a una sua imposizione in nome della rapidità d’azione. Col rischio di frantumare i già precari equilibri interni all’Ue. Lo stesso Dombrovskis sembra non avere le idee chiare a riguardo. Quando gli è stato chiesto se il finanziamento può essere deciso anche senza il via libera del Belgio, ha risposto: “Non entrerei in scenari ipotetici. Stiamo lavorando con gli Stati membri. Stiamo lavorando molto seriamente, come ho detto, per affrontare le preoccupazioni che il Belgio ha, e spero che riusciremo a trovare una via da seguire”. Dietro la riluttanza di alcuni Stati membri, oltre agli interessi particolari, c’è anche la pressione esercitata dagli Stati Uniti che si sono dichiarati fermamente contrari all’utilizzo dei beni russi congelati a garanzia del prestito all’Ucraina, ritenendola una mossa ostile nei confronti di Mosca. E certamente Washington avrà fatto pressione sulle cancellerie amiche, tanto che anche Costa ha criticato apertamente l’azione di Washington: “Non possiamo accettare le interferenze degli Usa, un alleato rispetta la politica interna del partner”. Resta il fatto che l’Europa, ad oggi, appare più frammentata che mai e che prendere una decisione così determinante per il futuro economico dell’Unione e per le sue strategie di supporto all’Ucraina affidandosi solo alla maggioranza qualificata rischia di creare una frattura gigante tra i 27 Stati membri. C’è tempo fino al 20 dicembre per arrivare a una soluzione diplomatica, altrimenti Bruxelles si troverà di nuovo a un bivio: ritardare la decisione e aprire a nuove strategie o forzare la mano e rischiare di spaccare l’Ue in nome del nuovo whetever it takes in salsa ucraina. X: @GianniRosini L'articolo Asset russi congelati, per usarli è determinante l’ultimo Consiglio Ue dell’anno. Ma l’Europa si presenta sgretolata proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Cacciari scuote Coldiretti: “Se l’Europa pensa che Putin sia il nuovo Hitler, si riarmi pure. Ma abbia il coraggio di dimostrarlo”
All’assemblea nazionale di Coldiretti, l’intervento di Massimo Cacciari viene accolto da applausi ripetuti e non rituali. Non è una lectio accademica, ma una requisitoria politica che tocca nervi scoperti dell’Europa contemporanea, con la guerra in Ucraina come epicentro di una crisi che, secondo il filosofo, non è solo militare o geopolitica, ma prima di tutto democratica. Cacciari parte dalla struttura dell’Unione europea e ne denuncia lo svuotamento politico: “Si parla della Commissione von der Leyen, ma di fatto quello che dirige la baracca è l’apparato tecnocratico e burocratico: sono i funzionari, sono quelli che fanno i dossier, che preparano le strategie, sono loro più che i membri politici della Commissione”. È qui, sottolinea, che si consuma “un deficit totale di democratizzazione degli organismi della Comunità europea”. Il Parlamento europeo appare “sempre più fantasma”, la Commissione “non ha nessuna diretta legittimazione democratica” e funziona “di fatto da esecutivo”, mentre le decisioni finali restano in mano agli Stati, in un sistema che a 27 membri rende “impossibile ogni decisione”. Questo quadro, già fragile, viene aggravato drammaticamente dalla scelta europea sulla guerra. Cacciari usa un’espressione che colpisce la platea: l’Europa ha deciso “di andare alla guerra da sola”. Il paradosso è evidente: “Ormai è chiaro come il sole che gli Stati Uniti non ritengono più di avere il nemico da questa parte”, perché sanno bene che “la Russia non rappresenta più nessun reale pericolo, almeno per loro”. La competizione strategica americana, insiste, “si è spostata tutta sul fronte dell’Oceano Pacifico” e il messaggio agli alleati europei è netto: “Volete fare la guerra? Fatevela per conto vostro”. Le conseguenze sono immediate e pesanti: “Questo significa che le nostre spese già decise per il riarmo assorbiranno sempre di più le poche risorse che abbiamo per welfare, per solidarietà, per tutte le politiche sociali ed economiche che ci servirebbero”. La guerra in Ucraina, così come viene gestita dall’Europa, diventa il simbolo di una scelta che sacrifica la coesione sociale sull’altare della militarizzazione, senza una vera discussione politica e senza un mandato democratico chiaro. Cacciari non nega che l’Europa sia necessaria, anzi ribadisce il contrario: “Possiamo fare a meno dell’Europa? No, l’Europa ci è sempre più necessaria perché è l’unica dimensione all’interno della quale possiamo svolgere politiche di sviluppo”. Ma la domanda cruciale resta sospesa: “È possibile ancora, nella situazione in cui ci troviamo?”. La sua risposta è radicale e spiazzante per il sistema politico tradizionale: la ricostruzione dell’unità europea non può partire dai partiti, ma dai corpi intermedi. “È possibile soltanto che i corpi intermedi europei, e non i partiti, le rappresentanze dei grandi interessi economici, produttivi, a partire dalla Coldiretti stessa o da organismi simili, da lì riparte un discorso di ricostruzione dell’unità politica ed economica europea”. Solo così, sostiene, può avviarsi “un processo di ridemocratizzazione dell’Unione Europea”. Il giudizio sulla classe politica continentale è impietoso. “Ma in tutta l’Europa ci rendiamo conto della forza presunta di questa leadership europea?”, chiede provocatoriamente. Macron, osserva, “se domani si va a votare prenderebbe il 15%, forse neanche”; Merz “ha il fiato al collo addirittura di neonazisti”. Il paradosso, aggiunge, è che “obiettivamente il leader più forte è la Meloni”, l’unica che conserverebbe una legittimazione elettorale immediata. “Siamo in una situazione disperante dal punto di vista della rappresentatività dei partiti e delle forze politiche e questo non è una buona notizia per la democrazia”, perché “la democrazia non c’è senza partiti, è conflitto e competizione tra forze politiche organizzate”. Quando la moderatrice Monica Giandotti chiede se la Russia possa rappresentare un problema per l’Europa, la risposta di Cacciari è ironica e tagliente: “Certo, se pensiamo che Putin abbia in testa di invadere l’Europa, è giusto riarmarsi, anzi non basteranno certamente 100 miliardi, dovremmo dotarci magari anche di un arsenale atomico adeguato”. Ma il filosofo chiede chiarezza politica. Se la leadership europea sostiene che la Russia non si ferma a Donbass, Crimea e Ucraina, ma ha “una volontà di potenza continentale”, allora lo dica apertamente. “Se mi dicono che dall’altra parte dell’Ucraina non c’è Putin ma c’è Hitler, va bene, ottimo, ma me lo devono dire nero su bianco”. In assenza di questa verità esplicita, per Cacciari l’Europa tradisce se stessa e i suoi fondamenti costituzionali. Ricorda che gli statisti europei avevano inscritto nelle Costituzioni, “tra cui quella italiana, articolo 11”, un’idea precisa: l’Europa non come centro egemonico del mondo, ma come spazio di mediazione. “Capivamo di essere stati detronizzati come grande potenza globale, però potevamo svolgere una funzione fondamentale di intermediazione, di compromesso, di dialogo tra le diverse potenze”. Questa era, e dovrebbe essere, la funzione europea: “l’elemento di rapporto, di dialogo tra mondo mediterraneo, Maghreb, continente sub-sahariano, Medio Oriente, Russia, Stati Uniti”. La guerra in Ucraina è la conferma di una rottura storica, che Cacciari fa risalire a una data precisa: “Tutto cambia quando c’è un momento cruciale, l’11 settembre 2001”. Da lì partono le guerre e l’Europa “comincia a cambiare natura sui principi fondamentali di pace, di solidarietà”. A determinare questo slittamento è soprattutto “il crescente strapotere delle grandi corporazioni”, dall’informazione alle tecnologie, dalla farmaceutica all’agricoltura, “una dozzina di soggetti fondamentali che stanno inglobando in sé ogni forma politica”. Anche i tecnocrati più avvertiti, riconosce Cacciari, ne sono consapevoli: “Mario Draghi queste cose le sa perfettamente”. Sa che l’annichilimento della politica produce disastri, perché “conflitti sociali, disuguaglianze” non possono essere affrontati dal solo punto di vista dell’interesse economico o tecnico-finanziario. Ma i tecnocrati “non hanno nessun modo di affrontare la questione, perché il loro linguaggio, la loro cultura è quella”. Per questo, conclude tra nuovi applausi, la responsabilità ricade su altri soggetti: “Sta a noi, sta in particolare nella crescita di dimensione politica e di forza politica dei corpi intermedi”. È da lì, insiste Cacciari, che può ancora nascere un’Europa capace di parlare di pace e di democrazia mentre rischia di perderne la sostanza. L'articolo Cacciari scuote Coldiretti: “Se l’Europa pensa che Putin sia il nuovo Hitler, si riarmi pure. Ma abbia il coraggio di dimostrarlo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Fazzolari: “Decreto Armi ci sarà e se bisogna parlare dei negoziati (come vuole la Lega) si farà”
“Il decreto armi ci sarà e se bisogna parlare anche, giustamente, di lavorare per la Pace, si farà perché è sempre l’intenzione del governo”. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, dopo aver partecipato ad un dibattito ad Atreju risponde ad alcune domande de ilfattoquotidiano.it Il braccio destro di Giorgia Meloni, di fatto, conferma quanto anticipato da Il Fatto Quotidiano in edicola oggi. La Lega non si opporrà al decreto che proroga la possibilità di inviare armi all’Ucraina per tutto il 2026. Il compromesso consisterà nell’inserire al testo che darà avvio a nuovi aiuti militari il riferimento ai negoziati firmati Donald Trump. Fazzolari poi glissa sul vicepresidente del Consiglio e Ministro del governo Meloni, Matteo Salvini, che parla di ‘guerra persa’ da parte dell’Ucraina. “La cosa importante è che il governo è sempre molto coeso sia a livello interno sia a livello internazionale. Non c’è mai stata distinzione di posizione – continua il sottosegretario – e questa è l’unica cosa importante. Dopodiché io sono convinto che l’Ucraina abbia già vinto questa guerra a prescindere da come finirà perché qualunque osservatore internazionale era certo che l’Ucraina sarebbe stata interamente invasa nel giro di poche settimane. La storia racconterà di questa incredibile vittoria ucraina”. Quindi Salvini sbaglia? “No ma Salvini stava parlando di un contesto generale – risponde Fazzolari – per me in Ucraina si arriverà ad una soluzione di pace e l’Ucraina vivrà in una situazione di piena sovranità ed indipendenza e sarà stata una vittoria storica, incredibile e della quale si parlerà a lungo”. Con delle concessioni di territori da parte di Kiev? “Questo possono deciderlo solo gli ucraini e si vedrà come si arriverà. Credo – conclude – che primo o poi si arriverà ad un congelamento della linea del fronte, ma questo non perché qualcuno lo ha deciso ma purtroppo sarà l’esito della guerra”. L'articolo Fazzolari: “Decreto Armi ci sarà e se bisogna parlare dei negoziati (come vuole la Lega) si farà” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Mattarella: “Non può evocare la pace chi muove la guerra. Medio Oriente, soluzione dei 2 Stati unica possibile”
“Il principio non può essere muovere guerra per fare la pace: è paradossale. Appare insensata la pace evocata da parte di chi, muovendo guerra, pretende in realtà di imporre le proprie condizioni”. Nel momento in cui sono in corso i colloqui per la tregua in Ucraina, la frase pronunciata da Sergio Mattarella ha più di un significato. Il riferimento del presidente della Repubblica, intervenuto durante la cerimonia dello scambio degli auguri di fine anno con il corpo diplomatico, non è diretto anche se in tanti avranno pensato alla Russia. E in effetti il capo dello Stato ha poi citato direttamente Mosca. “Un protagonista della comunità internazionale, la Federazione Russa, ha, sciaguratamente, scelto di travolgere questo percorso ripristinando, con la forza, l’antistorica ricerca di zone di influenza, di conquista territoriale, di crudele prepotenza delle armi”, ha detto Mattarella. “Le generazioni globali che lottarono contro il nazifascismo in Europa, contro il colonialismo, contro i totalitarismi per rivendicare libertà e diritti, spesso anche a costo della vita, ricercando un progetto di collaborazione sfociato nella creazione dell’Onu – il più ambizioso tentativo nella storia dell’umanità di dare una cornice di regole alle relazioni internazionali – rischiano di vedere infranti, oggi, i loro sacrifici”, ha aggiunto il capo dello Stato, spiegando che “un sistema, costruito per assicurare garanzie di pace e di convivenza – riflesso di equilibri lungamente discussi e negoziati – entra in crisi quando qualche protagonista della vita internazionale lo infrange, ritenendo che non sia più funzionale alla prevalenza dei propri interessi, talvolta ondivaghi, e che questi debbano prevalere sui valori condivisi e sulle esigenze degli altri Paesi. Entra in crisi quando si accampano presunte – e spesso fallaci – esigenze di sicurezza per alterare la bilancia strategica”. Mattarella ha poi ribadito quanto detto davanti al Bundestag, il Parlamento tedesco. “Il controllo della corsa agli armamenti, in particolare di armi di distruzione definitiva, come quelle nucleari, aveva conosciuto risultati significativi. Nel contesto attuale, si rende necessario ribadire con forza che l’uso o anche la sola concreta minaccia di introdurre nei conflitti armamenti nucleari appare un crimine contro l’umanità”. Quindi ha ricordato che questo “è. il quarto Natale di guerra per il popolo ucraino. Si moltiplicano gli attacchi russi alle città e alle infrastrutture energetiche e civili. Le vittime civili sono sempre più numerose. L’Europa e l’Italia restano saldamente al fianco dell’Ucraina e del suo popolo, con l’obiettivo di una pace equa, giusta e duratura, rispettosa del diritto internazionale, dell’indipendenza, della sovranità, dell’integrità territoriale, della sicurezza ucraine”. Il presidente della Repubblica è tornato a difendere l’Unione Europea, definita come “una delle più riuscite esperienze di pace tra i popoli e di democrazia, è nata e si è ampliata nella costante ricerca della pace, ripeto, e della libertà, garantite, nel proprio ambito, in base a Trattati liberamente stipulati dai popoli europei; che ne hanno ricavato diritti e benessere. La storia insegna che, nei rapporti internazionali, dinamiche puramente bilaterali pongono il più debole alla mercé del più forte. Non è accettabile la pretesa che quelle dinamiche tornino a essere la misura dei rapporti tra popoli liberi”. Parlande dell’Ue, Mattarella ha sottolineato: “La libera condivisione di principi e di norme non è una gabbia che costringe, ma un sostegno che tutela, soprattutto i più deboli. Non sorprende che vengano contestate da corporazioni internazionali che si espandono pretendendo di non dover osservare alcuna regola: questa non sarebbe libertà ma arbitrio”. L’inquilino del Quirinale ha poi rivolto il suo pensiero anche “al destino dei popoli del Medio Oriente. A quello della Striscia di Gaza, martoriata per due anni da inumana violenza, innescata dalla barbarie di Hamas e alimentata da una lunga guerra. Si sono aperti spiragli importanti: molto resta ancora da fare per consolidare il cessate il fuoco ed evitare che si dissolva, per ripristinare pienamente gli aiuti umanitari a una popolazione stremata, per avviare la ricostruzione”. L’auspicio del capo dello Stato “resta quello di vedere affermarsi nella regione mediorientale pace e stabilità. Questi traguardi non possono prescindere dalla pacifica coesistenza, nella sicurezza, dei popoli israeliano e palestinese, nella cornice della soluzione a due Stati, che occorre sostenere e difendere da qualsiasi tentativo di comprometterne la praticabilità. Non ve ne sono altre”. L'articolo Mattarella: “Non può evocare la pace chi muove la guerra. Medio Oriente, soluzione dei 2 Stati unica possibile” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Attacchi hacker al traffico aereo e interferenze nelle elezioni federali del 2025, le accuse di Berlino: “Sono opera del servizio segreto militare di Mosca”
Lo scorso anno un attacco informatico al controllo del traffico aereo a opera del collettivo di hacker APT28 e del GRU, l’agenzia di intelligence militare. Che a febbraio, poi, avrebbe tentato di influenzare le elezioni federali attraverso una campagna chiamata “Storm 1516”. Sono le due accuse mosse alla Russia dal Bundesregierung, il governo federale tedesco, che ha annunciato la convocazione di Sergei Netchajew, l’ambasciatore di Mosca a Berlino. Il portavoce del ministero, Martin Giese, ha dichiarato che l’attacco informatico contro la Deutsche Flugsicherung (l’ente che monitora la sicurezza dei voli) avvenuto nell’agosto 2024 è stato identificato e attribuito con chiarezza all’hacker collettivo noto come “Fancy Bear” e riconducibile al servizio segreto militare. “Le prove raccolte dai nostri servizi di intelligence – ha detto Giese – mostrano che il GRU è responsabile di questo attacco”. Nel pieno delle trattative per il cessate il fuoco in Ucraina e delle trattative in seno all’Ue per l’utilizzo degli asset russi congelati in Europa per continuare a finanziare la difesa di Kiev, Berlino punta il dito contro Mosca e collega il cyberattacco alla Flugsicherung alle più ampie attività di guerra ibrida da tempo attribuite alla Russia. Già in passato APT28 e GRU sono stati ricollegati a intrusioni informatiche globali, tra cui quelle avvenute durante le elezioni americane del 2016, quando furono accusati di aver aiutato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump facendo trapelare le email del Partito Democratico. Per Giese il gruppo hacker e l’intelligence militare di Mosca non sono autori di episodi isolati, ma di una serie di operazioni che includono spionaggio, cyberattacchi, sabotaggi e campagne di disinformazione volte a danneggiare la sicurezza tedesca e la fiducia nelle istituzioni democratiche. Il governo ha affermato inoltre che la campagna di influenza “Storm 1516” è parte di un tentativo concertato di interferire e destabilizzare la politica interna tedesca, incluse le elezioni federali anticipate del 23 febbraio 2025. “L’analisi effettuata dai nostri servizi – ha detto il portavoce – mostra che la campagna diffonde ricerche pseudo-investigative generate artificialmente, sequenze di immagini deepfake, siti web pseudo-giornalistici e testimonianze inventate su varie piattaforme” utilizzati “per creare sfiducia e divisione sociale”. Le informazioni raccolte dalle agenzie di sicurezza indicano che l’operazione “Storm 1516” ha preso di mira specificamente figure della politica tedesca, tra cui il candidato di spicco dei Verdi, Robert Habeck, e il futuro cancelliere candidato della Unione Cristiano-Democratica, Friedrich Merz, attaccandoli con contenuti falsi e campagne mirate sui social media. Due giorni prima delle elezioni, le autorità avevano già segnalato la diffusione di video falsi che avevano lo scopo di suggerire manipolazioni nei risultati delle urne, come parte di un’operazione di disinformazione più ampia. Per Giese le attività russe non si limitano alla guerra in Ucraina, ma includono tentativi di minare la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni democratiche in Germania e in Europa. Berlino ha annunciato che misure di ritorsione e contromisure verranno adottate in coordinamento con i partner europei e della Nato. “Il governo tedesco – ha concluso il portavoce – condanna con la massima fermezza i ripetuti e inaccettabili attacchi da parte di attori russi controllati dallo Stato.” L'articolo Attacchi hacker al traffico aereo e interferenze nelle elezioni federali del 2025, le accuse di Berlino: “Sono opera del servizio segreto militare di Mosca” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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