“Siamo più vicini che mai” alla fine della guerra in Ucraina. Lo ha detto il
presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nello Studio Ovale alla Casa Bianca,
dopo il nuovo round di trattative e dopo aver parlato con il suo omologo ucraino
Volodymyr Zelensky e con una serie di leader europei. “Stiamo ricevendo un
enorme sostegno dai leader europei. Vogliono che finisca”, ha detto Trump
sottolineando che gli Usa hanno avuto numerose conversazioni con il presidente
russo Vladimir Putin. “Dobbiamo mettere tutti sulla stessa pagina”, ha aggiunto
il presidente americano ribadendo di voler mettere fine alle morti causate dalla
guerra.
L'articolo Trump: “Vicini come non mai alla fine della guerra tra Russia e
Ucraina” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L'articolo Ucraina, Zelensky: “Non riconosceremo il Donbass come territorio
russo”. Mosca: “Presa Kupyansk. Siamo vicini a un accordo” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“Non ho presentato e non presenterò le dimissioni”. Il post pubblicato venerdì
su Telegram dal Procuratore generale Ruslan Kravchenko ha il tono
dell’avvertimento: “Conosco tutti coloro che stanno lavorando contro di me e
contro la procura. E’ inutile che vi nascondiate, verrò a prendervi di persona
uno a uno“. E’ solo l’ultima puntata dello scontro in atto tra la Procura
generale e l’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) titolare dell’inchiesta
sulle tangenti per 100 milioni di dollari che ruota attorno a Timur Mindich, ex
socio del presidente Volodymyr Zelensky. Una minaccia lanciata nelle stesse ore
in cui dall’Ue è arrivata una nuova bocciatura sul modo in cui il governo
gestisce la lotta alle mazzette: Kiev deve proteggere la Nabu da “indebite
influenze” e nominare “in maniera più trasparente” il Procuratore generale.
Per capire cosa sta accadendo bisogna partire dai protagonisti e dalle date
della vicenda. Kravchenko, già procuratore militare e capo del Servizio Fiscale
Ucraino, viene nominato Procuratore generale su indicazione di Zelensky il 21
giugno 2025. In quel momento è già noto che la Nabu sta indagando su Oleksiy
Chernyshov, figura di primo piano dell’élite governativa, che il 23 giugno viene
formalmente accusato di essere stato corrotto con uno sconto da 297mila euro su
un immobile. Chernyshov è un pezzo grosso. Ministro dello Sviluppo delle
Comunità e dei Territori, è anche vicepremier ed è molto vicino a Zelensky: le
loro famiglie si frequentano, in una foto pubblicata dall’Ukrainska Pravda i due
si troverebbero insieme per le feste del Natale 2022.
Appena un mese dopo, il 21 luglio, Kravchenko invia i Servizi di sicurezza
interni (SBU) negli uffici della Nabu. L’operazione è senza precedenti, perché
quest’ultima non ricade sotto la giurisdizione della Procura generale ma è
un’agenzia indipendente, pilastro delle riforme anticorruzione chieste dall’Ue.
Gli agenti sequestrano materiale su diverse indagini e arrestano due
investigatori: Ruslan Maghamedrasulov e Viktor Husarov. Il primo è un nome
importante perché è il capo dell’unità investigativa dell’ente. “L’alto
funzionario – rende noto l’SBU su Telegram – (…) ha agito come intermediario
nella vendita di lotti di canapa industriale di suo padre alla Federazione
Russa. Sono inoltre in corso verifiche relative ai contatti di Maghamedrasulov
con i servizi segreti russi e al trasferimento di informazioni segrete a questi
ultimi”. Un traditore, insomma, che merita la galera. Ciò che il 21 luglio gli
ucraini ancora non sanno è che Maghamedrasulov aveva avuto un ruolo centrale
nell’inchiesta “Midas”, come confermato dalla stessa Nabu a novembre quando
l’indagine viene alla luce. Ventiquattro ore dopo, il 22 luglio, Zelensky firma
una legge che mette la Nabu sotto la giurisdizione del Procuratore generale, ma
minacciando il taglio di diversi programmi di finanziamento l’Ue gli fa fare
dietrofront.
Il 3 dicembre l’aria per Kravcenko inizia a cambiare. La Corte d’Appello di Kiev
dispone la scarcerazione di Maghamedrasulov perché le prove presentate dalla
Procura generale sono insufficienti. Immediata si scatena la bufera politica:
“L’intero sistema è profondamente imperfetto e richiede un intervento urgente,
soprattutto attraverso modifiche legislative”, attacca Anastasia Radina,
presidente della Commissione anticorruzione del parlamento. Il 10 dicembre
arriva il secondo ko per Kravchenko: il tribunale alleggerisce anche la
posizione di Husarov, che dal carcere va ai domiciliari.
Ma il colpo più duro arriva l’11 dicembre. Al termine della riunione dei
ministri per gli Affari europei a Leopoli, la Commissaria per l’allargamento
Marta Kos e il vicepremier ucraino Taras Kachka firmano un comunicato congiunto
in cui chiedono al governo tra le altre cose di “rafforzare l’indipendenza della
Nabu e del Sapo (la Procura specializzata anti-corruzione, ndr) e proteggere la
loro giurisdizione da elusioni e influenze indebite“, “condurre una revisione
completa della procedura di selezione e revoca del Procuratore generale” e
“adottare una legge (…) per garantire un processo di selezione, nomine e
trasferimenti trasparenti e basati sul merito per i magistrati che ricoprono
posizioni dirigenziali e altre posizioni nell’ufficio del Procuratore generale”.
La richiesta rientra nell’ampio contesto di riforme chieste a Kiev nella lotta
alle tangenti, che Bruxelles considera fondamentale per l’adesione dell’Ucraina
all’Ue. Ma è anche un atto d’accusa e un avviso di sfratto per Kravchenko.
Poco dopo la Procura generale si arrocca: “Le informazioni diffuse da alcuni
canali Telegram riguardo alla presunta presentazione delle dimissioni da parte
di Ruslan Kravchenko sono false – dice l’ufficio in una nota – Il Procuratore
Generale non ha presentato alcuna richiesta di dimissioni”. Quindi
l’avvertimento firmato da Krevchenko in persona: “Verrò a prendervi di persona
uno a uno”.
L'articolo L’Ue tenta di “contenere” Zelensky: “Serve più trasparenza nella
nomina del procuratore”. Chi è Kravchenko, uomo del presidente che fa la guerra
all’Anti-corruzione proviene da Il Fatto Quotidiano.
di Francesco Valendino
C’è qualcosa di davvero commovente nell’ottimismo dei nostri eurocrati. Mentre
l’economia tedesca affonda, la Francia è politicamente paralizzata e i governi
europei cadono come birilli, a Bruxelles hanno trovato la soluzione a tutto:
imbarcare l’Ucraina nell’Unione Europea entro il 1° gennaio 2027. Non un giorno
di più.
La notizia, spifferata dal Financial Times, svela l’ultima genialata partorita
sull’asse Kiev-Bruxelles per ingraziarsi il nuovo padrone, Donald Trump. Il
piano è semplice e, come tutte le cose semplici pensate dai complessi burocrati
europei, demenziale: offriamo a The Donald una via d’uscita. Lui non deve
spendere più un dollaro per Zelensky, e in cambio noi ci accolliamo la
ricostruzione, i debiti e la difesa di un Paese in guerra, facendolo entrare
nell’Ue a tempo di record.
Siamo di fronte al capolavoro dell’ipocrisia. Per decenni, la solenne
Commissione Europea ci ha fatto una testa così con il “merito”. La Turchia
aspetta dal secolo scorso, i Balcani occidentali sono in sala d’attesa da
vent’anni, costretti a misurare la curvatura delle banane e a riformare i codici
civili fino all’ultima virgola per aprire mezzo capitolo negoziale. Per
l’Ucraina, invece, vale il telepass. Dei 36 capitoli negoziali necessari – che
richiedono riforme strutturali ciclopiche in un Paese che, prima dell’invasione
russa, Transparency International classificava come il più corrotto d’Europa
dopo la Russia – Kiev non ne ha chiuso nemmeno uno. Ma che importa? Quando la
geopolitica chiama, lo Stato di diritto risponde: “Obbedisco”.
La parte più esilarante, però, è il metodo. Per far passare questa follia serve
l’unanimità, e c’è quel guastafeste di Viktor Orban che continua a dire niet. E
qui i nostri atlantisti “de sinistra”, quelli che dipingono Trump come il nuovo
Hitler, a chi si affidano? A Trump stesso. Il piano prevede che sia il tycoon
americano a torcere il braccio all’amico Orban per costringerlo a dire sì. Siamo
al cortocircuito: l’Europa “dei valori” prega il mostro arancione di usare
metodi da gangster per violare le proprie regole interne.
Ma c’è un dettaglio che i nostri strateghi da aperitivo fingono di ignorare.
L’articolo 42.7 del Trattato dell’Unione Europea. È la clausola di mutua difesa,
che è persino più vincolante dell’articolo 5 della Nato: obbliga gli Stati
membri a prestare aiuto “con tutti i mezzi in loro potere” a chi viene
aggredito. Traduzione per i non addetti ai lavori: se l’Ucraina entra nell’Ue
mentre è in guerra o in una tregua armata, e Putin spara un petardo oltre il
confine, l’Italia, la Francia e la Germania sono giuridicamente in guerra con la
Russia.
Ecco il vero “piano di pace”: trasformare un conflitto locale in una guerra
continentale automatica. E tutto questo viene venduto come un compromesso.
Mosca, ci dicono, dovrebbe accettare di buon grado. Peccato che al Cremlino
sappiano leggere i trattati meglio di Von der Leyen. Offrire alla Russia
un’Ucraina nell’Ue ma fuori dalla Nato è come offrire a un diabetico una torta
alla panna dicendogli che è senza zucchero perché sopra non c’è la ciliegina.
La perseveranza è una virtù, ma l’idiozia è un vizio. E a Bruxelles sembrano
averne fatto una dottrina politica.
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L'articolo Far entrare l’Ucraina nell’Ue segnerà l’inizio della nostra guerra
con la Russia proviene da Il Fatto Quotidiano.
Lo hanno presentato come un Consiglio europeo decisivo per il futuro sostegno
dell’Ue all’Ucraina, nel quale si cercherà un’intesa da chiudere prima della
pausa natalizia. Ma al vertice tra i 27 capi di Stato e di governo del 15-19
dicembre che porta sul tavolo il delicatissimo tema dell’utilizzo degli asset
russi congelati a garanzia del prestito per sostenere Kiev, l’Unione europea
arriva di nuovo sgretolata. Da settimane, i vertici di Bruxelles ostentano
ottimismo: si lavora senza sosta, dicono, esiste una “larga maggioranza“,
aggiungono sostenendo che si percepiscono segnali positivi in vista del summit.
Ma tra chi da anni ormai si oppone a un ulteriore inasprimento dei rapporti con
la Russia, chi teme di incorrere in richieste di risarcimento plurimiliardarie e
chi non può ignorare la posizione contraria degli Stati Uniti, tenere insieme i
pezzi della cristalleria Bruxelles richiederà l’ennesimo sforzo diplomatico.
“ANDRÀ TUTTO BENE”
Fino a oggi, la strategia della Commissione Ue è stata quella dell’ostentare
ottimismo. A veicolare questo messaggio ha pensato più volte la portavoce della
Commissione, Paula Pinho, che ha spiegato alla stampa come sull’uso degli asset
russi immobilizzati per il sostegno all’Ucraina la Commissione Ue con gli Stati
membri sta cercando “di fare quanti più progressi possibili sui vari elementi
del pacchetto, in modo che una soluzione possa essere trovata al Consiglio
europeo”. In quella direzione si sono spesi anche alti esponenti delle
istituzioni Ue, come il presidente del Consiglio Antonio Costa: “Credo che siamo
molto vicini a trovare una soluzione – ha dichiarato – Per me è certo che il 18
dicembre prenderemo una decisione. Ma, se necessario, continueremo il 19 o il 20
dicembre, fino a raggiungere una conclusione positiva”. Posizione condivisa
anche dal commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, che l’11
dicembre assicurava: “Stiamo lavorando molto da vicino con le autorità belghe
per affrontare le preoccupazioni che esse hanno. E, in effetti, direi che
abbiamo fatto davvero grandi passi per rispondere”.
L’EUROPA SGRETOLATA
Tutto bene, quindi? Nemmeno per sogno. Il primo ostacolo sono i soliti due Paesi
contrari all’inasprimento di qualsiasi misura sanzionatoria nei confronti della
Russia: l’Ungheria e la Slovacchia. Da Bratislava, il premier Robert Fico ha
fatto sapere che non sosterrà alcuna soluzione che finanzi le spese militari
dell’Ucraina: “La Slovacchia non prenderà parte a piani che non fanno altro che
prolungare le sofferenze e le uccisioni“, ha affermato precisando di conseguenza
che non sosterrà “alcuna soluzione che comprenda la copertura delle spese
militari dell’Ucraina per i prossimi anni”. E l’utilizzo dei beni russi
congelati, ha spiegato, “può minacciare direttamente gli sforzi di pace degli
Usa che prevedono proprio l’utilizzo di tali risorse per la ricostruzione
dell’Ucraina”.
Anche il Paese guidato da Viktor Orban si è detto contrario. Budapest ha votato,
proprio come la Slovacchia, contro l’eliminazione del rinnovo semestrale degli
strumenti sanzionatori nei confronti della Russia, scelta che li ha resi di
fatto a tempo indeterminato. Poi, dopo l’approvazione con larga maggioranza, ha
commentato la scelta affermando che “oggi a Bruxelles si attraversa il Rubicone.
La votazione causerà danni irreparabili all’Unione. Bruxelles abolisce il
requisito dell’unanimità con un solo colpo di penna, il che è chiaramente
illegale“.
Se si trattasse dei ‘soliti noti’ Ungheria e Slovacchia il problema sarebbe
aggirabile: se al voto sul prestito di riparazione garantito dagli asset russi
si ripresentasse l’opposizione di Budapest e Bratislava, si potrebbe comunque
procedere con la maggioranza qualificata che richiede l’ok di almeno 15 Stati
membri e del 65% della popolazione totale. I contrari, però, questa volta sono
molti di più. In primis va tenuta in considerazione soprattutto la posizione del
Belgio che il 10 dicembre ha minacciato azioni legali nel caso in cui venisse
approvato l’uso degli asset russi congelati come garanzia per il prestito
all’Ucraina. Il motivo è semplice: nel piccolo Paese europeo sono conservati,
attraverso Euroclear, la stragrande maggioranza dei beni in questione, ben 185
miliardi sui 210 totali. Un ricorso legale di chi deteneva gli asset prima delle
sanzioni esporrebbe Bruxelles a un maxi-rimborso che, hanno spiegato
dall’esecutivo belga, per il Paese significherebbe “la bancarotta“. Una
posizione dura espressa non da un Paese ‘ribelle’, ma da uno solitamente
allineato alle posizioni della maggioranza degli Stati europei. Tanto che anche
il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha dichiarato quanto fosse importante
che tutti gli Stati membri condividessero le responsabilità economiche per
alleggerire il carico che pesa sulle spalle del Belgio. Negli ultimi giorni, il
clima tra il governo di Bruxelles e le istituzioni Ue sembra essere un po’ più
disteso, segno che le parti stanno trattando e che un punto d’incontro non è
un’utopia.
Se si parla di condivisione dei rischi economici, però, ci sono altri Paesi che
hanno espresso più di una perplessità. La Francia, che detiene circa 19 miliardi
di asset russi congelati, ha chiesto che quelli sul suo territorio venissero
esclusi dal conteggio di quelli utilizzabili come garanzia per il prestito di
sostegno a Kiev. E a dichiararsi molto dubbiosi sono stati anche Bulgaria, Malta
e persino l’Italia. La posizione del governo Meloni è stata chiarita dai due
vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. “L’Europa prima non c’era, ora mi
sembra che stia boicottando il processo di pace, forse perché Macron, Starmer e
altri leader sono in difficoltà in casa loro e quindi devono portare all’esterno
i problemi francesi e inglesi. Ma noi non siamo in guerra contro la Russia e non
voglio che i miei figli entrino in guerra contro la Russia – ha dichiarato il
leader leghista – Fa bene il governo italiano a tenere una linea di prudenza“.
Tajani ha invece sollevato dubbi di tipo legale: “Noi abbiamo approvato la
proposta di congelare gli asset russi. Ma questo non è un passaggio automatico
sull’utilizzo di questi asset congelati per finanziare l’Ucraina, noi abbiamo
serie perplessità dal punto di vista giuridico. Se fosse evitato qualsiasi
dubbio giuridico si potrebbero utilizzare anche i beni congelati”.
Anche con il ‘no’ di questi Paesi, la mossa potrebbe essere approvata, dato che
a favore resterebbero 21 Paesi e oltre il 79% della popolazione. Lo stesso anche
con l’opposizione della Repubblica Ceca che per ultima, con il neoeletto primo
ministro Andrej Babis, ha dichiarato che “ogni corona ceca è necessaria per i
nostri cittadini, non per altri Stati”, invitando la Commissione a trovare “un
altro modo” per finanziare Kiev.
DIALOGO O SCONTRO?
Alla maggioranza del Consiglio Ue resta quindi da decidere se arrivare a una
decisione la più condivisa possibile o a una sua imposizione in nome della
rapidità d’azione. Col rischio di frantumare i già precari equilibri interni
all’Ue. Lo stesso Dombrovskis sembra non avere le idee chiare a riguardo. Quando
gli è stato chiesto se il finanziamento può essere deciso anche senza il via
libera del Belgio, ha risposto: “Non entrerei in scenari ipotetici. Stiamo
lavorando con gli Stati membri. Stiamo lavorando molto seriamente, come ho
detto, per affrontare le preoccupazioni che il Belgio ha, e spero che riusciremo
a trovare una via da seguire”.
Dietro la riluttanza di alcuni Stati membri, oltre agli interessi particolari,
c’è anche la pressione esercitata dagli Stati Uniti che si sono dichiarati
fermamente contrari all’utilizzo dei beni russi congelati a garanzia del
prestito all’Ucraina, ritenendola una mossa ostile nei confronti di Mosca. E
certamente Washington avrà fatto pressione sulle cancellerie amiche, tanto che
anche Costa ha criticato apertamente l’azione di Washington: “Non possiamo
accettare le interferenze degli Usa, un alleato rispetta la politica interna del
partner”.
Resta il fatto che l’Europa, ad oggi, appare più frammentata che mai e che
prendere una decisione così determinante per il futuro economico dell’Unione e
per le sue strategie di supporto all’Ucraina affidandosi solo alla maggioranza
qualificata rischia di creare una frattura gigante tra i 27 Stati membri. C’è
tempo fino al 20 dicembre per arrivare a una soluzione diplomatica, altrimenti
Bruxelles si troverà di nuovo a un bivio: ritardare la decisione e aprire a
nuove strategie o forzare la mano e rischiare di spaccare l’Ue in nome del nuovo
whetever it takes in salsa ucraina.
X: @GianniRosini
L'articolo Asset russi congelati, per usarli è determinante l’ultimo Consiglio
Ue dell’anno. Ma l’Europa si presenta sgretolata proviene da Il Fatto
Quotidiano.
All’assemblea nazionale di Coldiretti, l’intervento di Massimo Cacciari viene
accolto da applausi ripetuti e non rituali. Non è una lectio accademica, ma una
requisitoria politica che tocca nervi scoperti dell’Europa contemporanea, con la
guerra in Ucraina come epicentro di una crisi che, secondo il filosofo, non è
solo militare o geopolitica, ma prima di tutto democratica.
Cacciari parte dalla struttura dell’Unione europea e ne denuncia lo svuotamento
politico: “Si parla della Commissione von der Leyen, ma di fatto quello che
dirige la baracca è l’apparato tecnocratico e burocratico: sono i funzionari,
sono quelli che fanno i dossier, che preparano le strategie, sono loro più che i
membri politici della Commissione”. È qui, sottolinea, che si consuma “un
deficit totale di democratizzazione degli organismi della Comunità europea”. Il
Parlamento europeo appare “sempre più fantasma”, la Commissione “non ha nessuna
diretta legittimazione democratica” e funziona “di fatto da esecutivo”, mentre
le decisioni finali restano in mano agli Stati, in un sistema che a 27 membri
rende “impossibile ogni decisione”.
Questo quadro, già fragile, viene aggravato drammaticamente dalla scelta europea
sulla guerra. Cacciari usa un’espressione che colpisce la platea: l’Europa ha
deciso “di andare alla guerra da sola”.
Il paradosso è evidente: “Ormai è chiaro come il sole che gli Stati Uniti non
ritengono più di avere il nemico da questa parte”, perché sanno bene che “la
Russia non rappresenta più nessun reale pericolo, almeno per loro”. La
competizione strategica americana, insiste, “si è spostata tutta sul fronte
dell’Oceano Pacifico” e il messaggio agli alleati europei è netto: “Volete fare
la guerra? Fatevela per conto vostro”.
Le conseguenze sono immediate e pesanti: “Questo significa che le nostre spese
già decise per il riarmo assorbiranno sempre di più le poche risorse che abbiamo
per welfare, per solidarietà, per tutte le politiche sociali ed economiche che
ci servirebbero”. La guerra in Ucraina, così come viene gestita dall’Europa,
diventa il simbolo di una scelta che sacrifica la coesione sociale sull’altare
della militarizzazione, senza una vera discussione politica e senza un mandato
democratico chiaro.
Cacciari non nega che l’Europa sia necessaria, anzi ribadisce il contrario:
“Possiamo fare a meno dell’Europa? No, l’Europa ci è sempre più necessaria
perché è l’unica dimensione all’interno della quale possiamo svolgere politiche
di sviluppo”.
Ma la domanda cruciale resta sospesa: “È possibile ancora, nella situazione in
cui ci troviamo?”. La sua risposta è radicale e spiazzante per il sistema
politico tradizionale: la ricostruzione dell’unità europea non può partire dai
partiti, ma dai corpi intermedi. “È possibile soltanto che i corpi intermedi
europei, e non i partiti, le rappresentanze dei grandi interessi economici,
produttivi, a partire dalla Coldiretti stessa o da organismi simili, da lì
riparte un discorso di ricostruzione dell’unità politica ed economica europea”.
Solo così, sostiene, può avviarsi “un processo di ridemocratizzazione
dell’Unione Europea”.
Il giudizio sulla classe politica continentale è impietoso. “Ma in tutta
l’Europa ci rendiamo conto della forza presunta di questa leadership europea?”,
chiede provocatoriamente. Macron, osserva, “se domani si va a votare prenderebbe
il 15%, forse neanche”; Merz “ha il fiato al collo addirittura di neonazisti”.
Il paradosso, aggiunge, è che “obiettivamente il leader più forte è la Meloni”,
l’unica che conserverebbe una legittimazione elettorale immediata. “Siamo in una
situazione disperante dal punto di vista della rappresentatività dei partiti e
delle forze politiche e questo non è una buona notizia per la democrazia”,
perché “la democrazia non c’è senza partiti, è conflitto e competizione tra
forze politiche organizzate”.
Quando la moderatrice Monica Giandotti chiede se la Russia possa rappresentare
un problema per l’Europa, la risposta di Cacciari è ironica e tagliente: “Certo,
se pensiamo che Putin abbia in testa di invadere l’Europa, è giusto riarmarsi,
anzi non basteranno certamente 100 miliardi, dovremmo dotarci magari anche di un
arsenale atomico adeguato”. Ma il filosofo chiede chiarezza politica. Se la
leadership europea sostiene che la Russia non si ferma a Donbass, Crimea e
Ucraina, ma ha “una volontà di potenza continentale”, allora lo dica
apertamente. “Se mi dicono che dall’altra parte dell’Ucraina non c’è Putin ma
c’è Hitler, va bene, ottimo, ma me lo devono dire nero su bianco”.
In assenza di questa verità esplicita, per Cacciari l’Europa tradisce se stessa
e i suoi fondamenti costituzionali. Ricorda che gli statisti europei avevano
inscritto nelle Costituzioni, “tra cui quella italiana, articolo 11”, un’idea
precisa: l’Europa non come centro egemonico del mondo, ma come spazio di
mediazione. “Capivamo di essere stati detronizzati come grande potenza globale,
però potevamo svolgere una funzione fondamentale di intermediazione, di
compromesso, di dialogo tra le diverse potenze”. Questa era, e dovrebbe essere,
la funzione europea: “l’elemento di rapporto, di dialogo tra mondo mediterraneo,
Maghreb, continente sub-sahariano, Medio Oriente, Russia, Stati Uniti”.
La guerra in Ucraina è la conferma di una rottura storica, che Cacciari fa
risalire a una data precisa: “Tutto cambia quando c’è un momento cruciale, l’11
settembre 2001”. Da lì partono le guerre e l’Europa “comincia a cambiare natura
sui principi fondamentali di pace, di solidarietà”. A determinare questo
slittamento è soprattutto “il crescente strapotere delle grandi corporazioni”,
dall’informazione alle tecnologie, dalla farmaceutica all’agricoltura, “una
dozzina di soggetti fondamentali che stanno inglobando in sé ogni forma
politica”.
Anche i tecnocrati più avvertiti, riconosce Cacciari, ne sono consapevoli:
“Mario Draghi queste cose le sa perfettamente”. Sa che l’annichilimento della
politica produce disastri, perché “conflitti sociali, disuguaglianze” non
possono essere affrontati dal solo punto di vista dell’interesse economico o
tecnico-finanziario. Ma i tecnocrati “non hanno nessun modo di affrontare la
questione, perché il loro linguaggio, la loro cultura è quella”.
Per questo, conclude tra nuovi applausi, la responsabilità ricade su altri
soggetti: “Sta a noi, sta in particolare nella crescita di dimensione politica e
di forza politica dei corpi intermedi”. È da lì, insiste Cacciari, che può
ancora nascere un’Europa capace di parlare di pace e di democrazia mentre
rischia di perderne la sostanza.
L'articolo Cacciari scuote Coldiretti: “Se l’Europa pensa che Putin sia il nuovo
Hitler, si riarmi pure. Ma abbia il coraggio di dimostrarlo” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
L'articolo Ucraina, Mosca replica al congelamento degli asset: “All’Ue sono
imbroglioni”. Raid russo su Odessa: “Interruzioni di elettricità e acqua” | La
diretta proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Il decreto armi ci sarà e se bisogna parlare anche, giustamente, di lavorare
per la Pace, si farà perché è sempre l’intenzione del governo”. Il
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, dopo
aver partecipato ad un dibattito ad Atreju risponde ad alcune domande de
ilfattoquotidiano.it Il braccio destro di Giorgia Meloni, di fatto, conferma
quanto anticipato da Il Fatto Quotidiano in edicola oggi. La Lega non si opporrà
al decreto che proroga la possibilità di inviare armi all’Ucraina per tutto il
2026. Il compromesso consisterà nell’inserire al testo che darà avvio a nuovi
aiuti militari il riferimento ai negoziati firmati Donald Trump.
Fazzolari poi glissa sul vicepresidente del Consiglio e Ministro del governo
Meloni, Matteo Salvini, che parla di ‘guerra persa’ da parte dell’Ucraina. “La
cosa importante è che il governo è sempre molto coeso sia a livello interno sia
a livello internazionale. Non c’è mai stata distinzione di posizione – continua
il sottosegretario – e questa è l’unica cosa importante. Dopodiché io sono
convinto che l’Ucraina abbia già vinto questa guerra a prescindere da come
finirà perché qualunque osservatore internazionale era certo che l’Ucraina
sarebbe stata interamente invasa nel giro di poche settimane. La storia
racconterà di questa incredibile vittoria ucraina”. Quindi Salvini sbaglia? “No
ma Salvini stava parlando di un contesto generale – risponde Fazzolari – per me
in Ucraina si arriverà ad una soluzione di pace e l’Ucraina vivrà in una
situazione di piena sovranità ed indipendenza e sarà stata una vittoria storica,
incredibile e della quale si parlerà a lungo”. Con delle concessioni di
territori da parte di Kiev? “Questo possono deciderlo solo gli ucraini e si
vedrà come si arriverà. Credo – conclude – che primo o poi si arriverà ad un
congelamento della linea del fronte, ma questo non perché qualcuno lo ha deciso
ma purtroppo sarà l’esito della guerra”.
L'articolo Fazzolari: “Decreto Armi ci sarà e se bisogna parlare dei negoziati
(come vuole la Lega) si farà” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Il principio non può essere muovere guerra per fare la pace: è paradossale.
Appare insensata la pace evocata da parte di chi, muovendo guerra, pretende in
realtà di imporre le proprie condizioni”. Nel momento in cui sono in corso i
colloqui per la tregua in Ucraina, la frase pronunciata da Sergio Mattarella ha
più di un significato. Il riferimento del presidente della Repubblica,
intervenuto durante la cerimonia dello scambio degli auguri di fine anno con il
corpo diplomatico, non è diretto anche se in tanti avranno pensato alla Russia.
E in effetti il capo dello Stato ha poi citato direttamente Mosca. “Un
protagonista della comunità internazionale, la Federazione Russa, ha,
sciaguratamente, scelto di travolgere questo percorso ripristinando, con la
forza, l’antistorica ricerca di zone di influenza, di conquista territoriale, di
crudele prepotenza delle armi”, ha detto Mattarella. “Le generazioni globali che
lottarono contro il nazifascismo in Europa, contro il colonialismo, contro i
totalitarismi per rivendicare libertà e diritti, spesso anche a costo della
vita, ricercando un progetto di collaborazione sfociato nella creazione dell’Onu
– il più ambizioso tentativo nella storia dell’umanità di dare una cornice di
regole alle relazioni internazionali – rischiano di vedere infranti, oggi, i
loro sacrifici”, ha aggiunto il capo dello Stato, spiegando che “un sistema,
costruito per assicurare garanzie di pace e di convivenza – riflesso di
equilibri lungamente discussi e negoziati – entra in crisi quando qualche
protagonista della vita internazionale lo infrange, ritenendo che non sia più
funzionale alla prevalenza dei propri interessi, talvolta ondivaghi, e che
questi debbano prevalere sui valori condivisi e sulle esigenze degli altri
Paesi. Entra in crisi quando si accampano presunte – e spesso fallaci – esigenze
di sicurezza per alterare la bilancia strategica”.
Mattarella ha poi ribadito quanto detto davanti al Bundestag, il Parlamento
tedesco. “Il controllo della corsa agli armamenti, in particolare di armi di
distruzione definitiva, come quelle nucleari, aveva conosciuto risultati
significativi. Nel contesto attuale, si rende necessario ribadire con forza che
l’uso o anche la sola concreta minaccia di introdurre nei conflitti armamenti
nucleari appare un crimine contro l’umanità”. Quindi ha ricordato che questo “è.
il quarto Natale di guerra per il popolo ucraino. Si moltiplicano gli attacchi
russi alle città e alle infrastrutture energetiche e civili. Le vittime civili
sono sempre più numerose. L’Europa e l’Italia restano saldamente al fianco
dell’Ucraina e del suo popolo, con l’obiettivo di una pace equa, giusta e
duratura, rispettosa del diritto internazionale, dell’indipendenza, della
sovranità, dell’integrità territoriale, della sicurezza ucraine”.
Il presidente della Repubblica è tornato a difendere l’Unione Europea, definita
come “una delle più riuscite esperienze di pace tra i popoli e di democrazia, è
nata e si è ampliata nella costante ricerca della pace, ripeto, e della libertà,
garantite, nel proprio ambito, in base a Trattati liberamente stipulati dai
popoli europei; che ne hanno ricavato diritti e benessere. La storia insegna
che, nei rapporti internazionali, dinamiche puramente bilaterali pongono il più
debole alla mercé del più forte. Non è accettabile la pretesa che quelle
dinamiche tornino a essere la misura dei rapporti tra popoli liberi”. Parlande
dell’Ue, Mattarella ha sottolineato: “La libera condivisione di principi e di
norme non è una gabbia che costringe, ma un sostegno che tutela, soprattutto i
più deboli. Non sorprende che vengano contestate da corporazioni internazionali
che si espandono pretendendo di non dover osservare alcuna regola: questa non
sarebbe libertà ma arbitrio”.
L’inquilino del Quirinale ha poi rivolto il suo pensiero anche “al destino dei
popoli del Medio Oriente. A quello della Striscia di Gaza, martoriata per due
anni da inumana violenza, innescata dalla barbarie di Hamas e alimentata da una
lunga guerra. Si sono aperti spiragli importanti: molto resta ancora da fare per
consolidare il cessate il fuoco ed evitare che si dissolva, per ripristinare
pienamente gli aiuti umanitari a una popolazione stremata, per avviare la
ricostruzione”. L’auspicio del capo dello Stato “resta quello di vedere
affermarsi nella regione mediorientale pace e stabilità. Questi traguardi non
possono prescindere dalla pacifica coesistenza, nella sicurezza, dei popoli
israeliano e palestinese, nella cornice della soluzione a due Stati, che occorre
sostenere e difendere da qualsiasi tentativo di comprometterne la praticabilità.
Non ve ne sono altre”.
L'articolo Mattarella: “Non può evocare la pace chi muove la guerra. Medio
Oriente, soluzione dei 2 Stati unica possibile” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Lo scorso anno un attacco informatico al controllo del traffico aereo a opera
del collettivo di hacker APT28 e del GRU, l’agenzia di intelligence militare.
Che a febbraio, poi, avrebbe tentato di influenzare le elezioni federali
attraverso una campagna chiamata “Storm 1516”. Sono le due accuse mosse alla
Russia dal Bundesregierung, il governo federale tedesco, che ha annunciato la
convocazione di Sergei Netchajew, l’ambasciatore di Mosca a Berlino. Il
portavoce del ministero, Martin Giese, ha dichiarato che l’attacco informatico
contro la Deutsche Flugsicherung (l’ente che monitora la sicurezza dei voli)
avvenuto nell’agosto 2024 è stato identificato e attribuito con chiarezza
all’hacker collettivo noto come “Fancy Bear” e riconducibile al servizio segreto
militare. “Le prove raccolte dai nostri servizi di intelligence – ha detto Giese
– mostrano che il GRU è responsabile di questo attacco”.
Nel pieno delle trattative per il cessate il fuoco in Ucraina e delle trattative
in seno all’Ue per l’utilizzo degli asset russi congelati in Europa per
continuare a finanziare la difesa di Kiev, Berlino punta il dito contro Mosca e
collega il cyberattacco alla Flugsicherung alle più ampie attività di guerra
ibrida da tempo attribuite alla Russia. Già in passato APT28 e GRU sono stati
ricollegati a intrusioni informatiche globali, tra cui quelle avvenute durante
le elezioni americane del 2016, quando furono accusati di aver aiutato il
presidente degli Stati Uniti Donald Trump facendo trapelare le email del Partito
Democratico.
Per Giese il gruppo hacker e l’intelligence militare di Mosca non sono autori di
episodi isolati, ma di una serie di operazioni che includono spionaggio,
cyberattacchi, sabotaggi e campagne di disinformazione volte a danneggiare la
sicurezza tedesca e la fiducia nelle istituzioni democratiche. Il governo ha
affermato inoltre che la campagna di influenza “Storm 1516” è parte di un
tentativo concertato di interferire e destabilizzare la politica interna
tedesca, incluse le elezioni federali anticipate del 23 febbraio 2025.
“L’analisi effettuata dai nostri servizi – ha detto il portavoce – mostra che la
campagna diffonde ricerche pseudo-investigative generate artificialmente,
sequenze di immagini deepfake, siti web pseudo-giornalistici e testimonianze
inventate su varie piattaforme” utilizzati “per creare sfiducia e divisione
sociale”.
Le informazioni raccolte dalle agenzie di sicurezza indicano che l’operazione
“Storm 1516” ha preso di mira specificamente figure della politica tedesca, tra
cui il candidato di spicco dei Verdi, Robert Habeck, e il futuro cancelliere
candidato della Unione Cristiano-Democratica, Friedrich Merz, attaccandoli con
contenuti falsi e campagne mirate sui social media. Due giorni prima delle
elezioni, le autorità avevano già segnalato la diffusione di video falsi che
avevano lo scopo di suggerire manipolazioni nei risultati delle urne, come parte
di un’operazione di disinformazione più ampia. Per Giese le attività russe non
si limitano alla guerra in Ucraina, ma includono tentativi di minare la coesione
sociale e la fiducia nelle istituzioni democratiche in Germania e in Europa.
Berlino ha annunciato che misure di ritorsione e contromisure verranno adottate
in coordinamento con i partner europei e della Nato. “Il governo tedesco – ha
concluso il portavoce – condanna con la massima fermezza i ripetuti e
inaccettabili attacchi da parte di attori russi controllati dallo Stato.”
L'articolo Attacchi hacker al traffico aereo e interferenze nelle elezioni
federali del 2025, le accuse di Berlino: “Sono opera del servizio segreto
militare di Mosca” proviene da Il Fatto Quotidiano.