Il mercato del lavoro “torna a correre insieme alla nostra Italia”. E “i
progressi più rilevanti riguardano proprio le famiglie più fragili“. Numeri che
“parlano chiaro e smentiscono la retorica di una sinistra che continua a muovere
critiche pretestuose“. Dopo la pubblicazione del focus dell’Istat su Mercato del
lavoro e redditi, mercoledì, Fratelli d’Italia si è affrettata a rivendicare il
successo delle ricette dell’esecutivo nel tentativo di ribaltare la narrazione
dopo che lo stesso istituto ha spiegato come l’85% delle risorse del taglio
Irpef previsto per il 2026 andrà ai più ricchi. Il vicepresidente della Camera
Fabio Rampelli ha parlato di “rapporto incoraggiante” perché “la crescita degli
occupati si registra soprattutto nella fascia medio-bassa delle classi di
reddito” e la deputata Elisabetta Lancellotta ha esultato perché le politiche
adottate “riducono le disuguaglianze“. Ma il quadro delineato dall’istituto di
statistica è ben diverso, se ci si prende la briga di leggere tutte le 20 pagine
dell'”analisi integrata”. È vero che nel primo anno pieno di governo Meloni
l’occupazione è cresciuta più velocemente tra i più poveri, ma solo perché
partivano da tassi drammaticamente bassi. E chi ha trovato lavoro ha dovuto
accontentarsi di posti mal retribuiti, stagionali e discontinui.
OCCUPAZIONE IN AUMENTO? CRESCE SOPRATTUTTO IL LAVORO POVERO
L’Istat ha rilevato come nel 2024 sia proseguito “il trend di crescita
dell’occupazione iniziato a partire dal 2021, successivamente al crollo del 2020
dovuto alla crisi pandemica“, a conferma che la tendenza è iniziata ben prima
dell’arrivo a Palazzo Chigi della leader di FdI. Nel dettaglio, il tasso di
occupazione tra il 2022 e il 2023 “aumenta soprattutto per le famiglie più
povere (+2,7 p.p. nel primo e +2,1 p.p. nel secondo e nel terzo quinto di
reddito equivalente”. Ma l’istituto spiega anche cosa c’è dietro, aspetto che la
maggioranza tace: quelle fasce sono “caratterizzate strutturalmente da tassi di
occupazione più bassi“, per cui è stato sufficiente un numero limitato di nuovi
ingressi per determinare aumenti percentuali significativi. Il 20% di
popolazione che rientra nella fascia dei più indigenti, infatti, a fine 2023 era
occupato solo nel 37,9% dei casi, mentre per il 20% più ricco il tasso sfiora
l’80%. Ulteriore tassello: mentre sul complesso degli occupati i dipendenti a
termine sono diminuiti (dall’8,1% al 7,9%), nel quinto più povero sono aumentati
notevolmente, dall’6,8% all’8,1% (+1,3 punti). La ripresa del tempo
indeterminato (+1,4 punti complessivi) si è concentrata nelle fasce centrali
della distribuzione dei redditi e non è andata affatto a vantaggio dei più
fragili.
L’aspetto più preoccupante, e indigesto per la maggioranza, è però un altro: la
nuova occupazione è tutt’altro che di alta qualità. L’Istat rileva che mentre
tra 2019 e 2023 si è allargato il numero degli occupati nei gruppi professionali
a reddito medio-alto (+28,9%) a scapito di quelli a reddito medio-basso
(-28,5%), nel solo 2023 – primo anno pieno di governo per Giorgia Meloni – il
42,7% dei nuovi occupati è finito in “professioni e attività a basso reddito” e
un altro 21,5% in posti a reddito medio-basso. Quasi due terzi insomma hanno sì
trovato lavoro, ma povero. Solo il 6,9% ha trovato una collocazione che porta
con sé un reddito alto. Il motivo? La grande maggioranza dei nuovi contratti è
nell’agricoltura, nel turismo o nei servizi alla persona: settori soggetti a
stagionalità, in cui la norma sono posti discontinui e con remunerazioni basse.
LO SVANTAGGIO DI GIOVANI E DONNE
Sia Rampelli sia Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro della
Camera, hanno sottolineato che i giovani hanno goduto di aumenti
dell’occupazione significativi. Per la fascia tra i 25 e i 34 anni si è
registrata in effetti tra 2022 e 2023 una crescita del tasso di 2 punti, che
salgono a 5 per il quinto più povero. Ma anche in questo caso la medaglia ha due
facce: il 62% dei 15-24enni e il 47% dei 25-34enni si colloca in attività a
basso reddito, a dimostrazione che i nuovi ingressi giovanili continuano a
concentrarsi nelle mansioni meno pagate.
Lo stesso vale per le donne: per loro l’incremento dell’occupazione è stato
leggermente superiore a quello degli uomini, ma un terzo ha un lavoro povero. E
nelle fasce a basso reddito la differenza di genere a favore degli uomini nei
tassi di occupazione resta molto marcata: nel secondo quinto gli uomini hanno un
tasso di occupazione del 66,2% contro il 38,7% delle donne. Al contrario, se si
guarda al 20% più ricco si trova che ad avere un lavoro è il 75,3% delle donne
contro l’83% degli uomini.
IL CALO DEI REDDITI REALI
Confermato anche che i redditi reali non hanno recuperato il potere d’acquisto
perso a causa dell’inflazione post Covid. Su questo fronte il focus Istat limita
l’analisi al 2022, ma il risultato è impietoso: in quell’anno il reddito medio
reale da lavoro si è fermato a 20.600 euro contro i 20.900 del 2018. Solo il
reddito da lavoro autonomo ha recuperato e superato i livelli pre-pandemia
(+10,4%), perché gli autonomi possono adeguare immediatamente i prezzi dei beni
e servizi offerti mentre i lavoratori dipendenti sono appesi al rinnovo dei
contratti, che arriva sempre in ritardo. Il danno è stato più marcato per i
gruppi di professioni e attività a reddito medio: nel quinquennio il gruppo a
reddito medio alto ha registrato un calo del reddito reale del 6,9% e quello a
reddito medio-basso del 5,6%.
L'articolo FdI esulta: “Il mercato del lavoro corre, progressi soprattutto per i
più fragili”. I dati Istat dicono altro: due terzi dei nuovi occupati sono a
basso reddito proviene da Il Fatto Quotidiano.