A novembre 2025 l’inflazione è rallentata. L’indice nazionale dei prezzi al
consumo per l’intera collettività registra una diminuzione dello 0,2% rispetto a
ottobre e una crescita dell’1,1% su base annua, in calo sia rispetto alla stima
preliminare (+1,2%) sia rispetto al mese precedente. Si tratta del livello più
basso da gennaio, rileva l’Istat. Rallenta anche il cosiddetto carrello della
spesa, cioè i beni alimentari, per la cura della casa e della persona, che passa
da +2,1% a +1,5%, mentre i prodotti ad alta frequenza d’acquisto scendono
lievemente da +2,1% a +2%. L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e
degli alimentari freschi, si attesta all’1,7%, in calo dall’1,9%, come anche
quella calcolata escludendo i soli beni energetici.
Incidono sulla dinamica complessiva soprattutto il rallentamento dei prezzi
degli alimentari non lavorati (+1,1% da +1,9%), il calo degli energetici
regolamentati (-3,2% da -0,5%) e la frenata di alcune tipologie di servizi, in
particolare i trasporti (+0,9% da +2%). Solo in parte questi effetti sono
compensati dalla minore flessione degli energetici non regolamentati (-4,3% da
-4,9%).
Nel dettaglio, i prezzi dei beni rallentano ulteriormente (+0,1% da +0,2%),
mentre quelli dei servizi scendono dal +2,6% al +2,3%. Il differenziale tra
servizi e beni si riduce così a 2,2 punti percentuali, dai 2,4 del mese prima.
La flessione congiunturale dell’indice generale riflette soprattutto il calo dei
prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-1,6%) e
dei servizi relativi ai trasporti (-1,3%), per effetti in larga parte
stagionali.
Sul fronte alimentare, l’Istat segnala un alleggerimento della spesa delle
famiglie: la crescita dei prezzi del comparto rallenta dal +2,3% al +1,8%. La
frenata riguarda sia gli alimentari lavorati (+2,1% da +2,5%) sia quelli non
lavorati (+1,1% da +1,9%). In particolare, i prezzi della frutta fresca o
refrigerata registrano un’inversione di tendenza, passando da +0,8% a -1,6%,
mentre quelli dei vegetali freschi diversi dalle patate accentuano la flessione,
da -6,4% a -8,2%.
L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) scende dello 0,2% su base
mensile e cresce dell’1,1% su base annua, in rallentamento dal +1,3% di ottobre.
L’indice FOI, al netto dei tabacchi, registra infine un -0,1% congiunturale e un
+1,0% tendenziale. L’inflazione acquisita per il 2025 è pari all’1,5% per
l’indice generale e all’1,8% per la componente di fondo.
L'articolo Inflazione in frenata a novembre. Il carrello della spesa rallenta,
ma sale comunque dell’1,5% anno su anno proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L’industria italiana è alle corde. A ottobre l’indice destagionalizzato della
produzione industriale è diminuito ancora, dell’1% rispetto a settembre e dello
0,3% su base annua. E la media del trimestre agosto-ottobre segna un decremento
dello 0,9% rispetto ai tre mesi precedenti, stando alle rilevazioni dell’Istat.
“Il rimbalzo di settembre era solo un effetto tecnico dovuto al crollo di
agosto: nulla ha interrotto la tendenza negativa”, commenta il segretario
confederale della Cgil Gino Giove. “La realtà è ben diversa dalla narrazione del
governo e del Ministro Urso, che restano assenti“.
“Dato pessimo”, aggiunge Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale
Consumatori. “Il ribasso maggiore si registra per i beni di consumo. Ennesima
prova del fatto che se le famiglie non hanno soldi, i commercianti non vendono e
le imprese non producono”. Il leader M5s Giuseppe Conte dal canto suo chiosa:
“Trentaduesimo crollo della produzione industriale su 36 mesi rilevati durante
il governo Meloni. Ci vuole talento!. Il presidente del Consiglio non ha niente
da dire su questo disastro? Hanno presentato una manovra che – per stessa
ammissione del Ministero dell’Economia – ha impatto nullo sulla già misera
crescita. Senza i 209 miliardi del Pnrr ora saremmo in recessione“.
I DATI ISTAT: CROLLI PER CHIMICA E TESSILE-ABBIGLIAMENTO
Su base annua, “anche l’indice corretto per gli effetti di calendario è in
flessione. Ad eccezione dei beni intermedi, tutti i principali settori di
attività mostrano riduzioni rispetto all’anno precedente”. Si registra un
aumento tendenziale solo per i beni intermedi (+1,1%) mentre mostrano un calo i
beni consumo (-2,0%), i beni strumentali (-0,7%) e l’energia (-0,2%). Le
flessioni più ampie si rilevano nella fabbricazione di prodotti chimici (-6,6%),
nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-5%), nella
fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-4,6%) e nei mezzi di
trasporto (-3,5%), mentre vanno bene l’attività estrattiva (+5,2%), la
metallurgia e fabbricazione di prodotto in metallo (+2,7%) e la fabbricazione di
articoli in gomma e materie plastiche (+2,1).
“GOVERNO ASSENTE SULLE CRISI INDUSTRIALI”
“Sulla chimica di base – denuncia Giova – il governo non ha semplicemente
sbagliato: ha scelto consapevolmente di non intervenire, lasciando depauperare
un settore strategico per tutte le filiere manifatturiere. Per quanto riguarda
l’acciaio, dopo anni di promesse, non c’è ancora una decisione seria. E
nell’automotive assistiamo a una totale sudditanza nei confronti delle imprese,
che decidono tagli, delocalizzazioni e riduzioni di volumi senza strategia
nazionale né alcun reale indirizzo pubblico”. Inoltre, aggiunge, “le tante crisi
aziendali vanno affrontate nel quadro di una più complessiva politica
industriale e non semplicemente con l’uso di ammortizzatori sociali“. “Se il
compito del Governo è quello di garantire stabilità, affidabilità e credibilità,
sarebbe opportuno cambiare rotta, a partire dalla legge di bilancio 2026. Per
questo la Cgil ha proclamato lo sciopero generale del 12 dicembre: in tutte le
piazze italiane i lavoratori e le lavoratrici chiederanno lavoro stabile,
investimenti, futuro”.
L'articolo Produzione industriale giù dell’1% a ottobre. “Disastro, è il
trentaduesimo crollo su 36 mesi di governo Meloni” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
A novembre, mentre dalle audizioni sulla manovra emergeva come gli italiani non
possano aspettarsi grande sollievo dalle misure di finanza pubblica messe in
campo dal governo, la fiducia dei consumatori è crollata. L’Istat ha rilevato
che l’indice è sceso da 97,6 a 95, il valore più basso da aprile. Un andamento
che stride con il progresso della fiducia delle imprese, in salita da 94,4 a
96,1. L’Unione nazionale consumatori paventa “una possibile gelata sui consumi
di Natale” e Federconsumatori attacca: “Non potrebbe essere diversamente in una
situazione in cui le condizioni delle famiglie peggiorano di giorno in giorno e
non c’è nessun provvedimento all’orizzonte per migliorarle”.
Tra i consumatori, l’istituto di statistica evidenzia un diffuso deterioramento
delle opinioni, ancora più marcato sulla situazione futura: il clima economico
cala da 99,3 a 96,5, il clima personale scende da 97 a 94,5, quello corrente
passa da 100,2 a 98,6 e quello futuro diminuisce da 94,1 a 90,2. Con riferimento
alle imprese, invece, l’indice aumenta nei servizi di mercato (da 95,1 a 97,7) e
nel commercio al dettaglio (da 105,2 a 107,3) e cresce anche nell’industria
manifatturiera (da 88,4 a 89,6), mentre cala nelle costruzioni da 103,2 a 102,6.
“Crollano sia il giudizio che le attese sulla situazione della famiglia,
rispettivamente di 3,5 e di 4,4 punti percentuali”, commenta Massimiliano Dona,
presidente dell’Unione nazionale consumatori. “Come se non bastasse, scendono
anche le opportunità attuali di acquistare beni durevoli, ossia proprio quei
prodotti che tipicamente si acquistano a Natale. Se a questo si aggiunge che a
novembre è scattato anche il bonus elettrodomestici, il quadro diventa
sconfortante e attesta la gravità della situazione, con i consumi al palo e la
crescita asfittica del Pil, tendenze contro le quali la manovra di bilancio di
quest’anno non fa nulla, dato che il 62,2% delle risorse aiuterà il 20% più
ricco della popolazione, come attestano i dati Istat”.
“È necessario un intervento deciso e immediato da parte del governo per arginare
questa situazione e dare risposte ai cittadini”, avvisa Federconsumatori, che
chiede misure per rimodulare l’Iva sui beni di largo consumo, creare un Fondo di
contrasto alla povertà energetica e alla povertà alimentare, risorse adeguate
per sanità pubblica e diritto allo studio e una riforma fiscale equa, che
sostenga i redditi bassi e medi.
L’Ufficio studi Confcommercio rincara: “Anche se le interviste si sono svolte
prima dell’inizio della Black Week, quindi senza incorporare pienamente la
percezione favorevole di apertura della più importante stagione degli acquisti –
dal Black Friday ai consumi di dicembre e, passando per il Natale, quelli legati
ai saldi invernali – il segnale proveniente dalle famiglie non è dei più
rassicuranti. Sensazioni, queste, in netta controtendenza con le indicazioni
degli imprenditori, in particolare di quelli operanti nel turismo e nel
commercio al dettaglio, che mostrano apprezzabili segnali di recupero della
fiducia con attese favorevoli per le dinamiche della domanda nei mesi finali
dell’anno”.
L'articolo A novembre crolla la fiducia dei consumatori. “Possibile gelata sui
consumi di Natale” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il mercato del lavoro “torna a correre insieme alla nostra Italia”. E “i
progressi più rilevanti riguardano proprio le famiglie più fragili“. Numeri che
“parlano chiaro e smentiscono la retorica di una sinistra che continua a muovere
critiche pretestuose“. Dopo la pubblicazione del focus dell’Istat su Mercato del
lavoro e redditi, mercoledì, Fratelli d’Italia si è affrettata a rivendicare il
successo delle ricette dell’esecutivo nel tentativo di ribaltare la narrazione
dopo che lo stesso istituto ha spiegato come l’85% delle risorse del taglio
Irpef previsto per il 2026 andrà ai più ricchi. Il vicepresidente della Camera
Fabio Rampelli ha parlato di “rapporto incoraggiante” perché “la crescita degli
occupati si registra soprattutto nella fascia medio-bassa delle classi di
reddito” e la deputata Elisabetta Lancellotta ha esultato perché le politiche
adottate “riducono le disuguaglianze“. Ma il quadro delineato dall’istituto di
statistica è ben diverso, se ci si prende la briga di leggere tutte le 20 pagine
dell'”analisi integrata”. È vero che nel primo anno pieno di governo Meloni
l’occupazione è cresciuta più velocemente tra i più poveri, ma solo perché
partivano da tassi drammaticamente bassi. E chi ha trovato lavoro ha dovuto
accontentarsi di posti mal retribuiti, stagionali e discontinui.
OCCUPAZIONE IN AUMENTO? CRESCE SOPRATTUTTO IL LAVORO POVERO
L’Istat ha rilevato come nel 2024 sia proseguito “il trend di crescita
dell’occupazione iniziato a partire dal 2021, successivamente al crollo del 2020
dovuto alla crisi pandemica“, a conferma che la tendenza è iniziata ben prima
dell’arrivo a Palazzo Chigi della leader di FdI. Nel dettaglio, il tasso di
occupazione tra il 2022 e il 2023 “aumenta soprattutto per le famiglie più
povere (+2,7 p.p. nel primo e +2,1 p.p. nel secondo e nel terzo quinto di
reddito equivalente”. Ma l’istituto spiega anche cosa c’è dietro, aspetto che la
maggioranza tace: quelle fasce sono “caratterizzate strutturalmente da tassi di
occupazione più bassi“, per cui è stato sufficiente un numero limitato di nuovi
ingressi per determinare aumenti percentuali significativi. Il 20% di
popolazione che rientra nella fascia dei più indigenti, infatti, a fine 2023 era
occupato solo nel 37,9% dei casi, mentre per il 20% più ricco il tasso sfiora
l’80%. Ulteriore tassello: mentre sul complesso degli occupati i dipendenti a
termine sono diminuiti (dall’8,1% al 7,9%), nel quinto più povero sono aumentati
notevolmente, dall’6,8% all’8,1% (+1,3 punti). La ripresa del tempo
indeterminato (+1,4 punti complessivi) si è concentrata nelle fasce centrali
della distribuzione dei redditi e non è andata affatto a vantaggio dei più
fragili.
L’aspetto più preoccupante, e indigesto per la maggioranza, è però un altro: la
nuova occupazione è tutt’altro che di alta qualità. L’Istat rileva che mentre
tra 2019 e 2023 si è allargato il numero degli occupati nei gruppi professionali
a reddito medio-alto (+28,9%) a scapito di quelli a reddito medio-basso
(-28,5%), nel solo 2023 – primo anno pieno di governo per Giorgia Meloni – il
42,7% dei nuovi occupati è finito in “professioni e attività a basso reddito” e
un altro 21,5% in posti a reddito medio-basso. Quasi due terzi insomma hanno sì
trovato lavoro, ma povero. Solo il 6,9% ha trovato una collocazione che porta
con sé un reddito alto. Il motivo? La grande maggioranza dei nuovi contratti è
nell’agricoltura, nel turismo o nei servizi alla persona: settori soggetti a
stagionalità, in cui la norma sono posti discontinui e con remunerazioni basse.
LO SVANTAGGIO DI GIOVANI E DONNE
Sia Rampelli sia Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro della
Camera, hanno sottolineato che i giovani hanno goduto di aumenti
dell’occupazione significativi. Per la fascia tra i 25 e i 34 anni si è
registrata in effetti tra 2022 e 2023 una crescita del tasso di 2 punti, che
salgono a 5 per il quinto più povero. Ma anche in questo caso la medaglia ha due
facce: il 62% dei 15-24enni e il 47% dei 25-34enni si colloca in attività a
basso reddito, a dimostrazione che i nuovi ingressi giovanili continuano a
concentrarsi nelle mansioni meno pagate.
Lo stesso vale per le donne: per loro l’incremento dell’occupazione è stato
leggermente superiore a quello degli uomini, ma un terzo ha un lavoro povero. E
nelle fasce a basso reddito la differenza di genere a favore degli uomini nei
tassi di occupazione resta molto marcata: nel secondo quinto gli uomini hanno un
tasso di occupazione del 66,2% contro il 38,7% delle donne. Al contrario, se si
guarda al 20% più ricco si trova che ad avere un lavoro è il 75,3% delle donne
contro l’83% degli uomini.
IL CALO DEI REDDITI REALI
Confermato anche che i redditi reali non hanno recuperato il potere d’acquisto
perso a causa dell’inflazione post Covid. Su questo fronte il focus Istat limita
l’analisi al 2022, ma il risultato è impietoso: in quell’anno il reddito medio
reale da lavoro si è fermato a 20.600 euro contro i 20.900 del 2018. Solo il
reddito da lavoro autonomo ha recuperato e superato i livelli pre-pandemia
(+10,4%), perché gli autonomi possono adeguare immediatamente i prezzi dei beni
e servizi offerti mentre i lavoratori dipendenti sono appesi al rinnovo dei
contratti, che arriva sempre in ritardo. Il danno è stato più marcato per i
gruppi di professioni e attività a reddito medio: nel quinquennio il gruppo a
reddito medio alto ha registrato un calo del reddito reale del 6,9% e quello a
reddito medio-basso del 5,6%.
L'articolo FdI esulta: “Il mercato del lavoro corre, progressi soprattutto per i
più fragili”. I dati Istat dicono altro: due terzi dei nuovi occupati sono a
basso reddito proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tra il 2014 e il 2025, le donne tra i 16 e i 25 anni che affermano di aver
subito almeno una violenza fisica o sessuale negli ultimi cinque anni sono
aumentate dal 28,4% al 37,6%. Considerando solo le violenze sessuali, la
crescita tra le giovanissime è ancora più forte: dal 17,7 al 30,8%. A dirlo è
l’ultima rilevazione Istat sulla violenza di genere – denominata “Sicurezza
delle donne” – secondo cui, in generale, sono sei milioni e 400mila le donne tra
i 16 ai 75 anni che hanno subito almeno una violenza nel corso della vita: il
31,9% del totale. Nello specifico, il 18,8% delle donne interpellate ha subito
violenze fisiche e il 23,4% violenze sessuali; tra queste ultime, il 5,7% è
stata vittima di stupri o tentati stupri.
Nell’indagine i sottolinea che “i partner, attuali ed ex, sono responsabili
della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate, con quote
superiori al 50% (fatta eccezione per le minacce), e di alcuni tipi di violenza
sessuale come lo stupro, nonché i rapporti sessuali non desiderati, ma subiti
per paura delle conseguenze. Il 63,8% degli stupri, infatti, è opera di partner
(il 59,1% degli ex partner, il 4,7% del partner attuale), il 19,4% di un
conoscente e il 10,9% di amici. Solo il 6,9% è stato opera di estranei alla
vittima”. Rimane stabile, invece, la percentuale delle vittime che hanno
denunciato la violenza subita da parte dei partner o ex partner: è il 10,5%.
“Il quadro fornito dai risultati dell’indagine” – si legge nel report –
“evidenzia una maggiore consapevolezza dei rischi da parte delle donne; si
registra, infatti, una diminuzione delle esperienze di violenza subite dal
partner attuale, sia di natura fisica e sessuale sia psicologica ed economica.
Una maggiore consapevolezza si manifesta anche nell’aumento delle vittime che
considerano un reato quanto hanno subito e di quelle che ricercano aiuto presso
i Centri antiviolenza e i servizi specializzati, soprattutto per le violenze
subite da parte dei partner”.
L'articolo Violenza sulle donne, i dati Istat: gli abusi sessuali sulle
giovanissime raddoppiati dal 2014. E il 60% degli stupri è opera di ex partner
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Sono 1.310 le vittime in incidenti stradali nei primi sei mesi del 2025, in
diminuzione del 6,8% rispetto allo stesso periodo del 2024 quando nelle strade
italiane hanno perso la vita 1.406 persone, quindi quasi 100 in meno. È quanto
viene fuori dalle stime preliminari del rapporto semestrale Aci-Istat che ha
analizzato i dati da gennaio a giugno. Numeri il leggero miglioramento, ma
ancora troppo alti e molto lontani dagli obiettivi del programma “Road Safety
Policy Framework 2021-2030” dalla Commissione Europea che fissa come traguardo
la riduzione del 50% del numero di vittime e feriti gravi entro il 2030: “La
diminuzione delle vittime registrata nel primo semestre del 2025 rappresenta un
progresso verso il raggiungimento degli obiettivi europei, sebbene il percorso
da compiere resti ancora impegnativo“, si legge nel rapporto.
Oltre alle vittime diminuiscono (ma in maniera meno consistente) il numero di
incidenti stradali con lesioni a persone (82.344; -1,3%) e quello dei feriti
(111.090; -1,2%). Peggiora rispetto lo scorso anno invece il numero delle
vittime sulle autostrade (+4,4%), mentre diminuiscono i morti sulle strade
urbane (-8,4%) e su quelle extraurbane (-7,1%). Dai dati si evince che gli
incidenti avvengono con maggior frequenza proprio sulle strade cittadine
(73,3%), mentre il maggior numero di vittime si registra sulle strade
extraurbane (49,1%). Sulle autostrade, invece, si registrano il 5,4% degli
incidenti e l’8,3% dei decessi. A differenza dei dati pubblicati mensilmente dal
ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il rapporto Aci-Istat non tiene
conto solo dei provvisori rilevati dalla Polizia Stradale e dai Carabinieri, ma
anche quelli delle Polizie Locali di 198 Comuni.
Nel confronto con i primi sei mesi del 2019 – anno di riferimento del programma
dalla Commissione Ue – si registra così un calo contenuto degli incidenti
stradali (-1,5%) e dei feriti (-5,0%) e una riduzione dei decessi del 14,6%.
Ancora troppo poco. “La riduzione delle vittime nel primo semestre del 2025,
rispetto allo stesso trimestre 2019, mostra un progresso che negli ultimi anni è
stato debole, confermando la necessità di intensificare le azioni per conseguire
l’obiettivo europeo del dimezzamento delle vittime entro il 2030″, viene
sottolineato nel rapporto. Il tasso di mortalità stradale in Italia è 51,4 morti
per milione di abitanti (dati 2024), un valore 6,6 punti rispetto alla media
europea. Dato che pone l’Italia al diciannovesimo posto della graduatoria del 27
Paesi Ue.
L'articolo Meno incidenti stradali e morti (-6,8%) nei primi 6 mesi del 2025:
“Ma l’Italia è ancora lontana dagli obbiettivi Ue” proviene da Il Fatto
Quotidiano.