di Enzo Ravanelli
Mi sto dirigendo a via Flavia a Roma, una delle sedi del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, dove, insieme ai miei colleghi, saremo di presidio,
autorizzato dalle autorità competenti, durante la prosecuzione dell’incontro che
si svolge in modalità ibrida tra i rappresentanti dei Ministeri competenti, Tim,
Distribuzione Italia/DNA ed Organizzazioni Sindacali nel quale verrà discussa
oltre alla cessione di ramo d’azienda a DNA S.r.l., la concessione degli
incentivi statali previsti per questo tipo di operazione.
Ciò che speriamo è che durante questo incontro le OO.SS. ribadiranno il loro no
all’operazione non apponendo le loro firme sui documenti e così, come primo
risultato, non verranno erogati i fondi, ottenendo come conseguenza
l’annullamento della cessione di Telecontact a DNA.
Sono le 12:45 e si è appena concluso l’incontro ed i rappresentanti sindacali
presenti sono usciti dal Ministero e ci hanno comunicato che non c’è stato
l’accordo per gli incentivi e che in ogni caso Tim è intenzionata a continuare
con la procedura ex articolo 47 e, nel frattempo, ad effettuare una
ristrutturazione di TCC in quanto, oltre alla perdita degli incentivi per la
cessione di ramo d’azienda, termineranno anche quelli della Solidarietà, così
come riportato nel Verbale di mancato accordo.
Ciò che auspicavamo è effettivamente successo anche se il problema più grande
non è stato risolto ma, ripensandoci meglio a mente fredda, si tratta di una
vittoria questa (cioè il no della firma delle OO.SS. per gli incentivi statali
sulle fusioni societarie) praticamente scontata in partenza in quanto, con una
eventuale loro firma sull’accordo, tutti i loro iscritti, fra i dipendenti di
Telecontact, avrebbero strappato la propria tessera.
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L'articolo Cessione Telecontact, una prima vittoria l’abbiamo ottenuta ma il
problema più grande non è risolto proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Tim
di Enzo Ravanelli
È sempre più evidente il disegno dietro al quale si cela la cessione di
Telecontact a DNA, ovvero il licenziamento dei dipendenti del contact center di
Tim. A tale proposito, ciò che noi dipendenti chiediamo con forza anche
attraverso le nostre azioni presenti e future alla Casa Madre, ai Sindacati e
alle Istituzioni non è il mancato riconoscimento degli incentivi previsti in
questi casi dalla legge, ma l’annullamento di tutta questa operazione messa in
piedi mesi or sono.
Non è difficile provare che non si tratta “solamente” di un’esternalizzazione,
ma di un licenziamento mascherato. E, come si suol dire, tre indizi fanno una
prova.
Primo indizio: la “prospettata” possibilità di avere nuove committenze anche
nell’ambito della digitalizzazione, facendo fare corsi appositi ai dipendenti
della newco. Purtroppo, però, sfugge il piccolo particolare che in questi casi,
come prevede la legge, vadano vinte delle gare d’appalto e che non c’è mai, a
prescindere, la certezza di vincerle e di vincere tutte quelle a cui si
partecipa.
Secondo indizio: la recente creazione di DNA, creata appositamente a questo
scopo e che si tratta di una Società a responsabilità limitata con capitale
versato di soli 10.000 euro, nella quale confluiscono anche 1.591 lavoratori
provenienti da una Società per Azioni.
Terzo e ultimo indizio: le solite voci di esuberi che girano da anni nel gruppo
Tim e che hanno portato, tra le altre, alla cessione della rete (con il
benestare di un governo che si definisce sovranista) e dei dipendenti ad essa
collegati al fondo americano Kkr.
Pertanto, tutti noi 1.591 dipendenti di Telecontact ribadiamo ad alta voce il
nostro no a questo matrimonio.
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esternalizzazione proviene da Il Fatto Quotidiano.