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“Corruzione, in Italia quasi 100 indagini all’anno. Mazzette pure per fasi cambi di residenza e certificati di morte”
The Italian job. È con il titolo preso in prestito da un film che investigatori e giornalisti in Belgio cominciano a rifersi alle inchieste per corruzione. Negli ultimi tempi, in effetti, quando in Unione europea si indaga per tangente a finire sotto inchiesta sono spesso cittadini italiani. Quasi che le mazzette siano diventate una prodotto tipico del Belpaese. Una tendenza confermata dal dossier Italia sotto mazzetta, preparato in vista della giornata della lotta alla corruzione del 9 dicembre. L’associazione fondata da don Luigi Ciotti ha censito le inchieste sulla corruzione dal primo gennaio al primo dicembre 2025, basandosi sulle notizie di stampa: ne ha contate ben 96 (erano 48 nel 2024), alla media di otto al mese, con il coinvolgimento di 49 procure in 15 regioni e 1.028 persone indagate, quasi un raddoppio rispetto ai 588 dello scorso anno. CAMPANIA MAGLIA NERA Le regioni meridionali con le isole primeggiano con 48 indagini, seguite da quelle del Centro (25) e del Nord (23). La Campania è “maglia nera” con 219 persone indagate, segue la Calabria con 141 e la Puglia con 110. La Liguria con 82 persone indagate è la prima regione del Nord Italia, seguita dal Piemonte con 80. I reati ipotizzato spaziano dalla corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio al voto di scambio politico-mafioso, dalla turbativa d’asta all’estorsione aggravata dal metodo mafioso. Ci sono mazzette in cambio di un’attestazione falsa di residenza per avere la cittadinanza italiana o per ottenere falsi certificati di morte. In altri casi le dazioni hanno facilitato l’aggiudicazione di appalti nella sanità, per la gestione dei rifiuti o per la realizzazione di opere pubbliche, la concessione di licenze edilizie, l’affidamento dei servizi di refezione scolastica. Ci sono scambi di favori per concorsi truccati in ambito universitario. E ancora, le inchieste per scambio politico elettorale e quelle relative alle grandi opere con la presenza di clan mafiosi. 53 POLITICI SOTTO INCHIESTA Da Torino a Milano, da Bari a Palermo, da Genova a Roma, passando per le città di provincia come Latina, Prato, Avellino, nel corso del 2025 risuona un allarme mazzette con il coinvolgimento di un migliaio di amministratori, politici (53), funzionari, manager, imprenditori, professionisti e mafiosi. Dall’analisi delle inchieste, ancora in corso e dunque senza un accertamento definitivo di responsabilità individuali, emerge una corruzione “solidamente” regolata, spesso ancora sistemica e organizzata, dove a seconda dei contesti il ruolo di garante del rispetto delle “regole del gioco” è ricoperto da attori diversi. Tra i 53 politici indagati (sindaci, consiglieri regionali, comunali, assessori) pari al 5,5% del totale degli indagati, 24 sono sindaci, quasi la metà. Il maggior numero di politici indagati sono in Campania e Puglia (13), seguite da Sicilia con 8, e Lombardia con 6. “Si tratta di un quadro sicuramente parziale, per quanto significativo, di una realtà più ampia sfuggente”, spiega Libera. “NON È UN’ANOMALIA, MA UN SISTEMA” “I dati che presentiamo ci parlano con chiarezza: la corruzione in Italia non è affatto un’anomalia, bensì un sistema che si manifesta in mille forme diverse, adattandosi ai contesti, riflettendo l’impiego di tecniche sempre più sofisticate. Da quelle più classiche (la mazzetta, l’appalto truccato, il concorso pilotato) fino a quelle ormai pressoché legalizzate, frutto di una vera e propria cattura dello Stato da parte di un’élite impunita: leggi e regole scritte su misura per i potenti di turno, conflitti di interesse tollerati, relazioni opache tra decisori pubblici e portatori di soverchianti interessi privati”, dice Francesca Rispoli, copresidente nazionale di Libera. “La questione – aggiunge – va molto al di là delle singole responsabilità individuali. Sono all’opera meccanismi che, se non svelati e contrastati, rischiano di consolidare un sistema di potere sempre più irresponsabile. Non basta invocare pene più severe, o attendere l’ennesima inchiesta giudiziaria, spesso destinata ad arenarsi in un nulla di fatto: occorre rinnovare un patto forte e lungimirante tra istituzioni responsabili e cittadinanza attiva. Da un lato, le istituzioni pubbliche consolidino i presidi di prevenzione e si dotino di strumenti efficaci di contrasto della corruzione, anziché delegittimarli e indebolirli come si è fatto negli ultimi anni. Dall’altro, la cittadinanza deve potenziare la capacità di far sentire la propria voce, investendo in una crescita della cultura della segnalazione, del monitoraggio civico, dell’impegno condiviso nel difendere i beni comuni e l’interesse pubblico”. L'articolo “Corruzione, in Italia quasi 100 indagini all’anno. Mazzette pure per fasi cambi di residenza e certificati di morte” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il giudice sul primario arrestato per corruzione: “Mandava i pazienti nella struttura di cui era socio occulto”
Roberto Palumbo “aveva un controllo della destinazione dei pazienti verso i vari centri” e, secondo il giudice per le indagini preliminari, gli indirizzava “in modo da raggiungere il massimale consentito verso la Dilauer”. Non una struttura a caso, visto che possiede “di fatto il 60% delle quote” del centro dialisi. È racchiusa principalmente in questo passaggio, contenuto nell’ordinanza con la quale il gip di Roma ha disposto i domiciliari, l’accusa al primario di Nefrologia dell’ospedale Sant’Eugenio, arrestato in flagranza mentre intascava una tangente dall’imprenditore Maurizio Terra. Stando all’inchiesta, il medico avrebbe avuto a disposizione carte di credito, un appartamento in affitto, il leasing di un’automobile di lusso e sua moglie avrebbe ricevuto un contratto di consulenza da 2.500 euro al mese. Le mazzette incassate, stando all’inchiesta, erano “a carattere mensile”. Nel provvedimento sono citate una serie di intercettazioni tra Palumbo e l’imprenditore Maurizio Terra. In un dialogo carpito, a detta del giudice, c’è la prova del passaggio di denaro mensile: il primario afferma “è urgente a questo punto, uno come deve fare e basta..” a cui Terra replica “l’unica è cambiare sistema e finisce la storia, sennò ogni mese è così”. Nell’atto il giudice cita alcuni episodi, a partire dall’aprile scorso, in cui il medico avrebbe ricevuto del denaro in contanti. Il giudice definisce “gravi i fatti contestati” e aggiunge che Terra “ha, sostanzialmente, ammesso i fatti e anche Palumbo, che nel corso dell’interrogatorio reso dinanzi al pm era parso più reticente ha, infine, operato ammissioni di responsabilità nel corso dell’udienza di convalida”. Per il magistrato, il “sinallagma tra la funzione” esercitata dal medico e il “pagamento è evidente”. Non solo: il gip ritiene anche evidente che Palumbo “potesse agevolare l’invio dei pazienti, anche verso la Dialeur, società da lui di fatto detenuta con partecipazione di maggioranza”. Nel provvedimento il giudice spiega che “Terra ha ammesso, con più trasparenza, le proprie responsabilità, ha fornito elementi atti a ricostruire compiutamente i fatti, ha mostrato, soprattutto all’udienza di convalida, di essere quasi sollevato dall’emersione della vicenda che, in qualche modo, gli ha consentito di sottrarsi a procedure e condotte necessarie per poter svolger e la propria attività ma vissute anche come imposizioni”. E ancora: “Ha chiaramente detto che la titolarità formale del 60% delle quote gli è stata sostanzialmente imposta ed ha avuto uno sviluppo, nel tempo, da lui patito e, certamente, non voluto, non avendogli portato alcun vantaggio”. Per quanto riguarda Palumbo “ha reso dichiarazioni che, comunque, hanno permesso una più esatta ricostruzione dei fatti e, tuttavia, la sua condotta va valutata come più grave perché la contestazione consente di cogliere una costanza di comportamenti e, dunque, una pervicacia, significative di una personalità incline alla commissione di reati della specie di quello per cui si procede”, scrive il giudice. Palumbo, conclude, “ha dichiarato di non essere interessato a mantenere il ruolo di direttore della struttura, ha dichiarato di voler lasciare il pubblico e, tuttavia, da anni, mantiene la sua posizione di potere e continua e lavorare nella struttura pubblica”. L'articolo Il giudice sul primario arrestato per corruzione: “Mandava i pazienti nella struttura di cui era socio occulto” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Sistema Sorrento”, il pm scrive alla corte dei Conti: “Valutare anche danni erariali”
L’ex sindaco di Sorrento Massimo Coppola rischia di rispondere adesso anche davanti dalla Corte dei conti. La procura di Torre Annunziata ha comunicato, con una lettera di poche righe, l’esito delle prime indagini sul “Sistema Sorrento” al procuratore regionale della Corte dei conti Antonio Giuseppone e al presidente dell’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia. Secondo il codice di procedura penale, infatti, il pubblico ministero dell’inchiesta penale ha l’obbligo di informare la procura contabile quando esercita l’azione penale – ovvero quando chiede il rinvio a giudizio – per un reato che ha causato un danno all’erario. Questa disposizione crea un collegamento tra il processo penale e quello contabile, segnalando alla Corte dei conti l’esistenza di un potenziale danno erariale, per poter avviare le proprie autonome procedure. La richiesta di giudizio immediato di Coppola e dello “staffista” Francesco Di Maio (quest’ultimo non oggetto della comunicazione alla corte dei Conti), accusati di induzione indebita per le presunte tangenti intascate dall’imprenditore delle mense Michele De Angelis – primo filone di una più ampia indagine della Finanza su molte ipotesi di corruzione intorno agli appalti pubblici – porta la data dell’11 novembre. Il Gip l’ha accolta dopo pochi giorni, fissando la prima udienza al 20 febbraio 2026. Coppola (difeso dagli avvocati Bruno Larosa e Gianni Pane) ora è agli arresti domiciliari in un convento nel Lazio, mentre Di Maio (difeso dall’avvocato Alessandro Orsi) nei giorni scorsi ha ottenuto il ritorno a casa, a Vico Equense, dove proseguirà la detenzione domiciliare dopo un lungo periodo trascorso in una struttura religiosa in provincia di Arezzo. Il rinvio a giudizio non indica parti offese e quindi non verrà notificato al Comune di Sorrento, retto da un commissario prefettizio, la dottoressa Rosalba Scialla. Questo non impedisce a Scialla di valutare se e come chiedere di far costituire l’Ente parte civile nel processo. L'articolo “Sistema Sorrento”, il pm scrive alla corte dei Conti: “Valutare anche danni erariali” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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