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Il giudice sul primario arrestato per corruzione: “Mandava i pazienti nella struttura di cui era socio occulto”
Roberto Palumbo “aveva un controllo della destinazione dei pazienti verso i vari centri” e, secondo il giudice per le indagini preliminari, gli indirizzava “in modo da raggiungere il massimale consentito verso la Dilauer”. Non una struttura a caso, visto che possiede “di fatto il 60% delle quote” del centro dialisi. È racchiusa principalmente in questo passaggio, contenuto nell’ordinanza con la quale il gip di Roma ha disposto i domiciliari, l’accusa al primario di Nefrologia dell’ospedale Sant’Eugenio, arrestato in flagranza mentre intascava una tangente dall’imprenditore Maurizio Terra. Stando all’inchiesta, il medico avrebbe avuto a disposizione carte di credito, un appartamento in affitto, il leasing di un’automobile di lusso e sua moglie avrebbe ricevuto un contratto di consulenza da 2.500 euro al mese. Le mazzette incassate, stando all’inchiesta, erano “a carattere mensile”. Nel provvedimento sono citate una serie di intercettazioni tra Palumbo e l’imprenditore Maurizio Terra. In un dialogo carpito, a detta del giudice, c’è la prova del passaggio di denaro mensile: il primario afferma “è urgente a questo punto, uno come deve fare e basta..” a cui Terra replica “l’unica è cambiare sistema e finisce la storia, sennò ogni mese è così”. Nell’atto il giudice cita alcuni episodi, a partire dall’aprile scorso, in cui il medico avrebbe ricevuto del denaro in contanti. Il giudice definisce “gravi i fatti contestati” e aggiunge che Terra “ha, sostanzialmente, ammesso i fatti e anche Palumbo, che nel corso dell’interrogatorio reso dinanzi al pm era parso più reticente ha, infine, operato ammissioni di responsabilità nel corso dell’udienza di convalida”. Per il magistrato, il “sinallagma tra la funzione” esercitata dal medico e il “pagamento è evidente”. Non solo: il gip ritiene anche evidente che Palumbo “potesse agevolare l’invio dei pazienti, anche verso la Dialeur, società da lui di fatto detenuta con partecipazione di maggioranza”. Nel provvedimento il giudice spiega che “Terra ha ammesso, con più trasparenza, le proprie responsabilità, ha fornito elementi atti a ricostruire compiutamente i fatti, ha mostrato, soprattutto all’udienza di convalida, di essere quasi sollevato dall’emersione della vicenda che, in qualche modo, gli ha consentito di sottrarsi a procedure e condotte necessarie per poter svolger e la propria attività ma vissute anche come imposizioni”. E ancora: “Ha chiaramente detto che la titolarità formale del 60% delle quote gli è stata sostanzialmente imposta ed ha avuto uno sviluppo, nel tempo, da lui patito e, certamente, non voluto, non avendogli portato alcun vantaggio”. Per quanto riguarda Palumbo “ha reso dichiarazioni che, comunque, hanno permesso una più esatta ricostruzione dei fatti e, tuttavia, la sua condotta va valutata come più grave perché la contestazione consente di cogliere una costanza di comportamenti e, dunque, una pervicacia, significative di una personalità incline alla commissione di reati della specie di quello per cui si procede”, scrive il giudice. Palumbo, conclude, “ha dichiarato di non essere interessato a mantenere il ruolo di direttore della struttura, ha dichiarato di voler lasciare il pubblico e, tuttavia, da anni, mantiene la sua posizione di potere e continua e lavorare nella struttura pubblica”. L'articolo Il giudice sul primario arrestato per corruzione: “Mandava i pazienti nella struttura di cui era socio occulto” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Arrestato in flagranza primario del Sant’Eugenio di Roma: “Ha intascato tangente da un imprenditore”
Li hanno beccati proprio mentre si scambiavano il denaro, una mazzetta da 3mila euro. Per questo la polizia ha arrestato in flagranza il primario di Nefrologia dell’ospedale Sant’Eugenio, Roberto Palumbo, e l’imprenditore Maurizio Terra, amministratore unico della Dialeur, azienda che fornisce strumentazione per la dialisi. Entrambi sono accusati corruzione. L’operazione risale a giovedì – secondo quanto anticipato dal Corriere della Sera – ma la notizia è trapelata solo nella giornata di sabato e il giudice per le indagini preliminari non ha ancora convalidato la misura richiesta dalla Procura di Roma con l’aggiunto Giuseppe De Falco. L’inchiesta che ha portato all’arresto di Palumbo, che da anni collabora con la Regione Lazio per affrontare le problematiche nefrologiche regionali ed è stato nella Commissione regionale di vigilanza sull’emodialisi, vede complessivamente dodici persone indagate. Il primario sarebbe stato fermato dagli agenti della Squadra Mobile proprio nel momento in cui intascava i 3mila euro dall’imprenditore: il primo è in carcere, l’altro ai domiciliari. Secondo la ricostruzione dell’inchiesta, tuttavia, l’episodio non sarebbe un caso isolato ma si inserirebbe in un giro di tangenti legato alle dimissioni di pazienti che venivano poi indirizzati, come sarebbe accaduto per quello pagato 3mila euro appunto, in strutture sanitarie private. Tra gli indagati figurerebbero proprio i responsabili delle case di cura che offrono servizi specifici per i dializzati. Stando agli accertamenti dei magistrati, i soldi per le mazzette al primario – e non si esclude anche ad altri medici – sarebbero il provento di false fatture che venivano emesse da una società creata ad hoc. L'articolo Arrestato in flagranza primario del Sant’Eugenio di Roma: “Ha intascato tangente da un imprenditore” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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In Italia la spesa pubblica sanitaria è tra le più basse dei Paesi Ocse. E le famiglie pagano di tasca propria molto più degli altri
Gli ospedali reggono, spesso grazie all’abnegazione e alla preparazione dei professionisti. Il territorio invece cede, incapace di intercettare precocemente i bisogni dei cittadini prima che diventino emergenze. Il quadro dell’Italia che emerge dal rapporto Health at a Glance 2025 dell’Ocse – che analizza i sistemi sanitari di 38 Paesi industrializzati – è quello di uno Stato che ha smesso di investire nel proprio sistema sanitario, scaricando costi e responsabilità sul personale rimasto e sui cittadini. L’Italia spende per la sanità 5.164 dollari pro capite, ben sotto la media Ocse (5.967), un terzo in meno della Francia (7.367) e oltre il 40% in meno della Germania (9.365). Una scelta politica che ha delle conseguenze: le famiglie italiane sono tra quelle che pagano di più di tasca propria per la loro salute in tutta Europa. La spesa sanitaria “out of pocket” incide per il 3,5% sui consumi domestici. Contro il 2% della Francia e il 2,5% della Germania. Il 48% di questa spesa privata è dedicato all’assistenza ambulatoriale. È il secondo valore più alto dell’area, contro una media Ocse del 22%. Quello che dovrebbe essere garantito dal pubblico, dunque, è sempre più un bene acquistato, anche per via delle lunghe liste d’attesa che spingono chi può verso il privato, e chi non può verso la rinuncia. Facendo scivolare il Servizio sanitario nazionale verso un modello sempre più frammentato e diseguale. CRITICITÀ SUI FATTORI DI RISCHIO PER LA SALUTE Anche per quanto riguarda i fattori di rischio per la salute, il rapporto identifica e misura le criticità del sistema italiano. Nel nostro Paese vengono prescritti più antibiotici rispetto alla media Ocse ed esiste un serio problema di sedentarietà e di abitudini nocive, soprattutto tra i giovani: siamo terzi per prevalenza di fumatori tra i 15enni (circa il 15%, dopo Ungheria e Bulgaria) e secondi per consumo di alcol tra gli adolescenti, dietro solo alla Danimarca. Per quanto riguarda l’attività fisica, il 45% degli adulti non ne fa abbastanza (la media Ocse è del 30%) e gli adolescenti italiani risultano i meno attivi dell’intera area, con un dato in deciso peggioramento negli ultimi dieci anni. A questi fattori di rischio si aggiunge l’inquinamento: l’esposizione media al Pm 2,5 è di 14,3 microgrammi per metro cubo, anche in questo caso sopra la media Ocse di 11,2 microgrammi. LA CRISI DEGLI INFERMIERI Altro punto critico identificato dal rapporto è quello del personale, in particolare gli infermieri: l’Italia ne ha 6,9 per mille abitanti, contro una media Ocse di 9,2. In Francia sono 11 e in Germania 13. Una carenza gravissima che indebolisce ospedali, Rsa, servizi domiciliari e sanità territoriale. Senza infermieri non possono esistere le Case di Comunità, così come non può essere garantita un’adeguata assistenza domiciliare o la corretta presa in carico dei pazienti cronici. Il problema, oltreché legato alle condizioni lavorative, è economico: negli altri Paesi Ocse gli infermieri guadagnano in media il 20% in più del salario medio nazionale. In Italia, al contrario, guadagnano meno della media dei lavoratori a tempo pieno. Una condizione che rende la professione poco attraente per i giovani e spinge molti professionisti a emigrare all’estero o a spostarsi nel privato. In futuro la situazione non migliorerà: negli ultimi dieci anni, mentre nei Paesi Ocse il numero di nuovi infermieri cresceva, in Italia i laureati in infermieristica sono diminuiti del 20%. La professione è percepita come faticosa, rischiosa e scarsamente retribuita. Tanto che i posti nelle università restano vacanti a causa della mancanza di candidati. L’ASSISTENZA A LUNGO TERMINE Il rapporto fotografa inoltre una fragilità profonda nell’assistenza a lungo termine: il nostro Paese conta solo 1,5 operatori ogni 100 over 65, contro una media Ocse di 5. Un dato che pesa ancora di più se pensiamo che il nostro è uno dei Paesi più anziani al mondo. Critico anche il dato sui posti letto: gli ospedali italiani ne hanno 3 posti ogni mille abitanti, contro i 4,2 della media Ocse e i 5,4 francesi e i 7,7 tedeschi. GLI INDICATORI POSITIVI Nonostante le carenze strutturali, la poca prevenzione e un crescente ricorso alla spesa privata, l’Ssn, con il suo approccio universalistico, mostra ancora dei risultati eccellenti su alcuni indicatori. Il nostro Paese, infatti, continua a figurare tra quelli con la più alta aspettativa di vita al mondo (83,5 anni, ovvero 2,4 in più rispetto alla media) e con un sistema ospedaliero capace di garantire ottimi risultati nella cura delle urgenze, nonostante la profonda crisi in cui versano i pronto soccorso: le mortalità post-infarto e post-ictus sono più basse della media Ocse, così come la mortalità prevenibile e quella curabile. Ma, come evidenzia il report, senza un’inversione di rotta – soprattutto per quanto riguarda gli investimenti sul personale, la prevenzione e il rafforzamento del territorio – l’Italia comprometterà presto anche questi indicatori positivi, che oggi la collocano tra i Paesi più longevi e clinicamente efficaci dell’Ocse. L'articolo In Italia la spesa pubblica sanitaria è tra le più basse dei Paesi Ocse. E le famiglie pagano di tasca propria molto più degli altri proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Perché pago le tasse. Una storia (e un’idea per l’opposizione)
Pagare le tasse può essere seccante. Da lavoratore dipendente, leggere il totale delle trattenute e confrontare il lordo con il netto è un colpo al cuore. A volte scatta un senso di ingiustizia: così è troppo. Gli autonomi hanno l’opzione di fatturare e dichiarare meno del dovuto e tantissimi lo fanno. Chi versa fino all’ultimo centesimo tende a sentirsi in minoranza. Cornuto e mazziato. Mentre alle sue spalle gli evasori innaffiano con lo champagne un banchetto a base di ostriche e tagliolini al tartufo, come in uno sfortunato spot del ministero dell’Economia che avrebbe dovuto convincere le partite Iva ad aderire al (fallimentare) concordato preventivo biennale con il fisco. Capita però che a un certo punto della vita qualcosa ci ricordi perché paghiamo. E perché rivolgersi ai contribuenti onesti promettendo rigore estremo contro quel furto che è l’evasione – e impegnandosi a correggere le insopportabili iniquità dell’attuale sistema fiscale, a partire dalle flat tax – potrebbe essere una buona idea per i partiti dell’attuale opposizione. Il punto per me è questo perché mia madre sta morendo. Dopo il terzo, lungo ricovero di quest’anno abbiamo deciso di riportarla a casa come aveva chiesto. Gestire in casa un paziente oncologico terminale, al netto del peso psicologico sui famigliari che se ne prendono cura, richiede molta organizzazione e l’aiuto di diversi professionisti. Ma permette anche di scoprire che, nonostante il definanziamento in termini reali subìto negli ultimi 15 anni, la sanità pubblica italiana è miracolosamente ancora in grado di riservare sorprese positive. Medici, infermieri e Oss che in reparti fatiscenti dedicano ai ricoverati un’attenzione affettuosa. Una rete di servizi territoriali che offre gratuitamente non solo attrezzature e presìdi ma anche la visita quotidiana di un infermiere e la presa in carico da parte di un medico palliativista che valuta lo stato del paziente, fornisce gli analgesici per la terapia del dolore, offre alla famiglia colloqui con uno psicologo, propone l’opzione del ricovero in hospice. Sono diritti fondamentali, previsti dalla legge 38 del 2010. Vederseli riconoscere per davvero è però un sollievo inatteso. Del resto garantirli è sempre più difficile. Il Friuli-Venezia Giulia, dove mia madre vive, è la seconda Regione più anziana d’Italia e il fabbisogno di cure palliative è dieci volte superiore alla media nazionale per 100mila abitanti. I medici sono troppo pochi e fanno i salti mortali. Oltre ai casi terminali, devono gestire centinaia di pazienti con malattie neurodegenerative a lungo decorso. Servono più risorse e più professionisti. E qui torniamo alle tasse, obbligo seccante fino a che non si ha bisogno dei servizi che contribuiscono a finanziare. Quali? Scoprirlo non è difficile: la pagina personale di ogni contribuente, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, racconta che cosa è stato pagato con le sue imposte. L’anno scorso 3.700 euro della mia Irpef sono andati alla voce previdenza e assistenza, quasi 3mila alla sanità. Averli pagati, al momento, mi fa sentire in pace. Mi piace illudermi che un evasore incallito, in una situazione analoga, provi un certo disagio. Che c’entra l’opposizione? Oggi ancora di più voterei volentieri chi mi promettesse di fare tutto il necessario – gli esperti possono suggerire le ricette più efficaci – perché tutti paghino. Il che consentirebbe di recuperare strutturalmente un centinaio di miliardi l’anno e per quella via, oltre a ridurre le aliquote per tutti, portare la spesa sanitaria a un livello decoroso in proporzione al pil. Se nel programma fosse anche previsto che nemmeno un euro sarà tolto a sanità, istruzione e assistenza per gonfiare la spesa per la difesa, tanto meglio. L'articolo Perché pago le tasse. Una storia (e un’idea per l’opposizione) proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Da sempre critico la ‘contro-riforma’ Bindi della sanità: vi spiego in cosa consiste l’imbroglio
Ieri ho seguito in streaming l’iniziativa promossa da Rosy Bindi nella sede del Senato a palazzo Giustiniani dal titolo “Legge di bilancio, ancora un colpo alla sanità pubblica”. Questa conferenza, molto simile alle parate, ha – quasi – un copione standard: da una parte Bindi e i suoi generali cioè i suoi relatori e dall’altra almeno 140 associazioni per lo più riconducibili al privato sociale, ai movimenti cattolici, a laboratori sociali, a diversi forum, tutti schierati, come se fossero un esercito. Che cosa voglia fare la Bindi di questo esercito è chiaro solo a lei. Mio nonno Primo mi diceva che neanche il cane muove la coda per niente. Immagino che Bindi abbia i suoi bravi propositi e le sue brave ambizioni che peraltro non sono neanche tanto difficili da comprendere. Niente di male sia chiaro. Tempo fa qualcuno l’ha persino candidata alla presidenza della Repubblica. Da tempo, come sanno tutti, sostengo nei miei libri e nei mei articoli che Bindi si comporti da “imbrogliona”: una ex ministro della Sanità che al governo di destra chiede più soldi per la sanità pubblica ma nello stesso tempo non è in nessun modo disponibile a modificare le terribili politiche neoliberiste da lei fatte con la sua devastante controriforma. In cosa consiste l’imbroglio? Chiedere più soldi per la sanità pubblica oggi, senza toccare di un euro la batteria di incentivi fiscali per mezzo della quale grazie alla riforma Bindi cresce senza soste la privatizzazione, è materialmente impossibile. Lo stanziamento per finanziare le due sanità – quella pubblica e quella privata – dovrebbe essere complessivamente raddoppiato e tutti sanno che oggi le condizioni economiche per farlo non ci sono per non tacere del vincolo che il governo ha preso con l’Europa di assegnare il 6% del Pil alle spese militari. Ma l’imbroglio della Bindi si vede anche per un altro fatto del quale essa non sembra per nulla turbata: come mai la destra per appaltare al privato i servizi sanitari pubblici ritiene che basti applicare fino in fondo proprio la controriforma Bindi? Infine un’altra ragione. Ormai il sistema pubblico sta sbandando, come dicono tutti i dati, verso il privato: ormai la gente per potersi curare è obbligata a pagare. Se è così, è ovvio che per rimettere in carreggiata la sanità pubblica bisogna ridimensionare la sanità privata, come è altrettanto ovvio che per ridimensionare la sanità privata bisogna cancellare – ripeto cancellare – la controriforma della Bindi e fare un’altra legge. E’ impossibile ridurre la privatizzazione senza cambiare quella norma. Io credo che, con la destra al governo, imbrogliare sulla sanità oggi sia molto pericoloso per la sinistra. La maggior parte di questa sinistra – proprio perché bisogna combattere la destra – preferisce far finta di niente, negando anche di fronte all’evidenza l’imbroglio. Ma questo implica un altro imbroglio: la manipolazione dell’informazione. Per questo vorrei rendere noti due episodi concreti che riguardano i miei rapporti con due giornali con i quali ho avuto lunghe collaborazioni: con entrambi ci sono stati scambi diretti e interlocuzioni che non hanno avuto alcun esito. Il primo è relativo al Manifesto, giornale storico della sinistra italiana, per il quale – fin dalla sua nascita (1971) – ho scritto pro bono, a difesa sia della sanità pubblica che dell’articolo 32. Il secondo è relativo a Quotidiano sanità, giornale on line di proprietà di “Consulcesi group”, sul quale ho scritto – sempre pro bono – per 25 anni quindi fin dalla sua nascita. La coincidenza vuole che entrambi i giornali abbiano cambiato nello stesso anno (2023) la gerenza e che – anche se per ragioni molto diverse – siano arrivati ad adottare comportamenti censori contro di me che gli imbrogli vorrei denunciarli. Il Manifesto – forse considerando Bindi come Rosa Luxemburg – è arrivato a vietare a me che non la considero tale la libertà di esprimere un’opinione quindi censurando le mie critiche. Quotidiano sanità idem, con in più l’intolleranza del giornale padronale verso coloro che, oltre a denunciare gli imbrogli, denunciano la destra che mette a regime le riforme della Bindi. Non ho potuto nemmeno pubblicare una lettera d’addio ai lettori. Se la censura la intendessimo come severa riprensione di certi valori, allora due cose sarebbero chiare: che la critica alla privatizzazione della sanità e dei suoi responsabili in nome della difesa dei diritti è la prima causa della censura di cui mio malgrado ritengo di essere vittima; che le censure che mi sono state imposte servono a imbrogliare di più e meglio perché sono tutte finalizzate a nascondere le verità sui responsabili della privatizzazione. L'articolo Da sempre critico la ‘contro-riforma’ Bindi della sanità: vi spiego in cosa consiste l’imbroglio proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il disastro della sanità piemontese ora è valanga: 10 miliardi di risorse per un settore inefficiente
A Torino e in Piemonte anche i giornali si sono accorti del disastro della sanità piemontese, delle inchieste giudiziarie che svelano ciò che in tanti potevano vedere anche prima. Gli scandali stanno diventando una valanga che nessuno riesce più ad arrestare e che finirà per travolgere anche un’opposizione inconsistente. Prima di aggiungere altra carne al fuoco (lo farò nella seconda parte di questo post) voglio riassumere i termini del disastro, perché non è una questione locale. Alla Città della Salute di Torino (Molinette) si susseguono delibere di scorporo di parti del complesso ospedaliero che sembrano più destinate a costruire carriere che a razionalizzare e migliorare il servizio sanitario. Dopo aver passato vent’anni ad accorpare servizi e strutture ospedaliere, con due pagine mal scritte se ne minano le fondamenta senza indicare costi e carichi, solo lauti incarichi. Il commissario straordinario Schael è stato defenestrato ad agosto perché “si rifiutava di firmare il bilancio 2024 senza verifica”, il successore Tranchida l’ha subito fatto con la penna fortunata dell’assessore… per essere smentito una settimana dopo dagli atti che accompagnano i rinvii a giudizio di 16 dirigenti degli ultimi 10 anni. Le carte di questa maxi-inchiesta rivelano un quadro a dir poco spaventoso della gestione delle Molinette, mentre l’Università se ne sta zitta, come se non fosse anche affar suo. Storie di delibere adottate e non applicate, di intramoenia allegra che nel 2024 è costata all’Azienda 402.633,32 euro più dei ricavi, con contributi dovuti ma mai chiesti ai medici e da questi mai corrisposti. Non basta, perché restano ancora da raccontare i capitoli importanti, ad esempio quello del rapporto fra cliniche private, assicurazioni e rimborsi regionali. È emersa una perla rara in questi giorni: i vertici delle Molinette hanno appena deliberato un premio di 82mila euro ai dirigenti per gli ottimi risultati ottenuti nel 2023: al direttore sanitario (che ha anche firmato la delibera) 17mila euro; al Direttore Generale fino a marzo 2025 La Valle 21mila, è la stessa persona oggi indagata per falso in bilancio, contro il quale la Regione e l’Azienda si sono appena costituiti parte civile. Poi c’è l’edilizia sanitaria: fiumi di denaro per gare eterne, consulenze a go-go spesso per certificare ciò che era già agli atti, tutte cose di cui ho dato puntualmente conto negli anni passati senza cogliere alcun sussulto. Intanto Novara aspetta la sua Città della Salute e Torino anche. A ogni passo avanti corrispondono rinvii e di nuovi ospedali veri neanche l’ombra. Cirio – governa da 8 anni – e la sua giunta propongono scenari e deliberazioni ogni volta diverse, nel tentativo di mascherare il fallimento e rimandare ogni cosa ai successori in attesa che maturino i loro presupposti per carriere lontano da Torino, così tutto passerà nel dimenticatoio. Ci sono anche gli scandali per i maltrattamenti dei pazienti, le manovre della parente di Ghiglia e molte altre storie che finalmente vengono raccontate. Di tutto questo ci siamo occupati e ancora ci occuperemo. Il plurale maiestatis è d’obbligo: chi conosce le fatiche dello studio e dell’analisi documentale, sa che i risultati non vengono da una persona sola. C’è una rete di umarel 2.0, pensionati e non, che guardano e analizzano le “carte”, con una preferenza per la sanità (l’età…), forti dell’esperienza di tanti anni di gestione e di direzione, spesso presi a calci nei denti dalla politica. Molte mie info vengono da lì: c’è sempre qualcuno che ti aiuta a trovare il bandolo, perché è lì, davanti al “cantiere”, che osserva critica e giudica. Spesso individuando a colpo sicuro il punto debole o dove colpisce la mazzetta. Sono loro, gli umarel 2.0, che mi hanno illuminato sul tema che segue: per un po’ non ne parlerà nessuno, poi esploderà in tutta la sua dirompenza. Come si costruiscono gli indicatori della buona gestione di strutture ospedaliere? Io ho fatto così: ho acquisito i dati relativi al bilancio 2024 di cinque importanti Aziende Ospedaliere Universitarie italiane, ne ho calcolato l’indice di efficienza comparando i trasferimenti regionali dal F.S.R. con i ricavi derivanti dalla attività prodotte. Il rapporto fra queste due grandezze produce il ricavo per ogni euro investito. Ebbene, in cima alla classifica si colloca l’Umberto I di Roma con un indice di efficienza del 3,022 (€ ricavati per ogni € investito); segue il Sant’Orsola di Bologna col 2,52, poi l’Ospedale Maggiore di Novara col 2,21, il San Luigi di Orbassano (TO) con l’1,90. A seguire la Città della Salute/Molinette con l’1,45, maglia nera il Niguarda di Milano con l’1,35 (ristrutturazione in corso nel 2024, quindi forte riduzione dell’attività). L’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino ha registrato a fine 2024 una perdita di esercizio superiore a 54 milioni di euro. Tanto, ma la perdita “vera” sarebbe di circa 200 milioni di euro se la Regione non fosse stata particolarmente “generosa” (403 mln di euro), trasferendole in percentuale più fondi che all’AOU San Luigi di Orbassano (306 mln) e dell’AOR Maggiore di Carità di Novara (263 mln). Siccome le risorse per la sanità regionale sono stabilite a livello nazionale, quella “bruciate” dalla Città della Salute torinese sono state “sottratte” alle altre ASL e ASO del Piemonte. Il mio non è accanimento ideologico. Questo settore “spende” ogni anno risorse pubbliche per quasi 10 miliardi, il 5,8% del Pil della Regione. I dati e le evidenze sembrano dimostrare che una sanità pubblica gestita così male costituisce un freno al progresso. Da tempo orma i il Piemonte non è più uno dei vertici del triangolo industriale del Nord, con questa gestione della sanità rischia di diventare anche un’emergenza nazionale. L'articolo Il disastro della sanità piemontese ora è valanga: 10 miliardi di risorse per un settore inefficiente proviene da Il Fatto Quotidiano.
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