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Il cuore scoperto di Victoire Tuaillon
N egli ultimi anni in Italia sono stati pubblicati e tradotti numerosi testi dedicati all’intimità e alle relazioni. In poco tempo sono usciti Sovvertire le intimità. Per una politicizzazione del poliamore (2025) di Nic Braida, la traduzione di Polisicure. Etica, teoria e pratica delle relazioni non monogame (2025) di Jessica Fern, mentre nell’ambito della traduzione militante la fanzine Amare senza emergenza di Clementine Morrigan, e alcuni capitoli di Spero sceglieremo l’amore di Kai Cheng Thom. Questi testi si affiancano ad altri ormai fondamentali come Per una rivoluzione degli affetti (2022) di Brigitte Vasallo, alla ripubblicazione nel 2022 di Tutto sull’amore di bell hooks e a molti altri contributi che interrogano il modo in cui costruiamo e viviamo le relazioni. Questa costellazione di testi è testimone di un’urgenza collettiva, che nasce anche da anni di riflessioni e pratiche transfemministe: quella di ripensare le relazioni non come fatto privato ma come questione politica e sociale. È sempre più diffuso ed evidente il desiderio di interrogarsi sulle nostre relazioni; su come le costruiamo, su come le viviamo e su quanto siano influenzate dalle condizioni materiali delle nostre vite, dal poco tempo che ci lascia il lavoro retribuito, dall’isolamento e dalla precarietà che il capitalismo produce anche sul piano affettivo. In questo contesto si inserisce anche la traduzione di Il cuore scoperto. Per ri-fare l’amore di Victoire Tuaillon, pubblicato quest’anno da add editore. Il libro nasce dal percorso collettivo e autogestito dell’Associazione Vanvera che, dopo aver realizzato la traduzione italiana del podcast Le cœur sur la table di Tuaillon, ne ha curato un adattamento in forma di libro, situando contenuti e riflessioni in ambito italiano. Nel volume – oltre alla trascrizione delle puntate del podcast – sono raccolti gli interventi di Leo Acquistapace, Marie Moïse, Giusi Palomba, Valentina Amenta, la collettiva Sessfem, Giorgia Serughetti, Antonia Caruso, Giulia Siviero e Carlotta Cossutta: attivistə e studiosə italianə invitatə a collocare i discorsi proposti nel podcast, e situati in Francia, all’interno dei discorsi collettivi, delle teorie e delle pratiche sviluppate in Italia. A fianco a queste, ogni capitolo si chiude con la bibliografia consigliata da una libreria indipendente. > È sempre più evidente il desiderio di interrogarsi sulle relazioni e su quanto > siano influenzate dalle condizioni materiali delle nostre vite, > dall’isolamento e dalla precarietà che il capitalismo produce anche sul piano > affettivo. Il libro è un’indagine corale sulle relazioni, un discorso collettivo sulla necessità di scardinare le normazioni e i dogmi dell’amore romantico, è l’osservazione di quanto il sistema-coppia (eteronormata e monogama), per come ci viene raccontato e venduto, sia funzionale alla sopravvivenza di un sistema economico e socioculturale e al contempo origine di molte delle nostre sofferenze. Il cuore scoperto, che nasce dall’esigenza di Tuaillon di “preservare quello che conta: la cura, l’amore, l’arte, la vita, le relazioni ricche e profonde”, è arrivato in Italia grazie all’urgenza che le persone di Associazione Vanvera hanno sentito: > l’urgenza che sentiamo di far fronte ai tempi bui, al dilagare di parole > povere e di intenzioni prevaricatrici, a questo odio che è sempre stato lì, ma > che oggi prende ancora più spazio. Un odio che assume anche la forma della > violenza patriarcale, dell’oppressione eteronormativa, delle discriminazioni, > dei femminicidi. In maniera più subdola, quest’odio passa anche dallo > svilimento delle relazioni e del senso di comunità, ci isola nella nostra > individualità e nella perpetua riconferma delle nostre identità frammentarie. Fin dall’inizio della lettura, le parole di Tuaillon ci raccontano come l’amore romantico che ci viene insegnato fin da bambinə – specialmente se si è socializzate donne – sia un insieme di prescrizioni e limiti che poco hanno a che fare con il costruire relazioni di cura. Nel primo capitolo, che introduce le intenzioni delle riflessioni successive, Tuaillon afferma di voler indagare “l’amore come questione sociale. Vorrei capire in che modo il fatto di essere persone cresciute, socializzate, identificate come donne o uomini, come persone bianche o non bianche, abili o no, abbia un impatto diretto sulle nostre relazioni”. > Il libro è l’osservazione di quanto il sistema-coppia (eteronormata e > monogama), per come ci viene raccontato e venduto, sia funzionale alla > sopravvivenza di un sistema economico e socioculturale e al contempo origine > di molte delle nostre sofferenze. Cresciamo pensando che la nostra principale ambizione debba essere quella di avere una relazione romantica duratura, che dobbiamo salire il prima possibile su quella scala mobile relazionale che ci costringe a innamorarci-fare sesso-convivere-sposarci-fare figli. Cresciamo pensando che l’amore debba un po’ far soffrire, che sia legittimo mentirsi ogni tanto, che sia giusto mettere sé stessə da parte per la persona che amiamo. Che non esiste altro modello d’amore legittimo. Percorrendo diverse immagini dell’amore romantico, ascoltando le esperienze di persone con vissuti diversi e facendole dialogare con teorie femministe sull’amore, Tuaillon ci mostra quanta sofferenza derivi da questo modello, e quanto potenzialmente trasformativo e liberatorio è cominciare, collettivamente, a vedere limiti e storture, fino eventualmente a superarlo e rifiutarlo. Il libro parte da storie personali, alcune anche molto negative, pessimiste, frustrate dalla rarità di rapporti umani basati sulla cura, sulla reciprocità, sull’onestà. Tuaillon, insieme alle voci di chi racconta le proprie esperienze, affronta vari aspetti e implicazioni dell’amore esplorando, tra le altre cose, quanto sia diffusa nella società l’idea dell’essere ‘single’ (termine che già suggerisce una mancanza) come fase transitoria della vita, qualcosa da superare se si vuole essere accettati. Ci invita invece a riflettere sul fatto che la scelta di non avere relazioni considerate convenzionalmente romantiche può essere una decisione consapevole e altrettanto valida. Le narrazioni che alimentano i nostri immaginari amorosi, però, vanno in direzione opposta. Siamo immerse in racconti “che, nella stragrande maggioranza, rappresentano coppie eterosessuali in cui uomini e donne non recitano la stessa parte. Agli uomini spettano l’azione e la conquista, alle donne la dolcezza, la passività e l’attesa”. Si tratta di un meccanismo di potere che assegna ruoli definiti, che legittima solo un certo tipo di relazione e che rafforza l’idea dell’amore come caccia costante, come competizione per ottenere la propria altra metà, senza la quale saremmo incompletə, uno standard da raggiungere e mantenere. Idee che, molto più spesso di quanto vorremmo ammettere, finiscono per legittimare comportamenti molesti, violazioni del consenso e dinamiche di prevaricazione, alimentando “la confusione tra amore e violenza, amore e dominio, amore e paura”. > Tuaillon ci mostra quanta sofferenza derivi dal modello dell’amore romantico, > e quanto potenzialmente trasformativo e liberatorio sia cominciare, > collettivamente, a vederne limiti e storture, fino a superarlo. Le storie che attraversano il testo ci parlano di uomini cresciuti con l’idea di dover essere aggressivi e di conquistare, di donne che invece erano educate a essere mansuete e a lasciarsi conquistare, e di persone trans e non binarie che hanno dovuto lottare per costruire un proprio spazio emotivo e relazionale. Ma l’amore, ci dice Tuaillon “richiede di rinunciare all’esercizio del potere. L’amore ha bisogno del riconoscimento dell’esistenza e della vulnerabilità dell’altrə. L’amore è rifiutarsi di ferire, anche quando avremmo il potere di farlo”. Moltissimi sono gli stereotipi che nutrono questo immaginario, moltissime sono le parole e le frasi che creano questa normazione. Ma non si tratta solo di immagini e simboli, quanto di concretezza e materialità. Addentrandosi ancora di più nel rapporto stretto che esiste tra sistema economico e relazioni, e utilizzando anche le parole della sociologa Eva Illouz, Tuaillon ci fa riflettere su quanto le nostre relazioni siano invase e condizionate dalle leggi del mercato, facendoci concentrare sull’accumulo di capitale sessuale e rendendo sempre più difficile costruire relazioni basate su uno scambio onesto, sulla cura reciproca. Il modello della coppia romantica eterosessuale monogama è normato anche da leggi e dinamiche commerciali; in Italia non esiste una legittimazione legislativa a nessun’altra forma di vita comune, se si esclude la possibilità delle unioni civili, che comunque non garantisce gli stessi diritti, per esempio quelli sulla genitorialità. E al di là delle concessioni legislative, che non sono gli unici obiettivi di questo tipo di riflessioni e rivendicazioni, vivere in coppia è più sostenibile da un punto di vista economico, perché tutto è pensato per la coppia, dalle case ai bonus sociali, dalle confezioni di cibo al supermercato alle promozioni per viaggi e cene. In questo modo, il sistema economico premia la coppia come sistema normale di vita, e scoraggia ogni altra forma di relazione o comunità, come per esempio la scelta di vivere uno spazio domestico comunitario, considerato non adatto alla costruzione di una vita adulta. Allo stesso modo, impariamo molto presto che le relazioni debbano seguire, in linea con la scala mobile relazionale, un preciso susseguirsi di step: > anche le relazioni seguono il ciclo classico del consumo: prima l’eccitazione > per l’acquisto di una novità (“sei fantastico”, “sei bellissima, averti mi > rende speciale”), poi ci si abitua (“non è che mi sto accontentando?”, “credo > di meritare di meglio”), poi ci si lascia perché ci sono sempre nuove merci > disponibili (“una ne perdi, cento ne trovi”), quindi cerchiamo di nuovo > l’eccitazione della novità (“sono di nuovo sul mercato”) e si ricomincia, > ancora e ancora. “Decostruire questi miti” che limitano il nostro immaginario relazionale, dice Tuaillon, “non significa rifiutare le nostre emozioni, ma aprire la strada a relazioni ancora più intense, esaltanti, magiche, finalmente basate sull’onestà, l’uguaglianza, il rispetto dei nostri limiti”. > Il sistema economico premia la coppia come sistema normale di vita, e > scoraggia ogni altra forma di relazione o comunità. In un mondo dominato da violenza, guerra e ingiustizie, manca lo spazio per un discorso sull’amore. Le condizioni sociali e materiali ci sottraggono tempo ed energia per coltivare relazioni di cura diffusa. La gerarchia per la quale la coppia sia al di sopra di tutte le altre nostre relazioni, che a essa dobbiamo tutta la nostra attenzione e le nostre energie, ci fa dimenticare quanto importanti siano tutti gli altri nostri amori. Le nostre sorelle, le persone amiche, lə nostrə nipoti, le persone con cui condividiamo un periodo di vita anche breve, le compagnə di collettivi, quella persona conosciuta a un workshop, lə nostrə insegnanti, le nostre passioni. Quel “bosco”, con le parole di Brigitte Vasallo, quell’amore che ci salva ma che spesso non vediamo, “che consideriamo meno amore degli altri, a cui non diamo l’importanza che merita e senza il quale non potremmo andare avanti in questo mondo di merda”. Il cuore scoperto è un’indagine sincera e profonda, che non offre ricette o modelli alternativi da seguire, ma apre uno spazio di ascolto e di riflessione collettiva. Gli argomenti che Tuaillon affronta ci riguardano tuttə da vicino; e chi si aspetta un manuale di self-help per le relazioni troverà invece un invito ad attraversare domande, a prendersi il tempo per guardarsi dentro e per parlare insieme. Il podcast/libro ci accompagna in un percorso di autoindagine condivisa: ci invita a ripensare il modo in cui siamo cresciutə, i modelli familiari che ci hanno insegnato l’amore, ciò che ci ha fatto soffrire, ciò che desideriamo e come i nostri desideri plasmano le relazioni che viviamo. C’è il bisogno di comprendere i legami tra economia e intimità, di costruire strumenti e pratiche per abitare la connessione e il conflitto. Proprio a partire da questa necessità di discutere insieme e condividere esperienze nasce tutta l’esperienza di Il cuore scoperto, che non si conclude con le puntate del podcast o nelle pagine del libro. Tuaillon, e Associazione Vanvera in Italia, organizzano dei cerchi di parola, una pratica mutuata dai gruppi di autocoscienza femminista in cui le persone si incontrano per parlare e ascoltare, fuori dalla logica del dibattito, senza la pressione di dover rispondere, ma con la libertà di raccontarsi e di essere ascoltate. Nella bonus track del podcast si trovano anche alcune indicazioni pratiche su come organizzarne uno. Oltre a questo, Associazione Vanvera ha aperto uno spazio virtuale in cui poter condividere esperienze, sensazioni, emozioni in seguito all’ascolto o alla lettura di Il cuore scoperto, che poi vengono utilizzate per performance o condivise anonimamente in altro modo. Facendo un salto apparentemente lungo, in realtà piccolissimo, penso a un recente post Facebook di Margherita Cioppi – una dellə attivistə a bordo della Karma, una delle barche della Global Sumud Flotilla – in cui racconta del sequestro da parte delle forze armate israeliane e di come si sia offerta di aprire un tendalino per permettere ai soldati, che avevano preso il controllo della barca, di ripararsi dal sole e dalle temperature molto alte. Cioppi conclude così il suo racconto: “Ci penso da quel momento: perché ho provato a dare sollievo a un assassino non lo so proprio. Ma in quel momento volevo che fosse chiaro che non sono come loro. E che l’amore – solo quello – è la fine dell’assedio”. L'articolo Il cuore scoperto di Victoire Tuaillon proviene da Il Tascabile.
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L’amore è una casa stregata
“D ieci red flag a cui prestare attenzione quando inizi una relazione”, “i cinque segnali per capire se stai vivendo un rapporto disfunzionale”, “Come riconoscere un partner narcisista in tre mosse”: non passa giorno in cui non mi imbatta, dentro e fuori dai social, in un discorso che evoca questi scenari. Nonostante conosca, per motivi professali e personali, la pericolosità implicita alle relazioni d’amore, non ho mai apprezzato molto l’idea di affiancare a questo sentimento l’aggettivo “tossico” come si tende a fare sempre più spesso. Se è vero che “pharmakon”, etimologicamente, descrive al tempo stesso un rimedio e un veleno, allora bisognerebbe accettare che separare ciò che fa bene da ciò che fa male non è mai un’operazione banale o definitiva. Paragonare l’amore a una sostanza chimica che può essere dosata male rischia di essere una semplificazione. L’amore è un’esperienza situata, che prende forma dentro un contesto specifico e cambia a seconda di come ci è stato insegnato a viverlo. Come tutte le forme apprese, può contenere insieme il sollievo e la ferita. Se dovessi usare un’immagine, una metafora, per raccontare la complessità ambivalente dell’amore, userei quella della casa stregata. Un luogo che conosciamo bene, perché lo attraversiamo ogni giorno, in cui sappiamo muoverci a occhi chiusi tra le stanze di cui ricordiamo anche il più piccolo dettaglio, ma dove accadono cose che non riusciamo a spiegare del tutto. In quegli ambienti, alcune presenze si manifestano con forza: la gelosia, la paura dell’abbandono, il desiderio di controllo. Altre si insinuano più silenziosamente: la convinzione che amare significhi sacrificarsi, che la fusione sia il segno di un legame riuscito, che la solitudine sia una colpa da redimere dentro il perimetro della coppia. Viviamo in questa casa da sempre, ci è familiare, ci protegge e ci spaventa contemporaneamente. Ci hanno insegnato che è lì che si compie l’amore, che lì va cercata la felicità, e che ogni scricchiolio va considerato come inevitabile. Ma forse non tutto ciò che ci sembra normale è davvero innocuo. E non tutte le stanze in cui siamo cresciuti meritano di essere abitate per sempre. > Viviamo in questa casa da sempre. Ci hanno insegnato che è lì che si compie > l’amore e che ogni scricchiolio va considerato come inevitabile. Ma forse non > tutte le stanze in cui siamo cresciuti meritano di essere abitate per sempre. La casa dell’amore che conosciamo è costruita su fondamenta antiche, spesso confuse tra loro: da un lato l’idea dell’amour-passion, dall’altro quella dell’amore romantico. Secondo il sociologo Anthony Giddens, l’amore-passione nasce nei miti tragici e nella letteratura cortese, e ha la forma dell’assoluto: un desiderio che non conosce misura, che consuma chi lo prova e, spesso, anche chi lo riceve. La passione assume così i contorni di una vocazione, una febbre, una forma nobile di follia. L’amore romantico, invece, è una costruzione più recente, modellata all’interno della cultura borghese, che lo organizza secondo criteri di ordine, durata e riconoscimento sociale. Se l’amore-passione è un abisso, quello romantico è una struttura: contiene il desiderio e lo disciplina, lo rende narrabile, possibilmente felice. All’interno di questa organizzazione, l’amore non è fine a sé stesso ma deve produrre qualcosa: una coppia, una casa, un futuro. Anche Michela Murgia, a modo suo, ci ha offerto una metafora per descrivere l’esperienza amorosa. In un’intervista rilasciata a Vanity Fair poco prima di morire, la scrittrice paragonava l’amore a una malattia esantematica, a un virus, a una forma di psicosi temporanea. Raccontava, con sollievo, di quanto fosse felice di poter amare senza più attraversare quello stato di alterazione, e invitava chi la ascoltava a fare lo stesso: liberarsi dell’idea che l’amore debba per forza coincidere con la perdita di sé. In questa definizione così radicale ‒ l’amore come malattia fisica e mentale ‒ sembra affiorare una certa confusione di piani. Murgia descrive lo stato di alterazione tipico dell’innamoramento, ma lo attribuisce all’amore nel suo insieme, come se l’intera esperienza relazionale fosse contaminata da quella forma estrema, acuta, che è solo una delle sue fasi. È una sovrapposizione comprensibile, e in parte inevitabile, perché l’idea di amore che ci è stata trasmessa tende a fondere i due modelli. Ci muoviamo dentro questa ambiguità senza quasi accorgercene: desideriamo relazioni sicure, affidabili, ma ci aspettiamo che conservino l’incandescenza del primo incontro. Vogliamo che durino, ma anche che ci travolgano. E quando questo equilibrio non si realizza ‒ perché non può realizzarsi ‒ finiamo per leggere ogni scarto, ogni crisi, come un segno che qualcosa in noi (o nell’altra persona) non funziona. Come se fosse sempre una questione di dosaggio sbagliato, e mai di struttura. > Se l’amore-passione è un abisso, quello romantico è una struttura: contiene il > desiderio e lo disciplina, lo rende narrabile, possibilmente felice. Roland Barthes, in Frammenti di un discorso amoroso (1977), ci ricorda che quando parliamo d’amore, raramente siamo davvero noi a parlare. “L’innamorato è colui che parla”, afferma, ma quel discorso non gli appartiene del tutto: è una costellazione di frasi già dette, già pensate, già sentite altrove. Un archivio culturale in cui il soggetto che ama cerca appigli per spiegarsi, per giustificarsi, per esistere. In questo senso, non è solo l’amore a essere confuso: è il linguaggio stesso con cui lo raccontiamo a confonderci. In una delle interviste che accompagnano il volume, lo scrittore sottolinea come la società non metta mai in scena l’amore inteso come sentimento, ma solo degli episodi, dei racconti in soggettiva: “raccontare fa parte delle grandi costrizioni sociali […] con la storia d’amore, la società ammansisce l’innamorato”. Barthes ci mostra che il soggetto amoroso è, in fondo, una figura letteraria: vive attraverso formule, si definisce attraverso cliché, ripete gesti che ha visto rappresentati mille volte. E non perché manchi di autenticità, ma perché l’amore ‒ nella forma in cui lo conosciamo ‒ è prima di tutto un discorso appreso. Se Barthes, da teorico, si concentrava soprattutto sull’amore inteso in quanto discorso,  nel recente L’amore è cambiato Annalisa Ambrosio prova a indagare gli stereotipi culturali che lo attraversano. La scrittrice definisce l’amore romantico richiamando la nozione foucaultiana di dispositivo. Non un sentimento, ma una costruzione collettiva, una forma appresa che continua a modellare il nostro modo di stare in relazione. È attraverso l’amore, ci ricorda, che trasmettiamo ruoli, aspettative, immagini fisse di ciò che significa essere desiderabili, affidabili, degni di legame. A essere tossici, dunque, non sono tanto gli individui quanto le immagini che abbiamo interiorizzato: l’idea che amare significhi annullarsi, che la gelosia sia una prova di coinvolgimento, che la coppia debba collocarsi gerarchicamente al di sopra qualsiasi altro legame. Questi assunti dipendono largamente dalle norme culturali di genere, che stabiliscono cosa sia accettabile, desiderabile o legittimo nei comportamenti affettivi e sessuali a seconda che siano agiti da uomini o donne. Occupandosi di seguire il processo contro gli strupratori di Gisèle Pelicot, la filosofa Manon Garcia osserva come la cultura eterosessuale sia ancora regolata da una serie di aspettative asimmetriche: agli uomini è concesso il desiderio (anche quando, manifestandosi nei confronti di una donna sedata, dovrebbe assumere i contorni della violenza); alle donne solo la passività, la disponibilità, l’adattamento. > Il soggetto amoroso è, in fondo, una figura letteraria. E non perché manchi di > autenticità, ma perché l’amore è prima di tutto un discorso appreso. Riprendendo il concetto di “impalcatura sociale dello stupro”, definito dalla psicologa neozelandese Nicola Gavey agli inizi degli anni Duemila, Garcia sottolinea come quell’insieme di rappresentazioni e norme implicite non solo renda pensabile la violenza, ma contribuisca anche a definire il suo opposto: ciò che una società ritiene accettabile, desiderabile, o “giusto” in una relazione affettiva o sessuale. Molte delle strutture che rendono il sentimento d’amore un’interazione in qualche modo “leggibile” ‒ attraverso i ruoli, le modalità, i tempi in cui si sviluppa ‒ derivano da quella stessa impalcatura. Si tratta di un sistema in cui l’iniziativa è spesso considerata maschile e il rifiuto (la cui soglia appare flessibile e negoziabile in ragione di ulteriori variabili quali lo status sociale, la natura del legame o il contesto in cui avviene l’interazione) tipicamente femminile. In questo quadro, l’amore diventa il luogo in cui si impara a leggere la disparità come gioco delle parti e il silenzio come reciproca intesa. Stando così le cose, chiedersi se l’amore sia o meno “tossico” rischia di essere una domanda mal posta. Il punto non è giudicare l’amore in sé, ma comprendere come le parole che usiamo per raccontarlo ‒ e le strutture che quelle parole proteggono ‒ contribuiscano a mantenerlo dentro logiche di potere diseguali. Ambrosio, con la sua analisi degli stereotipi culturali, e Barthes, che si concentra sul discorso amoroso, ci indicano la stessa direzione: per cambiare il modo in cui pensiamo all’amore abbiamo bisogno anche di un’altra lingua, di un altro repertorio di immagini, di altri scenari cui attingere per descrivere il nostro sentimento. Tuttavia, se vogliamo davvero trasformare il modo in cui stiamo nelle relazioni, non possiamo fermarci al linguaggio: dobbiamo intervenire anche sulle architetture culturali che quel linguaggio sostiene e naturalizza. > Il punto non è giudicare l’amore in sé, ma comprendere come le parole che > usiamo per raccontarlo ‒ e le strutture che quelle parole proteggono ‒ > contribuiscano a mantenerlo dentro logiche di potere diseguali. Insomma, il discorso deve farsi politico. Proprio su questo tema ruota la riflessione di Victoire Tauillon. In Il cuore scoperto (2025), l’autrice sostiene la tesi secondo cui l’amore non sia soltanto un sentimento funzionale a descrivere la nostra individualità: è, soprattutto, un sentimento politico. Le parole nuove per descriverlo, pertanto, non vanno cercate in astratto: è necessario invece interrogarsi su come stiamo dentro le relazioni, quali gesti, attese, silenzi mettiamo in circolo. Nel cuore del dispositivo amoroso, i modelli da rivedere sono il frutto di abitudini quotidiane reiterate, da riconsiderare nella loro veste ideologica: chi chiede, chi impone, chi si assume l’onere di aspettare o rinunciare a qualcosa, dentro le relazioni che costruiamo? Quanto impattano, in tutto ciò, le aspettative di genere? Tuaillon ci invita a spostare l’attenzione dall’amore in astratto al modo in cui lo abitiamo. Un invito che risuona anche nelle parole di Brigitte Vasallo, secondo cui l’amore non può essere rivoluzionario se non lo sono anche le nostre pratiche affettive. Per Vasallo, la vera rivoluzione degli affetti non consiste solo nel moltiplicare i modelli relazionali, ma nell’abbattere la struttura gerarchica con cui cresciamo, rendendo possibile uno spazio in cui la cura, il desiderio e la reciprocità non siano legati a un’idea proprietaria o normativa dell’amore. Una prospettiva diversa, ma complementare, è anche quella che propone Geoffroy de Lagasnerie: il filosofo suggerisce di sottrarsi a tutto ciò che l’amore comporta in termini di vincoli, centralità e aspettative, sostituendolo col paradigma dell’amicizia. A differenza del sentimento amoroso, l’amicizia può generare un legame che non pretende esclusività, non si fonda sulla reciprocità obbligata, e permette di pensare la prossimità come una scelta quotidiana, non come un destino o un dovere. In questa visione, il “fuori” a cui si aspira non è un altrove sentimentale ma un modo altro di stare in relazione, liberato dalle gerarchie emotive e dal peso simbolico dell’amore romantico. Ripensare il discorso amoroso, in questa prospettiva, significa in particolare rifiutare l’idea che questo sentimento debba esaurire la nostra identità: smettere di considerarlo il luogo dove ci si realizza o ci si completa a vicenda e cominciare a viverlo come uno spazio condiviso ma non totalizzante, dove si può essere interi senza che il partner colmi le nostre mancanze. > La vera rivoluzione degli affetti consiste nell’abbattere la struttura > gerarchica con cui cresciamo, rendendo possibile uno spazio in cui la cura, il > desiderio e la reciprocità non siano legati a un’idea proprietaria o normativa > dell’amore. Che cosa resta, in definitiva, del legame d’amore quando si rinuncia a controllarlo? Quando non è più un patto di fedeltà né un progetto di vita, ma una forma di relazione nuova, che assume i contorni di un’esplorazione condivisa? Quando smette di funzionare come garanzia e comincia a somigliare a un terreno da attraversare, anche senza una meta precisa? Trovare, concretamente, spazi che incarnino il cambiamento auspicato da Brigitte Vasallo o Geoffroy de Lagasnerie è ancora difficile. Le pratiche relazionali restano in larga parte vincolate a schemi normativi, ruoli rigidi aspettative di coppia sedimentate. Per questo, forse, è verso la letteratura che dobbiamo rivolgere lo sguardo per sovvertire il nostro immaginario. In Negli universi (2025), Emet North racconta una storia che non è una “storia d’amore” nel senso tradizionale: è il racconto di un desiderio che, per restare vivo, cambia la propria forma. Raffi, una persona queer specializzata in cosmologia, attraversa molteplici realtà alternative inseguendo una relazione, quella con l’amata Britt, che si trasforma a ogni passaggio. Nessuna di queste versioni è rassicurante, definitiva, ordinata. Eppure, ciascuna interroga profondamente che cosa intendiamo per legame, per presenza, per possibilità di stare con qualcuno. Forse è questo, oggi, il gesto fondativo: accettare che l’amore non sia una risposta, ma una lingua da disimparare, un sistema da disarticolare. Non basta ridipingere le pareti o cambiare l’arredamento: quella casa va demolita. Solo allora, forse, potremo cominciare a immaginare ‒ e abitare ‒ qualcosa di davvero diverso. L'articolo L’amore è una casa stregata proviene da Il Tascabile.
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