Altro che rivoluzione libertaria. A parte una sparuta minoranza di integralisti
contrari alle monete statali, il mercato delle criptovalute è un casinò per
speculatori accaniti che giocano col cerino accanto alla tanica. E oggi la
benzina prende fuoco. Bitcoin scivola sotto i 90.000 dollari dal massimo di
126.000 di ottobre: quasi -30% in poche settimane, un trilione secco bruciato
dalla capitalizzazione totale di 3.200 miliardi. Lo scenario per il crash c’è
tutto. La “spia rossa” di Wall Street lampeggia, anche i verdurai ora sanno
delle sopravvalutazioni delle big tech per l’overdose di soldi sull’IA, la Fed
cincischia con i tassi, e gli analisti tecnici sussurrano l’ovvio: potrebbe
sparire un altro trilione. Ma tranquilli: è la “volatilità”.
Tecnicamente si chiama mercato orso, cioè ribassista. Dal 6–7 ottobre la
capitalizzazione delle cripto ha perso oltre il 24–25%. Bitcoin è sceso a 89.500
dollari, invariato sull’anno (traduzione: dodici mesi di montagne russe per
tornare al punto di partenza). Quando gli indici vanno giù, i primi a saltare
sono i castelli di carte messi su da masse di speculatori, cioè la leva (soldi a
buffo, no?), posizioni a margine aperte con denaro preso in prestito che, al
primo scossone, vengono chiuse d’ufficio dagli algoritmi del trading da
millesimi di secondo. È l’effetto domino. Un “margin call” tira l’altro, i
prezzi scendono, altre posizioni saltano, e via a valanga. Solo i pochissimi con
la testa, e le finanze, come il tipo di Big Short, prosperano. Gli altri si
dannano, e gli sta bene.
Le shitcoin – uno dei termini migliori della finanza attuale: quelle monetine
senza fondamentali né utilità, gonfiate da stupidi meme come le coin di Trump e
Melania, e ritirate a lacrime – hanno perso circa il 40% in una settimana (dati
Birdeye). Siamo tornati ai minimi dell’inizio pandemia. Il copione è noto, si
lancia una monetina virtuale di merda, il personaggio famoso come il presidente
degli Stati Uniti guadagna miliardi in pochi giorni perché stupidi fan comprano
e comprano, qualche “influencer” col dito leggero pure acquista, e poi, al
cambiare del vento, si trovano davanti una porta troppo stretta, quando tutti
insieme corrono verso l’uscita. Intanto le banche fanno il loro mestiere,
comprano a sconto da chi vende in panico e rivendono quando il popolo degli
speculatori fessi tornerà a cantare felice, per qualche nuovo meme.
Il paradosso politico-economico merita nota. L’intero settore delle criptovalute
aveva brindato alle promesse di Donald Trump: trasformare gli Stati Uniti nella
“superpotenza del bitcoin” e piazzare alla SEC un presidente amico delle cripto,
infatti la Casa Bianca ha licenziato il precedente austero guardiano del
mercato. Mossa necessaria per proteggere gli investimenti di famiglia, oltre ai
memecoin le società che investono in criptovalute del genero Jared Kushner. Poi,
il 10 ottobre, con la minaccia di dazi “massicci” contro la Cina, The Donald si
è dato la zappa sui piedi e ha scoperchiato il vaso. Venti miliardi di posizioni
a leva liquidate in poche ore, vendite massicce, record storico negativo sulle
piattaforme cripto. Quisquilie, rispetto alle cifre che girano sul Forex, il
mercato vero delle valute, ma per i fan di Bitcoin un bagno di sangue. Il “free
market” delle coin appeso all’umore e all’erracità dello Studio Ovale.
Decentralizzato e su stablecoin, certo. Finché n. 47 non twitta qualcosa.
Ma ogni crisi esige il suo slogan: “buy the dip”. Chi lo urla di solito ha già
comprato prima, o vende a voi mentre lo urla. Gli altri? Rimangono con il mitico
cerino in mano o con il sacchetto della… speranza. Il bello delle rivoluzioni
finanziarie, si sa, è che finiscono sempre uguali, pochi furbi escono ricchi dal
retro, molti restano sotto i riflettori a rimpiangere come avrebbero potuto
diventare Musk. E a dare la colpa alla sfortuna, alla Fed, alla Cina, a Putin.
E’ il mercato, bellezza, costruito per speculare, non per emancipare né
ridistribuire la ricchezza.
L'articolo Crolla il bitcoin ed è già un bagno di sangue: i fan si dannano ma
gli sta bene proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Bitcoin
“A causa del Covid, ho deciso di restituire alla comunità il mio contributo.
Tutti i bitcoin inviati al conto indicato saranno restituiti, con una cifra
raddoppiata. Arriverò a un massimo di 50 milioni di dollari”. Con questo
messaggio, apparso apparentemente sul profilo ufficiale di Jeff Bezos, era
scattata una delle più grandi truffe informatiche della storia recente. Ma
dietro la tastiera non c’era il fondatore di Amazon, bensì Joseph O’Connor, un
26enne di Liverpool che per giorni ha tenuto in scacco la sicurezza mondiale del
web. La sua corsa criminale è giunta al capolinea con una sentenza esemplare:
cinque anni di carcere e l’obbligo di risarcire le vittime per una somma che
sfiora i 5 milioni di dollari.
La vicenda, ricostruita nei dettagli dal Daily Mail, ha svelato l’incredibile
portata dell’attacco informatico orchestrato da O’Connor e dal suo team a
partire dal 2020. Penetrando nelle reti interne di Twitter (oggi X), il gruppo è
riuscito a prendere il controllo di oltre 130 profili di alto livello,
trasformando le bacheche dei potenti della terra in vetrine per raggiri
finanziari. La lista delle vittime hackerate è impressionante: da Joe Biden a
Barack Obama, passando per magnati come Warren Buffett e Elon Musk, fino a star
della musica come Kanye West e leader politici come Benjamin Netanyahu. Il
meccanismo era semplice quanto efficace: sfruttando la credibilità di questi
account, che raggiungevano complessivamente una platea di 350 milioni di utenti,
gli hacker promettevano guadagni facili in cambio di un “piccolo” investimento
iniziale di mille dollari in Bitcoin.
L’attività criminale di O’Connor, però, non si limitava alla frode finanziaria.
Le indagini hanno portato alla luce un lato ancora più oscuro: il cyber-stalking
e l’estorsione. Il giovane hacker aveva preso di mira l’attrice Bella Thorne,
riuscendo ad accedere ai suoi archivi privati e minacciandola di diffondere
online immagini compromettenti se non avesse pagato. Parallelamente, il gruppo
aveva violato i sistemi di un importante provider di criptovalute a Manhattan,
arrivando a manomettere gli smartphone dei dirigenti per ottenere accessi
privilegiati. La latitanza del “super hacker” è finita nel 2021 in Spagna, dove
è stato arrestato prima di essere estradato negli Stati Uniti. Nonostante si
fosse inizialmente dichiarato innocente, le prove schiaccianti hanno portato
alla condanna definitiva. “O’Connor ha preso di mira individui molto conosciuti
per ingannare gente ignara e privarla del loro denaro“, ha dichiarato Adrian
Foster, rappresentante dell’accusa, sottolineando il successo delle autorità nel
recupero dei fondi. “Abbiamo bloccato le sue criptovalute. Resta da stabilire in
quale nazione egli abbia nascosto il denaro, ma una volta scoperto questo ultimo
dettaglio, le vittime otterranno giustizia tramite i canali diplomatici”.
Dietro il genio del male informatico, c’è però una storia di isolamento digitale
iniziata molto presto. A rivelarlo è stata Sandra O’Connor, la madre del
ragazzo, che ha cercato di spiegare l’origine della deriva criminale del figlio:
“L’ossessione per il gaming ha spinto mio figlio a unirsi a una community di
hackers: da lì è cominciato tutto”. Oggi, quel “tutto” si conclude dietro le
sbarre, con il sequestro di tutti i beni accumulati illecitamente, tra Bitcoin e
asset digitali, che torneranno nelle tasche di chi aveva creduto di leggere un
tweet di Elon Musk o Barack Obama.
L'articolo “Vi darò il doppio dei bitcoin che inviate a questo conto”: così il
finto Jeff Bezos truffava milioni di utenti. Condannato il “super hacker” 26enne
che si spacciava per Obama e Musk proviene da Il Fatto Quotidiano.