“L’ospite più prestigioso a Villa Crespi è stato il principe del calcio,
Maradona, l’unico cliente con cui mi sono seduto a tavola”. Antonino
Cannavacciuolo, ospite a Che tempo che fa insieme a Giorgio Locatelli, giudice
insieme a lui e a Bruno Barbieri della nuova edizione di Masterchef in onda ogni
giovedì su Sky, ha raccontato a Fabio Fazio la visita del bomber a Villa Crespi,
ristorante stellato dello chef. “Era il 2006, ha fatto tre giorni in villa e la
cosa che mi ha emozionato di più è quando scendeva la mattina e chiedeva dov’è
Tonino”, ha raccontato Cannavacciuolo definendo Maradona “una persona che ha
reso felici tante persone”
L'articolo Cannavacciuolo ricorda Maradona a Che tempo che fa: “L’unico cliente
con cui mi sono seduto a tavola. Ecco cosa mi ha emozionato” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
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“Sì, ‘abbè, uno ggol abbasta”. Pensi a questa frase, che confonde anche il
compianto Italo Khune, e pensi a Maurizio Gaudino. C’è molto di più però, dietro
al dialetto ereditato a mo’ di paisà, di quel calciatore che in quella finale di
Coppa Uefa diede filo da torcere a Maradona e ai suoi. Nato il 12 dicembre di 59
anni fa a Bruhl in Renania Settentrionale: “È la città di Steffi Graf” ricordava
spesso Maurizio, che in fondo la campionessa era lei, lui veniva dalla strada.
Già, non poteva essere altrimenti: papà di Orta di Atella, minatore, partito per
la Renania per fare il camionista. Mamma di Frattamaggiore, che in Germania va a
lavorare alla Henkel. E Maurizio, riccioluto e scugnizzello, gioca in strada:
mica facile quando sei figlio di emigranti. A volte essere più forte non basta,
specie quando per un gol fantasma o un fallo reclamato si finisce a botte: a
volte le prendi, a volte le dai. E con quella mentalità Gaudino cresce: piedi
buoni sì, ma senza pensare che bastino ad aprire tutte le porte. Dai campetti
improvvisati passa alle giovanili del Rheinau, tra calcio e scuola ci mette pure
un’altra passione: quella per le auto, possibilmente sportive e veloci, facendo
un apprendistato come meccanico. Passa al Waldhof Mannheim e qui trova il suo
padre calcistico, Klaus Schlappner, che lo fa debuttare a 17 anni in Bundesliga
contro l’Eintracht Braunschweig: dopo 30 minuti in campo, Gaudino viene espulso.
Tuttavia il ragazzo è forte: diventa titolare fisso e attira le attenzioni dei
grandi club. Nel 1987 passa allo Stoccarda, che l’anno successivo trascina in
finale di Coppa Uefa. Di fronte c’è proprio il suo Napoli, suo senza virgolette
visto che ad accoglierlo all’aeroporto, nella gara d’andata, ci sono i parenti
con ogni leccornia, e che la mamma intervistata prima della gara dichiara di
augurarsi due cose: che Maurizio segni, e va bene, ma che alla fine vinca il
Napoli, che è sempre il Napoli, pure di fronte a un figlio. Andrà proprio così,
con Gaudino che segnerà spaventando gli azzurri, bravi a ribaltarla al San Paolo
e a dominare la gara di ritorno in Germania portandosi a casa il trofeo.
Il mondo scopre allora quel numero 10 atipico e per la verità già noto ai club
italiani: lo avrebbe preso volentieri il Verona qualche stagione prima, ma non
se ne fece nulla, mentre a prescindere dai club sarebbe stato l’azzurro della
nazionale il sogno di Gaudino, che rifiuta per tre volte le chiamate dell’Under
21 tedesca, prima di rassegnarsi ed accettare, proprio nel 1989.
Calcio e auto, dunque, per quel ragazzo sempre in mise da rockstar: riccioli
lunghi, orecchino, catene d’oro, giacche in pelle e una passione per le Ferrari,
tale da fargli dichiarare apertamente di essere in grado di percorrere la
distanza tra Stoccarda e Monaco di Baviera in meno di un’ora. Una passione che
gli causerà anche qualche incidente: nel 1994 mentre è ospite di un noto talk
show viene arrestato, col conduttore che ci scherzerà anche su “di solito si
viene prima arrestati e poi si va ospiti nei talk show, non il contrario”.
L’accusa è di una presunta frode assicurativa: se la caverà con una multa e una
pena sospesa.
Dalla Germania in quel periodo passa in Inghilterra, in prestito al Manchester
City, offrendo sprazzi della sua classe, per poi tornare in patria, e poi in
Messico alla corte di Marcelo Bielsa al Club America, con tanto di preparazione
atletica a 3500 metri d’altezza, su di un vulcano. Torna ancora in Germania,
all’Eintracht, per poi dividersi tra Basilea, Bochum e Antalyaspor prima di
chiudere la carriera con una presenza nella squadra che l’aveva lanciato, il
Waldhof Mannehim, e diventare procuratore sportivo.
Resta quell’intervista e tutto quello che c’è dietro e attorno, ma forse il
segreto di Maurizio stava proprio lì: un ragazzo di Mannheim col Vesuvio nel
sangue, capace di tenere insieme romanticismo e ruvidezza. Non è diventato
un’icona, ma è rimasto una storia.
L'articolo Ti ricordi… la storia di Maurizio Gaudino, lo scugnizzo tedesco che
fece tremare il Napoli di Maradona proviene da Il Fatto Quotidiano.
Da queste parti è un’altra dimensione. E chi ti ricorda che sono trascorsi
cinque anni da quel maledetto 25 novembre, neppure ci pensi. Dettagli
trascurabili, insignificanti. Del resto ‘o tiempo e che fa tutto cresce e se ne
va. Allerìa, pe’ ‘nu mumento te vuò scurdà che hai bisogno d’alleria, ci
racconta in una sua bellissima canzone Pino Daniele. È così. Nei quartieri,
nelle strade, nelle piazze, nei vicoli lui c’è sempre. È Allerìa. Diego Armando
Maradona non ha mai lasciato la sua amata Napoli. Questo i napoletani lo sanno e
lo hanno sempre saputo. Non c’è angolo che non abbia un suo ritratto, una sua
sagoma, un suo murale. Lui c’è sempre per tanti che s’inventano la vita come
raccontò lo stesso numero 10 al microfono di Gianni Minà. Voce di popolo, voce
di Dio.
Non è casuale se nel cuore dei Quartieri spagnoli con una colletta popolare fu
finanziato nel 1990 e in assoluto il primo murale dedicato al ‘Pibe de Oro’,
ritratto con la maglia numero 10 e lo sponsor Mars. L’artista Mario Filardi,
scomparso proprio nei giorni in cui moriva Maradona, lo dipinse su una facciata
di un palazzo in via de Deo, ormai meta di turisti e sportivi. Nel 2023, secondo
le stime delle agenzie turistiche, è stato visitato da circa 6 milioni di
persone, posizionandosi come il secondo sito più visitato in Italia dopo il
Colosseo.
Mentre Filosa dedica la sua opera a Diego, il signor Bruno Alcidi, titolare del
bar Nilo, situato a pochi metri da Duomo di Napoli in cui è custodito il
miracoloso sangue di San Gennaro, patrono della città, raccoglieva dalla
poltrona dell’aereo in cui era seduto il numero 10 azzurro, una ciocca dei suoi
capelli ricci. Nacque un culto straordinariamente genuino: turisti e napoletani
prima di inerpicarsi verso la strada dei presepi di San Gregorio Armeno facevano
tappa davanti al Bar Nilo per ammirare la piccola edicola votiva eretta dal
signor Bruno dove era custodita una reliquia considerata sacra: il capello
originale di Diego Armando Maradona.
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Il Bar Nilo in quegli anni fu collocato da Tripadvisor al 30esimo posto tra le
364 attrazioni più importanti da visitare in città. A Napoli più di altri luoghi
del mondo avevamo capito che Diego Armando Maradona non era solo un calciatore.
Era un leader, una creatura che emanava carisma, un’anima naufraga afflitta da
sbandate, errori ma con rinascite continue e miracolose. Dentro di lui tante
vite in contraddizioni tra loro.
Era febbraio del 1986 sono in sella al mio motorino ‘Si’, faceva freddo e con il
mio amico e accanito tifoso azzurro Giuseppe Bosco all’ultima ora di lezione, la
famigerata ‘settima’, scappiamo pur restando presenti, e ci fiondiamo al Campo
Paradiso nel quartiere Soccavo dove si allenava la squadra del Napoli e il
nostro idolo. Giungiamo in pochi minuti. Il tempo di legare il motorino al palo
e ci troviamo catapultati in una bolgia. C’è una signora che urla, gente che
spinge. Non capiamo nulla. Avevamo una maledetta fretta perché se il professore
ci scopriva finiva male. Ci ritroviamo all’improvviso schiacciati lato guida
della portiera di una Renault Gt turbo, rossa. Il mio amico è attaccato al mio
fianco. Accade l’imponderabile.
Aperta la porta dell’auto, aveva i vetri dei finestrini oscurati, sbuca fuori
Diego Armando Maradona che sale sul predellino e litiga con la donna colpevole –
secondo il Pibe de Oro’ – di averlo offeso chiamandolo ‘argentino di merda‘.
Restiamo immobili, scioccati. Ci siamo ritrovati praticamente il numero 10 (non
ancora mito assoluto) addosso. Con Giuseppe lo calmiamo, gli diciamo di lasciar
perdere. Una pacca sulla spalla. Lui si risistema, ci ringrazia e con un
sorriso, si rimette alla guida e raggiunge il campo per l’allenamento. Per la
cronaca: a scuola finì male. Rapporto disciplinare e nota in condotta. Pazzesco.
Ricordi in bianco e nero.
Il Pibe de Oro c’è. Non è un ricordo. Ugo Di Fenza, geniale regista, autore,
filmmaker si è inventato un trailer realizzato con l’IA in cui Gesù Cristo viene
a Napoli per salvare la città dal mito di Maradona perché i napoletani sono
colpevoli di venerare un Dio pagano. La generazione Z conosce proprio tutto di
Maradona. Le immagini spopolano con reel e tik tok. L’algoritmo cattura filmati
e inonda le piattaforme. I nuovi scugnizzi indossano magliette con il suo volto.
Un Santo laico a cui in tanti a Napoli si rivolgono con preghiere, promesse e
invocazioni. Parafrasando lo scrittore Giuseppe Marotta come per San Gennaro
anche Diego Armando Maradona non dice mai no ai partenopei. Un fenomeno sociale.
La Facoltà di Scienze sociali di Buenos Aires, in questi giorni, ha organizzato
un congresso internazionale dedicato proprio al Pibe de Oro. Una tre giorni con
ricercatori, docenti, giornalisti, scrittori, intellettuali, amici,
collaboratori e familiari di Maradona. Il mito di Diego a Napoli, in Italia e
nel mondo è già da molto entrato in Accademia. Ne è prova il libro Maradona –
Sociologia di un mito globale, Ipermedium libri. Allora dicevamo: sono trascorsi
cinque anni e allora? Diego Armando Maradona c’è e vive a Napoli.
L'articolo Sono passati cinque anni e allora? Diego Armando Maradona c’è e vive
a Napoli proviene da Il Fatto Quotidiano.
A maggio il processo sulla morte di Diego Armando Maradona era stato prima
sospeso e poi annullato. La giudice dello scandalo che provocò l’annullamento
del primo processo contro i medici accusati in Argentina di aver causato la
morte del Pibe de oro, commentata in tutto il mondo, è stata radiata dalla
magistratura con l’interdizione a vita dai pubblici uffici. La decisione è
arrivata dal tribunale di disciplina della magistratura che ha ritenuto Julieta
Makintach responsabile di “inadempimento dei doveri inerenti alla sua
posizione”; “atti di palese parzialità”; e “svolgimento di attività
incompatibili con la dignità e l’austerità che l’ufficio di giudice richiede”.
“La giudice ha oltrepassato i limiti delle sue funzioni giudiziarie partecipando
e collaborando irregolarmente a un progetto commerciale strettamente legato al
processo che stava presiedendo”, sostiene nella sentenza Hilda Kogan, presidente
della giuria di impeachment e anche presidente della Corte Suprema di Giustizia
della Provincia di Buenos Aires. Secondo la sentenza “si sono evidenziati
comportamenti da parte del giudice che portano a concludere che le sue azioni
fossero mirate più a ottenere notorietà pubblica che a compiere pienamente il
suo dovere di amministrare la giustizia”. Dopo la sospensione definitiva del
primo processo decretata il 29 maggio scorso, il nuovo giudizio – che vede
imputati gli otto membri dello staff medico che avevano in cura Maradona dopo
una delicata operazione per rimuovere un ematoma nel cranio – inizierà solo il
17 marzo 2026.
La magistrata aveva negato qualsiasi illecito, ma il pm Patricio Ferrari aveva
sostenuto che “la situazione compromette il prestigio della magistratura”. Julio
Rivas, l’avvocato di Leopoldo Luque ossia uno dei prinicipali imputati, aveva
dichiarato di essere stato contattato dall’emittente britannica BBC per
un’intervista, in quanto stavano realizzando un documentario sul processo. Aveva
aggiunto di aver ricevuto informazioni secondo cui la società di produzione
coinvolta nel documentario era associata a Juan Makintach, fratello della
giudice. La polizia aveva anche dichiarato di aver visto una telecamera in aula
e un funzionario del tribunale ha affermato che la sua presenza era stata
approvata dalla giudice Makintach. E alla fine, dopo gli opportuni accertamenti,
si era deciso di annullare il processo. o.
Maradona aveva 60 anni quando è morto il 25 novembre 2020, in condizioni
precarie in una casa in affitto nel quartiere privato di San Andrés, a
Benavídez, nel distretto di Tigre, 22 giorni dopo essere stato sottoposto a un
intervento chirurgico per un ematoma subdurale presso la Clinica Olivos di
Vicente López. I procuratori dell’accusa Ferrari, Cosme Iribarren e Laura Capra
hanno stabilito che l’équipe medica, composta da sette persone, è stata
“carente”, “sconsiderata” e “indifferente” nel suo operato, poiché “non ha fatto
nulla” per impedire la sua morte. Ma il nuovo processo si aprirà solo la
prossima primavera.
L'articolo Processo Maradona, giudice radiata: “Cercava notorietà”. Il processo
ripartirà solo nel 2026 proviene da Il Fatto Quotidiano.