Come cittadino veneto, usiamo questa espressione impropria, mi sento un po’
imbarazzato dalla messinscena autocelebrativa dell’ex presidente per tre lustri
della Regione, Luca Zaia. Sbandierando ai quattro venti il suo narcisismo
elettorale credo che non abbia reso un buon servizio, né alla sua Regione e
nemmeno alla politica in quanto tale.
I 200mila voti di preferenza ottenuti sono il sincero ringraziamento dei veneti
per chi ha lavorato bene oppure rappresentano qualcos’altro, cioè un atto di
censurabile furberia politica? E poi, quali le ragioni della sua anomala
candidatura, e in tutti i collegi elettorali poi?
Intanto, come prima cosa occorre osservare che le 200mila preferenze sono state
ottenute con un semplice, ma efficace, trucchetto elettorale. Dopo aver brigato
inutilmente alcuni mesi per ottenere il terzo (ma per lui quarto) mandato, ha
imposto la sua candidatura come capolista in tutte e sette le provincie venete,
anche se ovviamente ne bastava una sola. Come mai questo atto di imperio
elettorale? Le ragioni possono essere molteplici, ma me ne vengono in mente due.
La prima è quella di aver voluto dimostrare il suo peso politico personale.
Effettivamente le preferenze raccolte sono molte, ma se voleva evidenziare il
suo ruolo di autentico leader politico aveva ben altre strade. Per esempio,
poteva optare per una sua lista autonoma, come nella precedente elezione. Zaia
stavolta non ha avuto il coraggio politico di scendere in campo da solo con una
sua lista, ma si è rintanato nella sua confort zone del simbolo leghista. In
questo modo ha perso la possibilità di essere considerato un leader competitivo
nel mondo legista, in alternativa a Salvini o Vannacci che hanno totalmente
inghiottito la vecchia Lega autonomista, ormai morta.
Diciamo allora che le 200mila preferenze sono un fuoco fatuo, che però un
piccolo risultato lo ha portato. Con la doppia preferenza di genere Zaia ha
portato in Consiglio anche delle consigliere che immagino saranno a lui
fedelissime. Una norma nata per garantire la parità di genere si è trasformata
nel vecchio meccanismo, un po’ clientelare, del traino elettorale. Le preferenze
andrebbero abolite del tutto, altrimenti creano, come in questo caso, dei
risultati distorti.
Detto questo, rimane la questione un po’ misteriosa, almeno per me, del perché
Zaia abbia scelto di ricandidarsi come semplice consigliere. Capita raramente di
vedere una situazione di questo tipo, perché il vecchio risulta decisamente
ingombrante e, in genere, si fa educatamente, oppure no, da parte. Ad esempio,
Michele Emiliano in Puglia non si è ricandidato e pensa di ritornare al suo
lavoro di magistrato, chiedendo anche un sostanzioso aumento di stipendio, cosa
che non guasta.
Forse questo è il punto. Ecco allora che anche la ricandidatura, mascherata da
indefesso impegno per i veneti, molto più prosaicamente può essere letta come la
comprensibile volontà di portare a casa il lauto stipendio di circa 11.000 euro
al mese che spetta ai consiglieri veneti. Questa anomala diarchia regionale, la
compresenza del presidente vecchio e di quello nuovo, non può reggere nei fatti
e già la stampa si sta chiedendo quale sarà la prossima poltrona da occupare per
Zaia, come quella di Sindaco di Venezia (sempre che vinca) o di neoparlamentare,
con uno scambio di poltrone con il nuovo presidente della Regione.
A questo si aggiunge il fatto che, pur scherzando, Zaia ha già detto
maliziosamente di essere ricandidabile.
Ma lasciamo andare il passato e veniamo al presente. Anche il nuovo presidente
Alberto Stefani ha dichiarato di volere fare il bene dei veneti. Allora, colgo
subito la palla al balzo e avanzo tre richieste. In fondo siamo in un periodo
prenatalizio e tutti hanno il diritto di spedire la loro letterina dei desideri.
La prima è che provveda a modificare la legge urbanistica regionale che ha
contribuito a cementificare, come non mai, la nostra Regione. Nata per regolare
l’espansione urbanistica, ha fissato dei limiti edificatori così elevati che
hanno prodotto l’effetto inverso, cioè la corsa al mattone. In secondo luogo,
vorrei che adoperasse il suo potere per eliminare le liste di attesa nella
sanità pubblica veneta, al di là della retorica dell’eccellenza. Per ora l’unico
modo per eliminarle è pagarsi il servizio privatamente, ma questo significa
pagarlo due volte, almeno per chi non evade le tasse. La terza, più facile, è la
richiesta di non fare opere inutili come la strada Pedemontana che non solo
serve a poco, ma ha anche provocato una voragine pluriennale nel bilancio della
Regione.
Non ho votato la sua lista, in effetti non ho proprio votato perché all’estero,
e quindi non credo che le mie richieste saranno esaudite. Ma forse non sono
l’unico a chiedere dei cambiamenti. Sarà anche per queste ragioni che nel 2025
si è raggiunto nel Veneto il più basso livello di affluenza elettorale. La prima
volta che è stato eletto Zaia, siamo nel 2010, la percentuale dei votanti è
stata del 68,8%. Alle elezioni del 2025 siamo scesi per la prima volta al 44,4%,
cioè sotto la soglia psicologica del 50%. Metà dei veneti ha voltato le spalle
alla politica regionale, evidentemente non così tanto buona.
Zaia, da politico opportunista, può bene essere contento per le sue 200mila
preferenze, racimolate con qualche forzatura. Il sottoscritto, come immagino
molti altri veneti, da convinto democratico è invece molto preoccupato perché
nel giro di una generazione sono stati persi 326mila elettori, persone che hanno
scientemente disertato le urne. Se usassimo il criterio di validità del
referendum, le elezioni regionali andrebbero annullate.
La democrazia regionale è destinata al declino? Pare di sì, e tutta la retorica
dell’autonomia regionale, differenziata o non differenziata, è solo aria fritta
per l’elettore veneto che ha disertato, forse a ragione, le urne.
L'articolo Zaia sarà contento per le 200mila preferenze in Veneto, ma io sono
preoccupato per il presente proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Elezioni Regionali Veneto
Tre regioni, tre conferme e zero sorprese. Al massimo, un occhio agli equilibri
interni alle coalizioni. Eppure a sinistra vedono uno spiraglio, soprattutto
perché le vittorie in Puglia e Campania sono arrivate grazie a una coalizione
larghissima e il successo è stato strabordante. Con il M5s che esulta per aver
conquistato una seconda regione dopo la Sardegna: ora ne governa lo stesso
numero di Fratelli d’Italia. La tornata elettorale non riserva alcuno scossone e
così i partiti guardano tutti il bicchiere mezzo pieno. Il centrodestra si
concentra sulla vittoria in Veneto, il centrosinistra sulla Puglia e la
Campania. Così – mentre il leader della Lega Matteo Salvini parla di “vittoria
di squadra” postando una foto con Alberto Stefani e Luca Zaia – la presidente
del Consiglio Giorgia Meloni si concentra sul Veneto parlando di una “vittoria
frutto del lavoro, della credibilità e della serietà della nostra coalizione”
congratulandosi con Stefani e ringraziando Edmondo Cirielli e Luigi Lobuono,
ridotti a “sparring partner” nelle due regioni andate al campo largo. Nel mirino
delle opposizioni finisce soprattutto il primo, vice-ministro degli Esteri e
uomo forte di Fratelli d’Italia.
“Non saltellano più”, ironizza il presidente del M5s Giuseppe Conte ricordando
il “chi non salta comunista è” inscenato al PalaPartenope di Napoli dai leader
del centrodestra. “Abbiamo vinto ascoltando i bisogni delle persone, delle
famiglie in difficoltà, dei lavoratori, delle imprese – dice ancora Conte – Ha
perso chi di fronte alle difficoltà degli italiani saltella e oggi cade
rovinosamente. Fico ha battuto sonoramente un candidato di Fratelli d’Italia, un
esponente del governo Meloni, senza mischiarsi a una lotta nel fango”. Il leader
dei Cinque Stelle può anche sbandierare il governo di una seconda regione: “Una
doppietta storica. Questo ci dà ancora più forza e coraggio: lotteremo con le
unghie e con i denti per cambiare le cose nel nostro Paese”.
Secondo Elly Schlein, segretaria del Pd, c’è una strada da proseguire: “Il
messaggio è che l’alternativa c’è. Decaro e Fico dimostrano che uniti si
stravince. Anche in Veneto, dove non abbiamo vinto, abbiamo raddoppiato il
risultato del 2020. La partita delle prossime elezioni è aperta”. Un riverbero
nazionale ce lo vede anche Matteo Renzi, che appoggiava sia Decaro che Fico:
“Sono mesi che ci ripetono un ritornello stanco: Giorgia Meloni non ha rivali, è
invincibile, non ha alternative. I risultati di Campania e Puglia, dopo la
Toscana, dicono invece che l’alternativa c’è, da Casa Riformista fino alla
sinistra. E questa alternativa, quando è unita, vince”. Da qui, l’avvertimento
del leader di Italia Viva: “Da domattina Giorgia Meloni proverà a cambiare la
legge elettorale. Perché con questa legge elettorale lei a Palazzo Chigi non ci
rimette più piede”, aggiunge l’ex presidente del Consiglio rimarcando di fatto
come una Große Koalition dai riformisti fino ad Avs e M5s molto spesso riesca a
imporsi nelle elezioni locali.
Per il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia, il “messaggio è chiaro:
il centrosinistra quando è unito è in grado di costruire un’alternativa a questo
governo”, ha detto sostenendo che il centrosinistra “può mandare a casa” la
destra. Di successo del “metodo del civismo” si tratta invece secondo Michele
Emiliano, governatore uscente del Pd in Puglia: “Ovviamente cambiano le persone.
Mi pare che anche il Pd sta andando forte. Perché il Pd è essenziale per
governare la Regione. Senza il Pd per me sarebbe stato difficile avere quella
tranquillità che solo un grande partito pronto a vincere le politiche del 2027
ti può dare”. E ha voluto sottolineare che Elly Schlein è andata in Campania e
non in Puglia per “dire agli alleati del M5s che noi diamo loro grande
importanza”. Diversi esponenti politici – da Maurizio Lupi di Noi Moderati e
Filippo Sensi del Pd – mettono l’accento sull’astensionismo, che ha superato il
50% in tutte e tre le regioni.
Resta aperta la questione dei riflessi interni dei risultati regionali. Se
Decaro chiude le porte a una prospettiva nazionale della sua vittoria (“Il Pd ha
già un segretario, io ora sarò il presidente della Regione Puglia, il presidente
dei pugliesi”), Fratelli d’Italia guarda con attenzione ai voti di lista in
Veneto con un affaccio sulle Regionali in Lombardia. “Interpretazioni dei
giornali – sostiene Giovanni Donzelli – FdI ha sempre detto che vuole scegliere
il candidato migliore a prescindere dalle bandierine, dicendo anche che, come
noi siamo generosi e lo siamo stati in Veneto con gli alleati, non può esserci
preclusione nei confronti di FdI. Di volta in volta sceglieremo il candidato
migliore possibile confrontandoci tra noi e questo vale e varrà sempre”.
L'articolo Regionali, le reazioni | Schlein: “Uniti si stravince”. Conte: “Non
saltellano più”. E Meloni: “In Veneto vince la credibilità” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Peggiora il calo dell’affluenza in tutte e tre le regioni al voto il 23 e 24
novembre. Alle 23 di domenica, il calo medio della partecipazione al voto era
stato di dieci punti rispetto alla tornata precedente nel 2020: 31,96% contro
41,53%. Le urne sono aperte fino a lunedì alle 15.
L’emorragia più forte in Veneto, che però è anche la regione col dato più alto
in numeri assoluti: finora ha votato il 33,88% degli aventi diritto contro il
46,13% di cinque anni fa, quasi 13 punti percentuali in meno. Qui è scontata la
vittoria del leghista Alberto Stefani – che succederà a Luca Zaia dopo tre
mandati – mentre il centrosinistra schiera l’ex sindaco di Treviso Giovanni
Manildo: la vera sfida è la gara tra Lega e FdI a chi prenderà più voti.
In Campania l’affluenza alle 23 era del 32,07%, quasi sette punti in meno
rispetto al 2020 (38,91%): qui c’è la sfida più aperta, con l’ex presidente
della Camera Roberto Fico (M5s) in vantaggio nei sondaggi sul viceministro di
FdI Edmondo Cirielli. In Puglia il calo della partecipazione è di dieci punti,
29,45% contro il 39,88% di cinque anni fa: anche qui si dà per scontata la
vittoria di Antonio Decaro, europarlamentare ed ex sindaco Pd di Bari, contro lo
sfidante di centrodestra Luigi Lobuono.
L'articolo Regionali, crolla l’affluenza alle 23: -13% in Veneto, forte calo
anche in Puglia e Campania. Urne aperte fino alle 15 proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni ai vicepremier Matteo Salvini e
Antonio Tajani. I leader del centrodestra si ritrovano tutti insieme al Pala
Geox di Padova per la chiusura della campagna elettorale del candidato Alberto
Stefani, il leghista in campo alle Regionali in Veneto per il dopo-Zaia. “Quella
che vedete qui non è una alleanza di comodo tenuta insieme dalla colla scadente
dell’interesse, quella che vedete qui è una comunità di gente fiera di lavorare
spalla a spalla per dare risposte ai cittadini”, ha detto dal palco la premier.
Meloni, in vista del voto del prossimo fine settimana, ringrazia i presenti per
“voler garantire al Veneto altri anni di buon governo, di risposte efficaci, di
lavoro in questo passaggio di testimone da Luca Zaia ad Alberto Stefani”. Poi
spazio al referendum sulla giustizia e agli attacchi alla sinistra, con tanto di
citazione di Romano Prodi.
MELONI CON SALVINI E TAJANI
Poco prima della presidente del Consiglio, il leader del Carroccio rilancia:
“L’obiettivo, lo dico con sobrietà, umiltà e scaramanzia, non è vincere, è
stravincere”, ha detto Salvini. “Vogliamo vincere per governare bene e
raggiungere gli obiettivi non ancora raggiunti“, ha aggiunto il segretario di
Forza Italia Tajani. A precedere i leader della coalizione c’è l’intervento del
governatore uscente, accolto con un lungo applauso: “Mi hanno dato 15 minuti, se
me li consumate tutti in applausi…”, ironizza Zaia dopo l’acclamazione del
PalaGeox. Poi precisa: “Alberto Stefani il nuovo Zaia? Alberto sarà Alberto,
ognuno deve avere la sua personalità nella continuità, perché abbiamo un sacco
di attività che ancora non si sono completate”.
L’ATTACCO ALLA SINISTRA E A PRODI
La chiusura dell’evento è affidata alla premier. Nel suo intervento Meloni fa
l’elenco dei provvedimenti del governo, a partire dalla manovra. Ringrazia
Fratelli d’Italia (“Se io non avessi alle spalle il partito coeso e generoso che
ho alle spalle non potrei fare il mio lavoro come lo faccio”) e attacca
l’opposizione: “C’è chi ama l’ideologia e chi si occupa delle persone, tagliamo
le tasse a 800mila veneti con 50mila euro di reddito annuo. Per loro chi
guadagna 2500 euro con due figli e un mutuo sulle spalle è ricco. Vi dico per
favore andate a votare e lasciateli all’opposizione con le loro ricette tardo
comuniste“, afferma Meloni che torna a criticare la Cgil e lo sciopero generale
convocato di venerdì “perché – dice – la rivoluzione si sa viene meglio nel
weekend”. E per attaccare la sinistra, la presidente del Consiglio tira in ballo
Romano Prodi: “Il professore qualche settimana fa ha dovuto ammettere che la
sinistra non vince le elezioni, perché ha voltato le spalle all’Italia. E se lo
dice lui che sul voltare le spalle all’Italia ha una cattedra all’università,
chi siamo noi per smentirlo?“.
“REFERENDUM NON È SU DI ME”
Spazio poi alla riforma della giustizia voluta dal “veneto doc” Carlo Nordio:
“Una riforma che può cambiare le cose“, dice Meloni. Ma sul referendum precisa,
rivolgendosi agli italiani: “Non vi fate fregare, non vi fate fregare. Andate a
votare guardando il contenuto della riforma. Cercheranno di convincervi di
tutto, che se poi andate a votare è un referendum sul governo, ‘Meloni sì-Meloni
no‘. Guardate, il governo rimane in carica fino alla fine della legislatura,
metteremo anche questo record“. “Se pensate che la giustizia funzioni – continua
la premier – potete votare no, ma se pensate che la giustizia in Italia possa
funzionare dovete votare sì, per voi stessi non per il Governo”.
“CON IL PREMIERATO ITALIA SARÀ NAZIONE PIÙ MODERNA”
Infine Meloni fa un accenno anche alla riforma ancora in cantiere, quella sul
premierato: “Vogliamo una riforma che dica basta agli inciuci ai giochi di
palazzo ai governi che passa sopra la testa dei cittadini”, aggiunge la
presidente del Consiglio: “Quando avremo anche questa riforma – assicura –
questa sarà una nazione molto più moderna”.
L'articolo Meloni e i leader della destra chiudono la campagna in Veneto:
“Referendum non è su di me”. Poi attacca la sinistra e Prodi proviene da Il
Fatto Quotidiano.