Quattro giorni fa il Garante smentiva tutto e annunciava querele. Oggi comunica
di aver presentato un esposto alla Procura di Roma per denunciare proprio ciò
che aveva negato: il 1° novembre “persone non identificate avrebbero avuto
accesso, o tentato di accedere, senza autorizzazione ai locali e ai sistemi
informatici dell’Autorità”, con possibile sottrazione di documenti. Una
giravolta che arriva forse perché – come rivelato dal Fatto – la Procura ha già
avviato accertamenti sull’episodio.
Dal Garante filtra che la scelta sarebbe dettata da “motivi di prudenza”, un
atto dovuto insomma: la nota del 29 novembre smentiva la presenza dei quattro
membri del Collegio, salvo un breve passaggio di Guido Scorza per recuperare le
chiavi. Ma – questo il ragionamento a Palazzo Venezia – se qualcuno fosse
davvero entrato clandestinamente, come sostiene la stampa, allora “occorre
verificarlo”. Perché, se l’intrusione fosse reale, “ci sarebbe stato il rischio
di una grave violazione della sicurezza”. Il tutto accade mentre infuria ancora
lo scontro con i dipendenti, esploso nella riunione del 20 novembre e continuato
ancora ieri durante l’assemblea del personale. A contribuire è stata una la
lettera “spontanea” dei Garanti a cui il personale ha risposto picche,
ribandendo che l’unica soluzione è che si dimettano tutti e quattro.
LA SOSPETTA INTRUSIONE DELL’1 NOVEMBRE
Secondo Report e il Fatto, quel giorno – festa di Ognissanti, uffici chiusi – i
quattro membri del Collegio sarebbero entrati nella sede con persone esterne. “I
membri del collegio dopo qualche ora sono andati via, le persone esterne sono
rimaste dentro tutta la notte, fino all’ora di pranzo del giorno dopo”, riferiva
una fonte interna. Lunedì rientrando al lavoro i dipendenti hanno trovato
“uffici in disordine, scrivanie spostate, oggetti finiti a terra, prese
elettriche o telefoniche non allineate, anomale”, aveva raccontato Alessandro
Bartolozzi (Fisac-CGIL). Il sospetto: una bonifica per cercare cimici o accedere
ai server, a caccia della “talpa” che passava documenti ai giornalisti.
LA SMENTITA CON MINACCE
Il 29 novembre il Collegio assicurava che il 1° novembre “i quattro membri” non
erano entrati nella sede di Piazza Venezia con soggetti esterni “tutta la
notte”. Solo “l’Avv. Guido Scorza” avrebbe fatto un passaggio “tra le 11 e le
11.10”, per poi uscire “pochi minuti dopo”. “Nessun altro membro del Collegio è
stato presente né ha autorizzato l’ingresso a soggetti esterni”, ribadiva il
comunicato, accompagnato dalla minaccia: “Il Collegio adotterà le tutele
previste dalla legge a garanzia della propria onorabilità”.
MARCIA INDIETRO DOPO QUATTRO GIORNI
Quattro giorni dopo, lo scenario si ribalta. Il Garante “trasmette un esposto
alla Procura di Roma”, chiedendo di verificare quanto riportato dalla stampa: il
1° novembre “persone non identificate avrebbero avuto accesso, o tentato di
accedere, senza autorizzazione ai locali dell’Autorità”. E aggiunge: “Tali
individui avrebbero tentato, o eventualmente effettuato, intrusioni nei sistemi
informatici dell’Autorità, con possibile sottrazione di dati e documenti”. Tutto
il contrario di ciò che era stato affermato pochi giorni prima. Sul sito, i due
comunicati restano uno accanto all’altro.
GARANTE, LA LETTERA AI DIPENDENTI È UN BOOMERANG
Intanto si è rivelato un boomerang l’ennesimo tentativo del Collegio di ricucire
il rapporto con i dipendenti. Il Collegio invia una lettera che riconosce “un
malessere che non abbiamo colto con tempestività”, ma i metadati del file
rivelano che non è stata scritta da Stanzione: l’autore risulta essere
un’assistente di Ghiglia e l’ultima revisione porta il nome della Fondazione
Cesifin di Firenze, di cui Ginevra Cerrina Feroni è vicepresidente. L’assemblea
del 3 dicembre risponde riaffermando le dimissioni del Collegio.
UNA LETTERA POCO “SPONTANEA”
La comunicazione, firmata da Stanzione, Feroni, Ghiglia e Scorza, arriva ai
dipendenti un quarto d’ora prima dell’assemblea. “Molto molto spontanea e
sentita”, ironizza il rappresentante della Fisac-Cgil Alessandro Bartolozzi.
L’incipit “inviato da iPhone” insospettisce subito: sembra un inoltro
frettoloso. I dipendenti aprono il file Word e verificano le proprietà.
Risultato: autore risulta un’assistente di Ghiglia, revisore Cesifin.
LA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 28
La lettera tratta temi organizzativi – codice etico, whistleblowing,
comunicazione interna – ma viene inviata direttamente agli uffici, bypassando i
sindacati. “I sindacalisti di lungo corso della CGIL hanno gridato all’articolo
28”, spiega Bartolozzi, riferendosi alla condotta antisindacale. “I temi
organizzativi dell’ufficio devono essere discussi in sede sindacale, non mandati
direttamente ai dipendenti”. Nel testo, il Collegio nega “alcun mandato per
attività illecite o invasive” e smentisce di aver “autorizzato né richiesto
attività ispettive, investigative o analoghe da parte di soggetti esterni”. Poi
propone riforme: aggiornamento del codice etico, rafforzamento delle procedure
interne, revisione del whistleblowing, distribuzione più equa dei carichi di
lavoro.
L’ASSEMBLEA RISPONDE: DIMISSIONI
L’assemblea del 3 dicembre boccia la lettera e ribadisce la richiesta di
dimissioni. I dipendenti chiedono trasparenza: “Non può esistere
un’amministrazione dove si contestano le spese e non si provvede a mostrarle”,
dice Bartolozzi. Le richieste principali: disclosure completa dei documenti
contabili, istruttoria interna sulla “vicenda Report”, spese del B&B del
presidente Stanzione e così via.
IL BANDO PER IL PORTAVOCE
Nello stesso giorno, il Collegio pubblica un bando per un dirigente
comunicazione: non un concorso pubblico, ma una “forma ibrida” con scelta
fiduciaria e mandato biennale. “Non un dirigente incardinato nell’ufficio, ma un
portavoce agli ordini dei quattro”, è il commento dall’interno. “L’ennesimo
disastro”.
TIMORE DELL’INCHIESTA?
Il clima è teso. Il Collegio forse teme le indagini giudiziarie e che l’ex
segretario Angelo Fanizza, dimessosi il 20 novembre “senza neanche salutare”,
sia andato in Procura a raccontare che tutti sapevano delle intenzioni di
spionaggio interno dei dipendenti. Una piccola apertura arriva dal nuovo
segretario generale Luigi Montuori, che si è impegnato a rispondere alle
richieste di accesso agli atti, alcune già scadute. Ma il personale resta fermo:
“Dovremo lavorare per due anni con questi, sfiduciati all’esterno, scomunicati
all’interno.”
L'articolo Garante Privacy, retromarcia sulla misteriosa intrusione nei suoi
sistemi informatici: dal “mai accaduto” all’esposto in Procura proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Tag - Garante della Privacy
Il caso di presunto assenteismo che avrebbe dovuto inchiodare un’impiegata
comunale si è trasformato in un boomerang per l’amministrazione che aveva dato
il ben servito alla lavoratrice. Il Garante per la protezione dei dati personali
ha inflitto una sanzione di 15mila euro a un comune veneto per “trattamento
illecito dei dati personali” legato alle modalità con cui sono state raccolte e
gestite le immagini utilizzate per il licenziamento della dipendente.
La donna era stata licenziata dopo che il sistema di videosorveglianza del
municipio aveva documentato comportamenti considerati incompatibili con lo stato
di malattia dichiarato. Le immagini, incrociate con i dati di presenza,
mostravano l’impiegata entrare e uscire dal palazzo comunale in orario di lavoro
senza registrare i movimenti, e trattenersi all’esterno per motivi personali.
Ulteriori telecamere pubbliche avevano poi ripreso la lavoratrice mentre
camminava davanti al municipio durante il periodo di malattia, sebbene fuori
dagli orari di reperibilità previsti dalla normativa. A completare il quadro, un
video girato con un telefono personale da un dipendente comunale e inviato
tramite WhatsApp al cellulare privato della sindaca ritraeva l’impiegata a
pranzo in un ristorante insieme a due colleghe, anch’esse assenti dal lavoro per
malattia. Anche questo episodio era avvenuto al di fuori delle fasce di
reperibilità.
Proprio quel filmato, inviato al telefono personale della prima cittadina
perché, come precisato negli atti, l’ente non disponeva delle risorse per
fornirle un’utenza intestata al Comune è stato uno degli elementi contestati dal
Garante. L’Autorità ha infatti accolto il ricorso della ex dipendente, ritenendo
che l’acquisizione delle immagini e la loro gestione da parte
dell’amministrazione non rispettassero la normativa sulla privacy,
indipendentemente dalle condotte contestate alla lavoratrice.
L'articolo Licenziata perché “pizzicata” al ristorante mentre era in malattia:
il Garante multa il Comune per violazione della privacy proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Una multa da 40mila euro. Sarebbe questa la decisione presa dal Garante della
privacy contro la docuserie “Il caso Yara – oltre ogni ragionevole dubbio”,
realizzata da Quarantadue srl e diffusa su Netflix a partire da luglio 2024.
Alla base del provvedimento ci sarebbe una serie di file audio – 46 in totale –
contenenti messaggi vocali e telefonate inviate dai coniugi Gambirasio alla
figlia Yara nelle ore successive alla drammatica scomparsa della 13enne.
La famiglia della giovanissima vittima di Brembate di Sopra (Bergamo) –
scomparsa nel novembre 2010 e trovata assassinata nel febbraio 2011 – si è
opposta alla pubblicazione di quel materiale con un reclamo presentato il 24
settembre 2024. Secondo i coniugi Gambirasio, infatti, si tratterebbe di
messaggi vocali e conversazioni telefoniche “intercettati durante le indagini e
mai utilizzati nel corso del processo” e per questo motivo, a loro avviso, non
destinati alla diffusione pubblica.
E l’Autorità ha accolto le loro posizioni, disponendo il divieto di “ulteriore
diffusione dei messaggi e delle conversazioni oggetto di reclamo” e una multa di
40mila euro alla società Quarantadue: “Tra le conversazioni riprodotte e
individuate nella loro istanza (nei primi tre episodi della serie, in
particolare: 24 files audio nel primo episodio, 19 nel secondo episodio, 3 nel
terzo episodio) vi è anche un messaggio vocale che la reclamante aveva lasciato
nella segreteria telefonica della figlia quando ancora non si conosceva la
drammatica sorte”, si legge nel documento del Garante riportato da “L’Eco di
Bergamo”.
Tra le motivazioni che hanno portato alla sanzione, il Garante precisa che
“detti files audio non hanno alcuna attinenza con le indagini e sono stati
inseriti nella trasmissione ‘all’unico, evidente scopo di sollecitare
l’attenzione morbosa degli spettatori’, in contrasto con il loro diritto di
restare affermazioni riservate”. Per l’Autorità garante, quindi, sarebbero stati
violati i principi generali di liceità e correttezza, nonché di minimizzazione
dei dati personali. Ed è per questo motivo che la loro pubblicazione sarebbe
illecita.
Al provvedimento disposto dall’Autorità garante, però, la società produttrice
della serie, Quarantadue srl, si è difesa, spiegando che “le conversazioni
inserite all’interno del documentario sono un estratto di qualche secondo di
alcune intercettazioni telefoniche e/o ambientali autorizzate dall’autorità
giudiziaria e confluite, quantomeno, nel fascicolo del pubblico ministero,
ovvero semmai audio delle deposizioni rilasciate in tribunale nel corso del
processo a carico di Massimo Bossetti acquisite agli atti”, le parole
dell’azienda riportate dal “Corriere della Sera Bergamo”. Secondo la società,
dunque, la serie sarebbe “una legittima espressione del diritto di cronaca”, in
cui l’utilizzo della voce reale dei genitori – invece di quelle interpretate
dagli attori – risponderebbe alla “necessità di rappresentare fedelmente e nella
piena autenticità il lato umano di quei due personaggi”.
Secondo il Garante, invece, “la pubblicazione dei messaggi e delle conversazioni
telefoniche comprensive delle intime e sofferte esternazioni della madre, abbia
disatteso i principi suindicati, travalicando i confini del lecito e corretto
esercizio del diritto di cronaca”. E per questo motivo ha disposto il divieto
alla diffusione del materiale oggetto di reclamo e una sanzione economica a
Quarantadue srl, che potrà impugnare il provvedimento facendo ricorso.
L'articolo “Stop alla diffusione degli audio dei genitori di Yara. Erano
riservati”: il Garante della privacy sanziona la docuserie Netflix su Bossetti.
Multa da 40mila euro proviene da Il Fatto Quotidiano.
Non bastava l’idea di spiare i dipendenti: pur di dare la caccia alla “talpa”
che forniva documenti a Report e al Fatto i membri del collegio avrebbero fatto
entrare anche soggetti esterni – appartenenti ad apparati dello Stato o a
società private – che sono rimasti negli uffici da soli per tutta la notte. Un
fatto subito denunciato alla Procura di Roma dove il pm Giuseppe De Falco, che
si occupa di reati contro la pubblica amministrazione, ha acquisito
documentazione e una lista di persone potenzialmente informate sui fatti.
L’ipotesi di reato è accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter).
L’ingresso del primo novembre
L’episodio contestato risale al primo novembre 2025, giorno di Ognissanti. In
quella giornata festiva – con gli uffici chiusi – i quattro membri del collegio
(Stanzione, Feroni, Ghiglia e Scorza) entrano nella sede di Piazza Venezia. Ma
non da soli. Con loro, infatti, sarebbero entrati anche soggetti esterni.
“Può capitare che di sabato si lavori, ma è difficile in un giorno di festa come
Ognissanti. Invece erano tutti lì, ma la cosa più inquietante è che non erano
soli”, racconta una fonte interna a Report. E aggiunge: “Posso dirvi che i
membri del collegio dopo qualche ora sono andati via, le persone esterne sono
rimaste dentro tutta la notte, fino all’ora di pranzo del giorno dopo”.
Scrivanie spostate e bonifiche
Il sospetto peggiore è che abbiano cercato di accedere ai server e quindi alle
informazioni e ai dati di tutti i dipendenti, mettendo a rischio la sicurezza
dei lavoratori e dell’intera autorità. Nei giorni successivi sono emerse
segnalazioni che fanno pensare a operazioni di bonifica.
Alessandro Bartolozzi, responsabile della rappresentanza Fisac-CGIL al Garante,
conferma: “Non mi sorprende questa possibilità. Abbiamo raccolto informazioni
che o si vogliono considerare frutto di una sorta di psicosi collettiva oppure
hanno un fondo di verità: ci sono stati segnalati uffici con un certo disordine,
scrivanie spostate, alcuni oggetti che erano nella cassettiera finiti a terra,
prese elettriche o prese telefoniche non correttamente allineate, anomale.”
Gli spostamenti delle prese e delle scrivanie farebbero pensare a un’operazione
di bonifica ambientale, presumibilmente alla ricerca di cimici o per installare
apparecchiature. L’intrusione si sarebbe concentrata sulla “parte informatica”
dell’Autorità.
Il timing sospetto
Il particolare inquietante è che questa intrusione sarebbe avvenuta tre giorni
prima della richiesta ufficiale fatta dal segretario generale Fanizza di spiare
le mail e i dati dei dipendenti. Il 4 novembre, infatti, Fanizza chiese
formalmente al dirigente della sicurezza informatica Cosimo Comella di acquisire
tutte le email dei dipendenti dal marzo 2001, gli accessi VPN e le cartelle
condivise. Una richiesta che Comella respinse definendola una “paradossale
violazione delle norme emanate dallo stesso Garante.”
La miccia dei misteri
Difficile capire cosa abbia innescato l’ingresso del primo novembre: fino a quel
giorno Report aveva mostrato solo una breve anticipazione della puntata del 2
novembre – pochi secondi con Ghiglia nella sede di FdI – nulla che potesse
allarmare il Collegio, che non poteva sapere cosa sarebbe andato in onda la sera
successiva.
In mezzo però c’è un episodio che può spiegare la scintilla. Il 29 ottobre il
Fatto chiede a Guido Scorza, membro del Collegio, di verificare una call che il
giorno prima avrebbe coinvolto alcuni garanti e una una nota società di lobbying
per gestire la “crisi” delle inchieste giornalistiche. Il 30 novembre gli
vengono forniti gli estremi tecnici delle comunicazioni partite dall’indirizzo
segreteria.generale@gpdp.it. La richiesta è di una verifica informale, discreta,
per tutelare le fonti.
Scorza fa il contrario: il giorno dopo convoca un Consiglio straordinario, mette
la segnalazione sul tavolo di tutti i garanti e avvia verifiche interne. “Non
potevo fare diversamente – spiegherà – c’è di mezzo la privacy dei dipendenti”.
Pochi giorni dopo annuncia che “non risulta nulla”. Ma il contratto esiste: è
con la stessa società, firmato dallo studio E-Lex, fondato da Scorza, con
decorrenza dall’11 novembre.
A Repubblica dirà che le verifiche sulle caselle dei dipendenti servivano a
capire come un verbale del Collegio fosse finito sul Fatto. A La Stampa un altro
garante rivelerà che Scorza era convinto di aver trovato la “talpa” e che “si
stessero cercando le prove per farla licenziare”.
Domanda inevitabile: la “talpa” era forse la fonte che Scorza si era impegnato a
proteggere e che invece ha esposto, scatenando l’intera caccia?
Il sindacato vuole chiarezza
La Fisac-Cgil, che nei giorni scorsi ha chiesto le dimissioni dell’intero
Collegio poi votate da tutto il personale, pretende ora di sapere cosa sia
accaduto davvero il primo novembre: chi è entrato negli uffici, con quale titolo
e perché. Il sindacato chiede innanzitutto di conoscere il nome del componente
del Collegio che, nella riunione del 23 ottobre, ha proposto di svolgere
attività di “discovery” affidandosi a un soggetto privato esterno. Poi vuole
sapere se nel mese di novembre siano stati consentiti accessi fisici alla sede
in giornate festive o non lavorative e in ore notturne. In caso affermativo, se
questi accessi siano stati operati da personale interno o da soggetti esterni –
e in questo caso se appartenenti ad apparati dello Stato o a società private.
Infine, chiede di rendere note le causali autorizzative e se questi accessi
siano da mettere in relazione alla raccolta di informazioni sui dipendenti.
L'articolo Garante della Privacy, accesso abusivo ai server: si muove la Procura
di Roma proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ecco il documento incriminato, quello che ha causato le prime dimissioni al
Garante della Privacy. Le dimissioni del segretario generale Angelo Fanizza
arrivano poche ore dopo la pubblicazione del documento che rischia di travolgere
definitivamente l’Autorità, dice certo la sua credibilità. Un atto interno,
protocollato alle 11:22 del 4 novembre 2025, in cui Fanizza ordina al dirigente
della sicurezza informatica, Cosimo Comella, di acquisire con “effetto
immediato” una mole immensa di dati interni dell’Autorità. Non un controllo
mirato: tutte le email dei dipendenti, gli accessi VPN, le cartelle condivise,
gli spazi di rete, i sistemi documentali, fino ai sistemi di sicurezza. E poi
l’ordine più grave: “evitare che si verifichi la sovrascrittura dei log su tutti
i sistemi”. Significa congelare ogni traccia di attività dei lavoratori per
anni. L’intera operazione doveva essere copiata “su uno o più DVD” e consegnata
direttamente al segretario generale. Tutto “riservato e interpersonale”.
È il cortocircuito perfetto: l’Autorità che dovrebbe difendere la privacy degli
italiani chiede di violare quella dei suoi stessi dipendenti. E non per fini
istituzionali dichiarati: nelle ore successive i lavoratori scopriranno che il
vero obiettivo era trovare chi parlava con i giornalisti. È questo il detonatore
della rivolta che porta l’assemblea ad approvare all’unanimità la richiesta di
dimissioni del Collegio.
La risposta di Comella, protocollata il 5 novembre alle 13:04, è un documento
destinato a rimanere nella storia dell’ente. Il dirigente blocca tutto,
spiegando che l’ordine configurerebbe “una violazione del diritto costituzionale
alla segretezza della corrispondenza” e delle norme sulla protezione dei dati.
Ricorda che il Garante ha sanzionato decine di aziende per aver fatto
esattamente ciò che ora chiede di fare ai suoi tecnici: accedere alle email dei
lavoratori senza base giuridica, monitorare gli accessi, trattenere log oltre i
limiti. Senza una richiesta dell’autorità giudiziaria – scrive – è illegale.
Comella richiama le Linee Guida del 2007, che vietano l’accesso ai messaggi
email dei dipendenti senza garanzie, e il provvedimento “metadati” del 6 giugno
2024, che fissa a 21 giorni la conservazione dei log, salvo accordi sindacali o
autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. Fanizza chiedeva la conservazione
integrale di 24 anni di dati, e il blocco totale dei log. Un ordine
incompatibile con qualsiasi norma vigente.
Poi c’è la parte tecnica, quasi surreale: per copiare i dati richiesti
servirebbero 20.000 DVD, circa 4.000 ore di lavoro – un anno e mezzo di un
tecnico dedicato – e oltre 100 terabyte di spazio, con la necessità di una
piattaforma capace di analizzarli. Una richiesta tecnicamente ingestibile e
giuridicamente proibita, come sottolinea Comella: “Costituirebbe una paradossale
violazione di norme emanate dallo stesso Garante”, con un danno reputazionale
“immenso”.
Il documento si chiude con una nota amara: il dirigente, in partenza per ferie,
mette a disposizione due referenti “di elevata professionalità” per eventuali
“analisi forensi”, ribadendo però che una simile richiesta “non può essere
accolta”.
Il giorno seguente, i dipendenti esplodono in un applauso di cinque minuti per
Comella. E ieri sera, davanti all’evidenza di quell’ordine, Fanizza ha lasciato
l’incarico. Resta però la domanda centrale: e tutti gli altri membri del Garante
che sapevano restano al loro posto lo stesso?
L'articolo Ecco il documento riservato con cui il Garante Privacy voleva spiare
i suoi stessi dipendenti proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ieri sera il Segretario Generale Angelo Fanizza si è dimesso. La decisione
arriva dopo una riunione straordinaria di ieri mattina in sala Rodotà che ha
esposto il Garante della Privacy a uno dei momenti più imbarazzanti della sua
storia istituzionale. Fanizza aveva ordinato al dirigente della sicurezza
informatica Cosimo Comella di acquisire tutte le email dei dipendenti dal marzo
2001 — 24 anni di corrispondenza — insieme agli accessi VPN, cartelle condivise
e il blocco dei log. L’obiettivo dichiarato: trovare chi stava parlando con
Report e il Fatto Quotidiano su questioni delicate riguardanti il Garante.
Una richiesta illegale e illegittima che contraddice completamente la missione
dell’Autorità, che ha sanzionato decine di aziende per aver fatto esattamente
questo. Comella ha risposto il giorno dopo rifiutando: eseguire l’ordine
significherebbe una “paradossale violazione delle norme emanate dallo stesso
Garante”. Ha aggiunto che dal punto di vista tecnico servirebbero 20mila DVD,
4.000 ore di lavoro, un anno e mezzo per la sola masterizzazione.
Quando la risposta di Comella è stata letta in assemblea di fronte a 140-150
dipendenti, tutta la sala si è alzata applaudendo per 5 minuti. Nella pausa, i
lavoratori hanno votato all’unanimità la richiesta di dimissioni sia del
collegio dirigente che di Fanizza. Uno dei quattro componenti, Guido Scorza, si
è dissociato pubblicamente. Durante il dibattito Fanizza aveva sbottato cercando
di coinvolgere il collegio, ma nessuno ha risposto. C’è stato anche un tentativo
di accesso non autorizzato ai server durante la caccia alla talpa. Le dimissioni
di Fanizza sono il primo passo verso la ricomposizione della crisi.
L'articolo Crolla il Garante: si dimette il segretario, l’assemblea dei
lavoratori sfiducia l’intero collegio proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Accuse totalmente infondate”, dicevano. Hanno negato tutto, sostenendo di
essere vittima di un attacco mediatico coordinato, e per questo non si dimettono
manco se glielo chiedono i partiti che li hanno nominati. Sarà l’autorità
giudiziaria a giudicare il Garante che assolve sempre se stesso. A tre diverse
procure sono stati depositati altrettanti esposti per reclami rimasti
misteriosamente nei cassetti o sanzionati con un semplice buffetto, in danno di
cittadini, lavoratori e pazienti. Due esposti riguardano casi rivelati dal Fatto
nei giorni scorsi.
È una svolta per la vicenda. Per la prima volta infatti non sono i giornalisti a
denunciare. Non è la tv a indagare. Sono le stesse vittime del Garante – i
danneggiati dai suoi ritardi e apparenti omissioni – a rivolgersi direttamente
alla magistratura perché verifichi possibili reati e per abbattere il “muro di
gomma” con cui il Garante rimbalza solleciti e ignora richieste di
documentazione. La denuncia, dicono i querelanti, è l’unico strumento rimasto
per costringerli a dare spiegazioni.
L’Asl abruzzese: tre avvocati per coprire una traccia
Angelica Carnevale, avvocato del Foro dell’Aquila, è vittima diretta del data
breach ASL 1 Abruzzo del 3 maggio 2023. Nel 2019 era paziente dell’ospedale per
il parto. “La mia cartella ginecologica era tra i dati trafugati – spiega al
Fatto – ma sono stati trafugati anche informazioni su pazienti con HIV,
orientamenti sessuali, interruzioni di gravidanza non rivelate alle famiglie.
Dati che potevano rovinare vite”. Carnevale presenta segnalazione al Garante il
25 marzo 2024. Scrive ancora il 25 aprile, 29 aprile, 6 maggio. Attende mesi nel
silenzio. E ora ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma.
L’ASL aveva un Data Protection Officer pagato 60mila euro per gestire proprio
questo. Il 16 giugno incarica un legale esterno per 5mila euro. Non basta. De
mesi dopo – mentre l’istruttoria del Garante è in corso – incarica E-Lex per
129.500 euro – appena sotto il limite oltre il quale scatterebbe la gara
pubblica. L’offerta è sottoscritta da Ernesto Belisario. Ma E-Lex è la fusione
dello studio di Belisario e dello studio di Guido Scorza, componente del Garante
dal 2020. A febbraio 2025 il Garante decide per un semplice ammonimento. Una
“violazione minore”. Eppure a settembre 2023 l’ASL di Napoli 3 Sud per
ransomware identico riceve 30mila euro di multa. A maggio 2023 ULSS 6 per dati
inviati a destinatari sbagliati riceve sempre una multa da 10mila euro. Il data
breach abruzzese invece, uno dei più gravi dell’epoca moderna, riceve solo un
buffetto e niente multa.
Dopo 853 giorni di attesa arrivano i licenziamenti
Antonio Amoroso, ex Alitalia e segretario nazionale della Cub Trasporti presenta
reclamo al Garante a luglio 2023 per tutti i 2mila colleghi che rischiano il
licenziamento col passaggio dalla vecchia compagnia a Ita Airways. Chiede al
Garante: è legittimo il trasferimento dei dati a ITA senza consenso?
I dati includevano salari precedenti (rendendo impossibile negoziare stipendi
più alti), carichi familiari, notizie su licenziamenti e reintegre passate. Dati
che hanno condizionato le scelte di ITA nella selezione. Se il Garante avesse
deciso che non era legittimo avrebbe dovuto sanzionare le compagnie, se
viceversa lo era allora i lavoratori avrebbero potuto portare la prova della
“continuità aziendale” dal giudice del lavoro e non finire per strada. Invece
sono passati 853 giorni, un anno e mezzo dall’avvio dell’istruttoria avviata.
Poi silenzio.
Amoroso presenta tre richieste di aggiornamento: 25 marzo, 29 aprile 2024, 6
maggio 2025. Tutte non riscontrate. Sono passati 853 giorni. Nel frattempo:
Report multato in 370 giorni. Fatto Quotidiano in 6 giorni. I duemila
lavoratori? Niente. Licenziamenti già arrivati. La CIGS scade. Loro finiscono
per strada. Il 16 settembre il giudice Orrù rimette la questione pregiudiziale
sull’operazione di cessione tra Alitalia e Ita direttamente alla Corte di
Giustizia Europea. Messaggio chiaro: l’Autorità italiana non funziona. Tutto
questo è illustrato in un esposto con 58 allegati depositato proprio oggi presso
la Procura della Repubblica di Roma.
Il manager spiato mentre il Garante dormiva
Un dirigente del Gruppo Luxottica scopre di essere spiato internamente da mesi.
A settembre 2023 l’azienda mantiene aperta la sua email dopo il licenziamento,
legge la corrispondenza riservata, estrae una bozza di lettera legale per il
ricorso. Un caso di scuola, documentale, già risolto dalla giurisprudenza dello
stesso Garante dal 2016 e 2019. Bastava applicare le proprie regole. Il reclamo
è di fine ottobre 2023 ma solo a marzo – cinque mesi dopo – il Garante chiede
informazioni. Solo in ottobre – a 12 mesi dal reclamo – accerta le violazioni.
Sono passati 750 gi0rni, due anni, senza una decisione sulla sanzione. E’ stato
il Fatto a rivelare la vicenda.
Nel frattempo, si scopre che dietro lo spionaggio c’erano gli uomini di
Equalize, la centrale di dossieraggi sotto inchiesta. La multinazionale
commissiona dossier illegali per 4.500 euro più IVA da banche dati strategiche
nazionali. Il Garante avrebbe potuto fermare la rete prima che si allargasse
ancora. E invece non l’ha fatto pur avendo un reclamo “spia” proprio sul tavolo.
Il muro di gomma pare sistematico, il meccanismo preciso: quando i cittadini
chiedono trasparenza – reclami, richieste di aggiornamento – il Garante risponde
con il silenzio. Ignora solleciti e va per le lunghe. Ma quando deve sanzionare
altri è un razzo: Report: 370 giorni. Il Fatto: 6 giorni. L’avvocato Domenico
Tambasco che seguì il manager anche nella pratica presso il Garante sta
predisponendo un esposto sulla vicenda per la Procura di Milano.
Il nodo E-Lex: presente in tutti gli affari
In due dei tre casi torna lo stesso nome: E-Lex, lo studio fondato da Guido
Scorza, membro del collegio del Garante dal 2020. Scorza sostiene di aver
“tagliato ponti” con lo studio. Eppure fino a poche settimane fa la sua email
(@e-lex.it) era ancora attiva nell’albo avvocati Roma, ricevendo messaggi. Come
se continuasse a ricevere corrispondenza dello studio mentre votava nei
procedimenti che lo vedevano come parte giudicante. Scorza si è difeso
sostenendo di non accedervi da quando ha lasciato lo studio. E-Lex difende circa
una dozzina di aziende sottoposte a procedimenti del Garante. Coincidenze? Anche
qui, deciderà la magistratura.
ANAC e Corte dei Conti bussano alla porta
L’avvocato Simone Aliprandi ha deciso di andare a fondo. Ha segnalato all’ANAC e
alla Corte dei Conti. All’ANAC chiede: la scelta dell’ASL di incaricare E-Lex è
stata motivata dalla speranza di ottenere un provvedimento favorevole dal
Garante? Perché è esattamente quello che è successo. Se provato, quella si
chiama corruzione. Alla Corte dei Conti chiede: i 129.500 euro (più 140mila
complessivi per tre incarichi) costituiscono danno erariale? Il DPO era già
incaricato. E la cifra sembra calcolata appositamente sotto la soglia che
avrebbe richiesto una gara pubblica, permettendo invece l’affidamento diretto a
uno studio con un membro nel collegio giudicante. Sarà l’autorità giudiziaria a
giudicare il Garante che assolve sempre se stesso. Le due autorità dovranno
verificare tutto questo.
L'articolo “Omissioni, ritardi e sanzioni dubbie”: il Garante della Privacy
finisce sotto inchiesta dopo 3 esposti. Le accuse all’Authority proviene da Il
Fatto Quotidiano.