“Chiara Ferragni pensava solo a far soldi”. È un attacco frontale e senza mezze
misure quello sferrato da Pasquale Morgese, l’ex socio dell’imprenditrice
digitale, che per la prima volta parla pubblicamente di ciò che è accaduto negli
ultimi anni. Il notissimo imprenditore pugliese del settore delle calzature, la
cui azienda da sessant’anni produce scarpe ed è licenziataria di diversi marchi,
fino allo scorso anno era uno dei più fidati soci della Ferragni, tanto da
detenere il 27,5% delle quote di Fenice Srl. Da tempo le loro strade sono divise
e i rapporti inesistenti, come dimostra la scelta di Morgese che, lo scorso
giugno, ha impugnato il Bilancio del 2023 aprendo una battaglia legale sul
futuro di Fenice Srl. Per la prima volta l’imprenditore parla e lo fa in
un’intervista concessa a Farwest, la trasmissione condotta da Salvo Sottile in
onda stasera Rai 3.
PARLA PASQUALE MORGESE, L’EX SOCIO DI CHIARA FERRAGNI
Pasquale Morgese sarà dunque il protagonista di un’intervista a Farwest nella
quale rivelerà retroscena inediti sulla gestione societaria da parte di Chiara
Ferragni e sul “Pandoro gate”, per il quale i magistrati hanno di recente
richiesto per la Ferragni una condanna a un anno e otto mesi per truffa
aggravata. Il rapporto tra di loro risale a molti anni fa, prima del boom dei
conti della Fenice Srl, con un intreccio lavorativo e personale, tanto che
l’imprenditore ammette di essersi sentito “orgoglioso come un padre che vede
crescere un figlio”, come scrive Salvo Sottile nella sua newsletter nella quale
anticipa alcuni passaggi dell’intervista di stasera. I numeri salivano, tutto
procedeva al meglio fino a quando, nel 2018, s’incrina il rapporto tra la
Ferragni e il fidanzato Riccardo Pozzoli, co-fondatore delle aziende
all’influencer. “Pozzoli esce di scena, Ferragni chiede a Morgese di
intervenire, di rilevare quelle quote. Lui accetta. Poi arriva la scena chiave”,
spiega Sottile. La Ferragni avrebbe chiesto a Morgese di cederle le quote, o
meglio, di regalargliele.
“Morgese dice di no. Non può. Non vuole. Chiede almeno l’importo versato in
precedenza. ‘Lei si mette a piangere’ ricorda. ‘Dice che pensava gliele avrei
regalate’. È lì che, stando al racconto dell’ex socio, il rapporto si rompe come
un vetro sottile”.
IL RAPPORTO INCRINATO E L’ARRIVO DI FABIO MARIA D’AMATO
Il rapporto si raffredda, entrano in scena consulenti che fanno pressioni e che,
dice Morgese, lo relegano ai margini del cda dove scatta “una stagione di
verifiche interne, controlli, riunioni fredde”. “Schivavo le bombe con l’elmetto
in testa”, aggiunge l’imprenditore che ricorda molto bene l’arrivo in società di
Fabio Maria D’Amato, ora a processo con Ferragni che fino a qualche anno fa lo
definiva “il mio braccio destro e sinistro”. Secondo Morgese, D’Amato “voleva
dimostrare di essere lui il numero uno dopo Chiara. Si atteggiava da super
manager. Cambiano le priorità. Il brand non era più il ‘bambino’ da crescere,
era una macchina. Una macchina per generare ricavi”. Morgese a quel punto si fa
diretto e spiega: “Chiara pensava solo a far soldi. Era la nuova missione.
L’acquisizione, l’espansione. Il valore non era più il prodotto, l’emozione del
cliente o l’identità del marchio. Il valore era l’incasso. Punto. Ogni decisione
sembrava girare intorno al profitto immediato, anche a costo – secondo me – di
perdere autenticità. Era come inseguire un treno che non si ferma mai. Ma se
corri troppo veloce, a volte cadi”.
IL PANDORO GATE E IL CROLLO DEI FATTURATI
Morgese poi passa a raccontare che cosa accadde quando scoppiò il Pandoro gate.
Come reagì alla notizia? Pensando “Siamo fritti”, ammette. Tutto il resto è cosa
nota, compreso il crollo del fatturato, la crisi d’immagine e di credibilità e
poi l’arrivo del super manager Claudio Calabi, stimato manager esperto in
ristrutturazioni aziendali. “Lavorava per l’azienda, sì, ma sembrava lavorare
soprattutto per Chiara”, punge Morgese. C’è già Calabi quando il consiglio di
Fenice Srl delibera un aumento di capitale da 6 milioni: lo sottoscrive solo la
Ferragni, Morgese e altri soci si rifiutano di versare ulteriori fondi. “Eravamo
già stati danneggiati. Chi sbaglia paga”, chiosa senza timori.
L'articolo “Chiara Ferragni pensava solo a fare soldi. Il valore non era più il
prodotto ma il profitto immediato. Quando ho saputo del ‘pandoro gate’ ho
pensato ‘siamo fritti'”: parla Pasquale Morgese, ex socio dell’imprenditrice
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Chiara Ferragni
Una condanna a un anno e 8 mesi e senza sospensione della pena né attenuanti
generiche: questa la richiesta della procura per Chiara Ferragni nel processo
sui noti casi di presunta pubblicità ingannevole del Pandoro Pink Christmas
Balocco e delle uova di Pasqua Dolci Preziosi. Qualche giorno fa, in attesa
della richiesta di pena, il New York Post riassumeva così la parabola
dell’imprenditrice digitale: “Ferragni è passata dall’essere la cocca di Dior,
Gucci e Versace, sposata con un rapper famoso e capace di guadagnare cifre a sei
zeri per un singolo post Instagram, al divorzio, alla caduta in rovina e a
vedere la sua società, Fenice Srl, registrare una perdita di 6,65 milioni di
dollari lo scorso anno”. Too much o fatti? Intanto ieri 25 novembre, a fine
udienza, Chiara Ferragni ha fatto una dichiarazione spontanea, il testo
concordato con i suoi avvocati ma pronunciato senza leggere i fogli che aveva in
mano: “Tutto quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto in buona fede”, le parole
prima di qualche lacrima, come racconta Il Corriere della Sera. L’imprenditrice
ha parlato di “buona fede” ma anche di quel momento della sua vita, con il ruolo
di co-conduttrice al Festival di Sanremo, con il suo sostegno alle campagne
contro la violenza sulle donne, con la raccolta messa in piedi nel 2020 assieme
all’allora marito Fedez per l’ospedale San Raffaele e i 4,5 milioni di euro per
la creazione di nuovi posti letti all’interno del reparto di terapia intensiva
da destinare all’emergenza Covid. Uscendo dall’aula e dopo l’udienza a porte
chiuse, ai cronisti ha detto di essere “fiduciosa” e di non poter “aggiungere
altro”.
Il procuratore aggiunto di Milano, Eugenio Fusco, e il sostituto Cristian
Barilli che hanno coordinato le indagini del Nucleo Pef della guardia di
finanza, hanno chiesto la stessa condanna per Fabio Damato, ex manager delle
società titolari dell’immagine di Ferragni e all’epoca “braccio destro e
sinistro” – come le stessa lo definiva – della 38enne. Chiesto un anno anche per
l’amministratore delegato e presidente di Cerealitalia-ID, Francesco Cannillo.
Nessuna attenuante della pena, dicevamo: Ferragni ha già chiuso il fronte
amministrativo ed effettuato donazioni per 3,4 milioni di euro ma per i pm non
merita nemmeno la cosiddetta “diminuente” per i risarcimenti.
Come siamo arrivati a questa richiesta di pena? Intanto, le mail: secondo gli
accordi presi sia con Balocco che con Dolci Preziosi, dovevano essere le società
di Chiara Ferragni – TBSCrew e Fenice – a rispondere ai consumatori che
chiedevano quanta parte del prezzo di vendita maggiorato (pandori ceduti alla
grande distribuzione per il Natale 2022 e venduti al pubblico al prezzo di 9,37
euro a confezione invece che i 3,68 euro del prodotto standard), andasse in
beneficenza. Un utente scrisse: “Compro un uovo e quanto di quello che pago va a
sostenere il progetto?”. A dare il via a questi interrogativi su larga scala e
dunque a quello che è stato da subito chiamato ‘pandoro gate’ è stata Selvaggia
Lucarelli, che ha reso pubbliche le domande, amplificato l’eco e successivamente
raccontato tutto nel dettaglio nel libro Il vaso di Pandoro. Ferragni sulle
prime rispose con l’ormai famoso video in tuta grigia dove si parlava di “errori
di comunicazione”. Errori di comunicazione che, oggi, sono una richiesta di pena
a 20 mesi.
Secondo i pm, si è trattato poi di una manipolazione del mercato: prima la
comunicazione dell’iniziativa in rete, sui social, poi la messa in vendita dei
prodotti con finalità benefiche sugli scaffali dei supermercati, dopo aver
‘fatto credere’ ai clienti che l’ammontare della beneficenza dipendesse dal
numero di acquisti. La fiducia che molti consumatori/follower riponevano in
Chiara Ferragni – in quel momento al massimo della sua credibilità social e non
solo – ma anche nei luoghi dove fanno la spessa tutti i giorni, ha generato
l’aggravante di “aver profittato di circostanze di luogo e persona tali da
ostacolare la privata difesa” dei consumatori.
“Verrà fuori la sua innocenza“, le parole dell’avvocato Marcello Bana che
assiste l’imprenditrice digitale con il collega Giuseppe Iannaccone. Per la
procura, l’imprenditrice avrebbe ottenuto con l’inganno un profitto di circa 2,2
milioni di euro, oltre che benefici non calcolabili dal ritorno di immagine.
Lo scorso 18 novembre, il New York Post ricostruiva così la vicenda è arrivata
ora quasi al rush finale: “Alla fine del 2022, la società Fenice Srl di Chiara
Ferragni — che vendeva abbigliamento femminile, gioielli, kidswear, arredamento
e altro — aveva una valutazione di circa 87,5 milioni di dollari. Poi è arrivato
il #pandorogate e un crollo così pesante da farle perdere quasi il 90% di quel
valore. Sembrava una cosa innocua: per il Natale 2022, Ferragni annunciò una
nuova collaborazione, questa volta con l’azienda dolciaria Balocco, per vendere
un pandoro speciale destinato alla beneficenza. Costava tre volte un pandoro
normale, ma secondo lei valeva ogni centesimo, perché ‘tutti i proventi’
sarebbero andati all’Ospedale Regina Margherita di Torino. Quasi subito, però, i
media italiani (specifichiamo, Selvaggia Lucarelli) si insospettirono e, prima
della fine dell’anno, smascherarono la verità.
E sempre il quotidiano newyorkese suggerisce a Ferragni di ripartire da un altro
Paese, aggiungendo però che gli influencer ‘della prima ora’ come Ferragni
affrontano un modello di business ormai superato: “C’è stato un grande
cambiamento: si è passati dal pubblico di massa a target molto specifici, per
questo tutti vogliono lavorare con i micro-influencer, parlano direttamente al
loro pubblico e sono considerati credibili”, le parole Ryan Berger, a capo
dell’agenzia The Berger Shop. Quindi, se non ci sono più così tanti brand
disposti a pagare cifre astronomiche per raggiungere milioni di follower perché
sanno che vale più la pena rivolgersi a piccole nicchie con follower fedeli, che
ne sarà del modello Ferragni? Intanto, restando sui fatti, si attende la
sentenza. Prossima udienza il 5 dicembre.
L'articolo Chiara Ferragni si commuove in aula e dice “tutto è stato fatto in
buona fede”: l’attesa della sentenza e cosa perché la richiesta di una condanna
a 20 mesi senza sospensione né attenuanti generiche proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Un anno e otto mesi: questa la condanna chiesta dal procuratore aggiunto Eugenio
Fusco e dal pm Cristian Barilli per Chiara Ferragni, imputata con il suo ex
braccio destro Fabio Damato e Francesco Cannillo, presidente di Cerealitalia,
per truffa aggravata dall’uso del mezzo informatico in relazione ai casi di
presunta pubblicità ingannevole del Pandoro Balocco Pink Christmas e delle uova
di Pasqua Dolci Preziosi. L’influencer è arrivata presto questa mattina al
Tribunale di Milano evitando così le telecamere e i flash dei paparazzi che
l’aspettavano nel giorno dell’udienza a porte chiuse. I difensori
dell’imprenditrice digitale, che ha sempre respinto le accuse, dovrebbero
prendere la parola nella prossima udienza fissata per il 19 dicembre. Nel
frattempo il giudice Ilio Mannucci Pacini è stato chiamato a esprimersi sulla
richiesta di costituzione di parte civile da parte dell’associazione “La casa
del consumatore”, che ha rifiutato il risarcimento proposto dalla difesa.
L’influencer, sostiene sempre la difesa, non ha commesso alcun reato, e come
scrive il Corriere “ha già chiuso il fronte amministrativo ed effettuato
donazioni per 3,4 milioni di euro”. Diverso il quadro delineato dai pm, secondo
i quali l’imprenditrice digitale avrebbe ingannato follower e consumatori con
presunti ingiusti profitti di circa 2,2 milioni di euro derivanti dalla vendita
di pandori e uova di Pasqua, il cui prezzo però non comprendeva la beneficenza
pubblicizzata. Più nel dettaglio, l’“operazione Balocco” avrebbe indotto “in
errore un numero imprecisato di acquirenti” convinti che con il proprio acquisto
avrebbero contribuito alla raccolta fondi a favore dell’ospedale Regina
Margherita di Torino. La procura sostiene che l’accordo si sarebbe rivelato
diverso: le società dell’influencer avrebbero incassato “poco più di un milione
di euro per pubblicizzare via Instagram l’iniziativa benefica per la quale la
società Balocco aveva destinato 50mila euro a favore dell’ospedale,
indipendentemente dalle vendite” si legge su Il Messaggero. Ai tempi in cui la
polemica scoppiò, Ferragni aveva parlato di un “errore di comunicazione”, che si
sarebbe verificato anche nel secondo caso contestato. “Tutto quello che abbiamo
fatto lo abbiamo fatto in buona fede, nessuno di noi ha lucrato”, scrive la
testata romana a proposito del senso delle dichiarazioni spontanee rese in aula
da Chiara Ferragni. I prossimi capitoli della vicenda verranno scritti il 19
dicembre e a gennaio, quando è prevista la sentenza.
L'articolo Chiara Ferragni, la Procura chiede la condanna a un anno e 8 mesi per
il Pandoro gate. Lei replica: “Fatto tutto in buona fede, nessuno ha lucrato”
proviene da Il Fatto Quotidiano.