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“Attenzione, i tacchi alti cambiano davvero la forma dei nostri piedi. Se indossati spesso e a lungo si rischia fino all’artrite da usura”: l’allarme dell’ortopedico Andrew Goldberg
Saranno pure più eleganti e utili a slanciare la figura, ma i tacchi alti possono essere devastanti per i nostri piedi. Se infatti indossati spesso e per periodi lunghi di tempo possono cambiare addirittura la forma dei nostri piedi. O almeno è questo quanto appurato personalmente da Andrew Goldberg, consulente ortopedico specializzato in piede e caviglia presso l’ospedale Wellington di Londra. Dopo aver a lungo creduto che i problemi ai piedi fossero una questione di genetica, minimizzando l’impatto delle scarpe, Goldberg si è dovuto ricredere. La sua prospettiva è stata stravolta dall’analisi di scansioni 3D che mostrano la differenza tra un piede scalzo e lo stesso piede all’interno di un tacco alto. “Se me lo aveste chiesto 15 anni fa, avrei detto: ‘Assoluta assurdità: è tutta genetica e le scarpe non sono responsabili di nessun problema’”, afferma Goldberg sul Guardian. I risultati delle scansioni hanno fatto cambiare idea allo specialista. I piedi contenuti nei tacchi alti comportano che le dita restino strette l’una all’altra; il costante stress può portare allo sviluppo di un alluce valgo e, nelle dita più piccole, alla tendenza a rimanere “ad artiglio” (dita a martello). “Si può immaginare che dopo poche ore i piedi facciano male, e una volta tolte le scarpe, le dita tornino alla normalità”, dice Goldberg. “Ma se si indossano i tacchi otto ore al giorno, tutti i giorni, per anni, le dita iniziano a rimanere in quella posizione”. Nel tempo, la tensione eccessiva provoca l’allungamento dei tessuti e, in casi estremi, l’artrite da usura. Tuttavia, non sono solo i tacchi a causare problemi. Goldberg avverte che tutte le calzature influenzano in una certa misura la forma del piede, soprattutto quelle con punta stretta o una calzata troppo piccola. Studi dimostrano che le donne che indossano regolarmente tacchi di almeno 5 cm tendono ad avere strutture del piede più affusolate a causa della pressione esercitata sulle ossa metatarsali. “Secondo una revisione che ha considerato oltre cinquecento studi – spiega la Fnomceo nella sua rubrica “dottore, ma è vero che…? – è assodato che diversi effetti negativi sul sistema muscoloscheletrico, dalla colonna vertebrale alle dita dei piedi, sono associati ai tacchi alti. Indossandoli, infatti, si verifica uno spostamento del peso corporeo in avanti, in una posizione non naturale, e il tallone si trova al di sopra delle dita. Sono allora proprio le estremità a dover mantenere con difficoltà l’equilibrio, sia da fermi sia in movimento. Le prove più evidenti dei danni causati dai tacchi alti ricadono sulle dita dei piedi, e uno dei rischi più fastidiosi è l’alluce valgo”. La buona notizia per gli amanti dei “trampoli” è che non è necessario rinunciare del tutto ai tacchi. Il segreto, suggerisce Goldberg, è la moderazione. L’uso occasionale (per una cena o una festa) non rappresenta infatti un problema significativo. E’ l’uso quotidiano e prolungato il vero responsabile dei danni a lungo termine. Per mantenere i piedi flessibili e forti, soprattutto se non si vuole rinunciare ai tacchi, gli esperti raccomandano semplici esercizi quotidiani, come raccogliere oggetti (come una matita o una salvietta) con le dita dei piedi e camminare scalzi in punta di piedi per un minuto. Il dolore che si prova alla fine di una serata sui tacchi non è un capriccio, ma il segnale che il piede è stato sottoposto a un notevole stress. Ascoltare quel segnale e alternare le calzature è l’unica vera strategia per bilanciare l’amore per la moda con la salute a lungo termine. L'articolo “Attenzione, i tacchi alti cambiano davvero la forma dei nostri piedi. Se indossati spesso e a lungo si rischia fino all’artrite da usura”: l’allarme dell’ortopedico Andrew Goldberg proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Natale 2025, 10 idee moda da regalare o regalarsi: dal cappellino con frase ad effetto alla perfetta camicia bianca e i calzini amati dalla Gen Z
Con l’arrivo delle Feste, la domanda che mette in crisi anche gli shopper più esperti è sempre la stessa: cosa acquistare per accontentare fashion addicted e non, e assicurarsi un regalo (quasi) infallibile? Trovare un’idea che metta d’accordo gusti diversi, che segua le tendenze senza risultare eccessiva e che abbia una reale utilità non è affatto scontato. Il rischio di cadere nei grandi classici poco amati – dal pigiama “di rito” al maglione improbabile scelto all’ultimo minuto – è sempre in agguato. Proprio per evitare scelte affrettate, la redazione di FQMagazine ha selezionato le 10 migliori idee regalo da regalare o regalarsi: capi e accessori che intercettano le tendenze delle Feste 2025 ma restano abbastanza versatili da piacere anche a chi non segue la moda con rigore. Si va dall’ironia del quote-cap — perfetto per chi ama giocare con i dettagli — allo zaino multitasking che convince anche i più pragmatici. Dalla maglieria bon ton, sempre più presente nei look invernali, alla maxi sciarpa che è diventata un nuovo essenziale della moda urban. Senza dimenticare la camicia bianca, la voglia di puffer per affrontare il freddo con stile, i calzini statement amati dalla Gen Z e i gioielli minimal che resistono alle mode stagionali. Dieci scelte precise, utili e aggiornate secondo le ultime tendenze (ma non solo): ecco i capi e accessori che vale davvero la pena prendere in considerazione. L'articolo Natale 2025, 10 idee moda da regalare o regalarsi: dal cappellino con frase ad effetto alla perfetta camicia bianca e i calzini amati dalla Gen Z proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Dal biscotto di una mamma tedesca ai calendari dell’Avvento di lusso: ecco perché aprire una finestrella al giorno ci rende felici
Verso la fine dell’Ottocento, in un villaggio remoto della Foresta Nera, una mamma preparò 24 biscotti, uno per ogni giorno di dicembre. Il suo bambino poteva mangiarne uno ogni mattina. Quando finivano, era Natale. Diventato grande, il piccolo Gerhard Lang creò il suo calendario dell’Avvento stampato, prima con disegni e poi con le finestrelle. Inizialmente conteneva immagini da ritagliare, e nel 1920, arrivarono i dolcetti. Nello stesso anno, secondo la leggenda, un sacerdote inglese creò le porticine apribili. Da allora, infinite variazioni sul tema. Interi edifici diventavano calendari: le finestre venivano addobbate prima di Natale, numerate e illuminate giorno dopo giorno. Persino i nazisti hanno dato la loro interpretazione: la corona d’Avvento divenne una “corona di sole” e Gesù Bambino il “Bambino di Luce”. Il calendario, strumento di propaganda, conteneva foto di carri armati. Ci voleva il dopoguerra per scatenare la creatività. Il resto è storia. E adesso abbiamo calendari dell’Avvento di ogni genere: beauty, salamini, caramelle, liquirizia, bijoux, grappe, liquori, bitter, amari e persino un set completo di cacciaviti e brugole Bosch. È una semplice idea regalo o c’è qualcosa di più? La spiegazione, come direbbe Maurizio Crozza, di “psicobanalisi”: è bello, e fa bene all’umore, scartare un piccolo regalo tutti i giorni. Ma forse la questione è antropologica. Oggi abbiamo tutto di tutto, sempre. Le fragole a Natale, il panettone già a settembre, le chiacchiere di Carnevale a dicembre insieme alla pastiera di Pasqua. Viviamo in una dimensione orizzontale, in un eterno presente. Il calendario ci ricorda che non è così, e ogni mattina ci riserva una sorpresa. Ma siamo andati oltre, con mille piccole furbizie che vanno dal controllo delle dosi (una caramella quotidiana, non di più, o sono guai per la dieta) al “vorrei ma non posso”. Non ti puoi permettere una cena stellata da Antonino Cannavacciuolo? Di sicuro, ti puoi concedere il cartonato di Villa Crespi con le finestrelle che nascondono praline e cremini firmati. Anche nei calendari, come in politica c’è una sorta di bipolarismo, per fortuna non conflittuale: il partito della gola e quello del benessere. Il calendario dell’Avvento di Villa Crespi IL PARTITO DELLA GOLA Praline e decorazioni natalizia della storica pasticceria Piccinelli di Brescia, la preferita di D’Annunzio (anno di fondazione 1862) rendono questo calendario quasi “storico”. Ma è in buona compagnia. Frau Knam è sinonimo di cioccolato e di dolcezza, ma non scherza neanche Charlotte Dusart con le sue golose costruzioni e gusti di cioccolato talmente complessi nelle sue praline che davvero, uno al giorno basta. Api Melissa ha 24 scatoline in per scoprire day by day una diversa tipologia di miele. Babbi, specializzato in wafer, ne ha uno di sapore diverso ogni giorno. Chupa Chups tira fuori quindici gusti. Noberasco ha una scatola di delizie, la Christmas Collection: frutta secca, datteri al di cioccolato, mandorle, nocciole. Si rischia di mangiare tutto in una volta, e addio calendario. Solo dolci? Ma no. Garofalo ha pensato a formati di pasta limited edition, sughi e gadget. Per chi non ha pazienza, nella Mistery Box trovate un codice per il concorso gourmet: in palio una cena nel tre stelle Michelin Casadonna di Niko Romito (a qualcuno vincerà, come nella fabbrica del cioccolato di Willy Wonka). E un salamino in ogni finestrella? Beretta ha avuto l’idea. Illy ha il suo calendario artistico di caffè e Nespresso (what else?) una selezione di capsule Original Line. Kusmi Tea offre nell’attesa tè neri, verdi, bianchi e tisane biologiche senza caffeina, ogni giorno una tazza da provare…Non pervenuto un calendario con digestivi assortiti (si mangia sempre troppo) ma qualcuno prima o poi ci penserà. La lista potrebbe essere ancora lunghissima, però basta così. Sul piano psicologico abbiamo tutte le leve possibili: regressione all’infanzia, che sia un lecca-lecca o un biscotto, autogratificazione, processi di compensazione, dirsi “io me lo merito”. Stando ai primi dati di vendita, tra tutte le proposte vincono gli zuccheri, tanto si sa che con la dolcezza si ottiene tutto e, come cantava Mary Poppins “con un poco di zucchero la pillola (che poi sarebbe lo stress, il lavoro, la crisi) va giù”. Provarlo con Trump? Il calendario dell’Avvento di Charlotte Dusart IL PARTITO DEL BENESSERE Gli ultimi dati ci dicono che il mondo wellness in termini di palestre, trattamenti estetici, massaggi e coccole varie è per ora al primo posto nella lista dei desideri (24 miliardi di euro spesi nel 2024). Perciò, anche se esistono i bipartisan (gola + benessere) per il momento chi crede fortemente nella cura di sé non si lascia incantare dai dolci (“Caramelle non ne voglio più”, cantava Mina: era profetica?) e usa l’Avvento per fare skincare, maschere alle vitamine e tutto quanto possa portare al Natale con una pelle luminosa e l’illusione di qualche anno in meno. Perciò nelle finestrelle ci può essere la tessera per l’hairstylist più chic, piega, taglio e acconciatura, extension, laminatura e prodottini per capelli, compreso lo spray glitterato per la cena di Natale. Oppure uno dei protocolli di Miamo (un nome un programma: come rifiutare di amarsi?) per skincare e occhi senza occhiaie. ‹ › 1 / 3 SEPHORA Il calendario dell'Avvento di Sephora ‹ › 2 / 3 CALENDARIO AVVENTO BOTTEGA VERDE Il calendario dell'Avvento di Bottega Verde ‹ › 3 / 3 UNNAMED (2) Il calendario dell'Avvento di Lancôme Qui siamo dalle parti dei romanzi di Roberto Emanuelli, con il suo mantra: “E ora amati”. Il benessere come self-love in tutte le forme. Regressione all’adolescenza o all’infanzia anche qui? Calendario Disney con Minnie, molto kidult. Festosi prodotti assortiti? Mille scelte, effetto tiramisù da Sephora. Un maxi cofanetto beauty con 24 buste sigillate a sorpresa? Bottega Verde. Lusso sfrenato (“perchè io valgo”)? Ecco Douglas con il suo calendario luxury, che è anche un raffinato portagioie con specchio integrato. E, idea geniale, sempre Douglas, anche il calendario After Christmas, una settimana in più, se chi vuole continuare ad aprire finestrelle anche quando l’Avvento c’è stato. E poi si torna all’eterno presente. L'articolo Dal biscotto di una mamma tedesca ai calendari dell’Avvento di lusso: ecco perché aprire una finestrella al giorno ci rende felici proviene da Il Fatto Quotidiano.
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C’è alternativa alla lana animale. Ecco i filati vegetali che sostituiscono la maglia
di Sascha Camilli* Ora più che mai, la Terra ha bisogno che facciamo scelte migliori. Che si tratti di capi per stare al caldo nelle fredde giornate invernali, di abiti sofisticati per attrarre l’attenzione o di attrezzature tecniche per allenarsi, è tempo di rivedere la questione della lana animale. Numerose indagini sotto copertura hanno rivelato che gli abusi sulle pecore nell’industria della lana sono una pratica abituale e diffusa nel settore. Ma l’abuso degli animali non è l’unico problema legato alla lana di pecora. Nonostante gli sforzi pubblicitari dell’industria per promuovere la sua sostenibilità, le prove dimostrano che, come per tutti i prodotti di origine animale, essa ha un impatto ambientale allarmante. Per esempio, le pecore emettono grandi quantità di metano (un potente gas serra che riscalda l’atmosfera). Comunque, ci sono anche buone notizie. Oggi non è più necessario scegliere tra fibre animali e sintetiche derivate dal petrolio. Le lane ricavate dalle piante, e non dagli animali o dalla plastica, stanno guadagnando terreno nel mondo della moda. Ecco alcune delle migliori scelte per stare al caldo e fare acquisti ecologici e cruelty-free. Cotone biologico Il cotone biologico è spesso coltivato con acqua piovana, quindi non richiede un uso intensivo di acqua. Inoltre, viene coltivato senza pesticidi o fertilizzanti chimici. Una ricerca del Center for Biological Diversity e Collective Fashion Justice ha dimostrato che per coltivare il cotone è necessaria una superficie 367 volte inferiore rispetto a quella necessaria per la produzione di lana di pecora. Il cotone spesso e confortevole può essere perfetto per riscaldarsi in inverno, utilizzato in maglioni, berretti, guanti e cappotti. Canapa La canapa cresce senza bisogno di fertilizzanti chimici o pesticidi e ha un consumo di acqua significativamente inferiori rispetto alla lana. Inoltre, immagazzina più CO2 di quanta ne emetta. La Commissione Europea indica che un ettaro di canapa può assorbire fino a 15 tonnellate di CO2, paragonabile a quella immagazzinata da una foresta giovane. Nota per la sua versatilità, la canapa può essere utilizzata in una vasta gamma di prodotti, dagli abiti alla maglieria [in foto]. Tencel Lyocell Questo materiale deriva dalla cellulosa della polpa di eucalipto. Viene prodotto con un processo a ciclo chiuso, il che significa che l’acqua e le sostanze chimiche utilizzate nel processo vengono riutilizzate per ridurre al minimo gli sprechi. Marchi di tutto il mondo scelgono il Tencel Lyocell per una vasta gamma di prodotti. Fibra di banana L’azienda innovativa Bananatex ha vinto un premio PETA Fashion Award per il suo lavoro con le piante di banana Abacá, che non richiedono acqua o sostanze chimiche aggiuntive e contribuiscono ai progetti di riforestazione nelle Filippine. Il resistente tessuto di Bananatex è stato utilizzato per borse e scarpe, ma anche giacche e altri capi di abbigliamento vegano. Birra Tandem Repeat, azienda vincitore di un premio PETA Fashion Award quest’anno, ha creato un morbido filato ricavato dagli scarti dei birrifici. Questo materiale è biodegradabile, non lascia tracce nell’ambiente e utilizza molta meno energia e acqua rispetto alla lana e ai sintetici, senza alcuna forma di crudeltà verso gli animali. Cashmere di soia Il cashmere ricavato dalle capre è uno dei tessuti più dannosi per l’ambiente: le capre al pascolo mangiano l’intera pianta con la radice, lasciando aree prive di vegetazione in parti del mondo già in gran parte desertificate, come la Mongolia. Un’alternativa è il cashmere ricavato dalla soia, un tessuto morbido e biodegradabile, oltre ad essere ipoallergenico e traspirante. Ortica Risorsa vegetale di uso comune fino al secondo dopoguerra, quando è stata soppiantata dal cotone, il tessuto di ortica unisce la sensazione lussuosa della seta alla morbidezza del cashmere. È anche biodegradabile, offrendo un vantaggio ambientale rispetto sia alla lana che ai sintetici. Alghe marine Per creare la fibra, le alghe marine vengono raccolte delicatamente ogni quattro anni, lasciando intatta la parte inferiore della pianta per consentirne la rigenerazione. Le alghe marine vengono poi combinate con cellule vegetali all’interno di un sistema organico a ciclo chiuso che impedisce il rilascio di solventi nell’ambiente. Bambù Questa fibra erbacea a crescita rapida è rigenerativa, rinnovabile e richiede un uso minimo di pesticidi e fertilizzanti. Le foreste di bambù gestite in modo sostenibile aiutano a filtrare l’anidride carbonica e a reimmettere ossigeno nell’atmosfera. Il bambù proveniente da foreste non soggette a deforestazione è prominente nell’abbigliamento sportivo e sta comparendo sempre più spesso nella maglieria etica. Kapok La lana di kapok proviene dall’albero di kapok o ceiba, il quale cresce nel sud-est asiatico. La fibra di kapok offre una sensazione morbida e setosa unita a una consistenza soffice. Un chilo di kapok genera 5,51 chilogrammi di CO2, rispetto agli 89,1 chilogrammi di CO2 equivalente per ogni chilogrammo di lana di pecora. Asclepiade L’asclepiade, o Calotropis, è originaria del Nord America e dell’India. Le sue fibre di semi piumate possono essere utilizzate per creare lana vegetale sostenibile. Mentre le pecore richiedono grandi quantità d’acqua, diverse specie di asclepiade prosperano nelle regioni aride e non richiedono irrigazione. Alcune lane vegetali sono antiche quanto il tempo, mentre altre rimangono un concetto nuovo nel settore della moda, ma con la crisi climatica che richiede un’azione urgente, è essenziale che tutti noi utilizziamo il nostro potere di consumatori per incoraggiare un numero maggiore di marchi a passare a queste fibre vegetali ecologiche e prodotte in modo consapevole. Dai maglioni di cotone ai vestiti in Tencel Lyocell fino agli abiti in canapa, le lane vegetali stanno guadagnando terreno e con ogni ragione, gettando le basi per un futuro della moda più gentile e più verde. *Sascha Camilli è responsabile dei progetti di pubbliche relazioni presso People for the Ethical Treatment of Animals (PETA). È anche autrice di Vegan Style: Your Plant-Based Guide to Fashion, Beauty, Home and Travel. L'articolo C’è alternativa alla lana animale. Ecco i filati vegetali che sostituiscono la maglia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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C’è anche Papa Leone XIV tra le star meglio vestite del 2025 secondo Vogue: ecco qual è stato il suo “look” vincente
Per la prima volta, un Papa entra ufficialmente nella classifica dei personaggi meglio vestiti dell’anno. Papa Leone XIV figura infatti nella tradizionale lista dei 50 best dressed 2025 stilata da Vogue America, accanto a star del cinema, della musica e della cultura globale. Un ingresso che sorprende solo in apparenza e che segna, ancora una volta, l’incontro sempre più esplicito tra moda, simboli del potere e rappresentazione pubblica. Il Pontefice compare nella galleria dei personaggi più eleganti del 2025, insieme ad attori come Jacob Elordi e Chloë Sevigny, artisti come Tyler, The Creator, ma anche figure istituzionali e iconiche come Michelle Obama. La sua presenza non è trattata come un’eccezione folkloristica: la scheda dedicata a Papa Leone XIV segue esattamente lo stesso formato riservato agli altri protagonisti della lista. Secondo Vogue, il Pontefice è “noto per aver rotto con i gusti volutamente umili del suo predecessore, Papa Francesco, pur mantenendone il sarto e proseguendo l’eredità papale dei paramenti liturgici di pregio”. Una scelta che la rivista legge come un ritorno consapevole alla solennità visiva della tradizione, senza rinunciare a un dialogo con il presente. Vogue sottolinea anche la sua apertura verso il mondo della cultura e del cinema, citando l’invito in Vaticano a Monica Bellucci e Cate Blanchett, interpretato come parte di un più ampio tentativo di modernizzare l’immagine della Chiesa, “assecondando anche una dichiarata cinefilia”. Il miglior look del 2025, secondo la redazione americana, coincide con un momento altamente simbolico: la prima apparizione pubblica di Papa Leone XIV dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro. In quell’occasione, il Pontefice ha indossato una mantella di mozzetta in raso rosso, accompagnata da una stola rosso vinaccia ricamata in oro e da un pendente a croce con cordone di seta dorata. Un insieme che Vogue descrive come perfetto equilibrio tra autorità, continuità storica e forza iconografica. Alla base della selezione, spiegano le redazioni di Vogue, c’è un criterio semplice ma rigoroso: aver sfoggiato almeno un look davvero indimenticabile nel corso dell’anno. Non conta la quantità, né la frequenza delle apparizioni, ma l’impatto visivo e simbolico. Un principio che vale tanto per i red carpet quanto per contesti istituzionali e che ha permesso l’ingresso del Pontefice in una lista tradizionalmente riservata allo star system. Le classifiche dei personaggi meglio vestiti del 2025 saranno condivise da tutte le edizioni internazionali di Vogue e raccontano un anno attraversato da grandi eventi: dagli Awards Season dei primi mesi dell’anno ai red carpet di Cannes e Venezia, passando per il MET Gala e le sfilate di Parigi, Londra, New York e Milano. Un panorama che intreccia moda, spettacolo, sport e potere simbolico. Accanto a Papa Leone XIV compaiono nomi che raccontano la pluralità dell’eleganza contemporanea: Vittoria Ceretti, Damiano David, Valeria Golino, Anok Yai, Jannik Sinner, Laura Mattarella, Rihanna e A$AP Rocky, Bianca Balti, Miuccia Prada, Pedro Pascal, Dua Lipa, Donatella Versace, Rosalía, Emma Stone, Michelle Obama, Julia Roberts e molti altri. L'articolo C’è anche Papa Leone XIV tra le star meglio vestite del 2025 secondo Vogue: ecco qual è stato il suo “look” vincente proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Regali di Natale, 24 gioielli da regalare o regalarsi: dalla collana di Kate Middleton al bracciale “saldato”, i modelli su cui puntare (a partire da 29 euro)
C’è qualcosa di profondamente simbolico nel regalare un gioiello. È un gesto antico, quasi rituale, che nelle settimane che precedono il Natale torna al centro dei desideri. Ma il contesto è cambiato: oggi il gioiello non è più soltanto un pegno d’amore o il classico regalo da ricevere. È un oggetto identitario, scelto sempre più spesso per sé, un atto di autoaffermazione che le nuove generazioni hanno trasformato in tendenza. Sui social, in particolare su TikTok, si moltiplicano i video di ragazze che acquistano anelli o pendenti per celebrare un traguardo personale, svincolandosi dall’idea che un gioiello debba essere “donato” da un uomo. È il l’auto-regalo nella sua forma più contemporanea: un gioiello come dichiarazione di autonomia, come simbolo di autostima, come investimento emotivo – ma anche economico. Perché un anello, a differenza di una borsa, non perde valore al mutare delle stagioni: attraversa gli anni, può essere tramandato, conserva una storia. Il linguaggio del lusso sta cambiando, e con esso i suoi numeri. Secondo Statista, il mercato globale della gioielleria raggiungerà nel 2025 un valore di 370 miliardi di dollari, dieci miliardi in più rispetto all’anno precedente, con una crescita costante prevista fino al 2029 (+4,5% annuo). A guidare l’espansione è soprattutto la fascia mid level – quella entro i mille euro – che rappresenterà oltre il 76% del fatturato mondiale. È la fascia preferita dalla Gen Z: accessibile, versatile, sensibile a qualità e design più che al logo. Il quadro economico rende il fenomeno ancora più significativo. Nel 2024-2025 il prezzo dell’oro ha raggiunto livelli record, superando i 2.300 dollari l’oncia (dati World Gold Council), mentre anche l’argento ha registrato aumenti consistenti. L’effetto è duplice: da un lato il gioiello si conferma bene rifugio, dall’altro rafforza la percezione di valore e durata del prodotto. Nonostante gli aumenti delle materie prime, l’export orafo dell’Italia – uno dei poli produttivi più importanti al mondo – continua a crescere, trainato da Stati Uniti, Emirati Arabi e Asia (fonte Federorafi). La gioielleria, insomma, corre più della moda. Mentre l’abbigliamento vive cicli brevi e tendenze fugaci, l’oro e l’argento resistono al tempo e alle oscillazioni del gusto. In un momento in cui il consumatore, soprattutto giovane, cerca meno effimerità e più significato, il gioiello si impone come oggetto “per sempre”, capace di sintetizzare estetica, emozione e – non da ultimo – investimento. E così, nel Natale dei mille desideri, il dono più classico torna sorprendentemente moderno. Un anello o una collana oggi non sono soltanto un regalo prezioso: sono un linguaggio, una scelta di stile e di posizione. E raccontano, forse meglio di qualunque altro oggetto, il modo in cui una nuova generazione sta reimmaginando il lusso, la relazione con sé stessa e il piacere – liberatorio – di scegliersi. Ecco allora la nostra selezione con i consigli selezionati in piena autonomia editoriale dalla redazione di FqMagazine: i link indicati sono solo “di servizio”, non percepiamo alcun compenso dai brand, vogliamo solo agevolare al lettore la ricerca. 1. Capsule collection limited edition “50th” di Angela Caputi Giuggiù Per chi vuole celebrare le feste assieme a un altro traguardo importante, il brand fiorentino Angela Caputi Giuggiù brinda ai cinquant’anni di storia con la collezione “50th”: una limited edition di bijoux nei colori tipici della maison, rosso e nero, assieme al numero 50 e alle iniziali della stilista “AC”. 2. Bracciale con cuori personalizzabile di Merci Maman: € 39 A proposito di date, spegne diciotto candeline anche Merci Maman, marchio fondato nel 2007 a Londra dalla francese Beatrice de Montille: il brand è legato alla Royal Family britannica da quando Kate Middelton, in occasione della nascita del Principe George nel 2014 ha avuto in dono dalla sorella Pippa una collana del marchio. Legato all’amore e alla famiglia dunque, segnaliamo il braccialetto con cuori personalizzabile con le iniziali dei nostri cari. 3. Gemelli per camicia di Buccellati: $ 370 Buccellati, tra i nomi più longevi in Italia e che festeggia proprio nel periodo natalizio una retrospettiva della sua storia a Shanghai, propone per queste feste non solo gioielli per lui o per lei, ma anche per la casa: centrotavola, vassoi, posate e piatti realizzati in argento, corno di cervo o vetro di murano per rendere i pasti ancora più speciali. Tra le sue proposte saltano all’occhio i gemelli per camicia in argento con logo, un dettaglio elegante per le grandi occasioni. 4. Anello Serpenti Viper di Bulgari: € 2730 Sempre parlando di più di un secolo di storia anche Bulgari dedica una sezione specifica alle feste, tra cui spiccano in particolare gli anelli a forma di vipera – uno dei simboli del brand – in metalli e pietre preziose. 5. Le creazioni da sogno di Garatti Tra le esclusive anche Garatti propone qualcosa di davvero speciale, con la loro alta gioielleria anche su misura: il loro sito web indica solo le diverse collezioni, tra cui la linea di accessori con diamanti verdi o quella ispirata ai lampadari veneziani. 6. Bracciale L’Essenziale di Atelier VM: € 250 Atelier VM, brand italiano nato alla fine degli anni Novanta con l’idea di creare qualcosa che duri nel tempo per design e materiali, propone il bracciale in oro saldato per chi pensa a qualcosa di davvero eterno. Segnaliamo anche il ciondolo con la propria impronta digitale, l’anello con iniziale, o il bracciale Lucy in cotone con diamante. 7. Anello Iconica di Pomellato: € 6300 Il marchio milanese Pomellato, unisce i suoi materiali preziosi a pietre sgargianti, come nell’anello Iconica in oro rosa con piccole pietre colorate, che danno un effetto giocoso. 8. Orecchini gommati di Sunnei: € 230 Per Sunnei invece, brand di moda meneghino, i gioielli adatti come regalo potrebbero essere i loro orecchini in oro o argento “glassati” a mano con gomma colorata. 9. Birthstone Charm di Mejuri: € 108 Sempre rimanendo in tema colori, il brand canadese Mejuri propone il Birthstone Charm, una pietra diversa a seconda del proprio mese di nascita, incastonata in un ciondolo in oro giallo da dieci o quattordici carati. 10. Anello con fiocco di Pandora: € 59 Rimaniamo fuori dall’Italia per parlare del brand di origini danesi Pandora, ricco di offerte specifiche per il Natale e tutte le altre occasioni. Tra le loro proposte, si può rimanere in tema con i charms per bracciali a forma di elfo, albero di Natale o ghirlanda, oppure optare per il loro anello con fiocco in zirconi rosa. 11. Collana Rodeo di Pdpaola: € 149 Dalla Spagna invece, Pdpaola nella sua sezione regali di Natale propone la collana regolabile Rodeo sia in oro che argento: simile a una cravatta texana, può essere all’occorrenza sia gioiello che ad esempio accessorio per una camicia. 12. Collana con cuori di Tiffany: € 340 Impossibile parlare di gioielli senza citare anche Tiffany: da scartare sotto l’albero segnaliamo il loro iconico ciondolo a forma di cuore, disponibile anche in versione orecchino, oppure il set di tazzine in porcellana nel loro tradizionale azzurro. 13. Gioielli Garatti Anche Garatti propone qualcosa di davvero speciale, con la loro alta gioielleria composta da pezzi unici e su misura: personalizzabili interamente, dal design finale alle pietre da utilizzare, è possibile vedere anche gli orafi al lavoro su ciascuno dei pezzi unici della collezione visitando il loro quartier generale di Milano. 14. Anello Amulettes Kelly di Hermès: € 595 Celebrativo di un’icona anche l’anello Amulettes Kelly di Hermès, una semplice fede in argento con una mini Kelly, una delle borse statement del marchio appesa come ciondolo sempre in argento. 15. Bracciale Love di Cartier: € 8250 Nome da includere di diritto nella lista anche Cartier, che per il Natale pensa sia a lei che a lui. Partendo dall’intramontabile bracciale Love con la chiusura a vite fino ad arrivare al portacarte in pelle e acciaio con il logo della maison in rilievo. 16. Collana girocollo Millenia di Swarovski: € 330 Non può mancare anche Swarovski con i suoi cristalli, in taglio ottagonale ad esempio sulla collana girocollo Millenia dal look principesco. 17. Anello Contrarie Radiance di Stroili: € 29.90 Tra i brand più noti anche Stroili, che propone la sua versione della collana con il nome, oramai un grande classico, oppure l’anello contrarie radiance. 18. Anello solitario filo spinato di Nove25: € 108 Per chi cerca invece pezzi più particolari, rimanendo in Italia il marchio Nove25 specializzato in argento propone un anello a forma di filo spinato con zircone solitario, oppure diverse collaborazioni con artisti o squadre di calcio per gli appassionati. 19. Collana The Lovers’ Pact di Alighieri: € 365 Dall’altro lato dello Stretto della Manica Alighieri, brand britannico che si ispira alla letteratura e all’arte, offre una collana in bronzo placcata in oro 24 carati a forma di cuore anatomico. 20. Collana con fetta di torta alle fragole di Wanderlust + Co: € 77,95 Per un qualcosa di più pop invece, Wanderlust + Co ha tra le sue proposte per le feste un ciondolo in ottone riciclato e dipinto a mano a forma di fetta di torta alle fragole, apribile e con un piccolo scomparto all’interno per conservare qualcosa di significativo. 21. Orecchino Limitless di Lil Milan: € 200 Lil Milan offre invece qualcosa di più minimal e chic, come l’orecchino singolo Limitless sia in oro che argento. 22. Bracciale Puffed Maritime di Stone and Strand: $ 110 Sulla stessa onda di sobrietà anche il brand newyorkese Stone and Strand con il bracciale Puffed Maritime in maglia marittima, elegante ma particolare. 23. Collana Blade di Giovanni Raspini: € 390 Con un’anima più rock, la collana rigida Blade di Giovanni Raspini porta con sé una resa più grezza, grazie all’argento martellato e irregolare. 24. Bracciale Flocons De Neige di APM Monaco: € 240 Tra il calore delle feste e il gelo dell’inverno, APM Monaco propone la collezione “Hiver”, ispirata alla bellezza e luminosità di questa stagione: rappresentativo della collezione e ancora di più dell’inverno il bracciale Flocons De Neige – fiocco di neve – , in argento e pietre. L'articolo Regali di Natale, 24 gioielli da regalare o regalarsi: dalla collana di Kate Middleton al bracciale “saldato”, i modelli su cui puntare (a partire da 29 euro) proviene da Il Fatto Quotidiano.
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A Milano la prima edizione di Dressing the Future, l’evento di design per un Made in Italy sostenibile
Un laboratorio aperto dedicato al futuro del Made in Italy sostenibile. Questa è stata la prima edizione di Dressing the Future – Indossare il Futuro. L’evento, promosso e ideato dall’IDI (Italian Design Institute) col patrocinio dalla Città di Milano, era dedicato al futuro sostenibile del Made in Italy e si è tenuto il 5 dicembre negli spazi del centro culturale milanese Cascina Cuccagna, con grande partecipazione di pubblico, esperti e addetti ai lavori. La giornata – mix di arte, design e impresa – ha permesso alla nuova generazione del design italiano di confrontarsi con professionisti, artisti, cittadini e ricercatori. Ad aprire l’edizione l’area espositiva, inaugurata verso le 10 e composta da diverse installazioni. Lo spazio centrale è stato dedicato ai progetti provenienti dai corsi di Textile Design, Modellistica 2D-3D Fashion Art, Modellistica Sposa & Haute Couture e ActiWear Design che hanno dato forma alla nuova direzione del design contemporaneo. Insieme a loro, le opere di Laurent Barnavon come Ce n’est qu’une impression, Milano 25 in collaborazione con l’Officiel e quelle di Sara Conforti Hofer – definite un intreccio di “abito, memoria e identità” – come Centosettantaperottanta – What Comes First? in collaborazione con AtWork, Moleskine Foundation, Miroglio Group e il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli. Ad accompagnare l’esposizione, i paesaggi sonori prodotti dagli studenti del Corso di Sound Design. In parallelo, nell’area Art & Circular Fashion si sono tenuti i workshop tematici, definiti “il cuore formativo della giornata”. Presso la sartoria Filo Dritto e nelle sale della Cascina si è aperta ai partecipanti la possibilità di sperimentare tematiche e approcci legati alla progettazione responsabile e all’economia circolare. Alcuni esempi sono stati i corsi di origami applicato al design zero waste (tenuto da Barnavon), la mappatura del riciclo tessile (con Marco Piu), la modellazione somatica 3D (proposta da Carlo Galli), la co-creazione pittorica (di Sarah Bowyer con Humana People to People Italia) e la creazione di grucce sostenibili (tenuta da Cristina Mandelli). Sponsor dell’evento le aziende Bonaveri e Philips. Nel tardo pomeriggio spazio al talk “Re-immaginare il Made in Italy tra cultura, impresa e sostenibilità”, moderato da Aurora Magni di Blumine . Il tema della discussione è stato l’urgenza – da parte del mondo del design contemporaneo – di ripensare la filiera produttiva attraverso una visione “sostenibile, creativa, inclusiva, etica e innovativa”. Ospiti d’onore figure da sempre impegnate in tal senso come Annibale D’Elia, Caterina Mazzei, Paolo Foglia, Alfio Fontana, Simone Pavesi, Luisa della Morte e Zoe Romano. In seguito, Carbonara (affiancato da Tania Sette, Educational Manager di IDI) ha conferito le targhe dell’evento a dei docenti impegnati alla crescita dell’istituto: Roberto De Santis, Letizia Schatzinger, Armando Bruno, Ceasar in rappresentanza del padre Simone Micheli, Maurizio Corbi, Amilcare Incalza e Pierpaolo Tagliola del partner AG&P Greenscape. Grande soddisfazione da parte degli organizzatori, che non hanno nascosto il proprio orgoglio per la riuscita del festival. Tania Sette ha affermato che l’evento “si è rivelato un successo soprattutto per la capacità di mettere in dialogo innovazione, sostenibilità e visione creativa” e ha fatto notare come “l’atmosfera dinamica e collaborativa ha evidenziato che il cambiamento non è soltanto possibile, ma già in atto. Ed i protagonisti sono soprattutto i giovani”. Il fondatore di IDI, Nicola Carbonara, ha definito l’occasione “un progetto nato dalla volontà di creare uno spazio autentico dove formazione, creatività e innovazione potessero incontrarsi”. L'articolo A Milano la prima edizione di Dressing the Future, l’evento di design per un Made in Italy sostenibile proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Prima della Scala 2025, i retroscena dal foyer: Mahmood e Achille Lauro emozionati (ed elegantissimi). Enzo Miccio: “Look sottotono. C’è qualche coroncina, qualche zarina russa, ma regna la sobrietà”
L’avviso sui display delle poltroncine rosse avverte il pubblico sui contenuti violenti e sulle scene a tinte forti. La storia racconta di una donna, Katerina che desidera affermare la sua libertà e affrancarsi dal marito che le è stato imposto. Appassionata e desiderosa di libertà, si innamora, tradisce e uccide. In piazza, i cori delle proteste dei sindacati e dei gruppi pro Palestina – “No al colonialismo, vergogna!” – fanno da controcanto al rito mondano della Prima. Dentro, nel ventre dorato del Piermarini, la stagione lirica 2025/26 si apre con “Una Lady Macbeth del distretto di Mtsensk” di Dmitrij Shostakovich, diretta da Riccardo Chailly, mentre platea e palchi si trasformano in un teatro nel teatro: quello dei look, degli omaggi e dei messaggi silenziosi affidati agli abiti. Sul tappeto rosso arrivano uno dopo l’altro imprenditori, politici, artisti, volti dello spettacolo. Pierfrancesco Favino, in impeccabile smoking blu grigio scuro Armani, sfila al fianco di Anna Ferzetti, avvolta in un abito blu e verde smeraldo tempestato di leggere brillantezze, anche questo firmato Armani. È uno dei tandem più eleganti della serata, quasi un manifesto vivente di quello che sarà il fil rouge dell’inaugurazione: la memoria ancora freschissima di Giorgio Armani, scomparso il 4 settembre, e un tributo compatto al suo lessico di sobrietà e rigore. Ma si sente l’assenza anche di Ornella Vanoni, altra habitué. Achille Lauro, con il suo ricciolo di capelli che cade sulla fronte, sceglie uno smoking Dolce&Gabbana, completato da mocassino di vernice e una spilla di brillanti a forma di corolla. “Sono contento di essere spettatore per una volta”, dice sorridendo. Mahmood, anche lui al debutto alla Scala, opta per un particolare smoking Versace: giacca nera, papillon, panciotto nero con ricami oro che ricordano i toreri spagnoli. “Sono felice, è la mia prima volta”, confessa, visibilmente emozionato all’idea di essere, per una sera, dall’altro lato del palcoscenico. Quando si incontrano nell’amezzato durante il primo intervallo si abbracciano e si salutano come due vecchi amici che non si vedono da tempo: sono spontanei e anche un filo imbarazzati davanti alla raffica di domande dei cronisti, ma se la cavano alla grandissima. Non ci sono né la premier Meloni né il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma tra gli ospiti più attesi c’è Liliana Segre, affezionatissima al Teatro, presente su incarico proprio di Mattarella. “Opera scandalosa ma interessante”, dirà a fine spettacolo, cogliendo in poche parole lo spirito della serata: un’opera che fu censurata per anni nell’Unione Sovietica, riportata al suo pieno potenziale sulla scena scaligera. Il ministro della Cultura Alessandro Giuli, unico membro del governo presente, arriva accolto dal prefetto Claudio Sgaraglia, dal governatore della Lombardia Attilio Fontana e dal sindaco Beppe Sala davanti all’ingresso del Piermarini. “Buonissima la Prima, grande prova d’orchestra”, commenterà poi. Accanto a Sala, elegantissima, la compagna Chiara Bazoli in un sofisticato Giorgio Armani Privé in velluto nero, con corpetto destrutturato e punti luce sul décolleté: uno dei look più fotografati della serata. Con lei, in Armani Privé, anche Giovanna Salza e Anna Olkhovaya, moglie dell’ex sovrintendente Dominique Meyer. Barbara Berlusconi, oggi nel Consiglio d’amministrazione del Teatro, indossa un prezioso abito ricamato di Giorgio Armani. “È un abito di qualche collezione fa”, precisa. “L’ho già indossato altre volte e mi è sembrato un modo bello per ricordarlo e celebrarlo”. Poi aggiunge il senso del suo nuovo ruolo: “È una bella emozione, c’è tanto lavoro da parte mia, ma soprattutto questa è un’occasione importantissima che porta Milano nel mondo”. La danza è protagonista anche fuori dal palcoscenico. Arrivano in coppia, come sempre, Nicoletta Manni, étoile della Scala, e il marito Timofej Andrijashenko, primo ballerino, entrambi in Giorgio Armani. Lei in un elegante abito lungo, lui in smoking. “Una volta all’anno siamo dall’altra parte del palcoscenico ma soprattutto per noi è una serata speciale che segna sempre un nuovo inizio”, racconta Manni. “È una serata importante per Milano, dove vogliamo portare anche il nome del corpo di ballo della Scala”, aggiunge Andrijashenko. Il parterre dei danzatori crea quasi un tableau vivant dedicato alla sartoria di via Borgonuovo: la prima ballerina Virna Toppi in completo Armani; i primi ballerini Nicola Del Freo, Claudio Coviello e Marco Agostino in smoking della maison; le prime ballerine Martina Arduino e Alice Mariani in abiti Armani; Antonella Albano in una tuta elegantissima, moderna e pulita, sempre firmata Giorgio Armani. Una sfilata collettiva che trasforma la Prima in un grande, discreto omaggio al “Re Giorgio”. Nel foyer passa anche Giorgio Pasotti, emozionato per il suo debutto alla Prima del 7 dicembre. “Avevo visto la prima di un balletto con Roberto Bolle ma non un’opera lirica”, racconta. “Mi aspetto uno spettacolo molto forte, so che quest’opera è stata censurata per anni e anni e noi abbiamo il privilegio di vederla. Evidentemente è qualcosa di molto impattante e per chi viene dal cinema come me è affascinante”. Federica Panicucci sceglie un lungo abito da sera elegante e misurato, al fianco del compagno Marco Bacini. Tra i volti televisivi spunta anche Vittorio Brumotti, storico inviato di “Striscia la notizia”. Il total black domina, rassicurando i più tradizionalisti: abiti lunghi, velluti, schiene nude, punti luce di cristalli, qualche pennellata di colore – fucsia, bianco, verde smeraldo – ma nessun eccesso urlato. Lontani i tempi della parata di pellicce e dell’ostentazione in stile Santanché: questa Prima parla con il linguaggio della misura. O, per dirla con le parole del conduttore televisivo Enzo Miccio: “Il foyer è un po’ sottotono quest’anno. C’è qualche coroncina, qualche zarina russa, con queste bellissima mise bianche, ma in generale devo dire che regna la sobrietà. Nel primo anno senza Giorgio Armani ci sono tantissime signore che hanno scelto di indossare il suo stile. Come Anna Ferzetti, che ha scelto un bellissimo abito in tulle ricamato, come la compagna del sindaco Sala (Chiara Bazoli) e come tantissimi uomini. Tutti in blu Armani, un classico chic senza tempo. Io però, pensando al gelo della Russia, ho deciso per il bianco”. Dentro la sala, l’attenzione si sposta sul palcoscenico: “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” nella versione originale del 1934 – quella che fece infuriare Stalin – inaugura la stagione con oltre undici minuti di applausi, fiori lanciati dai palchi, nessun fischio. Riccardo Chailly, al suo dodicesimo e ultimo 7 dicembre scaligero, guida l’orchestra con energia e chiarezza, restituendo tutta la durezza, l’ironia e il tragico paradosso della scrittura di Šostakovič. Sara Jakubiak, protagonista nel ruolo di Katerina Izmajlova, racconta così la sua serata: “La mia Katerina? È stata una tigre. Non mi aspettavo questo successo, non si aspetta mai una cosa del genere nella vita. Non so dire quanto mi senta fortunata per questo. Penso di aver guidato la macchina a 200 miglia all’ora in questa esperienza. E sono semplicemente felicissima”. Accanto a lei, Najmiddin Mavlyanov, Yevgeny Akimov e Alexander Roslavets compongono un cast solido, capace di fare esplodere tutte le sfumature taglienti dell’opera. La regia di Vasily Barkhatov trasporta la vicenda negli anni Cinquanta dell’Unione Sovietica, mescolando realismo e visioni, violenza e pietà, erotismo e grottesco. Scene, costumi e luci costruiscono un ambiente essenziale ma potente, che dialoga con la musica senza sovrastarla. Lo spettacolo conquista platea e gallerie, in una serata che entra di diritto nel ciclo delle Prime più applaudite degli ultimi anni. Ma è la forza delle immagini, crude e violente, oltre alla strepitosa musica che passa dal registro più tragico a quello talvolta scanzonato, a fare la differenza rispetto ad altre opere. Immagini ancora oggi di impatto, come quella che vede il suocero molestare Caterina o quella del palpeggiamento di una lavorante nella cucina del ristorante. Nell’ultima scena del primo atto, fortissima, il regista sceglie una sovrapposizione di piani temporali: Caterina e il suo amante, Sergej, stanno consumando la loro passione sulla sedia e sul tavolo del locale mentre attorno ci sono uomini di potere che fotografano e deridono la donna. Solo lei. Anche se entrambi pagheranno per aver ucciso. Il secondo atto presenta già nello sviluppo iniziale un’altra scena violenta. Il garzone amante di Caterina, Sergej, è tenuto fermo e frustato dal suocero della donna davanti ai suoi occhi. Ma è la musica Shostakovich la vera protagonista. L’eccellenza del cast vocale, del coro, della direzione musicale di Chailly, della regia e allestimento ‘cinematografico’. Tutti aspetti capaci di restituire al pubblico passaggi emotivi e stati d’animo, in una sovrapposizione di piani e dimensioni. Poi il gran finale con effetti a sorpresa hollywodiani. Il rito sociale della Prima mostra tutta la sua vitalità. In sala, oltre al sindaco Sala e al ministro Giuli, il presidente della Corte costituzionale Giovanni Amoroso, il governatore Attilio Fontana, il Consiglio d’amministrazione della Scala con Giovanni Bazoli, Barbara Berlusconi, Diana Bracco, Claudio Descalzi e Melania Rizzoli, gli ex sovrintendenti Carlo Fontana, Alexander Pereira e Dominique Meyer. A sorpresa, tra gli ospiti internazionali, appare l’attore britannico Russell Tovey, in un completo Versace con camicia gialla, molto fotografato. “È uno spettacolo bellissimo ed è davvero un privilegio essere qui”, dice. “Non ho mai vissuto qualcosa di simile a Milano ed è un onore essere qui a godermi questo evento”. Sull’opera aggiunge: “Ho preferito la seconda parte. Continuo a lasciarmi assorbire dall’orchestra. Sono così affascinato e ipnotizzato nel guardare gli strumenti. È semplicemente magico. È un’opera difficile e sono contento che ci siano le traduzioni. È una rappresentazione epica e le scenografie sono incredibili”. Ricorda anche la storia dell’opera: “È stata vietata in Russia per molti anni e solo negli anni ’70 è stato permesso mostrarla di nuovo. Trovo affascinante che l’arte possa essere così controversa e che possa suscitare una reazione tale da portare le persone a vietarla”. Un record, la “Lady Macbeth” di Šostakovič, lo segna comunque: con 1.896 spettatori e un incasso di 2.679.482 euro, supera di oltre 100mila euro la Prima della scorsa stagione, diventando l’inaugurazione più redditizia nella storia del Teatro. Per cinquecento invitati la serata prosegue alla Società del Giardino, dove lo chef Davide Oldani firma la cena di gala con piatti che raccontano Milano, dalla vellutata di zucca con polvere di caffè ai cappelletti al burro nocciola fino al rustin negàa. L'articolo Prima della Scala 2025, i retroscena dal foyer: Mahmood e Achille Lauro emozionati (ed elegantissimi). Enzo Miccio: “Look sottotono. C’è qualche coroncina, qualche zarina russa, ma regna la sobrietà” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Non è una stalker”: Elisabetta Franchi prosciolta dall’accusa più grave. Ma la stilista va a processo per diffamazione e minacce
“Finalmente è stato riconosciuto apertamente che Elisabetta Franchi non è una stalker”. È con questa dichiarazione di soddisfazione che l’avvocato Gianmaria Palminteri, difensore della stilista, ha commentato l’esito dell’udienza preliminare che si è tenuta il 5 dicembre a Milano. Dopo mesi di rinvii e richieste di riformulazione, il Gup Andrea Romito ha deciso di prosciogliere la stilista dall’accusa più grave, quella di atti persecutori (stalking), ma ha disposto il rinvio a giudizio per i reati di diffamazione e minacce aggravate, accogliendo solo in parte le richieste della Procura di Bologna. La vicenda, che ha visto come parte offesa l’ex amica e consulente della stilista, ruota attorno a presunte ritorsioni scatenate da un tradimento sentimentale risalente a circa trent’anni fa. L’impianto accusatorio della Procura, guidato dal pm Luca Venturi, sosteneva che la Franchi avesse messo in atto una serie di comportamenti volti a screditare pubblicamente e privatamente l’altra donna. Nonostante la formula piena per lo stalking (“il fatto non sussiste”), il giudice ha ritenuto che i fatti materiali attribuiti all’imputata siano sufficienti per un processo. I fatti contestati dalla Procura, che ora rientrano nelle accuse di diffamazione e minacce, sono i seguenti: la stilista è accusata di aver pubblicato su Instagram un post in cui, pur senza fare il nome, accusava l’ex amica di averla tradita. I follower avevano compreso chi fosse la persona, scatenando una tempesta d’odio social (o “shitstorm”) contro la vittima. C’è poi l’invio di messaggi WhatsApp dal contenuto denigratorio a vari amici comuni e di numerosi messaggi minatori sempre via WhatsApp, oltre ad aver offeso la reputazione dell’ex consulente e minacciato di procurarle danni ingiusti. Nella scorsa udienza, la Procura aveva persino aggiunto un nuovo capo di imputazione: la famosa “storia” Instagram del 22 ottobre, in cui Franchi aveva postato una foto di champagne e una in cui si mostrava con il dito medio alzato, scrivendo: “Oggi ho vinto, ma ve ne parlerò presto”. Con quel post, secondo l’accusa, l’imputata aveva reiterato la condotta di shitstorm, fornendo una falsa rappresentazione della realtà che aveva screditato nuovamente la persona offesa. Nonostante la parziale vittoria sul fronte dello stalking, la difesa di Elisabetta Franchi ha ribadito la volontà di combattere anche le accuse minori: “C’è soddisfazione da parte di questa difesa”, ha dichiarato l’avvocato Palminteri. “Finalmente è stato riconosciuto apertamente che Elisabetta Franchi non è una stalker. I suoi valori di donna e di imprenditrice sono completamente lontani dal profilo che le si voleva attribuire. Viceversa ci misureremo con il rinvio a giudizio per quanto riguarda i reati di diffamazione e di minacce. Non abbiamo intenzione di ritirarci di un millimetro”. I legali dell’ex consulente, avvocati Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini, pur prendendo atto della decisione del Gup, hanno sottolineato che la sostanza non cambia: “Rimane fermo che anche il giudice ha ritenuto come i fatti materiali attribuiti all’imputata Elisabetta Franchi siano tali da costituire reato, e di questi fatti l’imputata dovrà rispondere a giudizio”. Il processo avrà inizio il 26 novembre 2026, mettendo fine a una contesa legale che si è sviluppata per anni tra i veleni dei social network e le aule di tribunale. L'articolo “Non è una stalker”: Elisabetta Franchi prosciolta dall’accusa più grave. Ma la stilista va a processo per diffamazione e minacce proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Brunello Cucinelli “visionario garbato” nel nuovo film di Tornatore: dall’infanzia in campagna ai pomeriggi a giocare a carte al bar, la vita e la storia del “re del cachemire”
Gli occhi lucidi del padre umiliato in fabbrica. L’epica idealista di Brunello Cucinelli, dove l’etica incontra senza conflitti il profitto, inizia da qui. Una scintilla emotiva che si è fatta missione di vita. Il racconto per immagini della sua filosofica “ossessione per la gentilezza” è andato in scena a Cinecittà, al Teatro 22, il più grande d’Europa, cornice e battesimo mondiale del documentario “Brunello. Il visionario garbato” diretto da Giuseppe Tornatore, dedicato proprio alla storia dell’imprenditore umbro. Il set di Ben Hur si è illuminato per una notte. Due grandi bracieri accesi, un’esedra di colonne tra cui spuntavano le figure dei grandi filosofi cari a Cucinelli, da Pitagora a Socrate, a ricordare che per lui la matematica è “la legge dell’universo” e che la classicità non è museo, ma bussola morale. Red carpet color crema, colore “cuccinelliano” per eccellenza, ad accogliere oltre mille invitati tra star del cinema (Jessica Chastain, Jeff Goldblum, Jonathan Bailey) e personalità dell’economia e della moda. In prima fila pure Mario Draghi, l’ex presidente del Consiglio che nel film racconta perché, nel pieno della pandemia, scelse proprio Cucinelli per portare al G20 di Roma un messaggio di fiducia e responsabilità. Poi c’è l’ospite che “c’è ma non c’è” (e fa slittare l’inizio della proiezione): la premier Giorgia Meloni, amica e cliente affezionata – i suoi tailleur pastello parlano da soli – di Cucinelli. “Brunello, il visionario garbato” non è un semplice documentario aziendale, e neppure un biopic tradizionale. Lo chiarisce Tornatore: “Non è un documentario, non è un film, non è uno spot pubblicitario, ma allo stesso tempo è tutti questi generi fusi insieme. Lo considero un film sperimentale, dove il documentario canonico si intreccia con la messa in scena dei capitoli più significativi di un film che forse non esiste, o forse sì”. La definizione non è retorica. Tornatore costruisce un’opera poetica e magniloquente, dal respiro dichiaratamente cinematografico, che in più di un passaggio fa pensare a Nuovo Cinema Paradiso: non solo perché è uno dei film del cuore di Cucinelli, ma per la stessa capacità di trasformare il ricordo in racconto universale, la memoria in materia visiva. Le sequenze di finzione – l’infanzia nella campagna umbra, il padre operaio umiliato in fabbrica, il ragazzo che passa le ore al bar a discutere di filosofia – si alternano alle interviste, ai filmati di gioventù, al presente in cui Brunello cammina tra le campagne di Solomeo, sale sul palco del G20, parla agli operai in fabbrica. Tutto è cucito dalla colonna sonora di Nicola Piovani. Al centro del film c’è sempre lui, Cucinelli, quel bambino umbro che “avrebbe voluto fare il Papa” e invece è diventato un imprenditore della moda di lusso con un fatturato di 1 miliardo. La scena chiave – quella che, a suo dire, ha deciso il resto della sua vita – è l’immagine del padre operaio, che esce per andare a lavorare mentre lui rientra a casa dall’ennesima nottata con gli amici: “Da ragazzo vidi gli occhi lucidi di mio padre umiliato e offeso sul lavoro. Ancora oggi non capisco perché si debba umiliare e offendere. Da quel dolore ho deciso che il sogno della mia vita sarebbe stata un’impresa che facesse sani profitti, ma con etica, dignità e morale“. Tornatore mostra il giovane Brunello un po’ sognatore e un po’ perdigiorno: uno che preferisce passare i pomeriggi a giocare a carte al bar con gli amici che trovare il “posto fisso”, che studia filosofia ma non dà neanche un esame. Un contrasto che dà al film una tensione quasi romanzesca. È così che la partita si ribalta. Come una folgorazione, ecco che arriva la grande idea: fare maglioni di cachemire colorati da donna. È la svolta. Niente più bar, solo lavoro. E tutto cambia. Infine una massima che Cucinelli, dal canto suo, ripete spesso anche fuori dallo schermo: “Mi sento custode e non proprietario, quindi non ho paura di perdere“. Nel doc di Tornatore arriva verso la fine, quando ormai lo spettatore ha visto Solomeo trasformata in borgo ideale, con il teatro, l’accademia, i paesaggi curati come giardini rinascimentali, i laboratori dove l’orario di lavoro è compatibile con la vita, le retribuzioni sopra la media. Il film non nasconde il successo, ma lo mette continuamente in relazione con un senso di responsabilità quasi monastica. La sequenza conclusiva, che resta addosso anche dopo i titoli di coda, è costruita come una metafora sportiva e morale. Tornatore ha scelto il gioco delle carte come fil rouge del film, con una “partita finale” che viene giocata tra un passaggio e l’altro della sua vita: in campo ci sono il Brunello di oggi e quello bambino. La partita è vinta, sembra dirci il film, non perché è arrivato il successo, ma perché il bimbo di ieri e l’uomo di oggi restano, in fondo, la stessa persona. “La mia in fondo è una storia di determinazione e di passione – riflette Cucinelli -. Vorrei che fosse d’ispirazione per tutti i giovani che ancora cercano la propria strada. È dai sogni che nasce la vera crescita spirituale dell’essere umano”. “Brunello. Il visionario garbato” sarà nelle sale italiane il 9, 10 e 11 dicembre. Cucinelli, 72 anni, è l’ultimo di tre fratelli di una famiglia di contadini mezzadri. Nel 1978 fonda il brand che porta il suo nome, trasformando negli anni il piccolo borgo umbro di Solomeo nel quartier generale dell’azienda che oggi fattura oltre un miliardo di euro. “Il mio epitaffio?”, dice, “Vorrei che ci sia scritto “era un uomo garbato”. L'articolo Brunello Cucinelli “visionario garbato” nel nuovo film di Tornatore: dall’infanzia in campagna ai pomeriggi a giocare a carte al bar, la vita e la storia del “re del cachemire” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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