Quattro giovani afghani sono stati convocati dalla polizia morale dei Talebani e
arrestati per essersi vestiti e fotografati con coppola, abito elegante, gilet e
sigaro per imitare i personaggi della celebre serie televisiva britannica Peaky
Blinders, ambientata nella Birmingham degli anni Venti e Trenta del XX secolo.
Lo riportano i media del Regno Unito dopo che inizialmente si era parlato solo
di un rimprovero formale da parte delle autorità. Il fatto di voler emulare
Cillian Murphy, la star irlandese che interpreta il protagonista Thomas Shelby,
capo della banda criminale dei Peaky Blinders, è costato ai ventenni una
denuncia per “violazione dei valori islamici” e, dopo il loro arresto nella
provincia occidentale di Herat, sono stati inviati in un “centro di
riabilitazione”, come hanno dichiarato i funzionari talebani. “È iniziato un
programma per la loro rieducazione”, ha precisato Saif Khyber, portavoce del
ministero talebano per la diffusione della virtù e la prevenzione del vizio.
Intanto immagini e video delle gesta dei quattro giovani amici sono diventate
virali sui social media. In alcuni filmati fumano oltre ad atteggiarsi in pose
da gangster e ad aggirarsi nelle vie della cittadina di Jebrael fra i passanti
increduli. Sono noti online come “Jebrael Shelbys”, dal cognome del protagonista
della serie. Da quando i talebani hanno ripreso il potere nell’agosto del 2021
hanno imposto una serie di restrizioni alla vita quotidiana in conformità con la
loro interpretazione radicale della Sharia islamica. “Anche i jeans sarebbero
stati accettabili, ma i valori della serie Peaky Blinders sono contrari alla
cultura afghana”, ha dichiarato alla Bbc Saiful Islam Khyber, portavoce del
dipartimento provinciale del Vizio e della virtù del governo talebano a Herat.
In un video diffuso dal ministero dopo essere stati interrogati, si possono
vedere gli uomini ringraziare i funzionari per i loro consigli e affermare di
non essere consapevoli di aver violato alcuna legge, anche se non è chiaro in
quali circostanze l’intervista sia stata registrata. “Stavano promuovendo la
cultura straniera e imitando gli attori cinematografici di Herat”, ha scritto
Khyber sui social media, aggiungendo che hanno seguito un “programma di
riabilitazione”
L'articolo Afghanistan, arrestati quattro giovani per essersi vestiti come i
Peaky Blinders: “Violano valori islamici” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Le Nazioni Unite con il rapporto intitolato “Myanmar Opium Survey 2025
Cultivation, Production, and Implications” certificano che il Paese birmano ha
superato l’Afghanistan nella produzione mondiale di oppio, in quella che viene
definita “coltura della sopravvivenza”. “Il Myanmar si trova in un momento
critico – ha dichiarato Delphine Schantz, responsabile dell’Ufficio delle
Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) per il Sud-est asiatico e il
Pacifico. “Questa importante espansione della coltivazione – afferma la
funzionaria – dimostra fino a che punto l’economia dell’oppio si sia ristabilita
negli ultimi anni e indica un potenziale di ulteriore crescita in futuro”.
L’Unodc ha sviluppato il dossier nell’ambito del programma che mira a tenere
sotto osservazione i Paesi più coinvolti nella produzione di stupefacenti. Si
tratta di Bolivia, Perù e Colombia, e per quel che riguarda la produzione di
papavero da oppio l’ufficio delle Nazioni Unite valuta i dati di Messico,
Afghanistan e Myanmar. Agli analisti appare evidente la connessione tra il
conflitto armato e l’aumento della produzione di oppio perchè proprio nella
regione di Sagaing, dove più forti sono gli scontri tra esercito e oppositori
dopo il golpe militare del 2021, è stata registrata la presenza di 552 ettari di
papaveri. Seguono le regioni di East Shan, dove la coltivazione è aumentata del
32 %, nel Chin (26 %) e in South Chan, che resta l’area principale con il 44% di
campi di papavero.
Sono questi i dati che spingono le Nazioni Unite a dichiarare che Myanmar ha
superato l’Afghanistan, dove il regime talebano ha imposto il divieto della
coltivazione di papavero per la produzione di oppio e l’attività è crollata del
95%. “Si stima che la produzione totale di oppio ammonterà a circa 1.010
tonnellate nel 2025, ovvero più del doppio dell’attuale livello
dell’Afghanistan”, scrivono le Nazioni Unite sul proprio sito.
Per quel che riguarda il traffico di eroina legato alla produzione di oppio le
cifre sono esplicite: secondo il rapporto nel 2025 si stima che in Myanmar siano
state consumate circa 5,8 tonnellate di eroina, per un valore di circa 64
milioni di dollari. Tra le 65 e le 116 tonnellate di eroina sono state
potenzialmente esportate, per cifre comprese tra 525 e 935 milioni di dollari.
Il valore lordo dell’intera economia degli oppiacei – compreso sia il valore del
consumo interno che le esportazioni di oppio ed eroina – in Myanmar nel 2025 è
stimato tra 641 milioni e 1,05 miliardi di dollari, pari a circa lo 0,9-1,4% del
Pil nazionale rilevato l’anno precedente. Per quel che riguarda il valore della
produzione, dalla fattoria fino all’esportazione oltre confine, varia tra 341 e
564 milioni di dollari. “Questo valore rappresenta il reddito generato dai
trafficanti dopo aver dedotto il costo dell’acquisto dell’oppio grezzo dai
coltivatori”, si legge nel dossier.
Come si diceva, gli analisti la chiamano “coltura di sopravvivenza”. Nel 2025, i
prezzi nazionali dell’oppio secco alla produzione si aggira in media sui 365
dollari al chilogrammo, più del doppio rispetto al 2019. L’Unodc stima che
l’anno scorso gli agricoltori abbiano guadagnato tra i 300 e i 487 milioni di
dollari dalla vendita dell’oppio. Ci sono poi le produzioni di droghe
sintetiche, tra cui metanfetamina e ketamina. Delphine Schantz descrive così la
situazione: “Spinti dall’intensificarsi del conflitto, dalla necessità di
sopravvivere e dal fascino dell’aumento dei prezzi, gli agricoltori sono
attratti dalla coltivazione del papavero. Se non vengono create alternative
valide, il ciclo di povertà e dipendenza dalle coltivazioni illecite non farà
che aggravarsi”.
L'articolo Il Myanmar ha superato l’Afghanistan nella produzione di oppio: per
le Nazioni Unite è la “coltura della sopravvivenza” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“Un atto di terrorismo”. È netta, priva di dubbi, la prima reazione di Donald
Trump all’attacco di Washington. Non ci sono ancora dettagli certi su ragioni e
background dell’attentatore, ma il presidente – in un video registrato a
Mar-a-Lago, dove si trova per il Giorno del Ringraziamento – usa la sparatoria
per attaccare l’amministrazione Biden e sottolineare “la più significativa
minaccia alla sicurezza nazionale che la nostra nazione deve fronteggiare”. In
arrivo, con ogni probabilità, una nuova stretta su immigrazione e diritti.
Non è un momento politicamente facile per Trump. Economia, Epstein Files,
tensioni nel mondo MAGA, Ucraina, redistribuzione dei distretti elettorali: sono
tante le questioni che rendono tortuoso e difficile il governo del presidente,
precipitato al 40% di gradimento tra gli americani – nemmeno l’impopolare Joe
Biden era così impopolare. La sparatoria di Washington gli può però dare nuovo
ossigeno politico, consentendogli di riposizionare il dibattito sulla linea che
gli è più congeniale: quella della sicurezza, dell’ordine interno minacciato da
immigrati e terroristi.
Nel video da Mar-a-Lago, Trump è stato veloce nell’attribuire
all’amministrazione Biden la responsabilità dell’attacco: “Dobbiamo riesaminare
ogni singolo straniero entrato nel nostro Paese dall’Afghanistan sotto la
presidenza di Biden, un presidente disastroso, il peggiore della nostra storia”.
In effetti Rahmanullah Lakanwal, il 29enne considerato responsabile del
ferimento dei due membri della Guardia Nazionale, è arrivato negli Stati Uniti
dall’Afghanistan nel settembre 2021, nell’ambito di un programma introdotto da
Joe Biden e chiamato Operation Allies Welcome. L’intenzione era quella di
aiutare quegli afghani che hanno svolto un ruolo fondamentale nel supportare le
truppe statunitensi durante la guerra e l’occupazione – traduttori, fornitori di
servizi, collaboratori vari – e che ora si trovano a rischio di ritorsioni da
parte dei talebani.
A differenza di quello che sostengono alcuni membri dell’amministrazione, il
programma non concede comunque uno status di immigrazione permanente, ma solo
due anni di soggiorno, dopo i quali gli afghani devono trovare altri mezzi per
restare negli Stati Uniti – tra questi, la richiesta di asilo politico. Dopo
l’attacco di Washington, gli U.S. Citizenship and Immigration Services hanno
sospeso “a tempo indeterminato l’elaborazione di tutte le richieste di
immigrazione relative a cittadini afghani, in attesa di un’ulteriore revisione
dei protocolli di sicurezza e di controllo”. L’Afghanistan faceva però già parte
di quei Paesi – insieme a Myanmar, Ciad, Repubblica Democratica del Congo,
Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen – per i
quali dallo scorso luglio è stata sospesa la concessione dei visti. Il
provvedimento attuale va quindi a colpire gli afghani che si trovano già negli
Stati Uniti e che cercano di rimanervi con la richiesta di green card o asilo
politico.
L’orizzonte di vita degli afghani negli Stati Uniti rischia dunque di diventare
particolarmente cupo. Per molti di loro, si prospetta il rimpatrio e le
probabili persecuzioni dei Talebani. C’è però di più. Nel video da Mar-a-Lago,
Trump si è scagliato contro gli immigrati somali in Minnesota. Ha affermato che
stanno “derubando il nostro Paese e facendo a pezzi quello che un tempo era un
grande Stato”. Particolarmente pesante anche la rappresentazione che il
presidente ha dato della Somalia, descritta come un Paese “senza leggi, senza
acqua, senza esercito, senza niente”. L’attacco ai somali potrebbe apparire
singolare, essendo un afghano il responsabile dell’attacco. In realtà, le frasi
di Trump hanno un senso preciso. L’amministrazione Usa sta cercando di revocare
lo “status di protezione temporanea” per migliaia di persone che provengono da
zone pericolose del pianeta, cui negli anni passati era stata data accoglienza
temporanea. Trump ha già revocato la protezione a 300mila venezuelani e nei
giorni scorsi ha annunciato la fine del programma che ha consentito a migliaia
di somali di fuggire la guerra civile e godere dei programmi sociali e di
accoglienza particolarmente benevoli del Minnesota, uno Stato del Midwest
governato dal democratico Tim Walz. Ecco, quindi, che l’attacco di Washington
potrebbe essere utilizzato per far partire una stretta ulteriore
sull’immigrazione. Nel mirino dell’amministrazione non ci sarebbero soltanto gli
afghani ma quei “venti milioni di stranieri” – cifra che non ha alcun riscontro
nella realtà ma che Trump ha ripetuto nel video da Mar-a-Lago – che Biden
avrebbe fatto entrare illegalmente negli Stati Uniti.
Oltre che sull’immigrazione, l’attacco di Washington avrà effetti probabili
anche sulle questioni di ordine pubblico. Sempre nel video registrato dopo la
sparatoria, Trump parla dell’operazione di sicurezza “di maggior successo nella
storia della nostra capitale”. Il presidente si riferisce all’invio a
Washington, lo scorso agosto, di oltre duemila soldati della Guardia Nazionale.
Le truppe, oltre che dalla capitale, erano arrivate da West Virginia, Alabama,
Louisiana, Mississippi, Ohio, South Carolina. Trump, che aveva assunto anche il
controllo della polizia cittadina, aveva giustificato la decisione parlando di
una città “travolta da criminalità e illegalità”. La mossa aveva sollevato le
proteste della sindaca della capitale, la democratica Muriel Bowser, e di molti
residenti, che non si ritrovano nella descrizione così estrema e minacciosa
della loro città. Dubbi e polemiche si erano allargati ben al di fuori della
capitale. Alcuni tra gli stessi responsabili e membri della Guardia Nazionale,
di solito utilizzate a fini di assistenza umanitaria all’interno dei confini
americani, avevano espresso il timore di essere coinvolti in disordini,
proteste, violenze, repressione che non fanno solitamente parte delle loro
incombenze.
Ne era nata una diatriba legale – come peraltro in ogni altra città Usa dove
sono stare dispiegate le truppe – che ha avuto un esito temporaneo la settimana
scorsa, quando una giudice federale di Washington DC ha stabilito che la
combinazione di truppe provenienti da diversi Stati, riunite a Washington sotto
un comando centrale, costituisce un uso illecito – e quindi “probabilmente
illegale” – della Guardia Nazionale. La giudice ha sospeso la sua decisione fino
all’11 dicembre, per rendere anche possibile il ricorso, poi puntualmente
arrivato, dell’amministrazione. Oltre al ricorso, è però a questo punto arrivato
anche l’attacco di Washington. Il segretario alla giustizia, Pete Hegseth, ha
subito annunciato l’invio nella capitale di altri 500 soldati. Intanto, il
generale di brigata David L. McGinnis, ex capo di stato maggiore della “National
Guard Association of the United States”, afferma che l’attacco rappresenta “un
altro buon motivo per cui dobbiamo schierare la Guardia Nazionale in ogni strada
di ogni città democratica del Paese”. Aspettiamoci dunque, nei prossimi giorni,
un rinnovato slancio retorico da parte di Trump e dei suoi alleati nel chiedere
il dispiegamento di militari per le strade di mezza America.
L'articolo Così Trump proverà a sfruttare la sparatoria di Washington: attacchi
a Biden, stretta su immigrazione e sicurezza ed espulsioni di massa proviene da
Il Fatto Quotidiano.
“Il sospetto in custodia è uno straniero che è entrato nel nostro Paese
dall’Afghanistan, un inferno sulla Terra. È arrivato sotto l’amministrazione
Biden nel 2021, su quei famigerati voli di cui tutti parlavano. Nessuno sapeva
chi stesse arrivando. Nessuno sapeva niente. Il suo status è stato rinnovato in
base a una legge firmata da Biden, un presidente disastroso, il peggiore nella
storia del nostro Paese”. Questa notte Donald Trump ha parlato alla nazione per
fare il punto sull’agguato di ieri sera alla Guardia Nazionale a Washington.
Almeno cinque colpi di arma da fuoco sono stati esplosi, nelle strade attorno
alla Casa Bianca. Due soldati, colpiti alla testa, sono ricoverati in condizioni
critiche (dopo essere stati dati per morti in serata).
Anche l’aggressore è stato colpito: secondo l’Fbi, e sono le stesse informazioni
che ha dato il presidente, si tratta di un 29enne cittadino afghano entrato
negli Stati Uniti nel 2021, durante l’operazione Allies Welcome. Si trattava di
un programma dell’amministrazione Biden per evacuare e reinsediare decine di
migliaia di afghani dopo il ritiro americano dal Paese. L’iniziativa portò negli
Stati Uniti circa 76.000 persone, molte delle quali avevano lavorato come
interpreti e traduttori al fianco delle truppe e dei diplomatici statunitensi.
E, stando alle prime informazioni, anche il responsabile dell’attacco avrebbe
avuto, in passato, contatti con varie agenzie del governo Usa, Cia compresa.
L’operazione fu ed è ancora molto criticata da parte di Trump e dei
repubblicani, oltre che da alcuni organi di controllo del governo per le lacune
nel processo di verifica e la velocità delle ammissioni; dall’altro lato, i
sostenitori affermano che abbia offerto un’àncora di salvezza alle persone a
rischio di rappresaglie talebane. Il sospettato, residente nello Stato di
Washington, è stato identificato dalle forze dell’ordine come Ramanullah
Lakanwal, ma le autorità stanno ancora lavorando per confermare la sua storia
precedente. Una volta entrato negli Stati Uniti, si sarebbe stabilito a
Bellingham, una città 127 km a nord di Seattle, con la moglie e i loro cinque
figli. “Se non sanno amare il nostro Paese, non li vogliamo“, ha affermato Trump
aggiungendo che la sparatoria è stata “un crimine contro l’intera nazione”. Per
ora sono sconosciuti i motivi del gesto. L’uomo, raccontano i testimoni, sarebbe
“arrivato da dietro l’angolo” e avrebbe aperto il fuoco contro i militari. Al
vaglio degli inquirenti ci sono i video delle telecamere di sorveglianza.
La sparatoria contro membri della Guardia Nazionale, il giorno prima del
Ringraziamento, è avvenuta mentre la presenza delle truppe nella capitale e in
altre città è da mesi un tema scottante, che alimenta un ampio dibattito
pubblico sull’uso dell’esercito da parte dell’amministrazione Trump per
combattere quello che alcuni funzionari definiscono un problema di criminalità
fuori controllo. E infatti in serata sono stati immediatamente inviati a
Washington altri 500 membri della Guardia nazionale. Secondo l’ultimo
aggiornamento del governo, attualmente circa 2.200 soldati sono assegnati alla
task force congiunta che opera in città.
Ma, come detto, l’attacco è stato utilizzato dal presidente anche per criticare
nuovamente il suo predecessore Biden e scagliarsi contro l’immigrazione. “Nessun
Paese può tollerare un rischio simile per la propria sopravvivenza”, ha detto
Trump. Nelle sue dichiarazioni, in un video pubblicato sui social media, è
chiara l’intenzione di rivedere il sistema di ingresso negli Stati Uniti e di
intensificare i controlli sui migranti già presenti. Stanotte, Trump ha messo in
mezzo il Minnesota, e le “centinaia di migliaia di somali” che stanno “facendo a
pezzi quello che un tempo era uno Stato grandioso”. Il Minnesota ospita la più
grande comunità somala del Paese, circa 87.000 persone. Molti sono arrivati come
rifugiati nel corso degli anni. Nessuno di loro c’entra nulla con la sparatoria
a Washington.
L'articolo Attentato a Washington, il sospettato è un afghano negli Usa dal
2021: Trump dà la colpa a Biden. Ancora gravi i due militari colpiti proviene da
Il Fatto Quotidiano.