Avrete certamente sentito parlare della teoria di Elizabeth Kubler-Ross delle
“cinque fasi del lutto.” Quando ti capita qualcosa di brutto nella vita, le
reazioni tipiche sono: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e
accettazione. Queste fasi non sono in sequenza, possono coesistere o cambiare
l’ordine in cui compaiono, ma sono una buona approssimazione di quello che
succede quando ci troviamo di fronte a qualcosa di molto spiacevole.
E’ un modello che possiamo applicare alla questione del clima, a partire da
quando si è cominciato a parlarne come un problema importante, negli anni ’80.
Possiamo dire che la fase di negazione è cominciata quasi subito, non nel senso
di negare l’esistenza del riscaldamento globale, ma nel minimizzare l’impatto.
“Basterà qualche piccolo aggiustamento: doppi vetri alle finestre, tenere basso
il termostato, riusare gli asciugamani negli alberghi; questo tipo di cose.” In
sostanza, lucidare le maniglie del Titanic mentre affonda.
Qualcuno invece si è reso conto che bisognava fare qualcosa di più e questo ha
dato inizio alla fase di contrattazione con le varie “conferenze delle parti”,
le Cop, con l’idea di mettersi d’accordo per ridurre le emissioni di gas serra.
La prima Cop è stata a Berlino nel 1995; ora siamo arrivati alla Cop30, tenuta
da poco a Belém, in Brasile. Ci ricordiamo della conferenza di Kyoto, nel 1997,
che aveva generato il trattato di Kyoto, il primo accordo internazionale sul
clima della storia. L’altra Cop con qualche rilevanza è quella di Parigi del
2015, la Cop21, che produsse l’accordo di Parigi il 12 dicembre 2015, di cui in
questi giorni ricorre il decennale.
L’accordo di Parigi è stato un passo importante per varie ragioni. Una era la
sua universalità: raccoglieva le firme di 195 paesi. Altrettanto importante è il
fatto che era la prima volta che si proclamava un obbiettivo quantificato e
misurabile: mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei
2°C, se possibile limitarlo a 1,5°C. Si proponevano anche dei modi per
arrivarci: ogni stato doveva presentare e aggiornare ogni cinque anni i propri
Contributi Determinati a livello Nazionale (Ndc), ovvero piani volontari di
riduzione delle emissioni.
L’obbiettivo era corretto, ma il metodo per ottenerlo si è rivelato inefficace.
La prima valutazione dei risultati si è tenuta alla Cop28 del 2023, ed ha
concluso che il mondo è ancora lontano dagli obiettivi. Come del resto è
evidente se guardate la curva della concentrazione di CO2 nell’atmosfera: non
c’è traccia di un effetto dell’accordo di Parigi. Secondo l’Unep e il rapporto
del Global Stocktake 2023, per fare qualcosa di buono bisognerebbe triplicare
gli sforzi entro il 2030 e quintuplicarli entro il 2035. Ma ormai è comunque
troppo tardi per rimanere entro 1,5°C. E forse anche i 2°C sono un obbiettivo
troppo difficile.
E ora? Ritornando agli stadi di Kubler Ross, stiamo rapidamente entrando nella
fase della “rabbia” con la ricerca di qualcuno o qualcosa da incolpare per il
disastro in cui ci ritroviamo. Sembrerebbe che i nostri leader attuali non
riescano a pensare a niente di meglio per risolvere il problema del clima che
una bella guerra; nucleare, se possibile.
Allo stesso tempo, la rassegnazione va molto di moda. Si si sente dire che non
c’è ragione di preoccuparsi. Dopotutto, al tempo dei dinosauri la concentrazione
di CO2 era molto più alta che oggi, faceva molto più caldo e i dinosauri stavano
benissimo. Sì, peccato però che noi non siamo dinosauri. Ci siamo evoluti in
un’epoca in cui la concentrazione di CO2 era bassa e non è affatto detto che
potremmo vivere respirando l’atmosfera che i dinosauri respiravano.
Ritorneremo all’epoca dei dinosauri, dunque? No, non necessariamente. Ma
dobbiamo trovare soluzioni migliori di trattati e infiniti ragionamenti sulle
riduzioni di emissioni. Come si suol dire, dobbiamo tagliare la testa al
brontosauro e azzerarle del tutto. Lo possiamo fare, abbiamo le tecnologie
necessarie: rinnovabili ed elettrificazione. Basta volerlo.
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ora dobbiamo azzerare le emissioni proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Negazionisti Climatici
Sono stata abbastanza impressionata, questi giorni, dal numero enorme di
commenti e post sul caso dei “bambini nel bosco”. Caso strumentalizzato dal
centro-destra, con un effetto anche paradossale, visto che gli ideali e le
pratiche di questa famiglia – dai pannelli solari all’home schooling – è
lontanissimo da quanto la nostra destra propone.
Avevo scritto qui prima che scoppiasse il caso che questa famiglia viveva
secondo i principi della decrescita felice. E che quindi quello che verso di
loro mi sembrava, in quel momento un accanimento dei servizi sociali
rispecchiava esattamente il nostro terrore verso la decrescita e uno stile di
vita ecologico. Ciò che è successo dopo, tuttavia – e da questo punto di vista
faccio un mea culpa: pur avendo specificato che non conoscevo bene il caso e che
quando ci sono di mezzo assistenti sociali e magistrati bisogna aspettare di
capire bene le loro ragioni sarei dovuta essere più cauta – ha mostrato un
quadro molto diverso. Un quadro in cui l’amore per la natura e una vita
totalmente ecologica faceva trapelare – parlo sempre della famiglia del bosco –
una visione radicale ed estrema e con forti tratti ideologici. Una visione in
cui l’adesione a pratiche ecologiche sconfina anche in un rifiuto della scienza.
Purtroppo, un certo sentimento antiscientifico è molto diffuso in alcuni
movimenti – ma anche gruppi Facebook – che si definiscono naturalisti e seguaci
di pratiche ecologiche, ma anche terapeutiche, naturali. La medicina ufficiale,
ad esempio, è spesso vista come nemica, e quando ci sono dei bambini questo può
tradursi, tragicamente, in terapie non basate sui fatti e quindi inutili oppure
dannose, con tutte le drammatiche conseguenze del caso.
Il punto è questo: essere ambientalisti non vuol dire essere contro la scienza.
Al contrario. Tutto ciò che chi difende la natura sostiene è basato sulla
scienza. La critica alla crisi ecologica nasce dai dati, dalle misurazioni,
dagli articoli e dai libri di climatologi, geologi, oceanografi, esperti di
foreste, di suolo e di tutti gli aspetti del mondo naturale che l’aumento delle
temperature sta mettendo a dura prova. Anche la terapia e il contrasto alla
crisi climatica si basa sulla scienza, sia sul fronte dell’adattamento, come
della mitigazione. Pensiamo solo al tema energetico: gli esperti di rinnovabili
sono scienziati, ingegneri, persone insomma che si basano su una visione
tecnico-scientifica.
Ma anche se ci spostiamo sul fronte delle soluzioni “nature based”, cioè
strettamente basate sulla natura, ad esempio sul fronte dell’agricoltura, le
migliori pratiche sono sempre quelle che si basano sui dati, sull’osservazione e
studio dei processi naturali. Dunque anche chi vive in abitazioni ecologiche, in
campagna, in montagna, chi ha un orto biologico etc adotta di fatto una
mentalità “scientifica”. Scienza e natura, ripeto, vanno di pari passo.
Scienza e ideologia della natura, invece no. E questo purtroppo spesso accade.
Perché non dare un antibiotico a un figlio, oppure non farlo vaccinare, non ha
nulla a che vedere con l’amore per la natura. È un errore e una pratica
antiscientifica, anche se spesso è legata a una visione romantica-utopistica
della natura e del vivere naturale come vivere incontaminato, felice, che
sicuramente è una visione affascinante e accattivante. Ma che esclude il
conflitto, il contrasto, le ombre.
Il mondo naturale, ad esempio, può anche uccidere, e non è un caso che,
ritornando alla famiglia nel bosco, che l’intero nucleo sia finito in ospedale
per un probabile avvelenamento da funghi. Ma soprattutto, se si hanno figli,
l’isolamento felice è destinato a spezzarsi. Perché i figli crescono e ti
contestano, perché i figli se ne vanno, perché i figli potrebbero scegliere una
visione diversa dalla tua. Tenere presente questo, accettare che accada credo
sia l’atto di amore più grande che un genitore – che pure vorrebbe che i propri
figli vivessero secondo i suoi valori, come vorrebbe vivere sempre in una
simbiosi idilliaca con loro – possa fare.
Ma al di là di questo, ripeto: amare e vivere in natura, difendere l’ambiente
non può essere in contrasto con la scienza. E per questo il triste cappello
messo dalla destra su questa vicenda racconta anche di questo: di un governo e
di una destra troppo vicina ai no vax, troppo avversa alla scienza, troppo
ignorante proprio sul fronte scientifico. E se una famiglia può fare danni
“solo” ai suoi figli, pensiamo che danni possono fare persone di potere che non
ascoltano gli scienziati. E che strizzano l’occhio maldestramente a chi vive in
un bosco, senza rendersi conto che continuando a difendere il mondo fossile,
gas, benzina e petrolio, vivere in case di pietra nel bosco diventerà
impossibile. Per le piogge troppo forti, per le estati troppo calde, per gli
incendi, per lo stravolgimento drammatico ed estremo del mondo naturale.
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naturalisti: niente di più sbagliato proviene da Il Fatto Quotidiano.