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“Ho preso un granchio”: i ragazzi del Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano tornano a raccontarsi con Gerry Scotti e Max Angioni
Torna la seconda stagione di “Ho preso un granchio” su La5, il 15 dicembre, alle ore 14.30 con 8 nuovi episodi, in onda da lunedì a venerdì. La serie è stata riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale come importante terapia di supporto per i giovani pazienti oncologici e come significativo passo per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla condizione degli adolescenti e giovani adulti affetti da cancro. Così i ragazzi del Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano tornano a raccontarsi. La serie è ideata, scritta, diretta e interpretata dai ragazzi del progetto con la supervisione di un team di professionisti guidati dall’autore Cristiano Nardò e dal regista Tobia Passigato e il sostegno della Fondazione Bianca Garavaglia ETS. I giovani pazienti oncologici dimostrano che si può parlare di malattia in un modo diverso: ironico, brillante, sincero, pieno di coraggio e di vita. Sono numerose le guest star che hanno deciso di sostenere il progetto. Max Angioni, Alessandro Betti, Alice Mangione, Juliana Moreira, Gianmarco Pozzoli, Gerry Scotti e Giovanni Storti affiancano i ragazzi nelle loro storie, contribuendo a dar voce a un racconto dove il sorriso diventa strumento di cura e condivisione. Tra protagonisti della prima stagione e nuovi volti, i 24 ragazzi (tra i 15 e i 24 anni) si sono calati nei panni di scrittori, sceneggiatori e infine attori. Anche quest’anno, le riprese sono state effettuate all’interno dell’ambulatorio di Pediatria Oncologica dell’Istituto, con un’eccezione: la puntata “La C-Card”, in cui il protagonista Phil approda nello studio televisivo Mediaset di “Caduta libera” e diventa un concorrente di Gerry Scotti. I ragazzi del Progetto Giovani, guidati dal prof. Andrea Ferrari, trovano il modo di raccontare con autoironia la loro vita in ospedale, i loro genitori ansiosi, il lessico incomprensibile dei medici, la sessualità, l’amicizia. “Non vogliono ridere del cancro ma ridere dentro il cancro. – si legge nella nota stampa – La loro ironia disinfetta il modo con cui parlare della malattia, uccide i batteri della retorica e della pietà. Permette loro di dire ho il cancro senza dover aggiungere necessariamente un “ma sto combattendo”. “Ho preso un granchio 2” andrà in onda anche su Cine34 che, il 27 e 28 dicembre alle ore 11.00, proporrà una mini-maratona con i primi quattro episodi in onda sabato e i successivi quattro la domenica. L'articolo “Ho preso un granchio”: i ragazzi del Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano tornano a raccontarsi con Gerry Scotti e Max Angioni proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Re Carlo III non è guarito dal cancro, ma sta meglio. Rompe il protocollo e guarda in faccia i suoi sudditi. La malattia come mezzo per dialogare in maniera onesta
Non è guarito, ma sta meglio. Rompendo ogni protocollo e andando contro qualsiasi tradizione, re Carlo III guarda dritto in faccia le telecamere della tv britannica e dà aggiornamenti sulla sua malattia. Diagnosticato nel febbraio del 2014, il cancro del re è diventato un fatto pubblico, una materia sulla quale definire il suo breve regno che si interporrà tra l’eterna Elisabetta II ed un futuro molto incerto per la monarchia. A maggior ragione, forte della volontà di dare un senso alla corona e di farlo nel più nobile dei modi, Carlo III ha deciso di parlare apertamente del cancro che gli è stato diagnosticato mentre si trovata alla London Clinic di Marylebone, per esercitare tutto il potere che gli resta e aiutare i suoi sudditi, distratti, a sviluppare una maggiore consapevolezza. “Oggi posso condividere con voi la buona notizia che, grazie alla diagnosi precoce, all’intervento efficace e all’adesione alle prescrizioni mediche, il mio programma di cure oncologiche potrà essere ridotto nel nuovo anno”. Il messaggio è stato registrato un paio di settimane prima nella sua residenza londinese di Clarence House, a pochi passi da Buckingham Palace. Seduto accanto a fiori e lampade, con la luce che filtra dalle finestre alle sue spalle, Carlo III ha mantenuto un tono rassicurante, da saggio che può parlare a ragion veduta perché è tutto scritto sulla sua pelle, forgiato dalla sua stessa vita. La malattia è diventata il canale per dialogare in maniera più onesta e diretta con il suo popolo, la decisione di non rivelare mai quale forma di tumore lo abbia colpito è stata consapevole, per abbracciare tutti i malati, senza creare una categoria diversa dalle altre. “Questo traguardo è sia una benedizione personale che una testimonianza dei notevoli progressi compiuti negli ultimi anni nella cura del cancro; – ha affermato il sovrano – una testimonianza che spero possa dare coraggio al 50% di noi che riceverà una diagnosi di questa malattia ad un certo punto della propria vita”. I numeri sono impietosi e lo sguardo del re ogni tanto cede verso il basso, consapevole della solennità e gravità della situazione. Quando prese carta e penna per spiegare cosa gli fosse accaduto quando si era recato in clinica per un “semplice” adeguamento della prostata che ha poi rivelato la presenza del tumore nel suo corpo, i click sulle pagine del sito del sistema sanitario britannico erano andati alle stelle. Gli inglesi si erano messi ad indagare e avevano fatto un salto nella consapevolezza del valore della diagnosi precoce. Ma la sua missione non si era fermata lì, da qual momento Carlo III ha incontrato malati, medici ed associazioni caritatevoli che si occupano della malattia per continuare senza sosta la sua campagna di sensibilizzazione e salvare vite. Ha ammesso di non essersi mai sottratto a ciò che gli veniva prescritto, citando Churchil, “Keep buggering on” spesso abbreviato in KBO, tradotto, “continuando ad infastidirmi” per spiegare lo spirito di perseveranza, tenacia e determinazione davanti alle avversità. Come quando, lo scorso marzo, aveva dovuto cancellare tutti gli appuntamenti per essere ricoverato a causa degli “effetti collaterali delle terapie” che avevano richiesto degli accertamenti. Era stato definito “un piccolo urto” nel percorso che, però, ad oggi non viene definito concluso. Carlo III non ha mai parlato di guarigione, come invece ha potuto fare Kate Middleton, ricoverata insieme a lui per un’altra forma tumorale, anche qui mai definita, dalla quale però si è detta guarita a gennaio di quest’anno. L’adesione di un re alla campagna “Stand up for cancer 2025”, condotta da Cancer research UK e Channel 4 per raccogliere fondi per la ricerca e incoraggiare le persone a fare screening, è diventata il luogo nel quale il sovrano ha potuto ridare un ruolo forte e potente alla monarchia, un risposta anche a chi ne mette in discussione l’utilità, soprattutto quando si fanno i conti con il suo costo e con gli scandali che, suo malgrado, ne appannano l’autorevolezza. L'articolo Re Carlo III non è guarito dal cancro, ma sta meglio. Rompe il protocollo e guarda in faccia i suoi sudditi. La malattia come mezzo per dialogare in maniera onesta proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“E’ una malattia multiforme, è così che riesce ad eludere le cure perché”: cos’è il glioblastoma, il tumore che ha ucciso Sophie Kinsella
La scomparsa di Sophie Kinsella, autrice amatissima di I love shopping e voce ironica e brillante della narrativa contemporanea, ha scosso lettori e colleghi. Aveva 55 anni e da oltre due anni conviveva con un glioblastoma, uno dei tumori cerebrali più aggressivi. Nonostante l’intervento chirurgico seguito da radioterapia e chemioterapia, la malattia ha continuato a progredire, come spesso accade per questa forma tumorale che tende a infiltrarsi nel tessuto sano e a recidivare rapidamente. Ma cosa rende il glioblastoma un tumore così aggressivo e difficile da curare? UNA MALATTIA CON TANTE FORME DI ESPRESSIONE “Bisogna dire che i miglioramenti negli ultimi anni ci sono stati, ma restano limitati perché il glioblastoma è una malattia biologicamente molto complessa – spiega al FattoQuotiiano.it il professor Alessandro Olivi, già professore Ordinario di Neurochirurgia, Università Cattolica Sacro Cuore, e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Fondazione Universitaria Policlinico Gemelli -. Come indica il termine completo della malattia – glioblastoma ‘multiforme’ -, il tumore presenta molte forme di espressione. Il patrimonio genetico alterato genera popolazioni diverse di cellule tumorali, ciascuna con comportamenti differenti. Una terapia può colpire quindi un gruppo di cellule, ma un altro sottogruppo può riprendere a crescere. Non è una neoplasia uniforme: elude i trattamenti non perché non funzionino, ma perché non riescono a colpire tutte le componenti della malattia”. SINTOMI, AREE CEREBRALI E DECORSO Quanto conta la zona del cervello colpita nel determinare sintomi e prognosi? “Un tumore nella zona fronto-temporale sinistra può dare difficoltà di linguaggio (nei destrimani) e talvolta disturbi motori; nelle regioni posteriori emergono deficit motori e/o sensitivi; a livello occipitale si possono manifestare disturbi del campo visivo. Alcune aree meno eloquenti permettono al tumore di crescere prima che compaiano sintomi. Si aggiungono i sintomi irritativi, cioè crisi epilettiche dovute alla reazione dell’attività elettrica del cervello circostante alla lesione. Cefalea, nausea e vomito possono presentarsi in qualsiasi fase, a seconda dell’estensione del tumore”. Quali sono oggi le terapie più efficaci e che spazio hanno le opzioni innovative? “Il trattamento standard parte dalla chirurgia per ottenere una citoriduzione, sapendo che la rimozione completa non è possibile. Seguono radioterapia e chemioterapia orale. Sul fronte sperimentale si studiano immunoterapie e terapie geniche virali. Ho lavorato anche su polimeri biodegradabili che rilasciano farmaci localmente dopo l’intervento: hanno dato risultati positivi, ma solo parziali. La vera novità è la caratterizzazione molecolare, che permette di individuare sottogruppi più sensibili a terapie mirate. Non è ancora risolutiva, ma apre prospettive più precise”. RECIDIVE, SOPRAVVIVENZA E FALSI MITI SULLE CAUSE Come si monitora il paziente dopo il trattamento e quali segnali vanno presi sul serio? “Il follow-up deve essere stretto: anche senza sintomi è necessaria una risonanza ogni due o tre mesi. Valutiamo sia la clinica sia l’imaging. Nuovi deficit, crisi epilettiche o alterazioni neurologiche impongono attenzione immediata. Quanto alla sopravvivenza, trent’anni fa parlavamo di 12-15 mesi; oggi siamo, in media, intorno ai 20, con variazioni individuali significative. Ho seguito recentemente un caso di un paziente che ha vissuto quasi cinque anni con buona qualità di vita, grazie alle caratteristiche molecolari del suo tumore, più sensibili ai trattamenti attualmente disponibili”. È possibile prevenire il glioblastoma? “Purtroppo no: non conosciamo fattori di rischio modificabili specifici. Le teorie che collegano il glioblastoma all’uso del cellulare non hanno basi scientifiche: se fosse vero, dall’enorme aumento nell’uso dei telefoni dagli anni Novanta avremmo visto un’impennata nell’incidenza, e questo non è accaduto. Le radiazioni ionizzanti ad alte dosi sono un fattore noto, ma riguardano situazioni molto particolari. L’ambiente può favorire mutazioni, ma la differenza la fa la capacità individuale di riparare i danni al DNA. Per cui non esistono indicazioni comportamentali utili alla prevenzione. Anche la diagnosi precoce ha un valore relativo: anticipa l’intervento, ma non cambia l’aggressività intrinseca della malattia”. L'articolo “E’ una malattia multiforme, è così che riesce ad eludere le cure perché”: cos’è il glioblastoma, il tumore che ha ucciso Sophie Kinsella proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Linfonodi puliti, la mia disavventura con il tumore finisce qui”: l’annuncio di Rosanna Banfi. Il padre Lino: “La malattia ha capito che Casa Zagaria non si tocca”
Sollievo e felicità per Rosanna Banfi. L’attrice aveva annunciato, lo scorso mese, che era di nuovo in ospedale per curare un altro tumore, a 16 anni dal primo. Poi la comunicazione social delle scorse ore: “Oggi è una splendida giornata! Perché direte voi miei piccoli lettori perché c’è il sole ? Anche. Perché il Natale si avvicina ? Anche. Ma, soprattutto perché ho ricevuto la telefonata più importante. No, non un produttore o un regista che mi propone il ruolo della vita, ma un Professore che mi ridato la vita dicendomi che i linfonodi sono puliti e la mia disavventura con un nuovo tumore è finita qui. Una splendida giornata!”. A farle da eco la felicità di papà Lino: “Sono giorni di gioia per Rosanna: il tumore ha capito che Casa Zagaria non si tocca. Stavo perdendo la fede, ora sto scrivendo un libro che si chiama ‘fede speranza e varietà’“. Così l’attore, ospite a Radio2 “Stai Serena” condotto da Serena Bortone con Massimo Cervelli. Banfi è nelle sale con il film “Oi vita mia”, esordio alla regia di Pio e Amedeo, ha rivelato: “La prima cosa che ho pensato quando mi hanno chiamato è che io ho fatto 108 film, 500 trasmissioni televisive e voi mi offrite una parte così piccola? Durante le riprese vedevo l’imbarazzo di questi ragazzi che mi dovevano dirigere, e dicevo ‘voi siete i registi, non vi preoccupate, se devo aspettare aspettò”. E sul rapporto con il duo comico di Foggia, ha aggiunto: “Io voglio bene a loro, non solo per corregionalità ma perché sono bravi. Tra me e me mi dicevo ‘il giorno in cui questi due avranno ruoli frenati con il freno a mano che non possono andare oltre, saranno bravissimì perché hanno i tempi. Non è facile quello che hanno fatto loro, la gavetta. Mi hanno raccontato – continua Banfi – che mi festeggiavano ogni sera, anche senza conoscermi, e facevano le scene dei miei film nei villaggi turistici”. “Ho incontrato Papa Francesco una decina di volte – ha poi raccontato Lino Banfi ai microfoni di Serena Bortone – si era sparsa la voce che mi voleva conoscere perché gli stavo simpatico. Quando sono arrivato a Santa Marta, una guardia Svizzera mi ha bisbigliato perché voleva farsi una foto con me. Poi è arrivato il Papa e mi ha detto ‘so che lei è una persona molto importantè. Ho pensato che stavamo cominciando male, se io sono una persona importante, cosa dovevo dire a Lei?’. E con ironia ha aggiunto: “Se incontrassi il nuovo Papa, che è un ragazzo come età, gli farei vedere la foto di quando mi truccarono da Giovanni XXIII per un film con Favino. Poi il regista mi disse ‘Sei troppo Lino Banfi, non lo puoi farè. Se fossi stato Papa? Avrei scelto il nome di Massimo”. Con grande emozione, non è mancato il ricordo della moglie Lucia. “C’è un posto nel campus dove è stata curata mia moglie, che ho odiato all’inizio, quello dove si va a morire – ha aggiunto nella lunga intervista- In quel momento la fede non c’era più, mi arrabbiai, andai vicino ad una statuetta e mi sfogai a modo mio. Dopo qualche giorno andai a chiederle scusa. Sai perché? Perché gli infermieri e la gente che sta lì non va a soccorrere il malato che ormai è come se non ci fosse più, ma aiuta i familiari – ha proseguito Banfi – E lì ho capito che bisogna avere fede e ora sto per scrivere un libro che si chiama ‘fede speranza e varietà’”. Banfi ha annunciato anche l’uscita di un docufilm sulla sua carriera: “Mi sono raccontato ho fatto tre ruoli. Banfi, la coscienza Zagaria e Riccardo Zagaria che è mio padre. Volevo rivederlo che magari mi diceva che lassù si è laureato. Al mio primo spettacolo non mi disse nulla, ma era affascinato da Modugno accanto a me. Domenico gli disse ‘Tuo figlio diventerà famoso e non sarai più tu a toglierti il cappello davanti a Don Michele e altri, ma loro davanti a te”. L'articolo “Linfonodi puliti, la mia disavventura con il tumore finisce qui”: l’annuncio di Rosanna Banfi. Il padre Lino: “La malattia ha capito che Casa Zagaria non si tocca” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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È morta Sophie Kinsella, così è diventata una star letteraria grazie ad un’intuizione: “Lo shopping era diventato il passatempo nazionale e nessuno ne aveva mai scritto”
“Lo shopping era diventato il passatempo nazionale e nessuno ne aveva mai scritto”. Addio a Sophie Kinsella, al secolo Madeleine Wickham, L’autrice britannica di un best seller clamoroso come I love shopping (in originale Confessions of a shopaholic) è morta. Aveva 56 anni e non più di un anno e mezzo fa le avevano diagnosticato un tumore al cervello incurabile. La scrittrice e giornalista finanziaria inglese è diventata una star letteraria del genere commedia romantica, sottogenere con fare dispregiativo chick lit, quando nel 2000 ha inventato la spasmodica e indebitata mania di spendere e spandere, soprattutto con carta di credito, dell’eroina un po’ frivola e superficiale Becky Bloomwood. A quel libro ne seguirono altri dieci con la stessa protagonista e la stessa folle ossessione compulsiva per lo shopping. Kinsella/Wickham, che fino a quel momento aveva sonnecchiato senza successo tra romanzetti rosa (ben sette), dopo una breve carriera da giornalista finanziaria, ebbe la classica illuminazione. Lo spiegò lei stessa in una lunga, memorabile e alquanto affabile intervista al Guardian nel 2012. “Intorno a me vedevo accadere questo. Parlavamo tutti di shopping, andavamo a fare shopping, la questione delle carte di credito era enorme, e vedevo l’ipocrisia di tirare fuori la carta di credito e poi essere rimproverati perché sopra non c’era più denaro. Nessuno aveva mai pensato di trattarlo in un libro. Allora ho pensato, aspetta un attimo, lo shopping è diventato il passatempo nazionale e nessuno ne ha scritto. Mi è sembrato un progetto, come dire, molto sperimentale”. I love shopping, e il nom de plume Sophie Kinsella, non diventarono solo un successo, ça va sans dire, commerciale, ma un vero e proprio fenomeno di costume e culturale. Del resto il verbo neoliberista è stato, ed è, quello del consumo spasmodico, spesso a conto scoperto. Paga pantalone, si dice da noi. Ma in I love shopping, e capitoli seguenti, il cuore pulsante della frenesia in esame rimane sempre quello del desiderare ciò che invariabilmente, oggettivamente, non serve. Così se la Wickham, dalle colonne delle riviste, suggeriva nella vita reale come investire con giudizio il proprio denaro senza rimanere a secco; il suo alter ego letterario dilapidava patrimoni in golfini e cosmetici. In Inghilterra, e più in generale nel mondo editoriale angloamericano, anche grazie al fenomeno Bridget Jones, si è discusso molto del sottogenere chick lit, sempre con un certo fastidio. Romanzo d’evasione o bieca esaltazione consumista? Eppure pur nella semplicità linguistica e nella canonicità strutturale la saga kinselliana ha avuto il pregio di un realismo esasperato e inesausto, specchio riflesso comportamentale di centinaia di milioni di consumatori nel mondo. Londinese di nascita, laureata nel New College di Oxford, Wickham aveva esordito nel 1995 con The tennis party un racconto con protagonista un consesso di uomini di mezza età, niente di più lontano dalla sua futura eroina spendacciona Becky. La scintilla come Kinsella è del 2000 e il successo –oltre sei milioni di libri venduti nel mondo – monta in nemmeno un decennio facendo finire Wickham tra le 100 donne britanniche più ricche della storia. “Puoi essere molto intelligente, ma anche un po’ svampita e goffa. Puoi non saper cucinare ma puoi amare il rossetto”, spiegava laa scrittrice britannica nel 2012. “Penso che sia più realistico rappresentare le donne con tutte queste sfaccettature, piuttosto che dire: ‘Ok, sei intelligente, quindi devo descriverti come una persona competente’. Mi sembra un ideale ingiusto. Leggere di qualcuno che non commette mai un errore, che non ha mai la vita privata in disordine, che non si preoccupa mai dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, credo sarebbe irreale. Quello che scrivo è reale”. L'articolo È morta Sophie Kinsella, così è diventata una star letteraria grazie ad un’intuizione: “Lo shopping era diventato il passatempo nazionale e nessuno ne aveva mai scritto” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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É morta a 55 anni Sophie Kinsella: aveva una forma aggressiva di cancro al cervello. Addio alla scrittrice di “I love shopping”
É morta a 55 anni dopo una lunga battaglia contro un cancro al cervello aggressivo Sophie Kinsella. L’annuncio della morte è arrivato il 10 dicembre mattina sui social. A farlo la famiglia sull’account Instagram, con queste parole: “Siamo addolorati nell’annunciare questa mattina la scomparsa della nostra amata Sophie (alias Maddy, alias Mamma). È morta serenamente, trascorrendo i suoi ultimi giorni con i suoi veri amori: la famiglia, la musica, il calore, il Natale e la gioia. Non possiamo immaginare come sarebbe la vita senza la sua radiosità e il suo amore per la vita. Nonostante la malattia, sopportata con un coraggio inimmaginabile, Sophie si considerava davvero fortunata: aveva una famiglia e degli amici così meravigliosi e aveva avuto lo straordinario successo della sua carriera di scrittrice. Non dava nulla per scontato ed era eternamente grata per l’amore ricevuto. Ci mancherà tantissimo, ci spezzano i cuori”. L'articolo É morta a 55 anni Sophie Kinsella: aveva una forma aggressiva di cancro al cervello. Addio alla scrittrice di “I love shopping” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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È morto a 26 anni “PettorAle” Antonicelli, il personal trainer che raccontava sui social la vita con un raro osteosarcoma. L’ultimo post: “La malattia è fuori controllo”
Alessandro Antonicelli, conosciuto sui social come “PettorAle”, è morto il 6 dicembre a soli 26 anni dopo due anni di lotta contro un osteosarcoma condroblastico, un raro tumore maligno dell’osso. Il giovane body builder e influencer aveva scelto di raccontare la sua malattia passo dopo passo ai 159mila follower che lo seguivano su Instagram, trasformando il percorso di cura in un racconto pubblico di coraggio, consapevolezza e solidarietà. Sul suo profilo è comparso un messaggio asciutto e struggente: “Oggi il mondo è un po’ più vuoto: Ale è volato via, libero dal dolore, trovando la pace che meritava”. Un annuncio dato dalla famiglia, che ha chiesto rispetto e discrezione in queste ore difficili, ringraziando la comunità che per due anni ha sostenuto Alessandro con affetto e partecipazione. CHI ERA ALESSANDRO ANTONICELLI Originario di Cavour, in provincia di Torino, Antonicelli aveva dedicato la sua vita allo sport sin da bambino, passando dal calcio al judo, dal nuoto al sollevamento pesi. Dopo la laurea in Biologia, si era trasferito a Milano per proseguire gli studi in Scienze dell’alimentazione e della nutrizione umana alla Statale, aprendo contemporaneamente una sua attività come personal trainer. Il suo nome d’arte, “PettorAle”, era diventato un marchio di riconoscimento sui social. LA DIAGNOSI E IL RACCONTO AI FOLLOWER Nel 2023 la scoperta che avrebbe ribaltato la sua vita: “Il dolore al ginocchio e la stanchezza cronica che provavo da oltre un anno, come sospettavo, non avevano nulla a che vedere con gli allenamenti”, aveva scritto sui social. La diagnosi parlava chiaro: osteosarcoma condroblastico, una forma rarissima di tumore maligno, “lo 0,2% della popolazione: due casi ogni milione”. Da quel giorno Alessandro aveva scelto la strada più difficile: raccontare la malattia senza filtri, con lucidità e positività. “Avrei voluto si trattasse di legamenti o menisco, ma non è stato così. L’unica cosa che posso controllare è come decido di affrontarla”, aveva confessato. E nei mesi successivi aveva documentato chemio, interventi, ricadute, sempre con un sorriso che molti commentatori avevano definito “disarmante”. Quando, nell’agosto 2024, il tumore era tornato in forma più aggressiva, aveva scritto: “Questa volta il colpo è più duro, ma continuo a lottare. E lo faccio, come sempre, con il sorriso”. IL PROGETTO “FUCK CANCER” L’ultimo grande gesto di Alessandro era arrivato solo tre giorni prima della morte: un video in cui presentava il progetto “Fuck Cancer”, nato per raccogliere fondi destinati all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Un cappellino con la scritta da lui disegnata, simbolo di una battaglia che voleva trasformare il dolore in aiuto concreto per gli altri. “Porteremo avanti il suo progetto con la stessa determinazione che lui ci ha insegnato”, ha scritto la famiglia. “È ciò che avrebbe voluto, ed è il modo più vero per tenerlo vivo”. GLI ULTIMI GIORNI A ottobre, dopo un viaggio in Giappone, le sue condizioni erano precipitate: “Sono partito che camminavo ancora, sono tornato che non mi reggevo senza stampelle. La malattia è fuori controllo”, aveva raccontato. E aggiungeva, senza mai rinunciare alla trasparenza: “Vi mostrerò sempre la mia vita così com’è, senza filtri. La palestra, i viaggi, gli ospedali, le paure. Questa è solo un’altra parte del mio percorso, forse la più dura, ma è mia”. Il 6 dicembre la battaglia è finita. E la frase scelta per salutarlo racchiude la sua eredità: “La vita vale sempre la pena di essere vissuta”. L'articolo È morto a 26 anni “PettorAle” Antonicelli, il personal trainer che raccontava sui social la vita con un raro osteosarcoma. L’ultimo post: “La malattia è fuori controllo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Boom di studi e prime terapie in arrivo per i tumori con i vaccini a mRNA. Ma i tagli Usa frenano la corsa
La ricerca e lo sviluppo dei vaccini a mRNA non è mai stata così viva e prolifica come negli ultimi 2 anni. Escludendo l’anomalia legata alla ricerca sul vaccino contro il Covid-19 nel 2021, il numero di sperimentazioni globali sui vaccini a mRNA avviate nel 2024 è stato più alto cinque volte rispetto a quello nel 2017. Dal melanoma ai tumori del polmone, della prostata, del pancreas, del seno fino al cancro ai reni, alla vescica e a molti altri ancora. In totale sono 20 i tipi di tumore contro i quali sono attualmente in corso, nel mondo, oltre 230 studi clinici (GlobalData) che mirano a sviluppare vaccini e terapie basate sull’mRNA. L’oncologia è infatti l’area terapeutica che più di tutte ha visto crescere la ricerca sulla tecnologia a mRNA, seguita da lontano dalle malattie infettive (120 studi in corso. ) Una vera e propria corsa all’oro che rischia una brusca battuta d’arresto a causa dei tagli ai fondi da parte dell’amministrazione Trump, che solo nei primi 3 mesi del 2025 ha ridotto del 31% i finanziamenti del National Cancer Institute e che ha annunciato l’interruzione di 22 progetti mirati allo sviluppo di vaccini a mRNA per un valore di 500 milioni di dollari, non nascondendo un certo scetticismo verso questa tecnologia. In questo contesto l’Europa, in particolare l’Italia, può candidarsi a diventare un nuovo polo di riferimento. Questo è uno dei temi affrontati dagli specialisti riuniti da oggi a Napoli per la XVI edizione del Melanoma Bridge e la XI edizione dell’Immunotherapy Bridge, due eventi internazionali dedicati all’immunoterapia. “L’interesse scientifico per i vaccini a mRNA in oncologia è in forte crescita – conferma Paolo Ascierto, professore ordinario di Oncologia all’Università Federico II di Napoli, presidente della Fondazione Melanoma Onlus e direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Pascale di Napoli –. Questi vaccini non sono pensati per prevenire il cancro nel senso tradizionale, ma per addestrare il sistema immunitario a riconoscere e distruggere le cellule cancerose. Funzionano come terapie complementari o adiuvanti dopo l’intervento chirurgico, riducendo drasticamente il rischio di recidiva”. La ricerca è ormai ben oltre le fasi precliniche, con progressi concreti e candidati promettenti che stanno affrontando le fasi finali dei test. È, ad esempio, in dirittura d’arrivo il vaccino a mRNA per il melanoma di Moderna e Merck. “Siamo alle battute finali dello studio clinico di fase III”, spiega Ascierto, il primo a dare il via a questa sperimentazione in Italia. “I risultati finali sono attesi per l’anno prossimo, ma i dati preliminari sono molto promettenti: sembra infatti che il vaccino, in combinazione con l’inibitore dei checkpoint immunitari pembrolizumab, sia in grado di migliorare la sopravvivenza nei pazienti dopo la resezione chirurgica del tumore”, aggiunge. Alte le aspettative anche per uno studio di fase III condotto da MSD e Moderna contro il cancro al polmone: anche in questo caso il vaccino a mRNA viene somministrato insieme al pembrolizumab. È invece in fase II il trial del vaccino a mRNA BNT-122 della BioNTech per la prevenzione delle recidive del cancro al pancreas: uno studio pubblicato su Nature a febbraio ha dimostrato che il vaccino personalizzato ha ridotto il rischio di ritorno della malattia dopo l’intervento chirurgico in 16 pazienti, con 3 anni di follow-up. Altri vaccini a mRNA sono ancora in fase iniziale di sviluppo. Ad esempio, nel maggio 2024, il Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito ha reclutato partecipanti per uno studio clinico personalizzato su un vaccino a mRNA contro il cancro del colon-retto. Il futuro riserva grandi innovazioni anche in termini di semplicità di somministrazione dei farmaci immunoterapici, come le terapie sottocute con nivolumab. “L’equivalenza dell’efficacia terapeutica nelle modalità di somministrazione sottocute è ampiamente dimostrata, e non solo in oncologia”, spiega Ascierto. “Parliamo di una piccola iniezione che dura solo pochi minuti al mese, ma con tutta la sicurezza della gestione ospedaliera e monitorata del trattamento. Questo segnerà un netto miglioramento della qualità di vita del paziente oncologico”, aggiunge. Inoltre, sono promettenti i primi risultati relativi al primo vaccino “fisso”, più semplice ed economico da produrre rispetto a quelli personalizzati, che mira a colpire un set di quattro antigeni presenti nella maggior parte dei melanomi. In un recente studio condotto da Ascierto, il vaccino “fisso” BNT111 si è dimostrato in grado di raddoppiare il tasso di risposta nei pazienti con melanoma avanzato e resistenti a più trattamenti standard, sia in combinazione con l’immunoterapia (cemiplimab) sia da solo. “Infine, molto positivi sono i risultati degli studi sulle cosiddette ‘T-cell engagers’, un tipo di immunoterapia che sfrutta i linfociti T per attaccare le cellule tumorali, agendo come una sorta di ‘ponte’ tra le due cellule”, sottolinea Ascierto. “Funzionano legandosi simultaneamente alle cellule T e a un antigene tumorale specifico, attivando così le cellule T per distruggere il tumore. Sono già efficaci in alcuni tumori del sangue, nel melanoma uveale e sono in fase di studio per i tumori solidi”, aggiunge. Tuttavia, proprio mentre la scienza celebra i primi successi cruciali, un’ombra si allunga sulla ricerca. “I tagli ai finanziamenti negli Stati Uniti minacciano di rallentare quella che è stata definita una delle vie terapeutiche più promettenti del secolo”, evidenzia Ascierto. “In questo contesto potrebbe aprirsi una finestra di opportunità strategica per l’Europa, e in particolare per l’Italia: di fronte a un potenziale rallentamento della ricerca americana, i Paesi europei – continua – possono cogliere l’occasione per rafforzare il loro ruolo ed entrare a pieno titolo come nuovo polo di riferimento globale in questa tecnologia salvavita. L’Italia vanta una straordinaria qualità della ricerca e dei suoi ricercatori, contesi in tutto il mondo: stabilizzando e aumentando i finanziamenti pubblici e privati, potrebbe attrarre investimenti e startup biotecnologiche che vedono incertezza oltreoceano”. La ricerca sui vaccini oncologici è fondamentale non solo per la salute, ma anche per la sovranità tecnologica e industriale. “Investire ora in centri di ricerca d’eccellenza, come quelli già presenti in Italia, permetterebbe di capitalizzare sul know-how sviluppato durante la pandemia e assicurare l’accesso prioritario a queste terapie future”, dichiara Ascierto. “L’Europa e l’Italia hanno l’opportunità unica di dimostrare che la ricerca scientifica e l’innovazione medica possono essere sostenute con rigore e distacco dalle tensioni politiche, cementando il proprio ruolo di leader nell’immunoterapia oncologica del futuro”. Valentina Arcovio L'articolo Boom di studi e prime terapie in arrivo per i tumori con i vaccini a mRNA. Ma i tagli Usa frenano la corsa proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Chi ha preso il premio di mia figlia ce lo riconsegni”: l’appello accorato della mamma di Nadia Toffa
La madre di Nadia Toffa, la giornalista de “Le Iene” morta per un cancro al cervello a soli 40 anni il 13 agosto 2019, ha lanciato un appello accorato dalle pagine di BresciaOggi ai ladri che le hanno sottratto il Premio Grosso d’Oro, il massimo riconoscimento civico di Brescia assegnato alla memoria della figlia. “Ho sperato che i ladri capissero il valore affettivo di quel premio. Così non è stato. Per questo ora lancio un appello: chi lo ha preso lo riconsegni”, ha affermato Margherita Rebuffoni. Il prestigioso riconoscimento conferito nel 2019 dall’amministrazione comunale alla memoria di Nadia Toffa è stato sottratto, e si attende che la Loggia valuti la realizzazione di una copia. Nel frattempo, la Fondazione Nadia Toffa Onlus ha illustrato i significativi risultati conseguiti. Nell’ultimo anno si evidenziano donazioni di apparecchiature ospedaliere, finanziamenti a ricerche all’avanguardia sui tumori cerebrali, iniziative di intelligenza artificiale in campo oncologico e supporto a comunità vulnerabili, con particolare attenzione alla Terra dei Fuochi. Attraverso manifestazioni e contributi dei sostenitori, la Fondazione perpetua concretamente i principi e il lascito morale di Nadia, offrendo sostegno a chi versa in condizioni di maggiore necessità. “Il nostro lavoro continua nel solco dei valori di Nadia: coraggio, determinazione e altruismo – ha dichiarato Margherita Rebuffoni sempre a BresciaOggi –. Ogni iniziativa è un tassello per costruire quel futuro di speranza che lei desiderava tanto”. Nadia Toffa è morta per un cancro al cervello all’età di 40 anni. Una malattia terribile, ultra aggressiva e tra le più letali. “Lo so che devo morire. Non piango per me. Sto piangendo per mia madre, perché mia mamma resterà senza una figlia e questo non è naturale, non si può accettare”, aveva dichiarato la giornalista. COS’È IL GLIOBLASTOMA Il glioblastoma è una forma di tumore cerebrale maligno e molto aggressivo, noto anche come glioma o astrocitoma di IV grado o glioblastoma multiforme. Rappresenta il 45% circa di tutti i tumori cerebrali ed ha origine da uno specifico gruppo di cellule nervose chiamato glia. Il glioblastoma è il tumore cerebrale maligno più aggressivo e frequente nell’adulto. Si sviluppa dalle cellule gliali, in particolare dagli astrociti, e appartiene al grado IV secondo la classificazione dell’OMS per i tumori del sistema nervoso centrale. Caratterizzato da una crescita rapida e infiltrante, il glioblastoma tende a invadere i tessuti circostanti, rendendo difficile la rimozione completa chirurgica. I sintomi variano a seconda della sede tumorale, ma possono includere cefalea, crisi epilettiche, deficit neurologici focali e alterazioni cognitive. La diagnosi si basa su imaging (RMN con contrasto) e conferma istologica. Il trattamento prevede una combinazione di chirurgia, radioterapia e chemioterapia con temozolomide. (dal sito del Policlinico Gemelli di Roma) L'articolo “Chi ha preso il premio di mia figlia ce lo riconsegni”: l’appello accorato della mamma di Nadia Toffa proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Finite le cure per il cancro ho toccato il fondo mentale, sono caduta in depressione. A salvarmi la vita è stata la psico-oncologa”: la confessione di Bianca Balti
“Questa estate ho toccato il fondo mentale, sono entrata in una grande depressione, proprio quando pensavo di essere uscita dalla parte più difficile del percorso oncologico, mi sono trovata ad affrontare la parte mentalmente più dura”. È con questa dichiarazione di grande lucidità che Bianca Balti ha raccontato al Vanity Fair Stories, tenutosi al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano, la sua “nuova normalità” dopo la malattia. La modella, presentatasi sul palco con la professoressa Gabriella Pravettoni (direttrice della Divisione di Psico-Oncologia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano), ha spiegato come la battaglia per sconfiggere il tumore sia stata seguita da un crollo emotivo inatteso, che ha trovato risoluzione solo grazie alla psico-oncologia. La modella ha ricostruito la progressione del suo difficile percorso mentale. Inizialmente, la diagnosi aveva innescato una forza reattiva: “Quando mi era stato diagnosticato il tumore, l’urgenza mi aveva tirato fuori una grandissima forza, ero pronta a fare tutto il necessario, mi erano usciti un coraggio e una potenza che non sapevo di avere”. L’errore, ha ammesso, è stato quello di confrontare il presente con il suo passato: “Piano piano, però, è entrata la normalità quella vera, quella della quotidianità, ma non era più come prima, era tutto cambiato e non ero pronta a questa cosa, non sapevo come affrontarla“. La depressione è arrivata tra giugno e agosto, proprio quando la malattia era in remissione, spingendola ad allontanarsi dai social media per cercare le risposte nel silenzio. “Finita l’emergenza, mi sono ritrovata in una situazione veramente difficile”. Per superare la depressione, la modella ha riconosciuto di aver bisogno di un aiuto specialistico. Nonostante la sua rete di sostegno fosse ancora presente – “tutta la mia struttura di sostegno, le amiche, il mio fidanzato, la mia famiglia, tutti quelli che mi avevano aiutata durante le cure erano ancora lì” – non era sufficiente. “A salvarmi la vita è stata la figura della psico-oncologa“, ha spiegato Balti. Avendo già affrontato un percorso di psicoterapia e avendo un passato di dipendenza da sostanze, la modella aveva scelto di rifiutare l’aiuto farmacologico. La chiave per la rinascita è arrivata da un consiglio, apparentemente banale, ma fondamentale: “La prima cosa che ha fatto la mia psico-oncologa alla prima seduta è stata suggerirmi di pensare ad altro, di non ossessionare la mente sul dolore, dato che ero appena stata operata”. Ha continuato: “A dirla così so che sembra una banalità, una cosa scontata, però detta al momento giusto e da una professionista ha un potere enorme. Vivere una vita piena, basata sul ‘se ti fa stare bene, fallo’, mi ha aiutato moltissimo”. Forte della sua esperienza, Bianca Balti ha deciso di collaborare con la professoressa Pravettoni per lanciare un progetto di salute mentale dedicato specificamente alle persone che affrontano un tumore. Il suo percorso l’ha portata a una nuova consapevolezza sul presente: “La chiave della felicità, ed è un lavoro continuo, è quella di cercare di accettare il presente, di vedere la gratitudine anche nelle difficoltà. Non mi aspettavo che la mia vita sarebbe andata in questa maniera e certe volte ho dei crolli, ma la verità è che noi abbiamo questa forza dentro”. La modella ha concluso con una riflessione sulla resilienza: “Più difficoltà abbiamo nella vita e più abbiamo l’opportunità di mostrare a noi stessi quanto siamo forti e nel mio caso le tante sventure che ho avuto mi hanno dato la possibilità di costruire questa resilienza che ho dentro”. L'articolo “Finite le cure per il cancro ho toccato il fondo mentale, sono caduta in depressione. A salvarmi la vita è stata la psico-oncologa”: la confessione di Bianca Balti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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