Chi è Chiara Petrolini? È la domanda che attraversa ogni udienza del processo
per duplice infanticidio che vede imputata la 22enne di Vignale di Traversetolo
(Parma), accusata di aver partorito in casa e poi seppellito i due neonati nel
giardino della villetta di famiglia. Un enigma che la Corte d’Assise ha deciso
di affrontare con una perizia psichiatrica già affidata ai periti nominati dai
giudici. Intanto in aula si registra il confronto – con posizioni distanti e
inconciliabili – dei consulenti dell’accusa, della difesa e della parte civile.
La Procura contesta alla giovanissima donna un “disegno”, quello di voler
sopprimere i figli e per questo le contesta la premeditazione. Ma davanti alla
scena di una ragazzina – senza apparenti problemi o traumi – che nasconde le
gravidanze, partorisce due volte e per due volte taglia il cordone ombelicale
provocando l’emorragia mortale, i giudici dell’Assise hanno ritenuto di dover
affidare un incarico scegliendo Marina Carla Verga, psichiatra milanese, e Laura
Ghiringhelli, responsabile del Servizio Diagnosi e cura dell’ospedale di
Legnano.
I CONSULENTI DELLA PARTE CIVILE: “NON SI PUÒ INVOCARE INFERMITÀ”
Il primo a prendere la parola è stato Renato Ariatti, psichiatra nominato come
consulente della parte civile, che rappresenta Samuel Granelli, l’ex fidanzato
di Chiara Petrolini e padre dei due bambini poi riconosciuti perché avessero un
certificato di nascita e di morte. Lo specialista è netto: “Non sembra che sia
possibile invocare un’infermità che sia tale da definire un vizio di mente per
Chiara Petrolini. A noi non sembra sia possibile invocare un’infermità”. Il
professionista, che lavora insieme allo psicologo Marco Samorì, spiega che la
loro analisi è “interlocutoria e preliminare”, basata solo sugli atti in attesa
della perizia ufficiale. A suo giudizio comunque non ci sono elementi per
sostenere uno stato dissociativo: “Manca questa sovrapposizione di funzioni,
manca un trauma che giustifichi la dissociazione, ci sono ricordi dei fatti
avvenuti e manca un’amnesia vera che giustifichi la dissociazione. Non abbiamo
trovato disturbi della personalità”.
E QUELLI DELLA DIFESA: “AL MOMENTO DEI FATTI ERA INCAPACE DI INTENDERE E VOLERE”
Di tutt’altro orientamento il consulente della difesa, lo psichiatra Piero
Petrini, chiamato dall’avvocato Nicola Tria. Petrini sostiene che la 22enne
fosse in una condizione psichica gravemente alterata durante i due parti.
“Riteniamo che, al momento dei fatti, si trovasse in profonda alterazione tale
da escludere completamente la capacità di intendere e di volere; al momento del
parto riteniamo si sia verificato uno stato di dissociazione”. Secondo il
professionista, Petrolini avrebbe manifestato un quadro di “denial pregnancy”,
la negazione inconscia della gravidanza: “È una patologia… Chiara è vissuta in
un assordante contesto affettivo ed emotivo”. Il quadro personale tratteggiato
dallo specialista è quello di una giovane fragile: “Una personalità immatura,
fragile, discontinua, sviluppatasi in un contesto giudicante e ambivalente”. A
integrare il lavoro della difesa interviene anche lo psichiatra Giuseppe
Cupello, che evidenzia un profilo problematico della ragazza: “In Chiara
Petrolini ci sono caratteristiche della personalità palesemente disfunzionali,
che incidono sulla sfera dell’affettività, della cognitività, quindi una
difficoltà a conoscere e riconoscere il proprio mondo interiore, incidono sul
funzionamento interpersonale”.
LA DEPOSIZIONE DELLA COLONNELLA: “COMPORTAMENTO TIPICO DELLA SERIALITÀ”
Nella precedente udienza aveva testimoniato la colonnella Anna Bonifazi,
psicoterapeuta del Racis dei Carabinieri, che aveva parlato apertamente di
dinamiche criminologiche di tipo seriale. “Nel caso di Chiara Petrolini i
delitti sono incasellabili come omicidi a escalation asimmetrica” aveva
affermato. Secondo l’ufficiale, tra il primo e il secondo fatto si nota “un
aumento del motore criminale non frenabile… un comportamento che va avanti senza
possibilità alcuna di esser bloccato”. Bonifazi aveva sottolineato sul carattere
“non impulsivo” dei due episodi, evidenziando la similitudine delle modalità e
il brevissimo intervallo tra le due gravidanze: “C’è serialità, c’è logica, un
passaggio all’atto non bizzarro… Un comportamento che fa presagire che chi lo
compie entra ed esce da un impatto emotivo elevatissimo senza avere scossoni
emotivi. Questo è tipico comportamento seriale”.
Nelle prossime udienze verranno ascoltati i periti nominati dalla Corte, la cui
valutazione avrà un peso determinante. Per ora, il ritratto di Chiara Petrolini
continua a oscillare tra due versioni inconciliabili: da un lato una giovane
donna lucida, senza disturbi mentali, che avrebbe agito con freddezza;
dall’altro una ragazza fragile, emotivamente schiacciata, incapace di percepire
la realtà e la gravità di ciò che stava vivendo. I giudici oggi hanno potuto
ascoltare anche la testimonianza di un’amica che ha raccontato il tempo passato
insieme poco prima che la 22enne partorisse il suo secondo figlio: “Il 6 agosto
abbiamo passato la sera insieme a casa mia, abbiamo fumato marijuana e bevuto
qualche birra e un po’ di grappa”. Poche ore dopo la 22enne, che aveva cercato
sul web informazioni su come indurre il parto, aveva fatto nascere il bimbo,
tagliato il cordone ombelicale e poi lo aveva seppellito.
L'articolo Enigma Chiara Petrolini, gli psichiatri in aula: “Impossibile
invocare l’infermità”, “No, era incapace e affetta dalla patologia che nega la
gravidanza” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Infanticidio
“Il 6 agosto (poche ore prima del secondo parto) abbiamo passato la sera insieme
a casa mia, abbiamo fumato marijuana e bevuto qualche birra e un po’ di grappa”.
Irrompe una testimonianza importante nel processo per il duplice infanticidio
dei due neonati sepolti nel giardino di casa a Vignale di Traversetolo in cui è
imputata Chiara Petrolini. Un’amica della ragazza, Chiara Facchin, è stata
ascoltata in Corte d’assise a Parma, ha ricostruito gli eventi che hanno
preceduto il secondo parto della giovane. “Lei aveva appena finita l’ultimo
giorno di centro estivo, era orario aperitivo, quindi abbiamo bevuto e mangiato
qualcosa insieme. Lei è venuta in macchina: eravamo io, Chiara e Riccardo.
Abbiamo parlato e poi abbiamo fumato insieme, tabacco e marijuana, che era stata
regalata a Riccardo. Abbiamo fumato io e Chiara, una canna (intera), divisa
equamente, abbiamo mangiato panini e patatine, abbiamo bevuto due birre a testa,
Chiara forse tre e poi sono andati a casa. Nessuno di noi si ubriacò”.
Nei giorni successivi, Facchin ha continuato a sentirsi con Petrolini: “Nei
giorni successivi al secondo parto ci siamo sentite per messaggio, diceva di
aver avuto un forte ciclo mestruale. La sera del 7 agosto ci siamo riviste per
un aperitivo in una cantina della zona, poi siamo andate anche a bere un altro
drink in un bar e infine l’ho portata a casa. Doveva partire per una vacanza
negli Usa”. Poche ore prima della partenza per gli Stati Uniti, Petrolini aveva
seppellito il figlio appena nato. L’amica ha aggiunto: “Ho sentito Chiara quando
era a New York e mi ha detto che era felice“.
Durante la deposizione, Facchin ha anche parlato dei rapporti quotidiani con
Petrolini, sottolineando come nulla facesse sospettare le gravidanze: “Non ho
mai notato nulla, nemmeno quando era nuda uscita dalla doccia o in piscina,
Chiara non aveva la pancia e non mostrava nessuna alterazione a livello di
comportamento. A luglio 2024, l’ho vista in intimo, non aveva la pancia. Lo
abbiamo fatto spesso di cambiarci insieme prima di uscire”. L’amica ha descritto
Petrolini come “una persona aperta, partecipativa; è sempre stata abbastanza
solare, sapeva stare in mezzo alle persone e in compagnia”. Ha inoltre precisato
che i rapporti con i genitori erano “positivi, con entrambi” e che la giovane
aveva preso autonomamente la decisione di iniziare a lavorare. Infine, Facchin
ha ricordato le parole di Petrolini: “Sono andata in ansia e ho reagito come ho
reagito, ho avuto paura, mi sono sentita sola ed è successo quel che è
successo”.
L'articolo “Abbiamo fumato marijuana e bevuto qualche birra prima del parto”, la
testimonianza di un’amica di Chiara Petrolini proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo la morte del piccolo Giovanni a soli 9 anni, ucciso dalla madre mercoledì
con un coltello da cucina, il papà Paolo Trame affida al parroco di Muggia
(Trieste) don Andrea Destradi, le sue parole e un rimpanto: “Il grande rammarico
legato al fatto che alla madre sia stato consentito di vedere il bambino senza
protezione”. Don Andrea ha raccolto le parole sul suo stato emotivo,
“completamente devastato”. Il sacerdote è in costante contatto con il genitore
del piccolo Giovanni.
IL MONITO DEL PADRE: “SE SUCCEDERÀ QUALCOSA DI TERRIBILE QUALCUNO DOVRÀ
RISPONDERNE”
Il bimbo è stato ucciso due giorni fa dall’ex moglie dell’uomo, Olena Stasiuk,
con un taglio alla gola. Il piccolo era da solo a casa della madre, tra i due ex
coniugi era in corso da 8 anni una battaglia legale. “Quella donna è pericolosa,
non lasciate che veda nostro figlio da sola”, ha ricostruito Paolo Trame,
rivolgendosi a giudici e assistenti sociali. Come scrive Repubblica, il papà del
bimbo aveva messo nero su bianco il suo terrore in un documento giudiziario del
2021. “Se succederà qualcosa di terribile qualcuno dovrà risponderne”. L’uomo
nutriva “certezze motivate da violenze e minacce documentate”. Ora le carte
della causa di separazione sarebbero al vaglio della procura di Trieste che ha
aperto un fascicolo sulla morte del piccolo Giovanni. La madre è stata arrestata
con l’accusa di “omicidio volontario pluriaggravato”. Già nel giugno del 2023,
secondo il papà, “ha tentato di strozzare” il figlio. Il bambino era finito al
pronto soccorso dell’ospedale cittadino con lividi sul collo e a una mascella.
I PROBLEMI MENTALI DELLA MADRE E GLI INCONTRI PROTETTI CON IL FIGLIO
La donna ha assunto farmaci contro la schizofrenia ed era stata in cura presso
il Centro di salute mentale. Aveva più avvolte avvertito che “se io muoio,
Giovanni muore con me”, riporta Repubblica. Oltre a minacciare il suicidio ai
giudici del tribunale civile e agli assistenti sociali del Comune di Muggia: “Se
non mi date l’affidamento di mio figlio – ammoniva la donna – mi butto nel mare
e mi annego assieme al bambino”. Ma la precaria salute mentale della madre aveva
indotto il tribunale dei minori ad affidare il piccolo Giovanni alle cure del
padre: per Olena era scattato il divieto di stare da sola con il figlio.
Un’altra batosta, per una donna in serie difficoltà economiche e senza un lavoro
fisso. Tanto da perdere la casa e finire in un dormitorio pubblico.
Solo grazie ai 250 euro mensili del marito la donna sarebbe riuscita a pagare
l’affitto di una casa. Grazie alla nuova dimora, dal 2021 il tribunale aveva
concesso alla donna di vedere il figlio 3 volte a settimana, ma solo alla
presenza degli assistenti sociali. E proprio in quell’appartamento si è
consumato l’omicidio del bambino. Già da settimane la madre poteva vedere il
figlio da sola, mentre il padre invano si sarebbe opposto. La decisione è stata
assunto da Filomena Piccirillo – la giudice della causa civile di separazione –
dopo la consulenza tecnica della psicologa Erika Jakovic. Proprio il 12
novembre, il giorno del delitto, era attesa una decisione sull’affido
definitivo: rinviata al prossimo febbraio.
L'articolo Bimbo di 9 anni ucciso dalla madre, il padre: “Mi ero opposto agli
incontri tra lei e nostro figlio da soli, aveva già tentato di strozzarlo”
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Carcere a vita per la nonna del neonato trovato morto l’anno scorso tra gli
scogli di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. La sentenza è
arrivata giovedì sera quando il presidente della Corte d’Assise Tommasina
Cotroneo ha inflitto l’ergastolo ad Anna Maria Panzera, la donna di 40 anni
accusata dell’infanticidio del nipote appena partito dalla figlia di 13 anni con
deficit psichico. I giudici hanno accolto, quindi, la richiesta di condanna
formulata al termine della requisitoria dal pubblico ministero Tommaso Pozzati
che, assieme al procuratore aggiunto Walter Ignazitto, ha coordinato le indagini
della squadra mobile e dei carabinieri.
La vicenda risale al 26 maggio 2024 quando, su segnalazione di un pescatore, era
stato trovato uno zaino nei pressi degli imbarcaderi per Messina. All’interno
c’era il neonato che aveva ancora con il cordone ombelicale attaccato. Dalle
telecamere di videosorveglianza, presenti sul lungomare villese, gli
investigatori sono risaliti alla donna che ha abbondato il bambino e che, pochi
giorni dopo i fatti, è stata destinataria di un provvedimento di fermo emesso
dalla Procura di Reggio Calabria.
Stando all’impianto accusatorio, infatti, subito dopo il parto di una delle due
figlie minori, Anna Maria Panzera “si è adoperata per riporre il piccolo appena
nato all’interno di uno zainetto e per abbandonarlo, poco dopo, sulla
scogliera”. Essendo impossibile che una tredicenne, con difficoltà cognitive,
possa aver gestito un parto da sola, un ruolo determinante è stato quello della
madre di lei che, inoltre, avrebbe tenuto per mesi nascosta la gravidanza della
figlia. Il contesto disagiato in cui viveva la minorenne, infatti, ha impedito
che qualcuno si accorgesse che era incinta. Anche il padre della tredicenne,
residente in Toscana da diversi anni, era completamente ignaro della gravidanza
della figlia che, dopo il parto, era stata immediatamente ricoverata in ospedale
perché affetta da una grave setticemia.
Dall’autopsia, inoltre, era emersa aria nei polmoni del bambino. Che tradotto
significa: il piccolo è nato vivo e poi è stato soffocato. Ancora non si
conoscono le motivazioni della sentenza, che saranno depositate dal presidente
della Corte d’Assise, entro novanta giorni.
L'articolo Neonato partorito da 13enne e trovato morto in uno zaino tra gli
scogli: la nonna condannata all’ergastolo proviene da Il Fatto Quotidiano.
Monia Bortolotti è stata assolta dall’accusa di aver ucciso i suoi due bambini
neonati, Alice e Mattia, di 4 e 2 mesi. Nel caso della bimba la Corte d’Assise
di Bergamo ha ritenuto che “il fatto non sussiste” in quanto l’omicidio non è
stato provato, mentre per Mattia la donna è stata riconosciuta come “non
punibile” per lo “stato di totale incapacità di intendere e volere al momento
del fatto”. Sempre sulla base valutazioni degli psichiatri, però, per la donna
29enne è stata disposta la “misura di sicurezza di 10 anni in una Rems“, una
residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, in quanto ritenuta
socialmente pericolosa. “Non si aspettava nulla di diverso” da una assoluzione,
ha commentato il legale di Bortolotti, Luca Bosisio. La procura, che prima aveva
sostenuto la necessità di una nuova perizia psichiatrica, aveva chiesto per la
donna l’ergastolo.
Bortolotti – di origini indiane e residente fin da bambina a Pedrengo, in
provincia di Bergamo – era stata arrestata nel novembre del 2023 per l’accusa di
duplice infanticidio in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in
carcere. La donna era accusata di aver ucciso soffocandoli, a distanza di un
anno, entrambi i suoi figli: Alice di quattro mesi, morta il 15 novembre 2021, e
Mattia di due mesi, nato dopo il decesso della primogenita e morto a sua volta
il 25 ottobre 2022. La prima morte era stata ricondotta dal medico intervenuto a
un soffocamento da rigurgito, causato da problemi di deglutizione. Le indagini,
affidate ai carabinieri, erano state aperte dopo il secondo decesso. A
insospettire gli inquirenti il fatto che in entrambe le occasioni fosse stata la
madre, sola in casa con i figli, a chiamare i soccorsi. Gli accertamenti non
hanno potuto dare una spiegazione alternativa al decesso di Alice, per via del
cattivo stato di conservazione della salma riesumata. Nel caso di Mattia,
invece, l’autopsia non ha lasciato dubbi, confermando la morte per asfissia
meccanica da compressione del torace.
L'articolo Monia Bortolotti assolta dall’accusa di aver ucciso i suoi due
bambini di 4 e 2 mesi proviene da Il Fatto Quotidiano.