Centinaia di volti di donne sovrapposti a corpi nudi generati dall’intelligenza
artificiale. È solo l’ultimo caso di deepfake pornografici emerso in rete. Non è
un episodio isolato: negli ultimi mesi si sono moltiplicati i canali e i siti
che diffondono immagini intime senza consenso, dal portale Phica.net, oscurato
dopo aver raccolto foto rubate di centinaia di ragazze italiane, fino al gruppo
Telegram “Mia moglie”, dove venivano condivisi contenuti privati e denigratori.
Un fenomeno in espansione, che coinvolge sempre più anche adolescenti e giovani,
dove la facilità di iscriversi, creare o far circolare materiale falso o privato
accresce il rischio di violenza, abusi, emarginazione e ricatti. Ma dietro la
cronaca c’è un problema più profondo: quello educativo. Lo spiega a
ilfattoquotidiano.it Gloriana Rangone, psicologa, psicoterapeuta e co-direttrice
della scuola di psicoterapia IRIS di Milano, già coordinatrice del gruppo di
lavoro per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per l’Ordine degli
psicologi della Lombardia.
La notizia di un forum di deepfake porn ha colpito molto l’opinione pubblica.
Cosa ci dice la reazione collettiva a episodi del genere?
La cosa che più mi ha colpito è la forza emotiva con cui questa notizia è stata
accolta. Ho visto tristezza, rabbia, sconforto, ma anche disorientamento. Credo
che in molti abbiano percepito che non si tratta di eventi isolati, ma di un
fenomeno ampio, trasversale, che ci riguarda da vicino. È come se all’improvviso
toccassimo con mano che valori che pensavamo consolidati – rispetto,
uguaglianza, dignità – non lo sono affatto. Per questo penso che per affrontare
davvero queste violazioni dobbiamo partire da lontano: da come stiamo crescendo
bambini e adolescenti. È lì che si costruiscono le basi del rispetto dell’altro,
dell’autonomia, della responsabilità. E invece oggi questi percorsi educativi
sono sempre più fragili. Non basta indignarsi quando scoppia il caso: bisogna
interrogarsi su cosa non stiamo facendo quotidianamente per sostenere una
crescita sana.
Molti osservatori dicono che non è solo una questione sessuale, ma anche di
potere, di dimostrazione, di esibizione. Quanto pesa questa dinamica sugli
adolescenti?
L’adolescenza è una fase di transizione: i ragazzi e le ragazze cercano
conferme, vogliono sentirsi grandi, esplorano. È fisiologico. Ma il punto è che
oggi la ricerca di identità passa spesso da canali sbagliati. Il bisogno di
apparire forti o “più avanti” degli altri si intreccia con un’insicurezza di
fondo. Così la sfida o la violenza diventano mezzi per affermarsi. È un errore
grave, ma comprensibile se guardiamo al contesto: l’adulto spesso non c’è, o non
sa più orientare. Molti genitori, educatori, insegnanti minimizzano, liquidano
certi comportamenti come “ragazzate”. Ma parliamo di atti che possono avere
conseguenze devastanti, anche penali. E se gli adulti per primi non sono
consapevoli della gravità, come possiamo aspettarci che lo siano i più giovani?
Il caso dei deepfake dimostra che basta un software per creare un’immagine
falsa. Quanto questo aumenta la violenza online?
È un fattore di rischio enorme, e va preso molto sul serio. Ma non dobbiamo
cadere nella trappola del “è colpa dell’intelligenza artificiale”. La tecnologia
amplifica ciò che già esiste. Se una cultura è violenta, sessista, intrisa di
disuguaglianza, l’IA non fa che renderla più visibile e più potente. Non è un
rapporto di causa-effetto. La responsabilità resta nostra: di come educhiamo, di
quali modelli di relazione trasmettiamo, di come trattiamo il corpo e il
consenso. L’intelligenza artificiale e i social non inventano la violenza, la
rendono soltanto più accessibile.
Lei ha lavorato molto sul fenomeno della teen dating violence. In che modo oggi
si manifesta tra gli adolescenti?
Purtroppo si manifesta sempre prima. Oggi parliamo di relazioni che iniziano già
a 12 o 13 anni, in cui la violenza assume forme subdole: non solo fisiche, ma
psicologiche, di controllo, di isolamento. Capita spesso che una ragazza
racconti: “Il mio fidanzato vuole che gli scriva appena esco da scuola, che gli
mandi una foto quando arrivo a casa”. Quando le chiedi perché, risponde: “Perché
lui mi vuole bene”. È l’errore più comune: confondere il possesso con l’amore.
Dietro c’è un malinteso affettivo che poi può sfociare in atti più gravi: la
diffusione di immagini intime, la condivisione forzata di foto o video, la
perdita totale di autonomia. Ho seguito casi in cui tutto questo ha portato a
gravi conseguenze psicologiche, fino a comportamenti autolesivi o suicidari.
In Italia non esiste ancora un’educazione affettiva strutturata nelle scuole.
Quanto pesa questa mancanza?
Pesa moltissimo. L’educazione all’affettività e al rispetto dovrebbe iniziare
molto prima, già nell’infanzia. La radice del problema è culturale: fin da
piccoli trasmettiamo messaggi diversi a maschi e femmine: alle bambine diciamo
“come sei carina”, ai bambini “come sei forte”. È da lì che si forma l’idea che
il valore di una ragazza dipenda dal suo aspetto, e che il valore di un ragazzo
si misuri nella forza o nel controllo. L’assenza di percorsi strutturati lascia
i ragazzi soli a decifrare emozioni, relazioni e limiti, spesso attraverso
modelli distorti che arrivano dai social o dalla rete. Le scuole dovrebbero
diventare spazi in cui si impara anche a riconoscere e gestire i sentimenti, non
solo a studiare. Ma serve un lavoro collettivo: famiglia, media e società civile
devono contribuire a costruire una cultura del rispetto reciproco. Non è solo
una questione di programmi scolastici, ma di civiltà condivisa.
In attesa che la scuola faccia di più, cosa possono fare le famiglie?
Prima di tutto, parlarsi. Sembra banale, ma non lo è. I genitori dovrebbero
confrontarsi tra loro, costruire reti, chiedere aiuto. Troppo spesso si tende a
minimizzare o a nascondere i segnali di disagio. E poi è fondamentale mantenere
il dialogo con i figli. L’idea di poterli controllare è illusoria: i ragazzi
conoscono la tecnologia meglio di noi, trovano sempre una via per sfuggire. Ma
se si sentono ascoltati, non giudicati, allora si aprono. La protezione resta
importante, ma deve andare di pari passo con la fiducia. Un figlio non si educa
con la sorveglianza, ma con la presenza.
Insieme al lavoro prioritario per educare i maschi alla non violenza, è
necessario lavorare anche sulla consapevolezza delle ragazze?
È altrettanto fondamentale. Le ragazze devono comprendere il loro valore e i
loro diritti. Devono sapere che se subiscono un abuso, c’è sempre un aggressore,
ma anche un contesto che lo permette. E che chi assiste, chi “guarda e non fa
nulla”, è parte del problema. Serve una cultura del limite, che oggi manca non
solo tra i ragazzi ma anche tra gli adulti. Dobbiamo aiutare i giovani a capire
che alcune azioni non sono “errori”, ma reati. Rubare un’immagine, diffonderla,
umiliare: sono tutti atti che violano la libertà dell’altro. Per cambiare
davvero, serve una sensibilità nuova, diffusa, che coinvolga genitori,
insegnanti, istituzioni e pari. Perché spesso sono proprio i coetanei, più degli
adulti, a vedere per primi che qualcosa non va.
L'articolo “Deepfake porn e abusi, la radice è culturale: si parta
dall’educazione. La violenza nelle relazioni? In età sempre più giovane”
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Revenge porn
Leo0nardo Apache La Russa, figlio 21enne del presidente del Senato Ignazio, ha
chiesto di accedere a un percorso di giustizia riparativa nel processoa Milano –
in fase di udienza preliminare – in cui è imputato per revenge porn nei
confronti di una giovane donna, dopo l’archiviazione dell’accusa di violenza
sessuale. La Russa junior è accusato di aver inviato all’amico dj Tommaso
Gilardoni “un video a contenuto sessualmente esplicito” che ritraeva la vittima,
destinato a rimanere privato, girato la notte tra il 18 e il 19 maggio 2023 dopo
una serata alla discoteca Apophis nel capoluogo lombardo. Per lo stesso reato è
finito imputato anche Gilardoni, che ha scelto di essere giudicato in rito
abbreviato: per lui le pm Letizia Mannella e Maria Rosaria Stagnaro hanno
chiesto la condanna a due anni.
Attraverso i suoi legali, La Russa junior ha offerto un risarcimento di 25mila
euro: “Ci sono ovviamente gli estremi per un’assoluzione, ma cerchiamo di farci
carico di una vicenda che riguarda persone giovani”, ha spiegato l’avvocato
Vinicio Nardo. La difesa della vittima, però, ha rifiutato l’offerta in quanto
“non congrua“: “Non abbiamo neanche voluto ritirare l’assegno”, dichiara il
difensore della giovane, Stafeno Venvenuto. “Un caso del genere impone un
risarcimento totale per il danno esistenziale, relazionale, privato, per la
lesione di diritti costituzionali”. A decidere sull’accesso al percorso sarà la
giudice dell’udienza preliminare nella prossima udienza, fissata per il 17
dicembre: la Procura si è espressa in senso favorevole, pur concordando con la
parte civile sulla non adeguatezza dell’offerta di risarcimento.
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per revenge porn. Ma la vittima rifiuta il risarcimento proviene da Il Fatto
Quotidiano.