di Claudio Pirola
Diventato nonno pochi giorni fa, con mia moglie (siciliana, io della provincia
di Milano, sposati da 36 anni) abbiamo affrontato l’avventura di adottare due
figli (uno proveniente in età già adulta dal Brasile, l’altro italiano con una
forma di disabilità) prima della nascita di un terzo figlio biologico.
Con fatiche e determinazione abbiamo cercato di offrir loro, in un contesto
assai eterogeneo che per noi ha sempre rappresentato un valore arricchente, un
impegno di grande respiro che potesse senza pregiudizi contribuire ad una
crescita serena, favorendo un’educazione con punti di riferimento, mappe di
conoscenza prima che obblighi e vincoli con la sola finalità di sostenerli per
quanto possibile nel costruirsi un avvenire. Con grande senso di libertà e
responsabilità, favorendo confronto, liberi da ogni pregiudizio.
Una vita normale, fondata su valori nei quali crediamo e lontanissima da quel
Dio-Patria-Famiglia che una cultura basata evidentemente su valori ben diversi
dai nostri vorrebbe inculcarci. Come se un Dio sempre più sbandierato – e lo
dico da cattolico che pur non avendo mai fatto parte di movimenti ha tratto
ispirazione in particolare dal cardinal Martini e da Papa Francesco – sia il
lasciapassare per creare condizioni assolutorie o, peggio ancora, di
salvaguardia di presunte tradizioni. E c’è da chiedersi perché personaggi che
hanno il compito istituzionale di essere inclusivi, nel pieno rispetto dei
valori della Carta Costituzionale, si debbano arrogare il diritto – peraltro da
pulpiti di dubbia coerenza – di impartire lezioni di moralità.
In tale contesto appare non solo fuori luogo ma anche offensivo il proclama
fatto da ultimo in Aula dall’on. Rossano Sasso, già sottosegretario
all’Istruzione del “governo dei migliori”, secondo cui il valore del ddl
Valditara per la scuola trova fondamento appunto in Dio-Patria-Famiglia. Non è
peraltro con l’oscurantismo basato sempre più su repressione anziché su
confronto e dialogo atti ad interpretare i complessi cambiamenti in atto che si
possano trovare soluzioni ai numerosi problemi legati all’istruzione e
all’educazione, compresa quella sessuo-affettiva rispetto a cui vari Ministri
della Repubblica hanno avuto parole dal mio punto di vista orripilanti in queste
ultime settimane.
Anziché enunciare slogan risulterebbe più utile che i governanti si ponessero
nella condizione di comprendere le ragioni per cui una famiglia vera fa sempre
più fatica a formarsi e ad autosostenersi in un mondo dove il lavoro, la casa,
le bollette, l’istruzione, l’assistenza medica sempre meno garantita dallo
Stato, gli asili nido che mancano, gli stipendi proporzionalmente sempre più
bassi, un vero piano casa che consideri i giovani studenti e non solo, i
reiterati condoni che offendono chi paga le tasse e incentivano l’evasione, le
mancate misure a fronte di una non più dilazionabile riconversione ecologica, il
crescente incubo bellico a cui in particolare questo governo ci sta preparando
rappresentano sempre più fattori di incertezza bloccanti.
E così l’Italia, un Paese sempre più anestetizzato in un contesto economico
stagnante – se non fosse per i fondi Pnrr ormai alla fine che hanno dato
ossigeno al Pil – non trova di meglio che discutere di “casa nel bosco”,
referendum sulla giustizia sì/no (con reiterate spaccature una volta di più
nella cosiddetta sinistra, come già avvenne per quello sull’art. 18), ddl
Delrio, armi sì/no con contrasti sempre più evidenti all’interno dello stesso
maggior partito di opposizione, dando l’idea che si è ben lontani dal potere
costruire una vera alternativa di governo.
E non stupiamoci se poi tanti giovani perdono fiducia emigrando all’estero o
sempre meno gente andrà a votare. In assenza di un Paese autorevole. Altro che
sovranismo!
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L'articolo Da padre adottivo dico: non è con l’oscurantismo dello slogan
Dio-Patria-Famiglia che si trovano soluzioni proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Educazione Sessuale
Vinicio Marchioni, ospite a “La Confessione” di Peter Gomez su Rai 3 in onda
sabato 6 dicembre alle 20.20, ha le idee chiare sul disegno di legge sul
consenso informato passato alla Camera il 3 dicembre scorso. “Questa è Eugenia
Roccella che esprime il suo parere sull’insegnamento dell’educazione
sessuo-affettiva nelle scuole. Mercoledì è passato il disegno di legge che
lascia alle famiglie la decisione se far frequentare ai figli questi corsi. Lei
è d’accordo che decidano le famiglie?”, ha chiesto il conduttore dopo avergli
mostrato un video in cui la ministra della Famiglia dichiara l’assenza di
correlazione tra l’educazione sessuale nelle scuole e l’abbassamento del numero
di femminicidi. “Io penso che dovrebbe decidere lo Stato su alcune cose. – ha
premesso l’attore al cinema con “Ammazzare stanca” di Daniele Vicari – Penso che
siamo indietro rispetto a dove sta andando il mondo e a dove stanno andando i
nostri figli, perché i nostri figli sono anni luce avanti rispetto a queste cose
qui. – ha proseguito uno dei protagonisti della serie cult “romanzo Criminale”,
papà di due ragazzi di 12 e 14 anni – E non solo hanno un’assoluta necessità di
essere indirizzati, ma soprattutto sono anni luce avanti rispetto alla
sessualità, alla fluidità di genere, all’incontro con le diversità, all’incontro
con altre razze e altre lingue”, ha concluso Marchioni.
L'articolo Marchioni a La Confessione di Gomez (Rai 3): “L’educazione sessuale
nelle scuole? Da padre dico: decida lo Stato, i nostri figli sono avanti”
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il consiglio regionale della Liguria, a maggioranza di centrodestra, ha
approvato l’installazione di distributori di preservativi a prezzo calmierato
nelle scuole superiori. Nel corso della seduta del 2 dicembre è stato dato il
via libera all’unanimità la proposta del consigliere Jan Casella (Avs) che,
oltre ai distributori, prevede la diffusione di materiale informativo sulle
malattie sessualmente trasmissibili. Come riferito da Repubblica, è stata invece
bocciata la mozione “tampon box” di Selena Candia (Avs) che chiedeva la
distribuzione gratuita degli assorbenti.
Il Consiglio regionale ha sostenuto solo l’intervento sui preservativi,
motivando la decisione con la mancanza di fondi per entrambe le iniziative.
Casella si è detto soddisfatto per quella che ha definito “una misura concreta e
praticabile per rispondere alle esigenze e alle vulnerabilità della popolazione
giovanile”. Proprio la fascia di popolazione di età compresa tra i 15 e i 24
anni, infatti, è quella più esposta al rischio di contrarre malattie
sessualmente trasmissibili come sifilide, gonorrea e clamidia. Malattie che,
come fa notare anche Casella, sono in aumento in Italia e in Europa. A ottobre
di quest’anno, la Società interdisciplinare per lo studio delle malattie
sessualmente trasmissibili (Simast) aveva dichiarato che, secondo i rilevamenti,
in Italia i casi di gonorrea erano passati dai 70mila del 2022 ai 97mila del
2023. Per quanto riguarda l’HIV, invece, a fine novembre l’Istituto superiore di
sanità (Iss) aveva pubblicato i dati relativi al 2024 in Italia: 2.379 nuove
diagnosi di infezione, pari a 4 nuovi casi per 100.000 residenti.
L’installazione di distributori di preservativi a prezzo calmierato, poi, cerca
di contrastare il trend di calo nell’utilizzo del profilattico tra gli
adolescenti nell’ultimo decennio. Casella ricorda che “circa un adolescente su
tre riferisce di non ricorrere né al preservativo né ad altri metodi
contraccettivi”. Sul fronte dell’educazione sessuo-affettiva, alle persone in
età adolescenziale manca una formazione adeguata sul tema delle malattie
sessualmente trasmissibili, una lacuna che riguarda sia le scuole che il
contesto familiare. “Molti studenti”, ha chiuso, “non ricevono una formazione
adeguata su contraccezione e prevenzione e una quota rilevante non affronta
questi temi nel contesto familiare. Il profilattico è l’unico presidio in grado
di proteggere simultaneamente da gravidanze indesiderate e dalle principali
infezioni sessualmente trasmissibili”.
L'articolo Preservativi a prezzo calmierato nelle scuole superiori in Liguria:
il via libera della Regione proviene da Il Fatto Quotidiano.
Oltre trecento bambini e bambine di Genova dai tre ai sei anni che frequentano
quattro asili comunali, grazie alla giunta di centrosinistra e al Centro
antiviolenza “Mascherona”, faranno un’ora la settimana di educazione sessuale e
affettiva. Una risposta concreta al ministro dell’Istruzione e del Merito
Giuseppe Valditara che ha concesso solo a superiori e medie (primaria e infanzia
sono escluse) progetti su questo tema, previo consenso delle famiglie: “In
questo Paese – ha detto la prima cittadina Silvia Salis presentando l’iniziativa
– è impossibile pensare che non ci sia bisogno di educazione sessuo-affettiva
nelle scuole ed è anche impossibile sostenere che debba essere una
responsabilità a carico delle famiglie. Dicono che ci sono altri problemi:
delegittimare questi temi è una forma di violenza che va combattuta”.
LA SPERIMENTAZIONE DA GENNAIO
Si parte, dal prossimo gennaio, con i primi incontri che vedranno coinvolte le
famiglie, sotto la regia e l’organizzazione dei responsabili di ambito delle
scuole infanzia “Firpo” e “Mazzini” di Sampierdarena, “Monticelli” del Lagaccio
e “Santa Sofia” nel centro storico. “È un piccolo passo – ha sottolineato la
sindaca – ma con l’aria che tira in Italia, è un molto rappresentativo. Dai
territori può partire un movimento culturale che vada a scardinare il populismo
becero che ha invaso questo Paese”. I progetti verranno realizzati in
collaborazione, coprogettazione e, ovviamente, con il consenso dei genitori,
come tutta l’offerta formativa e pedagogica per i bambini dell’infanzia. Le
prime scuole comunali, che saranno coinvolte in questa fase sperimentale, hanno
già avviato iniziative di inclusione, intercultura, valorizzazione delle
diversità, anche confrontandosi con contesti complessi e che hanno visto la
forte partecipazione dei genitori.
LA RESPONSABILE: “FAREMO EDUCAZIONE ALLA NON VIOLENZA INSEGNANDO L’EMPATIA E LA
GESTIONE DELLE EMOZIONI”
Nelle scuole andranno alcuni volontari dei centri antiviolenza che si sono messi
a disposizione gratuitamente. Lo spiega a ilfattoquotidiano.it Manuela Caccioni,
la responsabile del centro antiviolenza “Mascherona” che gestirà la
sperimentazione. Caccioni ha alle spalle venticinque anni di impegno a favore
delle donne che hanno subito violenza ma anche ore ed ore di lezioni nelle
scuole di ogni ordine e grado: “Siamo convinti, sia noi che l’amministrazione,
che per interrompere la spirale di violenza sia necessario lavorare con i più
piccoli. Alle superiori è già tardi. Lo testimonia il fatto che ai nostri
centri, a differenza del passato, dopo il nostro lavoro nelle classi, arrivano
16-17enni che ancor prima di aver preso uno schiaffo si rivolgono a noi perché
si sentono oppresse, controllate”.
Ma di cosa parleranno i volontari? “Faremo educazione all’emozione, promozione
all’empatia in forma giocosa con storie che valorizzano la non violenza. Se dici
la parola ‘sesso’ tutti pensano a chissà cosa ma sappiamo che son bambini dai
tre ai sei anni: servono giochi di gruppo, è utile parlare con loro della paura,
della rabbia. La repressione delle emozioni porta ad un’aggressività che può
essere contenuta”. Caccioni, che con il suo team incontra circa 600 donne l’anno
e gestisce cinque “case rifugio”, ha un obiettivo: “Vogliamo coinvolgere non
solo i bambini ma anche gli insegnanti e le famiglie per promuovere un’ azione
da pari a pari senza gerarchie”.
L'articolo Genova, Salis sperimenta l’educazione sessuo-affettiva per quattro
asili: “Dai territori possiamo scardinare il populismo” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Quando si parla di violenza di genere, spunta sempre fuori la carta
dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, dando il via a polemiche ormai
cicliche: sì? No? Chi? Come? Quando?
E mentre ci chiediamo se sia legittimo parlare con i minorenni di relazioni,
sentimenti e rapporti – ovviamente in chiave diversa e con strumenti e linguaggi
eterogenei tra scuola primaria e secondaria – loro si arrangiano come possono,
navigando in solitaria uno sconfinato mare di informazioni e profili social che
suggeriscono tutto e il contrario di tutto. So già che molti diranno: “Ai nostri
tempi non esisteva l’educazione sessuale, eppure abbiamo costruito relazioni e
famiglie!”. Beh, si può dire che la realtà prima degli anni 2000 fosse un mondo
a parte rispetto a quella attuale; se è vero che permane un concetto comune di
desiderio e di attrazione, è altrettanto vero che le relazioni, oggi, sono più
complesse, intrecciate alla gestione non solo di sé, ma della propria immagine
social, dell’accesso a informazioni, consigli, video e tutorial in rete, nonché
di possibili contatti con forme di abusi e violenze sempre più subdole e
meschine. Penso alla diffusione di materiale intimo senza consenso, alle dick
pics, allo stalking digitale e alla manipolazione che ormai avviene tipicamente
tra le chat di messaggistica istantanea.
Faccio davvero fatica a comprendere il desiderio di molti genitori di ignorare
tutti questi pericoli e di lasciare al coraggio dei propri figli un’eventuale
richiesta di aiuto. Sembra ci sia una tendenza a ritrarsi quando si parla della
sfera sessuale e desiderante dei minori, eppure è una fetta enorme della loro
esistenza, soprattutto nella fase adolescenziale: la crush, le “seghe”, le troie
(quelle delle canzoni trap), la depilazione, le foto hot da mandare in chat,
l’essere gay o lesbiche, l’abitare un corpo non conforme agli standard, la
gelosia che sembra renderti folle… e se ne parlano, va ancora bene, siamo
fortunati. Tanti di loro, però, non riescono a portare fuori di sé tutte le
domande e vi restano aggrovigliati, chiedono aiuto a ChatGpt. “Ehi chat, cosa mi
consigli di fare se…?”; tanti studenti mi confessano di usare l’intelligenza
artificiale per chiacchierare di problemi personali, un interlocutore che non
giudica e non fa vergognare per eventuali errori o mancanze.
Quasi un adolescente su due usa l’Ai per avere conforto e consigli: dovrebbe
suonare un campanello d’allarme! Ci stiamo rifiutando di instaurare un dialogo
su temi di cui sì, gli adolescenti hanno vergogna; gliela stiamo trasmettendo
anche noi, moltiplicandola, e loro risolvono nel modo più semplice: eliminando
il fattore umano. E se da una parte l’intelligenza artificiale può essere utile
per gli aspetti pratici (es. sa spiegarti passo passo come indossare un
preservativo), contemporaneamente svuota di significato il concetto stesso di
educazione, intesa non come mera trasmissione di informazioni, ma come scambio
reciproco di conoscenze ed esperienze, creazione di strumenti e nuove
consapevolezze.
Uno degli aspetti più faticosi da fronteggiare, ma anche tra i più efficaci, è
la diversa percezione che ragazzi e ragazze hanno della vita nei panni
dell’altro genere. Spesso i maschi adolescenti credono che per le ragazze la
quotidianità delle relazioni sia più semplice (le persone tendono a trattarle
con più gentilezza, non devono mai fare il primo passo e altri retaggi di una
cultura che le dipinge come passive rispetto al contesto) e le ragazze sono
convinte che per i maschi tutto fili più liscio (scarsa emotività, più talento
nel mascherare gli stati d’animo, meno paura nelle situazioni pericolose e altre
convinzioni basate non necessariamente su quello che i loro compagni di classe
sono, ma su come ci si aspetta che siano).
Nel mio ultimo libro dedicato agli adolescenti (Le cose come stanno, People) è
presente un inserto dal titolo “perché il patriarcato danneggia anche gli
uomini?”. È una parola spaventosa “patriarcato”, i più giovani non si sentono
parte di questo problema e non gli sembra neanche una realtà così concreta,
quanto piuttosto un fatto storico, un contesto superato. La fatica, dunque,
diventa riconoscere le tracce di quel sistema nei nostri comportamenti
quotidiani; e dico “nostri” non a caso: anche le donne possono essere
maschiliste! (Lo fa emergere chiaramente Karen Ricci, fondatrice della community
@caraseimaschilista). Così, gli adolescenti devono imparare a gestire i primi
approcci con maggior cura e rispetto, a comunicare i propri limiti, a saper dire
o ricevere un “no” facendo i conti con le sue conseguenze.
Non è raro che a scuola si parli di notizie di attualità e se si sceglie di
affrontare il tema della violenza di genere i fatti di cronaca non finiscono
mai, ce ne sono mille per qualsiasi sfaccettatura: dalle molestie alle
discriminazioni sul lavoro, dai femminicidi agli stupri di gruppo passando per
la transfobia. Studenti e studentesse difficilmente si tirano indietro quando
entrano in gioco queste tematiche, anche il più restìo ha qualcosa da dire,
foss’anche accusare le ragazze di farsi offrire un cocktail per poi sparire.
Riuscire a dialogare da un punto di partenza come questo non è mai facile, però
la vera sfida è già superata: attirare la loro attenzione. L’interesse si
accende perché sono coinvolti, perché molti di questi problemi “scottano” sulla
loro pelle, sia come vittime che come carnefici che si sentono chiamati in
causa. E quando la discussione si apre, il tempo non è mai abbastanza, mai.
Ricordo le mie classi a seguito del femminicidio di Giulia Cecchettin: dopo
averne parlato insieme, decidemmo di fare un minuto di rumore, anziché un minuto
di silenzio. Eravamo commossi, arrabbiati e anche chi tra loro non avrebbe
saputo fare un discorso sulla violenza sistemica o sull’importanza della
prevenzione, percepiva il problema in modo lampante: ci sono persone che non
sanno gestire il rifiuto. Filippo Turetta non è stato il primo, né l’ultimo; non
crogioliamoci nell’illusione consolatoria che domani non possa essere nostro
figlio, un nipote, uno studente. Facciamo l’operazione al contrario: non
chiediamoci più “e se fosse mia/tua figlia ad aver subito ciò?” quando parliamo
di violenza di genere; chiediamoci invece “e se fosse mio/tuo figlio ad aver
commesso un abuso?”.
Per quanto io creda profondamente nel valore dell’educazione affettiva e
sessuale sin dai primi anni di scuola, non bisogna farsi ingannare: non si
tratta della formula magica che risolve il problema della violenza maschile
contro le donne. Immaginando che tra qualche anno possa entrare nei curricoli
delle scuole (utopia, ahimè), prima che si vedano gli effetti a lungo termine
sulla società dovrebbe passare almeno qualche decennio. E intanto? Non possiamo
confidare nella scuola come unica ancora di salvezza. Noi adulti in primis
dobbiamo riconoscere l’esigenza di cambiare rotta: l’educazione alle relazioni
va portata nelle aziende, negli enti pubblici, tra i docenti, nei luoghi dello
sport e nei presidi della cultura. La pedagogia dell’esempio, da Plutarco a
oggi, ci affida grandi responsabilità: la testimonianza e l’imitazione sono
strumenti insostituibili nello sviluppo delle capacità utili alla crescita e
all’apprendimento, comprese quelle relazionali.
Chiediamoci, a questo punto: stiamo facendo abbastanza? Checché ne dica la
ministra Roccella (la quale non ha chiaro che più denunce per violenza non
corrispondono in modo diretto a più violenza, ma a una maggiore capacità di
riconoscerla e denunciarla), la risposta è no.
L'articolo La sessualità è una fetta enorme delle vite dei ragazzi: faccio
fatica a capire chi vuole ignorare tutto questo proviene da Il Fatto Quotidiano.
Centinaia di volti di donne sovrapposti a corpi nudi generati dall’intelligenza
artificiale. È solo l’ultimo caso di deepfake pornografici emerso in rete. Non è
un episodio isolato: negli ultimi mesi si sono moltiplicati i canali e i siti
che diffondono immagini intime senza consenso, dal portale Phica.net, oscurato
dopo aver raccolto foto rubate di centinaia di ragazze italiane, fino al gruppo
Telegram “Mia moglie”, dove venivano condivisi contenuti privati e denigratori.
Un fenomeno in espansione, che coinvolge sempre più anche adolescenti e giovani,
dove la facilità di iscriversi, creare o far circolare materiale falso o privato
accresce il rischio di violenza, abusi, emarginazione e ricatti. Ma dietro la
cronaca c’è un problema più profondo: quello educativo. Lo spiega a
ilfattoquotidiano.it Gloriana Rangone, psicologa, psicoterapeuta e co-direttrice
della scuola di psicoterapia IRIS di Milano, già coordinatrice del gruppo di
lavoro per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per l’Ordine degli
psicologi della Lombardia.
La notizia di un forum di deepfake porn ha colpito molto l’opinione pubblica.
Cosa ci dice la reazione collettiva a episodi del genere?
La cosa che più mi ha colpito è la forza emotiva con cui questa notizia è stata
accolta. Ho visto tristezza, rabbia, sconforto, ma anche disorientamento. Credo
che in molti abbiano percepito che non si tratta di eventi isolati, ma di un
fenomeno ampio, trasversale, che ci riguarda da vicino. È come se all’improvviso
toccassimo con mano che valori che pensavamo consolidati – rispetto,
uguaglianza, dignità – non lo sono affatto. Per questo penso che per affrontare
davvero queste violazioni dobbiamo partire da lontano: da come stiamo crescendo
bambini e adolescenti. È lì che si costruiscono le basi del rispetto dell’altro,
dell’autonomia, della responsabilità. E invece oggi questi percorsi educativi
sono sempre più fragili. Non basta indignarsi quando scoppia il caso: bisogna
interrogarsi su cosa non stiamo facendo quotidianamente per sostenere una
crescita sana.
Molti osservatori dicono che non è solo una questione sessuale, ma anche di
potere, di dimostrazione, di esibizione. Quanto pesa questa dinamica sugli
adolescenti?
L’adolescenza è una fase di transizione: i ragazzi e le ragazze cercano
conferme, vogliono sentirsi grandi, esplorano. È fisiologico. Ma il punto è che
oggi la ricerca di identità passa spesso da canali sbagliati. Il bisogno di
apparire forti o “più avanti” degli altri si intreccia con un’insicurezza di
fondo. Così la sfida o la violenza diventano mezzi per affermarsi. È un errore
grave, ma comprensibile se guardiamo al contesto: l’adulto spesso non c’è, o non
sa più orientare. Molti genitori, educatori, insegnanti minimizzano, liquidano
certi comportamenti come “ragazzate”. Ma parliamo di atti che possono avere
conseguenze devastanti, anche penali. E se gli adulti per primi non sono
consapevoli della gravità, come possiamo aspettarci che lo siano i più giovani?
Il caso dei deepfake dimostra che basta un software per creare un’immagine
falsa. Quanto questo aumenta la violenza online?
È un fattore di rischio enorme, e va preso molto sul serio. Ma non dobbiamo
cadere nella trappola del “è colpa dell’intelligenza artificiale”. La tecnologia
amplifica ciò che già esiste. Se una cultura è violenta, sessista, intrisa di
disuguaglianza, l’IA non fa che renderla più visibile e più potente. Non è un
rapporto di causa-effetto. La responsabilità resta nostra: di come educhiamo, di
quali modelli di relazione trasmettiamo, di come trattiamo il corpo e il
consenso. L’intelligenza artificiale e i social non inventano la violenza, la
rendono soltanto più accessibile.
Lei ha lavorato molto sul fenomeno della teen dating violence. In che modo oggi
si manifesta tra gli adolescenti?
Purtroppo si manifesta sempre prima. Oggi parliamo di relazioni che iniziano già
a 12 o 13 anni, in cui la violenza assume forme subdole: non solo fisiche, ma
psicologiche, di controllo, di isolamento. Capita spesso che una ragazza
racconti: “Il mio fidanzato vuole che gli scriva appena esco da scuola, che gli
mandi una foto quando arrivo a casa”. Quando le chiedi perché, risponde: “Perché
lui mi vuole bene”. È l’errore più comune: confondere il possesso con l’amore.
Dietro c’è un malinteso affettivo che poi può sfociare in atti più gravi: la
diffusione di immagini intime, la condivisione forzata di foto o video, la
perdita totale di autonomia. Ho seguito casi in cui tutto questo ha portato a
gravi conseguenze psicologiche, fino a comportamenti autolesivi o suicidari.
In Italia non esiste ancora un’educazione affettiva strutturata nelle scuole.
Quanto pesa questa mancanza?
Pesa moltissimo. L’educazione all’affettività e al rispetto dovrebbe iniziare
molto prima, già nell’infanzia. La radice del problema è culturale: fin da
piccoli trasmettiamo messaggi diversi a maschi e femmine: alle bambine diciamo
“come sei carina”, ai bambini “come sei forte”. È da lì che si forma l’idea che
il valore di una ragazza dipenda dal suo aspetto, e che il valore di un ragazzo
si misuri nella forza o nel controllo. L’assenza di percorsi strutturati lascia
i ragazzi soli a decifrare emozioni, relazioni e limiti, spesso attraverso
modelli distorti che arrivano dai social o dalla rete. Le scuole dovrebbero
diventare spazi in cui si impara anche a riconoscere e gestire i sentimenti, non
solo a studiare. Ma serve un lavoro collettivo: famiglia, media e società civile
devono contribuire a costruire una cultura del rispetto reciproco. Non è solo
una questione di programmi scolastici, ma di civiltà condivisa.
In attesa che la scuola faccia di più, cosa possono fare le famiglie?
Prima di tutto, parlarsi. Sembra banale, ma non lo è. I genitori dovrebbero
confrontarsi tra loro, costruire reti, chiedere aiuto. Troppo spesso si tende a
minimizzare o a nascondere i segnali di disagio. E poi è fondamentale mantenere
il dialogo con i figli. L’idea di poterli controllare è illusoria: i ragazzi
conoscono la tecnologia meglio di noi, trovano sempre una via per sfuggire. Ma
se si sentono ascoltati, non giudicati, allora si aprono. La protezione resta
importante, ma deve andare di pari passo con la fiducia. Un figlio non si educa
con la sorveglianza, ma con la presenza.
Insieme al lavoro prioritario per educare i maschi alla non violenza, è
necessario lavorare anche sulla consapevolezza delle ragazze?
È altrettanto fondamentale. Le ragazze devono comprendere il loro valore e i
loro diritti. Devono sapere che se subiscono un abuso, c’è sempre un aggressore,
ma anche un contesto che lo permette. E che chi assiste, chi “guarda e non fa
nulla”, è parte del problema. Serve una cultura del limite, che oggi manca non
solo tra i ragazzi ma anche tra gli adulti. Dobbiamo aiutare i giovani a capire
che alcune azioni non sono “errori”, ma reati. Rubare un’immagine, diffonderla,
umiliare: sono tutti atti che violano la libertà dell’altro. Per cambiare
davvero, serve una sensibilità nuova, diffusa, che coinvolga genitori,
insegnanti, istituzioni e pari. Perché spesso sono proprio i coetanei, più degli
adulti, a vedere per primi che qualcosa non va.
L'articolo “Deepfake porn e abusi, la radice è culturale: si parta
dall’educazione. La violenza nelle relazioni? In età sempre più giovane”
proviene da Il Fatto Quotidiano.
di Enzo Boldi
“Anche se oggi l’uomo accetta, e deve accettare, questa assoluta parità formale
e sostanziale nei confronti della donna, nel suo subconscio, nel suo codice
genetico trova sempre una certa resistenza“. Queste le parole del Ministro della
Giustizia, Carlo Nordio, nel corso della Conferenza internazionale contro il
femminicidio.
Dunque, seguendo pedissequamente la teoria del Guardasigilli, la prevaricazione
– fisica e psicologica – dell’uomo ai danni della donna deve essere ricercata
all’interno del nostro codice genetico. Quindi: sei maschio? La natura ti spinge
a non accettare la parità (in tutti gli ambiti della vita) con una donna. Colpa
della genetica, secondo Nordio. Non c’entrano nulla gli aspetti culturali. Non
c’entrano nulla quei retaggi storici che hanno spinto l’essere umano a fondare
società basate su uno scevro e dannoso maschilismo. Tutta colpa di quel gene di
darwiniana memoria difficile da estirpare. Eppure la realtà dei fatti racconta
una storia – spesso tragica – molto differente rispetto a questa paradossale
“giustificazione” data dal Ministro Nordio proprio nel corso di una conferenza
contro i femminicidi, alla vigilia della settimana in cui si celebrerà la
Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
Infatti, se si trattasse di mera genetica, tutto si potrebbe risolvere in modo
molto più semplice, proprio seguendo i princìpi di Darwin (che lo stesso
Ministro della Giustizia cita in altri passaggi del suo intervento). E, invece,
è la cultura – e i suoi riflessi sociologici – che ha reso fenomeni come i
femminicidi (nel nostro Paese e non solo) un’emergenza reale e tangibile. Donne
vittime di uomini, a livello fisico e psicologico, che pagano a caro prezzo una
deriva di dominazione e prevaricazione. Perché questi omicidi – la maggior parte
avviene per “motivi sentimentali”, ovvero tra persone legate (anche in passato)
da un legame – sono figli di una cultura del possesso che va ben oltre le
dinamiche della gelosia. Il pensiero “la donna è mia” non è frutto di un gene,
ma di una cultura maschilista e malata che pervade l’Italia. Anche da un punto
di vista sociologico.
Dare la colpa alla genetica è la cartina di tornasole di chi non vuole
affrontare il problema alla radice, attraverso un’educazione che parta da quando
si è piccoli. Far capire ai bambini, nella loro fase di sviluppo fisico ed
emotivo, che la parità è un diritto inalienabile dovrebbe essere il faro in
grado di guidare la civiltà. Far capire che “no” vuol dire “no”. Far capire che
il rispetto è la base per la creazione di rapporti umani che, d’altro canto,
sono la base di una società civile evoluta e non ancorata a reconditi racconti
di un passato che, fortunatamente, è passato.
Citare Darwin per parlare dei femminicidi in Italia è come parlare del
fuorigioco quando si racconta una partita di tennis: non c’entra nulla.
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L'articolo Per Nordio maschilismo e femminicidi hanno a che fare col codice
genetico: conta semmai una cultura malata proviene da Il Fatto Quotidiano.
di Francesco Valendino
Siamo nel 2025, ma la Conferenza internazionale contro il femminicidio ci
riporta in un salotto ottocentesco dove si discute di frenologia tra un brandy e
l’altro. I protagonisti del teatro dell’assurdo sono il Ministro della Giustizia
Carlo Nordio e la Ministra Eugenia Roccella. Le loro parole non sono gaffe: sono
un manifesto di rassegnazione travestito da pragmatismo.
“Il maschio non accetta la parità, il suo codice genetico fa resistenza”,
dichiara Nordio con la sicurezza di chi ha appena scoperto il fuoco. Ecco il
Ministro della Giustizia trasformato in biologo evoluzionista della domenica,
che offre su un piatto d’argento l’alibi perfetto a ogni uomo violento d’Italia:
“Non sono stato io, Vostro Onore, è il cromosoma Y che è reazionario. Il mio Dna
è di destra”.
È determinismo biologico da osteria, quello che fa rabbrividire. Se la violenza
è scritta nei geni, a che serve la Giustizia? A che serve il Codice Penale se
siamo marionette di una doppia elica immutabile? È l’ammissione di una sconfitta
totale: il maschio è una bestia programmata, rassegnatevi. Meglio risparmiare
sui tribunali e investire in gabbie.
Roccella chiude il cerchio: “Non c’è correlazione tra educazione sessuale e calo
dei femminicidi”. Curioso. Se l’educazione non modifica i comportamenti, perché
sprecare denaro pubblico nelle scuole? Dovremmo chiuderle tutte e affidarci al
destino genetico di Nordio.
La Ministra liquida decenni di pedagogia con una scrollata di spalle. Il
messaggio è chiaro: non disturbate la famiglia tradizionale, come se ce ne fosse
una o ce ne fosse stata mai una. Meglio che i ragazzi imparino l’affettività su
Pornhub o dai video trap. L’educazione al consenso? Roba da radical chic. Il
rispetto? Un vezzo progressista.
Queste posizioni negano la radice del problema con l’eleganza di chi ha già
deciso di non risolverlo.
Quello che Nordio chiama “resistenza del Dna” si chiama potere consolidato che
non vuole essere ceduto. Non è biologia, è cultura patriarcale tramandata per
millenni. A volte con le parole, spesso con le clave. Se fosse tutto scritto nei
geni, vivremmo ancora nelle caverne a tirarci pietre. L’evoluzione ci ha dato la
corteccia prefrontale per inibire gli istinti primordiali, non per giustificarli
davanti alle telecamere.
I giovani che uccidono le ex fidanzate non hanno un gene impazzito: hanno un
vuoto educativo dove “NO” non è mai stato insegnato come frase completa.
L’educazione sessuale moderna non spiega solo “come nascono i bambini”, insegna
il consenso, insegna che l’altro non è un oggetto, insegna a gestire il rifiuto
senza trasformarlo in ossessione omicida. I paesi del Nord Europa che investono
in educazione affettiva dall’asilo lavorano sulla prevenzione a lungo termine,
decostruendo gli stereotipi prima che diventino violenza. Ma qui da noi
preferiscono contare i cadaveri e dare la colpa al Dna.
I ministri ci stanno dicendo che il problema è nella natura (quindi
irrisolvibile) e che la cultura non serve. È la più comoda delle capitolazioni:
se è colpa dei geni, nessuno è responsabile. Né lo Stato, né la famiglia, né la
scuola. Possiamo continuare a fare convegni, stringerci le mani e tornare a casa
con la coscienza a posto.
Ma se loro hanno alzato bandiera bianca davanti a un nemico che chiamano “codice
genetico”, la società civile non può permetterselo. La parità si impara, il
rispetto si insegna. E il Dna è solo la scusa più elegante per chi non vuole
fare la fatica di evolversi — o di governare davvero.
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L'articolo Educazione sessuale, Nordio e Roccella liquidano decenni di lotte e
pedagogia con una scrollata di spalle proviene da Il Fatto Quotidiano.
Le dichiarazioni dei ministri Carlo Nordio e Eugenia Roccella, rilasciate
durante la Conferenza internazionale contro il femminicidio a Roma, hanno
scatenato un’ondata di reazioni critiche da parte delle opposizioni. Il
dibattito si concentra sulla tesi del Guardasigilli secondo cui la
prevaricazione maschile secolare ha a che fare con “codice genetico del maschio
che resiste all’uguaglianza”, e sulla posizione della ministra Roccella,
convinta che “non c’è una correlazione fra l’educazione sessuale nella scuola e
una diminuzione delle violenze contro le donne”. Così facendo, dicono le
opposizioni, “minimizza il ruolo dell’educazione sessuale nella prevenzione
della violenza”.
Le reazioni a Nordio – Il fronte delle opposizioni ha respinto in maniera
univoca l’approccio che ricondurrebbe la violenza a una “sedimentazione
genetica”. Le parlamentari del Movimento 5 Stelle in commissione bicamerale
denunciano che dirlo “significa spostare l’attenzione dalle responsabilità
umane, culturali e politiche a una sorta di destino inevitabile”. Per le
deputate, il femminicidio “non è un retaggio biologico, ma il frutto avvelenato
di scelte, silenzi, mancati investimenti”. Stefania Ascari, Anna Bilotti,
Alessandra Maiorino e Daniela Morfino hanno poi sollecitato il ministro Nordio a
smettere “di filosofeggiare sulla ‘legge del più forte'” e iniziare “a
rafforzare la legge dello Stato”. La deputata M5S Chiara Appendino ha commentato
sui social le parole sul codice genetico come “un’altra perla”, chiedendo
polemicamente se “La prossima sarà propagandare Lombroso?”.
Dure anche le critiche dal Pd. Chiara Gribaudo, vicepresidente del partito, ha
etichettato le parole dei ministri come “gravissime” e “false”, dichiarando con
decisione: “Non c’è nessun ‘codice genetico che fa resistenza’: è una questione
culturale, di valori introiettati, di patriarcato”. Cecilia D’Elia, senatrice
dem, ha definito il Guardasigilli “imbarazzante”: “parla di genetica maschile e
inchioda così gli uomini ad essere violenti”. La deputata del Pd Ilenia Malavasi
sostiene che ridurre millenni di oppressione a un “presunto retaggio muscolare
inscritto nel codice genetico degli uomini significa banalizzare un fenomeno
complesso e profondamente culturale”. La violenza, ha aggiunto, “nasce da
rapporti di potere, da strutture sociali ingiuste”.
Le reazioni a Roccella – Anche le dichiarazioni della ministra Roccella, che a
margine della Conferenza ha negato la correlazione tra educazione
sessuo-affettiva e il lieve calo della violenza rivendicato dal governo, hanno
incontrato una ferma opposizione. Irene Manzi, responsabile nazionale scuola del
Pd, ha giudicato le sue affermazioni “fuorvianti e non supportate da un’analisi
seria dei dati”, specificando che “i percorsi di educazione alle relazioni, al
rispetto e al consenso sono una parte essenziale delle strategie di prevenzione,
non certo un orpello marginale”. Manzi ha inoltre criticato che richiamare la
Svezia in modo isolato “significa ridurre un tema complesso a un argomento
ideologico” e ha ribadito che “È sbagliato rappresentare l’educazione
sessuo-affettiva come un’operazione ideologica”.
Angelo Bonelli, parlamentare AVS e co-portavoce di Europa Verde, ha riassunto
così: “Benvenuti nel Medioevo!”. Aggiungendo che con le posizioni governative
“si deresponsabilizzano gli aggressori e si nega il carattere strutturale della
violenza di genere”. Maria Elena Boschi, presidente dei deputati di Italia Viva,
ha definito le parole dei ministri “Imbarazzanti”, concludendo che le donne “non
hanno bisogno di teorie ottocentesche, ma di leggi applicate, fondi certi,
centri antiviolenza sostenuti e una cultura del rispetto che si costruisce
proprio a scuola”. La senatrice M5s Sabrina Licheri ricorda che l’educazione
sessuo-affettiva che la ministra “ritiene inutile” è “raccomandata da OMS e
UNESCO per eradicare la violenza di genere. Sembra di essere ripiombati in un
racconto dell’Ancella, o nel peggior Medioevo”.
L'articolo “Nordio e Roccella imbarazzanti”. Opposizioni all’attacco dopo le
parole dei ministri sulla violenza di genere proviene da Il Fatto Quotidiano.
Gli interventi e le dichiarazioni rilasciate dal ministro della Giustizia, Carlo
Nordio, e dalla ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità,
Eugenia Roccella, in occasione della Conferenza internazionale di alto livello
contro il femminicidio che si è tenuta a Roma, hanno riacceso il dibattito sul
tema della violenza contro le donne e in particolare sul ruolo dell’educazione
sessuale e affettiva, suscitando immediate reazioni da parte delle opposizioni.
“Mi sono sempre chiesto, da modesto studioso anche di storia, come mai siamo
arrivati a questa prevaricazione continua, ininterrotta, secolare, millenaria,
dell’uomo nei confronti della donna: è una risposta se vogliamo un po’
darwiniana della legge del più forte”, ha detto il Guardasigilli. “Nei primordi
il solo criterio di superiorità era quello della forza fisica, muscolare, di cui
la natura ha dotato i maschietti in misura maggiore rispetto alle femminucce”.
Condizione che avrebbe portato a una “sedimentazione anche nella mentalità
dell’uomo, intendo proprio del maschio, che è difficile da rimuovere”.
Nonostante l’uomo oggi debba accettare “questa assoluta parità formale e
sostanziale nei confronti della donna, nel suo subconscio, nel suo codice
genetico trova sempre una certa resistenza”. Per Nordio serve intervenire “con
le leggi, con la repressione, con la prevenzione. Ma è soprattutto
sull’educazione, cercare di rimuovere dalla mentalità del maschio questa
sedimentazione millenaria di superiorità che si è tradotta e continua a tradursi
in atti di violenza”. Ha però precisato che “è necessaria l’educazione in
famiglia, fatta con l’esempio, prima ancora che con le belle parole: serve
un’educazione che cominci dall’infanzia e dalla famiglia”.
A mettere più nettamente in discussione l’educazione sessuo-affettiva, a partire
da quella di cui potrebbero occuparsi le scuole, è stata invece la ministra
Roccella, per cui è possibile “parlare di educazione sessuo-affettiva, ma
lateralmente” ha detto a margine della conferenza. “Se vediamo i Paesi dove da
molti anni è un fatto assodato, come per esempio la Svezia, notiamo che non c’è
correlazione con la diminuzione di femminicidi. La Svezia ha più violenze e più
femminicidi”. Ha quindi concluso che “non c’è una correlazione fra l’educazione
sessuale nella scuola e una diminuzione delle violenze contro le donne”. E
invitato a concentrarsi su “strumenti veramente efficaci se non vogliamo essere
ideologici nei confronti della violenza contro le donne”, per la quale, ha detto
la ministra, “c’è stata una piccola diminuzione”, indice che la strada
intrapresa dal governo “è quella giusta”.
“Imbarazzanti. Solo così si possono definire le parole di Nordio e Roccella. Il
ministro della Giustizia, che parla della violenza contro le donne come di una
‘tarà maschile, e la ministra per le Pari opportunità, che sostiene che
l’educazione non serva a contrastare i femminicidi, stanno insultando tutte
donne che ogni giorno chiedono rispetto e pari opportunità”, ha dichiarato la
presidente dei deputati di Italia Viva, Maria Elena Boschi. “Il governo Meloni?
Benvenuti nel Medioevo! Questi sono i ministri che governano l’Italia. Da chi
(Nordio, ndr) difende Gelli, capo della loggia massonica eversiva P2 che
proponeva la separazione delle carriere, alla ministra Roccella che non vuole
educare i giovani a scuola. E se non lo fa la scuola, chi dovrebbe farlo? La
strada?”, ha dichiarato Angelo Bonelli di AVS e co-portavoce di Europa Verde.
Per il M5s è “gravissimo che Nordio riduca la violenza di genere alla
sedimentazione genetica: è invece frutto di scelte tollerate”, hanno scritto in
una nota le parlamentari del Movimento 5 Stelle nella Commissione bicamerale di
inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere Stefania
Ascari, Anna Bilotti, Alessandra Maiorino e Daniela Morfino. Irene Manzi,
responsabile nazionale scuola del Pd, ha contestato Roccella, giudicando le sue
dichiarazioni “fuorvianti e non supportate da un’analisi seria dei dati”. Manzi
ha ribadito che i percorsi di educazione al rispetto e al consenso sono “una
parte essenziale delle strategie di prevenzione, non certo un orpello
marginale”. Concludendo che “è sbagliato rappresentare l’educazione
sessuo-affettiva come un’operazione ideologica”.
Sempre alla Conferenza di Roma, sulle iniziative legislative è intervenuta la
ministra per le Riforme Istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati.
“Insieme al ministro Roccella e al presidente Semenzato stiamo lavorando a un
testo unico sulla prevenzione e violenza di genere, per raccogliere in un
documento di immediata accessibilità tutte le norme esistenti a tutela delle
donne”. Casellati ha insistito poi sulla necessità di cambiare l’approccio
comunicativo dei media sui casi di violenza: “Parlare di ‘amore malato‘ è un
errore gravissimo, un’attenuante linguistica che diventa quasi una forma di resa
culturale. Non possiamo più permetterla. Non c’è amore dove c’è dominio”.
L'articolo Violenza sulle donne, Roccella: “Lieve calo, ma l’educazione non
c’entra”. E Nordio: “Dna dei maschi non accetta parità” proviene da Il Fatto
Quotidiano.