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Legge elettorale, il report riservato della destra: “Serve proporzionale con premio. Col sistema attuale rischi per la stabilità”
Uno studio riservato sulla legge elettorale che “sponsorizza” un modello proporzionale con premio di maggioranza, in quanto meno rischioso per la stabilità del futuro governo. A realizzarlo sono stati gli uffici parlamentari dei partiti di centrodestra, in vista della riforma del sistema di voto annunciata dalla maggioranza nelle ultime settimane, dopo le Regionali vinte dal centrosinistra in Puglia e in Campania. Il report, i cui contenuti sono stati pubblicati da Repubblica e Corriere della sera, si intitola “Analisi legge elettorale 2027” ed elabora tre simulazioni con modelli differenti: quello che “garantisce più stabilità”, si legge, è l’ultimo, un proporzionale con premio di maggioranza del 55% dei seggi a chi supera il 40% dei voti, con soglia di sbarramento fissata al 3%. La legge elettorale attuale, infatti, preoccupa il centrodestra in vista delle prossime Politiche: se l’opposizione corresse unita, potrebbe aggiudicarsi una buona parte dei collegi uninominali (che assegnano circa un terzo dei seggi totali) persi nel 2022 presentandosi divisa in tre (Pd e Alleanza Verdi e Sinistra, Movimento 5 Stelle, “Terzo polo” Azione-Iv). Proprio gli uninominali erano stati decisivi nel garantire la super-maggioranza in Parlamento alla coalizione di Giorgia Meloni, mentre nel proporzionale l’opposizione aveva ottenuto più seggi. Ora il quadro è molto cambiato: secondo una simulazione dell’Istituto Cattaneo basata sui risultati delle Regionali, il centrosinistra conquisterebbe 55 uninominali contro gli 89 del centrodestra, mentre cinque anni fa era finito con un impietoso 23 a 121. “È evidente che si corrono grandi rischi”, nota il dossier commissionato dalla maggioranza. L'articolo Legge elettorale, il report riservato della destra: “Serve proporzionale con premio. Col sistema attuale rischi per la stabilità” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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A che serve cambiare ora la legge elettorale? Meloni e i suoi all’assalto di Costituzione e Mattarella
Se la destra ha vinto le Regionali, come dicono loro, perché mai la presidente Meloni vuole cambiare subito la legge elettorale? In realtà hanno capito – più di alcuni esponenti del centro sinistra – che il “campo largo” può essere competitivo: nel Veneto, devono ringraziare Zaia che ha letteralmente regalato la vittoria ad una destra che in affanno persino a Venezia, dove si voterà per il nuovo sindaco. Di fronte alle difficoltà, la corte italiana di Trump tenta di imitare il capo e di cambiare legge elettorale e collegi prima del voto. Il loro cammino seguirà una mappa precisa: referendum contro la giustizia, in caso di vittoria legge elettorale e assalto finale alla Costituzione antifascista. Nel mirino ci sarà sempre il presidente Mattarella con l’intenzione di sbarrare la strada a qualsiasi intervento istituzionale. Il supremo arbitro va minacciato e azzoppato, ovviamente in senso figurato. Questo ci deve indurre a fermare l’assalto alla prima occasione utile. Le elezioni hanno lanciato un primo segnale. Ora bisognerà prepararsi, da subito, al referendum. Se quei 13 milioni che hanno già votato il quesito sull’articolo 18 dovessero decidere di tornare alle urne, tutto potrebbe accadere, anche una possibile vittoria. I sondaggi più seri, non quelli a tariffa, danno in vantaggio, sia pure lievemente, il No. Bisogna rafforzare questo dato e sapere che, se dovessero rimediare un’altra sconfitta, sarebbe la fine della controriforma della giustizia, dell’assalto alla Costituzione, delle leggi bavaglio, dell’autonomia differenziata, delle minacce contro il presidente Mattarella. Noi di Articolo 21 saremo in tutti i comitati referendari, sempre e comunque dalla parte della Costituzione antifascista. L'articolo A che serve cambiare ora la legge elettorale? Meloni e i suoi all’assalto di Costituzione e Mattarella proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Via gli uninominali. Proporzionale con premio di maggioranza: qual è la legge elettorale che vuole la destra e perché
“Non ci sono dogmi ma crediamo che serva una nuova legge elettorale per assicurare stabilità”. Mentre lo spoglio delle Regionali era ancora in corso, il responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, apre ufficialmente il nuovo scenario politico. La riforma elettorale è il nuovo obiettivo dei partiti di maggioranza. Il 2 a 1 venuto fuori dal voto – con la vittoria di Roberto Fico del M5s in Campania, del dem Antonio Decaro in Puglia e del leghista Alberto Stefani in Veneto – spinge la destra ad accelerare per avere una nuova legge elettorale per le Politiche. Da quanto trapela dalle dichiarazioni dei vari esponenti della maggioranza, l’accordo di massima c’è ed è su un sistema proporzionale con premio di maggioranza. Obiettivo principale eliminare i collegi uninominali, gli stessi che hanno permesso al governo Meloni di avere l’attuale maggioranza in Parlamento. PERCHÉ LA NECESSITÀ DI UNA RIFORMA ELETTORALE? Ma cosa è cambiato? E perché adesso la destra parla di cambiare la legge elettorale? Per Elly Schlein “hanno capito che con questa legge elettorale, avendo noi riunito faticosamente questa coalizione progressista, vinceremmo le prossime elezioni politiche”. “Hanno paura di perdere le elezioni”, le fa eco Angelo Bonelli di Alleanza Verdi-Sinistra. Rispetto alle Politiche del 2022, infatti, il centrosinistra si è presentato unito nelle competizioni elettorali regionali. Un aspetto che, con l’attuale legge, conta molto. Il Rosatellum, infatti, prevede l’assegnazione di 3/8 dei seggi (147 alla Camera e 74 al Senato) con metodo maggioritario, in collegi uninominali. L’assegnazione dei restanti 5/8 dei seggi (245 seggi alla Camera e 122 seggi al Senato) avviene con metodo proporzionale, in collegi plurinominali, tra le liste e le coalizioni di liste che abbiano superato le soglie di sbarramento. In pratica per il Senato vengono eletti nei collegi uninominali 74 senatori su 196. Mentre alla Camera i collegi uninominali sono invece 147 su 392 seggi. Il restante 2 per cento di seggi (8 deputati e 4 senatori) viene riservato al voto degli italiani residenti all’estero. COM’ERA ANDATA NEL 2022 Alle Politiche del settembre del 2022 l’intero centrodestra si presentava al voto unito. Il campo progressista era invece spaccato: c’era il Pd in coalizione con Avs e +Europa, il Movimento 5 stelle in solitaria, così come Azione e Italia via. Sommando i risultati, i partiti del centrosinistra hanno ottenuto più voti del centrodestra: così, nell’assegnazione dei seggi nella quota proporzionale alla Camera sono scattati 114 seggi al centrodestra mentre 128 ai partiti di opposizione. La vera maggioranza che ha portato Giorgia Meloni al governo è stata ottenuta nei collegi uninominali. Qui infatti ogni coalizione o lista (nel caso di corsa solitaria) presenta un unico candidato per collegio e viene eletto quello che ottiene più voti. Con la destra unita e il centrosinistra diviso in tre il risultato è stato evidente: 121 deputati sui 147 dei collegi uninominali sono andati al centrodestra mentre solo 22 ai partiti progressisti (12 alla coalizione Pd, Avs, +Europa e 10 al M5s). Discorso simile per il Senato (56 contro 10). E SE SI VOTASSE CON IL CAMPO PROGRESSISTA UNITO? L’Istituto Cattaneo ha provato ad elaborare una stima di ciò che potrebbe accadere alle elezioni politiche nazionali se il sistema elettorale rimanesse l’attuale legge elettorale e le performance del centrodestra e centrosinistra fossero simili a quelle registrate nel ciclo delle elezioni regionali svolte dal 2022 ad oggi. Con un centrosinistra unito e non più diviso come nel 2022, il conto dei seggi sarebbe molto diverso: “Se si considerano le intenzioni di voto attualmente stimate dai sondaggi, è assai plausibile che, in una competizione nazionale in cui il centrosinistra si presenti unito, centrosinistra e centrodestra otterrebbero percentuali di voti e un numero di seggi di entità quasi equivalente nella quota proporzionale”, sottolinea l’Istituto. Secondo i dati elaborati (tenendo in considerazione i voti ricevuti dai candidati a presidente di regione nelle tornate elettorali che si sono svolte dal 2023) l’Italia potrebbe presentarsi “di nuovo divisa in due, o meglio in 5: con il Nord e il Centro al centrodestra; la Zona rossa e le grandi regioni del Sud al centrosinistra; con Sicilia, Calabria e Sardegna come ‘campo di battaglia’“. E l’istituto ipotizza un potenziale “pareggio“. In pratica Meloni rischierebbe di non vincere, con i collegi uninominali che sarebbero contendibili a differenza del 2022. L’IDEA DELLA DESTRA: PROPORZIONALE CON PREMIO DI MAGGIORANZA “Con questa legge il rischio che nessuno abbia la maggioranza alle prossime elezioni esiste eccome: loro ne sarebbero felici, perché sarebbero prontissimi a fare un governo con tutti dentro, noi no. Noi vogliamo che chiunque vinca possa governare per 5 anni“, dice Donzelli. Ma quel è il sistema elettorale di riferimento? In questo contesto una legge sul modello Regionali “mi sembra decisamente la migliore”, spiega il meloniano. “Il premio di maggioranza è sicuramente una delle ipotesi allo studio. C’erano già leggi di questo tipo nel passato e sono state in parte superate dalla Corte Costituzionale non per il premio di maggioranza…”, aggiunge il presidente dei senatori di Fdi, Lucio Malan, che fa riferimento all’ultima legge proporzionale per le Politiche, il Porcellum, firmata dal leghista Roberto Calderoli con Silvio Berlusconi al governo, nel 2005. IL TATARELLUM È un altro esponente del partito di Meloni a citare un sistema elettorale attualmente utilizzato: “Il Tatarellum, il sistema elettorale regionale, simile a quello dei comuni, cioè un proporzionale con premio di maggioranza, resta la soluzione che più si avvicina a quell’equilibrio”, sottolinea il presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, Alberto Balboni. Negli scorsi mesi, da relatore in commissione del ddl sul premierato, Balboni era entrato di più nel merito, ipotizzando una soglia minima del 40%-42% dei voti per far scattare un premio di maggioranza che avrebbe potuto portare la coalizione vincente a ottenere circa il 55% dei seggi in Parlamento. La legge elettorale del 1995 che prende il nome dal promotore Giuseppe Tatarella, allora deputato di Alleanza Nazionale e già ministro, è quella che regola i sistemi elettorali regionali e fu ideata per imprimere una modifica in senso maggioritario e presidenziale al sistema di governo regionale in Italia (dove il presidente è eletto direttamente dai cittadini). Se questa è l’idea di Fdi per le Politiche, andranno poi studiati tanti altri aspetti, come il numero e l’estensione dei vari collegi elettorali. Elementi tecnici ma che sono anche molto rilevanti. IL PREMIERATO E LE PAROLE DI MATTARELLA Fdi pertanto è al lavoro per una nuova riforma elettorale parallelamente al premierato. Sul tema, la stessa Giorgia Meloni, a inizio ottobre ai microfoni di Porta a Porta, aveva fatto sapere di pensare soprattutto a una legge “che vada bene anche per il premierato e quindi con l’indicazione del premier sulla scheda. Il premierato va avanti – diceva allora – per questo non vale la pena fare una legge elettorale e poi farne un’altra dopo il referendum sul premierato”. C’è però un altro punto. A poche ore dallo scontro tra il Colle e Palazzo Chigi (dopo la polemica sul consigliere del Capo dello Stato), la Stampa riportava una dichiarazione di pochi giorni prima del presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’assemblea nazionale dell’Anci a Bologna. “Non possiamo accontentarci di una democrazia a bassa intensità e questa carenza non potrebbe in alcun modo essere colmata da meccanismi tecnici, che potrebbero, in qualche caso, aggravarla: la rappresentatività è un’altra cosa”, una considerazione parlando di astensionismo, “notata dalla dirigenza del partito di Meloni” e che viene letta quasi come un avvertimento. Intanto, però, la corsa alla riforma elettorale è ufficialmente iniziata e l’obiettivo sarebbe quello di portarla a casa entro il 2026. L'articolo Via gli uninominali. Proporzionale con premio di maggioranza: qual è la legge elettorale che vuole la destra e perché proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Meloni vuole modificare la legge elettorale perché sa di perdere”: Pd, 5 Stelle e Renzi respingono al mittente l’idea di Fdi
Il primo commento ufficiale, ieri, dopo i risultati delle elezioni regionali di Campania, Puglia e Veneto, da parte di Fratelli d’Italia è stato del responsabile organizzazione del partito guidato dal Presidente del consiglio Giorgia Meloni. Ed è parsa a molti sorprendente. Giovanni Donzelli ha sostenuto che “va fatta una riflessione sulla legge elettorale”, perché, “con il ‘Campo Largo’ unito, a differenza delle elezioni politiche 2022, se si dovesse votare oggi non ci sarebbe la stessa stabilità politica né in caso di vittoria del centrodestra né in caso di vittoria del centrosinistra”. Stabilità che “serve alla nazione”, ha spiegato Donzelli. “Lo vediamo con lo spread basso e con il giudizio sull’Italia delle agenzie di reating”. Le opposizioni rispediscono al mittente la proposta. Matteo Renzi dubita delle reali motivazioni di Fdi e del centrodestra. “Giorgia devi cambiare la Legge di bilancio non la Legge elettorale. Devi parlare di sicurezza, tasse e di stipendi non di collegi”. Per il leader di Italia Viva “è evidente che se il centrosinistra sta insieme Meloni perde – perché, con le opposizioni unite in coalizione – nei collegi, in due terzi del Paese, il centrodestra non tocca palla e non vede un collegio. Ora dicono cambiamo la legge elettorale”. E conclude: “Donzelli ricorda quel bambino quando in piazza perdeva la partita e diceva il pallone è mio e me lo porto via”. Dello stesso tenore la risposta che giunge dal Nazareno. La segretaria del Pd Elly Schlein sottolinea: “Non lo dico io, ma oggi ho letto su qualche giornale che con questa legge elettorale il 90% dei collegi del Sud andrebbero alla coalizione progressista”. Dunque, “il loro ragionamento parte dalla paura di perdere, perché hanno capito che noi, dopo aver faticosamente riunito questa coalizione, vinceremmo le prossime elezioni politiche e questa non mi sembra la miglior premessa per fare un cambio di regole”. Chi, e non da oggi, vorrebbe una modifica in senso proporzionale della legge elettorale è il Movimento 5 Stelle. Ma il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri mette subito in chiaro: “La nostra proposta è diversa da quella della destra” e comunque, sottolinea Silvestri, “finché vincevano loro e noi andavamo disuniti alle elezioni, le legge elettorale andava bene, oggi vogliono cambiare la legge elettorale perché sanno che non vinceranno”. Per i 5 Stelle la priorità è la Legge di bilancio. “Adesso si discute di salari, di imprese e famiglie” perché aprire ora un dibattito sulla riforma elettorale è “un’arma di distrazione di massa per non parlare del fatto che l’Europa ci dice che uno o due anni saremo il fanalino di coda, nonostante siamo il Paese che ha preso più soldi del Pnrr”. L'articolo “Meloni vuole modificare la legge elettorale perché sa di perdere”: Pd, 5 Stelle e Renzi respingono al mittente l’idea di Fdi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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