Una legge per contrastare gli “episodi di vera e propria apologia della
criminalità organizzata, in particolare di stampo mafioso”, che da anni si
susseguono “sotto varie forme”. Come, ad esempio, “gli ‘inchini’ dinanzi alle
residenze di personaggi legati alla malavita nel corso di processioni religiose”
o “la costruzione di altarini e monumenti in memoria di persone legate alla
malavita organizzata o mafiosa”. O, ancora, “serie televisive che mitizzano
personaggi reali o immaginari delle varie associazioni criminali di stampo
mafioso”. È sulla base di questi presupposti che la deputata di Fratelli
d’Italia Maria Carolina Varchi ha presentato una proposta per introdurre una
norma che prevede fino a tre anni di carcere e una multa da 10mila euro.
Il disegno di legge, che è stato depositato alla Camera lo scorso 14 ottobre e
assegnato alla Commissione II Giustizia di cui Varchi è capogruppo FdI, prevede
l’estensione dell’articolo 416 del codice penale e introduce il reato di
“apologia e istigazione” dei comportamenti mafiosi. La norma, se approvata, non
punirebbe soltanto chi “pubblicamente esalta fatti, metodi, princìpi o
comportamenti propri delle associazioni criminali di tipo mafioso”. Ma anche chi
“ne ripropone atti o comportamenti con inequivocabile intento apologetico ovvero
istiga taluno a commettere i medesimi delitti”.
È quest’ultimo passaggio, in particolare, a sollevare qualche dubbio. Formulata
in questo modo, la legge sembrerebbe esporre al rischio di sanzioni penali anche
opere artistiche, testi di canzoni e post sui social. È la stessa Varchi a
indirizzare la sua proposta di legge verso un’interpretazione di questo tipo. In
particolare quando, nella relazione introduttiva, inserisce le “serie televisive
che mitizzano personaggi reali o immaginari delle varie associazioni criminali
di stampo mafioso” e “i testi delle canzoni, che contengono messaggi espliciti
di esaltazione della malavita e della criminalità organizzata, attraverso la
glorificazione di figure o di episodi ad esse collegate” tra gli esempi di
“episodi di vera e propria apologia della criminalità organizzata”.
Secondo la deputata, infatti, queste condotte ad oggi “non configurano nel
nostro ordinamento alcun fatto penalmente rilevante” e necessitano quindi di una
norma ad hoc, dal momento che “l’indignazione, la condanna mediatica, la
stigmatizzazione e l’allarme sociale rimangono le uniche concrete risposte che
si registrano”. E chi commette il reato verrebbe punito con “la reclusione da
sei mesi a tre anni” e una multa che va dai mille ai 10mila euro. La pena può
aumentare di un terzo o della metà se il fatto è commesso attraverso stampa,
televisione, Internet o social.
A mettere in luce i possibili rischi interpretativi del disegno di legge è
Roberto Saviano, autore di Gomorra, che sul “Corriere della Sera” ha definito la
norma “legge Omertà”, perché, a suo avviso, “trasforma il racconto del crimine
in un sospetto penale senza intaccare il potere criminale, colpendo invece chi
lo osserva, chi lo racconta, chi lo rende intelligibile”.
Secondo l’analisi di Saviano, se questa legge passasse così com’è formulata
“solo i tribunali, solo le sentenze, solo i giudici e magari qualche politico”
potrebbero trattare pubblicamente il tema della criminalità organizzata. Mentre
qualsiasi altro prodotto culturale, come arte, letteratura, musica e cinema,
“diventa una zona grigia, potenzialmente criminale”, aggiunge. Per lo scrittore,
dunque, si tratta di una “gravissima censura mascherata da tutela morale”.
Insomma, la proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia, conclude Saviano,
“trasforma la cultura in una zona sorvegliata, la narrazione in un rischio
penale, il pensiero critico in un sospetto”.
L'articolo “Gomorra” e “Suburra” a rischio sanzione? Fratelli d’Italia presenta
un ddl contro chi “esalta” la mafia. Roberto Saviano tuona: “Censura mascherata
da tutela morale” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Fratelli d'Italia
Era molto atteso e le aspettative non sono andate deluse. Sala piena per
Giuseppe Conte intervistato da Tommaso Cerno ad Atreju, la festa di Fratelli
d’Italia, in corso a Castel Sant’Angelo a Roma. L’ex presidente del Consiglio
sulla separazione delle carriere e sui centri per i migranti in Albania viene
ripetutamente contestato. “Il governo vuole asservire i magistrati al governo di
turno” e “i centri in Albania non funzionano” le frasi più contestate dalla
platea.
L'articolo Atreju contesta Conte su separazione delle carriere dei magistrati e
i centri in Albania – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
La velocità con cui Alberto Stefani, nuovo governatore leghista del Veneto, ha
varato la prima giunta del dopo-Zaia non è sufficiente a dissipare nuvole e
criticità di un parto politico-amministrativo pur accompagnato da larghi sorrisi
al momento dell’annuncio, dato in conferenza stampa a Venezia. Il numero degli
incarichi aumenta, la Lega pareggia il conto delle poltrone grazie ad un paio di
“deleghe” specifiche, mentre i Fratelli d’Italia dimostrano di non essere
riusciti a proporre una candidatura di valore per la Sanità, posto che era loro
destinato dagli accordi preelettorali. In termini interni alla Lega si può dire
che il ministro Matteo Salvini piazza un proprio uomo di peso come il
sottosegretario Massimo Bitonci, ma Luca Zaia si consola tenendo in giunta la
sua ex vicepresidente. Quasi un pareggio.
GLI INCARICHI AUMENTANO DEL 50%
Nella giunta precedente gli assessori erano 8, adesso le poltrone sono diventate
12, 4 in più se si considera che ai 10 nuovi titolari si aggiungono due
consiglieri con delega speciale. Con qualche anomalia, perché Elisa De Berti
avendo già fatto due mandati non poteva diventare nuovamente assessore, ma per
lei si aprirà la prospettiva della nuova carica di sottosegretario. Gino Gerosa,
professore di cardiochirurgia dell’ospedale di Padova e cardiochirurgo di fama
internazionale, è il nome più prestigioso, anche se non è un politico, e si
occuperà di Sanità, un pacchetto che in bilancio vale quasi 11 miliardi di euro.
I LEGHISTI
La squadra della Lega (che a novembre ha ottenuto il 36,28 per cento dei voti)
avrà cinque nomi: il sottosegretario al ministero delle Imprese e del Made in
Italy Massimo Bitonci, ex sindaco di Padova, per Imprese, commercio, innovazione
e sburocratizzazione; la sindaca di Ponte di Piave, Paola Roma, per Sociale,
abitare e sport; l’ex sindaco di Orgiano, Marco Zecchinato, per Rapporti
internazionali, urbanistica e identità veneta. Vanno poi aggiunte De Berti che
mantiene – da consigliere delegato – le Infrastrutture, con l’aggiunta
dell’attuazione del programma di governo che le garantirà una presenza pressoché
costante in giunta. Ultima scelta è quella dell’insegnante vicentina Morena
Martini, per la promozione della partecipazione giovanile alla politica.
LA SQUADRA DI FDI
Sul fronte di Fratelli d’Italia (che alle elezioni hanno dimezzato i consensi
con il 18,69 per cento) troviamo, da vicepresidente, l’ex capogruppo Luca
Pavanetto (che avrà anche Turismo e Lavoro), mentre l’ex assessore Valeria
Mantovan si occuperà di Istruzione, formazione e cultura. Gli altri tre sono:
Dario Bond per Agricoltura, Politiche venatorie e aree montane, Filippo Giacinti
per il Bilancio e Diego Ruzza per Trasporti e mobilità. Chiude l’elenco Elisa
Venturini (Ambiente e protezione civile) che segna il ritorno in giunta di Forza
Italia.
LA SANITÀ TRA PUBBLICO E PRIVATO
La scelta del professor Gerosa alla sanità ha risolto molti dei problemi della
maggioranza. Fratelli d’Italia non è riuscita a produrre un nome di valore e
quindi si è vista sfilare l’assessorato di maggior peso a favore di un tecnico.
“È una scelta di altissima qualità” ha detto Stefani. Eppure si tratterà di
verificare se un’eccellenza chirurgica saprà far funzionare la macchina
amministrativa della sanità pubblica. “A mio giudizio si tratta di un
parafulmine per il potere politico, con una sanità sempre più sbilanciata verso
il privato: potranno sempre dire che le scelte saranno di natura tecnica”
commenta il neo consigliere Carlo Cunegato di Alleanza Verdi Sinistra. Il nome
di Gerosa ha coperto il vuoto propositivo dei Fratelli d’Italia, che avevano
ottenuto il boccone più ghiotto, forti della supremazia elettorale alle Europee
2024, anche se poi sono stati ribaltati dalla Lega. La Sanità è così stata
sfilata dall’elenco degli assessori meloniani, che sono tuttavia rimasti cinque.
La continuità con il passato zaiano potrebbe essere garantita per la Lega dalla
presidenza della Commissione salute, nel caso fosse affidata all’ex assessore
Manuela Lanzarin.
SALVINI PIAZZA BITONCI
La scelta di Gerosa ha comportato la riduzione per i leghisti a soli tre
assessorati, che si sono rifatti con le due consigliere delegate, mantenendo il
controllo delle Infrastrutture. La lettura politica mostra come Stefani, già
plenipotenziario di Matteo Salvini in Veneto, accentui il controllo del
segretario federale sulla Regione. La scelta di Bitonci, che lascia il governo
nazionale, è un evidente contrappeso allo strapotere elettorale di Zaia, che ha
ottenuto 200 mila preferenze, un modo per girare pagina rispetto ai tre mandati
dell’ex governatore. Quest’ultimo verrà probabilmente eletto presidente del
Consiglio regionale la prossima settimana, anche se poi potrebbe optare per
finire in Parlamento al posto di Stefani o di Bitonci quando si terranno le
elezioni suppletive.
SOCIALE E AUTOSTRADE
Presentando la giunta, Stefani ha sottolineato di aver puntato sulla “qualità”
degli assessori e sulla loro competenza amministrativo. Ha annunciato di voler
puntare sugli interventi sociali e a favore della popolazione anziana, il che
spalanca prospettive inedite in materia di case di riposo e di assistenza alla
popolazione sempre più vecchia. Ha però anche fatto capire come le
infrastrutture subiranno un’accelerazione. Ad esempio il controverso progetto di
far proseguire verso Trento l’autostrada Valdastico è stato indicato come uno
dei punti del programma. “Ho già incontrato il presidente del trentino Maurizio
Fugatti e a gennaio andremo al Ministero delle infrastrutture a discutere della
Valdastico e di una holding autostradale a Nordest”. Affari e cantieri, come nel
caso delle Olimpiadi Milano Cortina 2026, l’eredità di Zaia che non è stata
nemmeno citata.
L'articolo Veneto, Stefani presenta la sua giunta: alla Sanità il cardiochirurgo
Gerosa. E da Roma arriva il sottosegretario Bitonci proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Bagarre a Tagadà (La7) tra Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino per
Repubblica, e l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, sulla
situazione della guerra in Ucraina e sugli aiuti europei. Mastrobuoni si
sofferma sulla decisione della Ue di rendere indefinito il congelamento dei 210
miliardi di euro di asset russi: se prima le sanzioni dovevano essere rinnovate
ogni 6 mesi all’unanimità (col rischio di veto da parte di paesi come Ungheria e
Slovacchia, più vicini a Mosca), ora restano congelati finché la Russia non
termina la guerra e paga i danni all’Ucraina.
La giornalista aggiunge: “Quando ci sarà il voto il 18 dicembre, ovviamente si
litigherà, ma c’è sempre un piano B che ha formulato Ursula von der Leyen la
settimana scorsa. Purtroppo nessuno ne parla e anche l’Italia e il governo sono
troppo stupidi per parlarne, perché per il governo italiano sarebbe l’ideale,
cioè 90 miliardi in due anni finanziati con eurobond e garantiti dal bilancio
europeo”.
Quando prende la parola, Fidanza commenta le parole di Mastrobuoni: “Al di là
degli epiteti abbastanza incommentabili della Mastrobuoni, il governo è
assolutamente presente al tavolo europeo con una bussola che è sempre la stessa:
quella di rendere compatibili gli impegni per l’Ucraina con il nostro interesse
nazionale, perché tra le varie proposte che sono sul tavolo a Bruxelles in
queste ore, ce ne sono alcune che non sarebbero del tutto poco gravose
potenzialmente per l’Italia”.
Mastrobuoni lo interrompe più volte: “Ma non ho detto che non siete al tavolo
europeo. Lei non ha capito niente, mi mette in bocca parole che non ho mai
detto”.
“Allora forse è un problema di ritorno dell’audio – replica Fidanza mentre la
giornalista si dimena – Ho sentito la parola ‘stupido’, forse ho sentito male.
Però vorrei terminare, poi lei chiarisce. Se ho sentito male, mi fa piacere se
lo smentisce, ma la prego di non interrompermi”.
La polemica esplode quando Mastrobuoni ha la parola: “Non ha capito una sola
parola di quello che ha detto. Le mie parole, che lei definisce
‘incommentabili’, non le ha proprio capite”.
Fidanza insorge: “Si sente molto male. Non è che non capiamo, il suo
collegamento fa schifo. Forse è lei che dovrebbe capirlo”.
“Sì, sono comunista – ribatte la giornalista – quindi il collegamento fa
schifo”.
“Lei deve dare sempre lezioni, come tutti quelli di Repubblica – rilancia
l’europarlamentare – Ci date lezioni anche quando non funziona il collegamento,
date sempre lezioni di vita. Siamo stufi delle vostre lezioncine“.
“Ha finito? – controbatte Mastrobuoni – Stia calmo e si prenda la pillolina
rossa. Lei non ha capito nulla di quello che ho detto”.
E Fidanza protesta nuovamente: “Certo, perché sono stupido, mentre voi di
Repubblica siete degli illuminati”.
“Sì, esattamente – risponde Mastrobuoni – È stupido lei ed è stupido il
governo“.
“Noi di destra abbiamo l’anello al naso – replica il politico – non capiamo
niente e aspettiamo Repubblica che ci spieghi la vita”.
“Sì, lei ha l’anello al naso ed è anche molto maleducato“, replica la cronista.
“No, è lei una cafona – risponde Fidanza – Si vergogni, lei non può dare lezioni
a nessuno”.
“Maleducato, si vergogni lei”, replica Mastrobuoni.
“Esca dal suo salotto”, rilancia Fidanza.
“Ma la smetta – insorge la giornalista – Nel salotto ci sta lei che guadagna
15mila euro al mese, ma stia zitto e taccia. Lei non ha capito nulla”.
“Non faccia la demagoga e si vergogni – urla Fidanza – Io sono stato votato da
decine di migliaia di persone. A lei chi l’ha mai votata?”.
L'articolo Lite Fidanza-Mastrobuoni su La7: “Si vergogni, cafona. Esca dal
salotto”. “Taccia maleducato, lei prende 15mila euro al mese” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
“La stabilità politica e di governo degli ultimi anni ha permesso all’Italia di
essere percepita come un attore affidabile“. Per la prima volta dal 2021 –
quando era ministro degli Esteri nel governo Draghi – Luigi Di Maio parteciperà
venerdì a un dibattito sui temi intrernazionali ad Atreju, la festa di Fratelli
d’Italia a Roma. E ne approfitta per adulare il governo di Giorgia Meloni in
un’intervista al Corriere della sera: “Essere italiani, da rappresentanti delle
istituzioni in Medio Oriente, è un valore aggiunto grazie alla postura assunta
dal nostro Paese nelle principali crisi regionali”, dice l’ex leader ed enfant
prodige del Movimento 5 stelle, ora inviato speciale dell’Unione europea nel
Golfo Persico.
Di Maio nega di aver mai avuto simpatie a destra (“Erano di mio padre”), ma
sottolinea di aver “apprezzato molto” l’invito del coordinatore di FdI Giovanni
Donzelli e della capo segreteria Arianna Meloni, nonché di trovarsi “in piena
sintonia” con gli altri relatori del suo panel: gli ex ministri degli Esteri
Marco Minniti e Giulio Terzi, il presidente del Copasir Lorenzo Guerini
(dell’ala “riformista” del Pd) e il deputato meloniano Salvatore Caiata. Nega di
voler passare a Forza Italia (“Anche se Tajani sta facendo un lavoro
importante”) e non rinuncia a lanciare una stoccata al suo ex “nemico”, il
presidente M5s Giuseppe Conte, in polemica col quale lasciò il partito: “La
differenza la fa sempre il leader”, risponde alla domanda sul perché il
Movimento abbia perso consensi dopo aver raggiunto il 33%, a differenza di
Fratelli d’Italia stabilmente intorno al 30%.
L'articolo Di Maio torna ad Atreju: “Con Meloni l’Italia è affidabile”. E
attacca Conte: “Tra M5s e FdI la differenza è il leader” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tra gli ospiti di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, incorso a Roma, oggi è
stata la volta di Roberto Fico, neo Presidente della Regione Campania.
L’esponente del Movimento 5 Stelle venne ad Atreju già nel 2018 in veste di
Presidente della Camera dei Deputati. Gli chiediamo in questi sette anni è
cambiato più il Movimento, Fratelli d’Italia o il Paese? “Io agli inviti ho
sempre risposto, parlare di una tematica come i fondi di coesione anche in un
luogo che non risponde alle mie idee politiche, non c’è problema”. Rivolgiamo la
stessa domanda a Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli
d’Italia. “Parta rei, tutto cambia. Fratelli d’Italia è un po’ più grande del
2028 però dipende dagli italiani come sempre”.
L'articolo Fico torna ad Atreju dopo 7 anni: “Agli inviti ho sempre risposto”.
Il saluto con Donzelli proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi”. Parole che
Giorgia Meloni aveva detto lo scorso 25 settembre nel suo intervento a Fenix, la
festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione sui post contro
Charlie Kirk. Alla lista di insulti e minacce che la leader di Fratelli d’Italia
ha ricevuto in passato oggi se ne aggiunge un’altra. Una scritta in vernice
rossa con la frase “Spara a Giorgia”, accompagnata da una stella a cinque punte
e dalla sigla “BR”, è apparsa sul muro di un hotel affacciato su viale Roma, a
Marina di Pietrasanta, in Versilia. Un richiamo alle Brigate Rosse, con un
tratto piuttosto incerto – che ha immediatamente fatto scattare l’allarme e
l’intervento delle forze dell’ordine. La polizia del commissariato di Forte dei
Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta
verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso
l’autore o gli autori del gesto.
La scritta è stata denunciata sui social da Giovanni Donzelli, responsabile
organizzazione di Fratelli d’Italia, che ha pubblicato la foto del muro
segnalando un grave atto di intimidazione a sfondo politico. “Solidarietà a
Giorgia – ha scritto riferendosi alla premier Meloni –. Il linguaggio di odio di
certa sinistra fa guadagnare qualche ospitata televisiva e molti like, ma
rischia di fomentare i facinorosi e far ripiombare l’Italia in un clima che non
vorremo mai più rivivere. Giorgia non si farà intimidire. Non ci fermeremo”.
Anche il partito della premier, Fratelli d’Italia, ha diffuso una nota parlando
di “minacce al Presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima
prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare”. Il messaggio
diffuso sui social ribadisce che “la violenza si argina isolando i facinorosi,
non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra,
ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai
intimidito”. Solidarietà alla presidente del Consiglio è arrivata anche dalla
Lega, con le parole del deputato e commissario toscano Andrea Crippa: “Una frase
aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna
unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere
minimizzato”.
Sulla stessa linea Maria Grazia Frijia, deputata di Fratelli d’Italia, che
definisce l’episodio un “salto di qualità nel linguaggio dell’odio, da troppo
tempo tollerato”. Frijia sottolinea che “chi arriva a invocare violenza contro
le istituzioni della Repubblica dimostra di non avere rispetto né per la
democrazia né per il confronto civile”. E aggiunge: “È necessario che tutte le
forze politiche condannino senza ambiguità questi comportamenti. La forza della
democrazia sta nella fermezza, nella legalità e nella capacità di isolare chi
semina odio”.
Durissima anche la presa di posizione dell’Osservatorio Nazionale Anni di Piombo
– per la verità storica, che parla di “atto infame” e di un gesto che “evoca la
stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche”.
L'articolo Minacce alla premier Meloni, scritta “Spara a Giorgia” e accanto la
stella a cinque punte delle Brigate rosse proviene da Il Fatto Quotidiano.
Fratelli d’Italia è andata in tilt sulla cannabis light, priva di effetti
stupefacenti. Dopo averla messa fuorilegge con il decreto sicurezza,
equiparandola alle droghe, un emendamento alla legge di Bilancio del meloniano
Matteo Gelmetti ne voleva affidare la gestione all’Agenzia delle dogane e dei
monopoli, con una supertassa al 40%. Come le sigarette. Un drastico cambio di
rotta: dal divieto alla regolamentazione delle vendite, sotto l’egida dello
Stato, poiché l’Agenzia è un ente pubblico controllato dal ministero
dell’Economia. Dopo che giovedì la notizia è uscita sul fattoquotidiano.it, il
partito di Giorgia Meloni prima ha rivendicato la proposta, poi ne ha annunciato
il ritiro. Due sbandate in meno di 24 ore.
L’EMENDAMENTO
Per capire le ragioni della doppia retromarcia abbiamo chiesto lumi all’autore
dell’emendamento. “La volontà è di ritirarlo, ma non ho ancora iniziato l’iter
parlamentare perché ora sono a Verona”, dice Gelmetti: “Nel partito c’è una
discussione in corso, ma non è ancora il momento di fughe in avanti”. Il
senatore FdI tuttavia non intende mollare la presa: “Di sicuro la discussione
andrà avanti e le frizioni sono naturali per arrivare alla sintesi. Bisogna
aspettare il tempo della maturazione, come per il frutto, anche se per la canapa
parliamo di fiore”. Alla cannabis light, secondo Gelmetti, Meloni non si sarebbe
neppure interessata, secondo Gelmetti: “La premier affronta questioni
importantissimi per i destini della nazione, questo dossier non è neppure giunto
sulla sua scrivania”. Sul tavolo di Alfredo Mantovano, invece, il “fascicolo
light” è presente già da tempo. Il 18 luglio, ad un evento romano contro le
mafie, il braccio destro di Meloni a capo del dipartimento antidroga di palazzo
Chigi tuonava: “Nulla contro la canapa, ma con la cannabis cosiddetta light sì”.
Il motivo? “Non si può vendere droga nei supermercati o nei negozi come se si
vendessero caramelle”. Abbiamo chiesto a Gelmetti con quali esponenti del suo
partito ha condiviso il suo emendamento, ma il senatore non ha voluto fare nomi.
LA DOPPIA SBANDATA DI FDI: PRIMA RIVENDICA, POI ANNUNCIA IL RITIRO
Intanto, lo sgomento si è diffuso tra gli addetti ai lavori, sull’onda della
proposta targata FdI: ma come, la cannabis light non era droga secondo il
governo? Meglio tardi che mai, auspicavano le aziende, con il legittimo sospetto
che l’emendamento sarebbe evaporato presto. Invece nel pomeriggio l’ufficio
stampa dei senatori di Fratelli d’Italia ha diramato un comunicato rivendicando
la proposta, con l’obiettivo di “contrastare la diffusione e la vendita di
prodotti a base di cannabis light”. Nessuna accenno al decreto sicurezza e al
divieto delle infiorescenze della canapa, bandite come sostanze stupefacenti:
“La proposta emendativa non nasconde alcuna volontà occulta di legalizzazione di
questi prodotti, come sostenuto da alcuni, ma l’esatto contrario. Sono in corso
interlocuzioni con i ministeri competenti per stabilire quale sia la strada
migliore per contrastare questo business”. L’emendamento classificava la
cannabis light come prodotto da fumo. Al pari delle sigaretta, il mercato del
fiore verde sarebbe stato affidato alla regolamentazione dell’Agenzia della
dogane e dei monopoli. Ma l’euforia, nella filiera, è durata un soffio. Poco
dopo fonti parlamentari lasciavano filtrare alle agenzie: “l’emendamento sarà
ritirato”. In attesa che Gelmetti avvii la pratica di ritorno da Verona, le
opposizioni si sono scatenate contro “l’indecente balletto” sulla cannabis.
Neppure sotto effetto di stupefacenti, scherza qualche buontempone, si toccano
tali vette di confusione. “Dopo tutta la guerra ideologica contro il settore,
questo governo non meritava di creare una legge per regolare la canapa ”, il
commento amaro di Federcanapa. Ora alla filiera non resta che sperare nelle
sentenze della magistratura: “Aspettiamo il giudizio della Corte di Giustizia
europea e della Corte Costituzionale, che erano da subito gli unici metri per
riportare in chiaro il settore”, aggiunge la Federazione.
L'articolo Fratelli d’Italia in tilt sulla cannabis light: dopo averla vietata
firma una proposta per rilegalizzarla. Ma poi la ritira proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Il 14 ottobre erano partite, in batteria, le dichiarazioni indignate di
dirigenti e parlamentari di Fratelli d’Italia che parlavano di “parole
gravissime” e di “propaganda pro-Palestina”. Gli stessi dirigenti del partito di
Giorgia Meloni in vigilanza Rai avevano presentato un’interrogazione
parlamentare per chiedere conto alla televisione pubblica. I giornali di destra
il giorno successivo avevano fatto titoli emblematici: “Il delirio dell’inviato
del Tg3”, scriveva Libero. Oggi, due mesi dopo, è la stessa Rai a spiegare nero
su bianco che il giornalista Jacopo Cecconi durante la sua cronaca fuori dallo
stadio Friuli di Udine tra Italia e Israele non abbia mai parlato di
“eliminazione” dello Stato ebraico ma, anzi, che abbia fatto il suo lavoro
correttamente: le sue parole sono state “estrapolate” dal discorso creando un
caso dove non c’era perché si riferiva solo al calcio e non alla guerra.
A dirlo sono gli stessi vertici della Rai rispondendo all’interrogazione degli
esponenti meloniani in vigilanza Rai, a prima firma di Francesco Filini,
responsabile del programma di FdI e vicinissimo al sottosegretario alla
presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari. Nella loro interrogazione i
meloniani riportavano solo una parte dello speech di Cecconi: “L’Italia avrà la
possibilità di eliminare Israele almeno sul campo, vincendo”. Espressione che,
secondo gli esponenti di FdI in Vigilanza, “per il suo evidente riferimento al
drammatico contesto internazionale e per la delicatezza del momento storico, è
apparsa gravemente inopportuna e suscettibile di essere interpretata come un
messaggio di ostilità nei confronti dello Stato di Israele e del suo popolo“. Da
qui la richiesta alla Rai di prendere le distanze e soprattutto di prendere
“provvedimenti” nei confronti del responsabile del servizio.
Peccato che Viale Mazzini ora spieghi che non sia andata proprio così. E lo
scrive nella risposta all’interrogazione depositata mercoledì in commissione di
Vigilanza. Nell’atto i vertici della Rai ricostruiscono l’accaduto spiegando che
nell’edizione delle 19 del 14 ottobre Cecconi, collegato da Udine alla vigilia
della partita Italia-Israele “raccontava in diretta, mentre alle sue spalle
sfilava il corteo, la protesta Pro Pal di chi sosteneva che la partita di calcio
Italia-Israele non dovesse giocarsi perché la squadra di Tel Aviv avrebbe dovuto
essere esclusa a tavolino dai Mondiali”.
Poi la Rai riporta testualmente tutto l’intervento di Cecconi: “Da questa piazza
arriva il messaggio che queste persone ritengono che la partita non si dovesse
giocare, che Israele dovesse essere esclusa dalle manifestazioni o che la FIGC
si rifiutasse di scendere in campo. Allo stadio, che si trova a 4-5 chilometri
da qui, ci saranno 10 mila persone, circa la metà della capienza. L’Italia ha la
possibilità di eliminare Israele almeno sul campo, vincendo”. Uno speech
piuttosto chiaro senza alcun riferimento alla guerra in corso a Gaza. “Questa
frase della durata di 26 secondi, sui social è stata tagliata e ridotta agli
ultimi otto secondi: ‘L’Italia ha la possibilità di eliminare Israele almeno sul
campo, vincendo’ – continua la Rai –. Purtroppo, la riduzione della frase e la
sua estrapolazione dal contesto possono aver generato un fraintendimento,
favorendo l’attribuzione di un significato estraneo alla volontà del giornalista
o ad affermazioni di contenuto politico”.
Ma non è così, secondo viale Mazzini: “Nella sua versione integrale – si legge
nella risposta – è evidente come Jacopo Cecconi si riferisse esclusivamente al
risvolto calcistico della vicenda, senza alcun riferimento o allusione
all’eliminazione dello Stato di Israele”.
L'articolo La Rai sconfessa FdI e difende il cronista che disse: “L’Italia può
eliminare Israele, almeno sul campo”. “Frase estrapolata” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Da droga a monopolio di Stato: Fratelli d’Italia ingrana la retromarcia sulla
cannabis light. Dopo il bando imposto dal decreto sicurezza, con aziende della
canapa colpite da sequestri e imprenditori a rischio galera, il partito di
Giorgia Meloni vorrebbe affidare le infiorescenze all’Agenzia delle dogane e dei
monopoli, come le sigarette. Lo propone un emendamento alla Manovra firmato dal
meloniano Matteo Gelmetti. Chissà cosa ne pensa il sottosegretario di palazzo
Chigi Alfredo Mantovano, braccio destro della premier, primo sponsor del divieto
per la cannabis light. Solo il 25 luglio aveva dichiarato: ”I produttori di
canapa (…) non possono vendere droga nei supermercati o nei negozi come se si
vendessero caramelle”. Invece la “droga” sarà venduta eccome, come monopolio di
Stato negli odiati (dalle destre) cannabis shop, qualora andasse in porto la
proposta del Fratello d’Italia Gelmetti. Gli indizi sono positivi: l’emendamento
alla legge di Bilancio ha già superato il primo vaglio di palazzo Chigi. Una
sterzata talmente vistosa da rasentare la “schizofrenia” politica. Per anni la
destra ha urlato un’equazione sballata, Salvini in testa: cannabis light uguale
droga. E ora l’inversione a “U”.
L’EMENDAMENTO DI FRATELLI D’ITALIA, I DUBBI: “CANNABIS LIGHT REGALATA ALLE
MULTINAZIONALI STRANIERE”
La proposta del senatore meloniano affida la distribuzione del fiore della
canapa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli. La light – classificata come
prodotto da fumo – potrà essere venduta, con una supertassa del 40 per cento sui
marchi di produzione, solo da tabaccai e negozi specializzati. Ovvero i cannabis
shop: per essere autorizzati devono solo garantire la prevalenza dei prodotti
con quel livello di tassazione. L’emendamento inoltre vieta la pubblicità e la
vendita a distanza.
Le associazioni della canapa sono ben liete dell’iniziativa: dopo anni spesi
dalla destra a criminalizzare il settore, si volta pagina. Tuttavia auspicano
correzioni all’emendamento. Così com’è, la proposta Gelmetti rischia di regalare
la cannabis light alle multinazionali estere mettendo in ginocchio le piccole e
medie imprese italiane. Doppio smacco per Fratelli d’Italia: il business della
“droga” (copyright di Alfredo Mantovano) ceduto allo straniero. “E’ successo la
stessa cosa con il tabacco e le sigarette”, dice al fattoquotidiano.it Raffaele
Desiante, della sigla Imprenditori canapa Italia. “La tassazione al 40 per cento
è sostenibile solo dai colossi, gli unici a poter lavorare in perdita, è
accaduto lo stesso con le sigarette”, ammonisce l’addetto ai lavori. Che
predilige l’altro modello, quello dei liquidi per le sigarette elettroniche: in
tal caso l’accisa è in valore assoluto, non una quota percentuale sull’unità di
prodotto. Risultato? “Sono fiorite tante piccole aziende italiane nel mercato
e-cig, non c’è Big Tobacco a divorare i pesci piccoli”.
REGOLAMENTARE O VIETARE? IL BIVIO DEL GOVERNO CON LA CORTE COSTITUZIONALE
ALL’ORIZZONTE
Desiante accoglie positivamente l’emendamento, ma non sono chiare le chance di
sopravvivenza. Nei prossimi giorni il governo esprimerà i pareri sulle modifiche
alla Manovra e allora si scoprirà il destino della cannabis light. Gelmetti ha
già ingranato la retromarcia su un altro emendamento alla legge di Bilancio, per
proporre un giro di vite sul diritto di sciopero: proposta ritirata. Il bis
sulla canapa è plausibile, ma non è detta l’ultima parola. Le aziende sperano
nel ravvedimento del governo, mentre il bando il fiore al fiore rischia di
essere spazzato via dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia
europea. Alla Consulta si è rivolta un giudice di Brindisi, per un sequestro di
cannabis light a danno di un’azienda. Alla Corte di Lussembergo si è appellato
il Consiglio di Stato. Una doppia minaccia pende sul decreto sicurezza, bandiera
del governo Meloni: abbastanza da indurre palazzo Chigi sulla via della
regolamentazione della canapa, abbandonando il divieto e l’equivalenza con le
sostanze stupefacenti. Un principio sovente rifiutato anche dai magistrati, con
sequestri di canapa annullati e indagini archiviate. Malgrado le critiche alla
supertassa del 40 per cento, Raffaele Desiante promuove il principio alla base
dell’emendamento: “Il percorso è ancora lungo, ma sarebbe una buona notizia se
Fratelli d’Italia abbracciasse l’dea di regolamentare la cannabis light, invece
di vietarla”. In attesa della diagnosi sul partito della premier: schizofrenia,
senatore cane sciolto, o ravvedimento operoso sulla canapa?
L'articolo Cannabis light, giravolta Fratelli d’Italia: da “droga” a monopolio
di Stato. Ecco l’emendamento del senatore Gelmetti proviene da Il Fatto
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