Dopo la morte di un ragazzo a Milano, il governo lancia l’allarme della cannabis
light contaminata con il pericoloso cannabinoide chimico Mdmb-pinaca. Eppure,
invece di stabilire regole e controlli sul prodotto, si procede con sequestri,
arresti e denunce a danno degli imprenditori. “In Europa sono già stati
segnalati casi di intossicazione grave e letale e, di recente, un decesso per
suicidio avvenuto in Italia è stato collegato al consumo di prodotti contenenti
questa sostanza”, ha ammonito il Sistema nazionale di allerta rapida per le
droghe. “L’Mdmb-pinaca può essere presente in infiorescenze, resine o prodotti
venduti come cannabis ‘light’ e non è possibile riconoscerne la presenza a
vista”, l’avvertimento conclusivo del dipartimento Antidroga di palazzo Chigi.
REPRESSIONE AL POSTO DEI CONTROLLI: L’EMENDAMENTO PER REGOLAMENTARE IL SETTORE
BOCCIATO DA FDI
Sostanze sintetiche, preparate in laboratorio, ce ne sono a centinaia nel
mercato nero, per imitare gli effetti del Thc amplificandoli oltre ogni misura.
Servono anche ad “irrorare” la canapa legale donandole effetti psicotropi:
reperirli online con un motore di ricerca non è difficile. Ma il governo Meloni
ha già scelto la soluzione: chiudere tutti i cannabis shop, bollando come droga
(grazie al decreto Sicurezza) anche la cannabis light naturale, certificata,
priva di effetti psicotropi. Eppure, la via alternativa Fratelli d’Italia ce
l’ha in casa: regolamentare il settore imponendo analisi di laboratorio prima
della vendita nei negozi. È la proposta del senatore meloniano Matteo Gelmettto,
contenuta in un emendamento alla Manovra, subito bocciato dal suo partito.
Perché la repressione è il sentiero già imboccato: la settimana scorsa, in pochi
giorni dopo il drammatico suicidio del ragazzo, le associazioni delle imprese
hanno contato 60 sequestri, con arresti e denunce per detenzione di
stupefacenti. Nei mesi precedenti invece erano finiti nel mirino i coltivatori
della canapa. Le forze dell’ordine, in diversi casi, agiscono senza neppure
verificare la soglia del Thc: l’unico indicatore di un concreto effetto
stupefacente.
GLI IMPRENDITORI AVVISANO IL GOVERNO GIÀ NEL 2023
Eppure, gli imprenditori già due anni fa avevano lanciato l’allarme sui rischi
della canapa contaminata con sostanze chimiche, invocando controlli lungo la
filiera. Era il 2023, quando apparvero i primi casi della pianta adulterata con
il cannabinoide chimico Hhc, realizzato in laboratorio. Al tempo era una
molecola legale. “Altamente stupefacente, ma presente nella pianta in quantità
così piccole, che servirebbero tonnellate di canapa per estrarne dosi
apprezzabili”, dice a ilfattoquotidiano.it Raffaele Desiante, dell’associazione
Imprenditori canapa Italia (IcI). Molto più economico e vantaggioso, per i
criminali, produrre Hhc in laboratorio e “spruzzarlo” alla bisogna sulla canapa
legale. Il 25 maggio 2023, sui rischi della cannabis light contaminata, Ici
presentò una nota ai centri Nas di Milano, Roma e Napoli. Ma anche ai ministeri
degli Interni e della Salute. Fu gentilmente ringraziato via mail, perché il
problema era già noto alle autorità. Il 13 luglio 2023 l’Hhc e i suoi derivati
chimici furono dichiarati illegali e inseriti nella tabella degli stupefacenti.
Ma da allora centinaia di cannabinoidi sintetici sono fioriti nel mercato nero e
acquistarli è tutt’altro che ostico.
LE AZIENDE CHIEDONO I CONTROLLI E SOSTENGONO L’EMENDAMENTO FDI
La legge tuttavia non impone controlli sulle sostanze chimiche, per la cannabis
light in vendita: basta certificarne la genetica e il livello di thc, senza
ulteriori verifiche. Del resto è logico: il governo – unico in Europa – ha messo
fuori legge il fiore della canapa legale. Dunque che senso avrebbe regolamentare
un settore illecito? Il risultato è che gran parte dei negozi resta aperto,
resistendo a sequestri e denunce, in attesa che la Corte Costituzionale o la
Corte di Giustizia europea spazzi via il decreto Sicurezza. Intanto, nei negozi
giungono lotti di cannabis light privi di controlli obbligatori sugli agenti
chimici. Sono gli imprenditori, in certi casi, a garantire l’assenza di sostanze
sintetiche con analisi di laboratorio ad hoc. L’associazione Canapa sativa
Italia ha diffuso un vademecum sul suo sito, dopo l’allarme duramato dal
governo. Al primo punto, più controlli sul prodotto per rassicurare i clienti.
“Rafforziamo le indicazioni operative su tracciabilità e controlli:
documentazione di lotto, analisi riferite al lotto, fatture/DDT, registri di
carico/scarico, verifica fornitori”, scrive l’associazione delle imprese.
La filosofia degli imprenditori è avere tutte le carte in regola, da mostrare
agli agenti in caso di sequestri e denunce. Dunque i controlli sulla cannabis
light sono un atto di difesa dalla repressione del governo, non un obbligo di
legge per la tutela della salute pubblica. Eppure, di verifiche ce ne sarebbe
bisogno. “Noi le chiediamo almeno dal 2019”, dice Desiante, “per questo
sosteniamo la proposta del meloniano Gelmetto, bocciata dai suoi stessi colleghi
di FdI”. Cosa diceva l’emendamento promossa dagli imprenditori? Cannabis light
classificata come “prodotto da inalazione”: prima di arrivare sugli scaffali dei
negozi, ogni lotto dovrebbe ottenere il “bollino” dell’Agenzia delle dogane e
dei monopoli. Così si eviterebbe il rischio di vendere al consumatore prodotti
contaminati. Nessun dubbio che i cannabinoidi sintetici siano una minaccia,
letale in certi casi.
OLTRE 200 I CANNABINOIDI SINTETICI
“Dal 2017 a oggi, il sistema di allerta europeo ha identificato oltre 200
varianti di cannabinoidi sintetici, spesso venduti come ‘erbe naturali’ o
‘cannabis legale’”, dice a ilfattoquotidiano.it il dottor Carlo Privitera,
specializzato nella cannabis terapeutica. Gli effetti possono essere devastanti,
come nel caso della molecola Mdmb-Pinaca: “si lega ai recettori CB1 e CB2 del
cervello come il Thc – dice Privitera – ma con un’intensità molto più elevata,
con effetti psicoattivi imprevedibili e non modulati: ansia, psicosi,
convulsioni e, nei casi più gravi, intossicazioni fatali”. Difficile dire dove
vengano prodotti i cannabinoidi sintetici. Ma gli effetti possono essere
devastanti.
L'articolo Cannabis light contaminata, il governo lancia l’allarme. Ma boccia i
controlli e favorisce la repressione contro la filiera proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tag - Cannabis Light
Torna legale l’olio di Cbd, ovvero il cannabidiolo, principio attivo della
canapa privo di effetti stupefacenti. Il Consiglio di Stato infatti ha accolto
il ricorso presentato da aziende e associazioni del settore canapiero, contro il
decreto del ministro della Salute Orazio Schillaci, entrato in vigore il 27
giugno 2024. Il provvedimento inseriva le composizioni orali a base di
cannabidiolo all’interno della tabella dei farmaci stupefacenti, vietandone la
vendita nei cannabis shop o in erboristeria. L’acquisto dunque era consentito
solo in farmacia, esibendo una prescrizione terapeutica firmata da un medico
ospedaliero. E ora? L’ordinanza del Consiglio di Stato sospende il decreto
Schillaci, ma resta in vigore il decreto Sicurezza. L’articolo 18 vieta la
lavorazione e la vendita del fiore della canapa e dei suoi derivati, incluso il
cannabidiolo. Tecnicamente dunque il Cbd resta illegale, anche se per la scienza
(ad oggi) è privo di effetti psicotropi. I cannabis shop e gli altri negozi
dunque possono venderlo a loro rischio e pericolo. Il mercato è promettente: 15
milioni di italiani alle prese con il dolore cronico ne sono interessati, per
via delle proprietà benefiche del cannabidiolo. Molti pazienti si affidano
all’olio di cbd per lenire sofferenze, senza le adeguate garanzie previste per i
farmaci. Anche per questo il ministero lo ha etichettato come farmaco. D’altro
canto, i pazienti ripiegano sul Cbd degli shop perché la cannabis terapeutica,
in Italia, è un tritacarne burocratico e acquistarla non è semplice. Ora il
Consiglio di Stato riammette le vendite senza ricetta, considerando “le esigenze
di continuità aziendale e occupazionale” delle imprese del settore, poiché il
“pregiudizio economico” è evidente. Insomma, i provvedimenti del governo
rischiano di mettere in ginocchio un settore da 30mila lavoratori, 150 milioni
di gettito fiscale e un fatturato di 500 milioni l’anno.
Di sicuro, la sentenza del Consiglio di Stato lascia aperta la speranza alle
aziende del settore. Il ricorso era stato presentato dall’associazione Canapa
Sativa Italia e tre aziende private, per contestare la sentenza del Tar del 16
aprile 2025. Il Tribunale amministrativo aveva promosso il decreto Schillaci,
dopo averlo sospeso due volte, l’11 settembre e il 24 ottobre 2024. Il semaforo
verde alla stretta sul Cbd era giunto grazie ai pareri del Consiglio e
dell’Istituto superiore della sanità. Mentre le sospensioni del decreto si
fondavano sulla perizia del docente de La Sapienza Costantino Cialella: il prof
certificò l’assenza di effetti stupefacenti dopo l’assunzione di Cbd.
In ogni caso il decreto per vietare il cannabidiolo non è un’idea di Orazio
Schillaci e del governo Meloni, bensì di Roberto Speranza (Pd) e del governo
Conte II. Il provvedimento fu approvato e sospeso subito, nel 2020, con
l’esponente dem al ministero della Salute. La singolare genesi è stata
illustrata dall’ex senatore del Movimento 5 Stelle Matteo Mantero: “Il decreto
arrivava dall’ufficio stupefacenti, io e altri parlamentari ne abbiamo subito
sottolineato l’insensatezza per una sostanza priva di effetti psicoattivi.
Abbiamo minacciato di far mancare il numero legale in Aula per altri
provvedimenti e poco dopo è stata annunciata la sospensione del decreto
Speranza”. Ma ad agosto 2023, il nuovo ministro meloniano revoca la sospensione
ed il provvedimento entra in vigore. Ad ottobre 2023 la prima bocciatura del
Tar. Ma Schillaci resuscita il decreto con un testo fotocopia, il 27 giugno
2024, allegando i pareri del Consiglio e dell’Istituto superiore della sanità.
Le imprese della canapa ricorrono al Tar e incassano prima la sospensione del
decreto (l’11 settembre e il 24 ottobre 2024), infine il via libera (il 17
aprile). Ora l’ennesima svolta: il Consiglio di Stato ordina di nuovo la
sospensione del decreto Speranza-Schillaci. Udienza fissata il 7 maggio 2026.
L'articolo Cannabis, il Consiglio di Stato accoglie ricorso delle aziende:
“Possono vendere l’olio di Cbd”. La battaglia giudiziaria 2 anni proviene da Il
Fatto Quotidiano.
La guerra del governo Meloni alla cannabis light si inasprisce. In soli 4
giorni, da martedì 9 dicembre, le associazioni degli imprenditori hanno ricevuto
una valanga di segnalazioni, contando circa 60 sequestri. Ogni volta che le
forze dell’ordine portano via la canapa ai proprietari, in procura giunge
l’esposto con l’ipotesi di reato: detenzione di stupefacenti. Gli imprenditori
rischiano fino a 20 anni di galera. “Agli agenti, i nostri associati hanno
specificato di essere imprenditori, non spacciatori, e di vendere prodotti
legali, mica stupefacenti”, dice a ilfattoquotidiano.it Raffaele Desiante, di
Imprenditori canapa Italia (Ici). Cosa hanno risposto le forze dell’ordine? “Si
dicono d’accordo con noi e ammettono di obbedire alle direttive – racconta
Desiante – l’ordine è di sequestrare e denunciare per spaccio”.
I DUBBI DI COSTITUZIONALITÀ
Eppure la cannabis light, con il thc sotto la soglia dello 0,5 per cento, è
priva di effetti droganti. Lo certifica la tossicologia forense e perfino una
circolare ministeriale firmata da Matteo Salvini, il 31 luglio 2018, quando
regnava al Viminale. Ma anche i provvedimenti della magistratura: negli ultimi
mesi sono numerosi i dissequestri ordinati dalle toghe, dopo i blitz degli
agenti contro i coltivatori e i negozi di cannabis light. Ma il governo Meloni
tira dritto. Eppure si attende il giudizio della Corte Costituzionale e della
Corte di Giustizia europea, sull’articolo 18 del decreto sicurezza. E’ la norma
che equipara il fiore della canapa legale al fiore della marijuana, senza alcun
fondamento scientifico. I due verdetti possono spazzare via il divieto delle
infiorescenze, ma ci vorrà tempo. Un paio d’anni per la sentenza nel Vecchio
continente, mesi per la pronuncia della Consulta. Del resto, già il massimario
della Cassazione aveva espresso forti di dubbi sulla legittimità costituzionale.
Dunque i giudizi in arrivo – in Italia e in Europa – consiglierebbero prudenza.
Invece proprio ora il governo rafforza la repressione. Ieri è arrivato anche
l’allarme del segretario di Radicali italiani Filippo Blengino: “In queste ore,
le forze dell’ordine stanno conducendo vere e proprie retate contro negozi e
produttori di cannabis light: sequestri, perquisizioni, denunce per spaccio di
una sostanza priva di qualunque effetto psicoattivo”.
IL CASO DI CRONACA: SUICIDIO DOPO AVER FUMATO CANNABIS LIGHT
Secondo gli addetti ai lavori, la ragione può risiedere nel recente, drammatico,
caso di cronaca: il 5 dicembre a Milano un ragazzo di 23 anni è morto dopo
essersi lanciato dalla finestra di un bed and breakfast, davanti al fratello.
Aveva appena fumato cannabis light acquistata a Firenze: il sospetto è che fosse
adulterata. Sul caso indagano le procure di Milano e Firenze. Ma gli
imprenditori onesti sono le prime vittime dei truffatori che mescolano sostanze
chimiche con il fiore della canapa. Perciò chiedono verifiche alle forze
dell’ordine, senza essere considerati spacciatori. “Il punto non è ‘il
controllo’ in sé, legittimo e ben accetto”, scrive in una nota l’associazione
Canapa sativa Italia – ma come questo controllo viene tradotto, troppo spesso,
in sequestro e denuncia penale automatica anche quando manca l’elemento
decisivo: la concreta idoneità stupefacente del prodotto”. Ovvero: per
scongiurare la cannabis light adulterata, un pericolo per la sicurezza pubblica,
basta prelevare un campione e analizzarlo. La denuncia penale invece serve a far
chiudere un’impresa. Per giunta, alcuni sequestri sono giunti senza neppure
misurare il tasso di thc, ovvero l’effetto drogante.
LA DESTRA DIVISA SULLA CANAPA
Anche in Fratelli d’Italia si è aperta la fronda per difendere gli imprenditori:
il senatore meloniano Matteo Gelmetti aveva presentato un emendamento alla
Manovra per cancellare l’articolo 18, ma il partito ha subito ingranato la
retromarcia. In Europa è Forza Italia con Flavio Tosi, a perorare la causa della
canapa senza risparmiare critiche al governo sull’articolo 18 che bandisce il
fiore. In Veneto è la Lega a difendere gli imprenditori della canapa. Perfino
Coldiretti, l’associazione degli agricoltori amica di palazzo Chigi, ha bocciato
la guerra alla canapa legale. Ma il governo Meloni tira dritto.
L'articolo Cannabis light, gli imprenditori: “60 sequestri e denunce per droga
in 4 giorni. Il governo rafforza la repressione” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Il titolare di due negozi di cannabis light in provincia di Brescia è stato
arrestato dalla Polizia con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio dopo il
sequestro di 19 barattoli contenenti circa due chilogrammi di infiorescenze.
L’arresto, eseguito ieri su disposizione della Procura di Brescia, è una delle
prime applicazioni concrete delle norme introdotte nei mesi scorsi con il
decreto sicurezza, che hanno imposto una stretta significativa sulla
coltivazione e sulla commercializzazione dei prodotti noti come “cannabis
light”. L’indagato era stato messo ai domiciliari.
Secondo l’accusa, le infiorescenze rinvenute nei due punti vendita sarebbero
state qualificabili come “marijuana”, formula utilizzata in imputazione senza
tuttavia indicare se siano state svolte analisi chimiche utili a verificarne la
presenza di principi attivi con effetto drogante. Un punto ritenuto centrale
dalla difesa, che sostiene che tali verifiche non siano state eseguite.
Davanti al giudice della direttissima, l’avvocato Niccolò Vecchioni, del Foro di
Milano, ha depositato fatture, documenti di trasporto e certificazioni dei
fornitori per dimostrare che l’attività dell’uomo, 33 anni, titolare degli store
a Sirmione e Desenzano del Garda, si basa esclusivamente sull’acquisto e sulla
vendita di infiorescenze prive di contenuto psicotropo, acquistate tramite
canali controllati e pienamente legali. La ricostruzione della difesa ha
convinto il giudice, che non ha disposto alcuna misura cautelare nonostante la
richiesta del pubblico ministero di imporre all’indagato l’obbligo di firma.
L’uomo è tornato libero e affronterà a marzo la prima udienza del processo.
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L'articolo Primo arresto per il titolare di negozi di cannabis light per il
decreto sicurezza, ma il giudice lo libera proviene da Il Fatto Quotidiano.
Fratelli d’Italia è andata in tilt sulla cannabis light, priva di effetti
stupefacenti. Dopo averla messa fuorilegge con il decreto sicurezza,
equiparandola alle droghe, un emendamento alla legge di Bilancio del meloniano
Matteo Gelmetti ne voleva affidare la gestione all’Agenzia delle dogane e dei
monopoli, con una supertassa al 40%. Come le sigarette. Un drastico cambio di
rotta: dal divieto alla regolamentazione delle vendite, sotto l’egida dello
Stato, poiché l’Agenzia è un ente pubblico controllato dal ministero
dell’Economia. Dopo che giovedì la notizia è uscita sul fattoquotidiano.it, il
partito di Giorgia Meloni prima ha rivendicato la proposta, poi ne ha annunciato
il ritiro. Due sbandate in meno di 24 ore.
L’EMENDAMENTO
Per capire le ragioni della doppia retromarcia abbiamo chiesto lumi all’autore
dell’emendamento. “La volontà è di ritirarlo, ma non ho ancora iniziato l’iter
parlamentare perché ora sono a Verona”, dice Gelmetti: “Nel partito c’è una
discussione in corso, ma non è ancora il momento di fughe in avanti”. Il
senatore FdI tuttavia non intende mollare la presa: “Di sicuro la discussione
andrà avanti e le frizioni sono naturali per arrivare alla sintesi. Bisogna
aspettare il tempo della maturazione, come per il frutto, anche se per la canapa
parliamo di fiore”. Alla cannabis light, secondo Gelmetti, Meloni non si sarebbe
neppure interessata, secondo Gelmetti: “La premier affronta questioni
importantissimi per i destini della nazione, questo dossier non è neppure giunto
sulla sua scrivania”. Sul tavolo di Alfredo Mantovano, invece, il “fascicolo
light” è presente già da tempo. Il 18 luglio, ad un evento romano contro le
mafie, il braccio destro di Meloni a capo del dipartimento antidroga di palazzo
Chigi tuonava: “Nulla contro la canapa, ma con la cannabis cosiddetta light sì”.
Il motivo? “Non si può vendere droga nei supermercati o nei negozi come se si
vendessero caramelle”. Abbiamo chiesto a Gelmetti con quali esponenti del suo
partito ha condiviso il suo emendamento, ma il senatore non ha voluto fare nomi.
LA DOPPIA SBANDATA DI FDI: PRIMA RIVENDICA, POI ANNUNCIA IL RITIRO
Intanto, lo sgomento si è diffuso tra gli addetti ai lavori, sull’onda della
proposta targata FdI: ma come, la cannabis light non era droga secondo il
governo? Meglio tardi che mai, auspicavano le aziende, con il legittimo sospetto
che l’emendamento sarebbe evaporato presto. Invece nel pomeriggio l’ufficio
stampa dei senatori di Fratelli d’Italia ha diramato un comunicato rivendicando
la proposta, con l’obiettivo di “contrastare la diffusione e la vendita di
prodotti a base di cannabis light”. Nessuna accenno al decreto sicurezza e al
divieto delle infiorescenze della canapa, bandite come sostanze stupefacenti:
“La proposta emendativa non nasconde alcuna volontà occulta di legalizzazione di
questi prodotti, come sostenuto da alcuni, ma l’esatto contrario. Sono in corso
interlocuzioni con i ministeri competenti per stabilire quale sia la strada
migliore per contrastare questo business”. L’emendamento classificava la
cannabis light come prodotto da fumo. Al pari delle sigaretta, il mercato del
fiore verde sarebbe stato affidato alla regolamentazione dell’Agenzia della
dogane e dei monopoli. Ma l’euforia, nella filiera, è durata un soffio. Poco
dopo fonti parlamentari lasciavano filtrare alle agenzie: “l’emendamento sarà
ritirato”. In attesa che Gelmetti avvii la pratica di ritorno da Verona, le
opposizioni si sono scatenate contro “l’indecente balletto” sulla cannabis.
Neppure sotto effetto di stupefacenti, scherza qualche buontempone, si toccano
tali vette di confusione. “Dopo tutta la guerra ideologica contro il settore,
questo governo non meritava di creare una legge per regolare la canapa ”, il
commento amaro di Federcanapa. Ora alla filiera non resta che sperare nelle
sentenze della magistratura: “Aspettiamo il giudizio della Corte di Giustizia
europea e della Corte Costituzionale, che erano da subito gli unici metri per
riportare in chiaro il settore”, aggiunge la Federazione.
L'articolo Fratelli d’Italia in tilt sulla cannabis light: dopo averla vietata
firma una proposta per rilegalizzarla. Ma poi la ritira proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Da droga a monopolio di Stato: Fratelli d’Italia ingrana la retromarcia sulla
cannabis light. Dopo il bando imposto dal decreto sicurezza, con aziende della
canapa colpite da sequestri e imprenditori a rischio galera, il partito di
Giorgia Meloni vorrebbe affidare le infiorescenze all’Agenzia delle dogane e dei
monopoli, come le sigarette. Lo propone un emendamento alla Manovra firmato dal
meloniano Matteo Gelmetti. Chissà cosa ne pensa il sottosegretario di palazzo
Chigi Alfredo Mantovano, braccio destro della premier, primo sponsor del divieto
per la cannabis light. Solo il 25 luglio aveva dichiarato: ”I produttori di
canapa (…) non possono vendere droga nei supermercati o nei negozi come se si
vendessero caramelle”. Invece la “droga” sarà venduta eccome, come monopolio di
Stato negli odiati (dalle destre) cannabis shop, qualora andasse in porto la
proposta del Fratello d’Italia Gelmetti. Gli indizi sono positivi: l’emendamento
alla legge di Bilancio ha già superato il primo vaglio di palazzo Chigi. Una
sterzata talmente vistosa da rasentare la “schizofrenia” politica. Per anni la
destra ha urlato un’equazione sballata, Salvini in testa: cannabis light uguale
droga. E ora l’inversione a “U”.
L’EMENDAMENTO DI FRATELLI D’ITALIA, I DUBBI: “CANNABIS LIGHT REGALATA ALLE
MULTINAZIONALI STRANIERE”
La proposta del senatore meloniano affida la distribuzione del fiore della
canapa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli. La light – classificata come
prodotto da fumo – potrà essere venduta, con una supertassa del 40 per cento sui
marchi di produzione, solo da tabaccai e negozi specializzati. Ovvero i cannabis
shop: per essere autorizzati devono solo garantire la prevalenza dei prodotti
con quel livello di tassazione. L’emendamento inoltre vieta la pubblicità e la
vendita a distanza.
Le associazioni della canapa sono ben liete dell’iniziativa: dopo anni spesi
dalla destra a criminalizzare il settore, si volta pagina. Tuttavia auspicano
correzioni all’emendamento. Così com’è, la proposta Gelmetti rischia di regalare
la cannabis light alle multinazionali estere mettendo in ginocchio le piccole e
medie imprese italiane. Doppio smacco per Fratelli d’Italia: il business della
“droga” (copyright di Alfredo Mantovano) ceduto allo straniero. “E’ successo la
stessa cosa con il tabacco e le sigarette”, dice al fattoquotidiano.it Raffaele
Desiante, della sigla Imprenditori canapa Italia. “La tassazione al 40 per cento
è sostenibile solo dai colossi, gli unici a poter lavorare in perdita, è
accaduto lo stesso con le sigarette”, ammonisce l’addetto ai lavori. Che
predilige l’altro modello, quello dei liquidi per le sigarette elettroniche: in
tal caso l’accisa è in valore assoluto, non una quota percentuale sull’unità di
prodotto. Risultato? “Sono fiorite tante piccole aziende italiane nel mercato
e-cig, non c’è Big Tobacco a divorare i pesci piccoli”.
REGOLAMENTARE O VIETARE? IL BIVIO DEL GOVERNO CON LA CORTE COSTITUZIONALE
ALL’ORIZZONTE
Desiante accoglie positivamente l’emendamento, ma non sono chiare le chance di
sopravvivenza. Nei prossimi giorni il governo esprimerà i pareri sulle modifiche
alla Manovra e allora si scoprirà il destino della cannabis light. Gelmetti ha
già ingranato la retromarcia su un altro emendamento alla legge di Bilancio, per
proporre un giro di vite sul diritto di sciopero: proposta ritirata. Il bis
sulla canapa è plausibile, ma non è detta l’ultima parola. Le aziende sperano
nel ravvedimento del governo, mentre il bando il fiore al fiore rischia di
essere spazzato via dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia
europea. Alla Consulta si è rivolta un giudice di Brindisi, per un sequestro di
cannabis light a danno di un’azienda. Alla Corte di Lussembergo si è appellato
il Consiglio di Stato. Una doppia minaccia pende sul decreto sicurezza, bandiera
del governo Meloni: abbastanza da indurre palazzo Chigi sulla via della
regolamentazione della canapa, abbandonando il divieto e l’equivalenza con le
sostanze stupefacenti. Un principio sovente rifiutato anche dai magistrati, con
sequestri di canapa annullati e indagini archiviate. Malgrado le critiche alla
supertassa del 40 per cento, Raffaele Desiante promuove il principio alla base
dell’emendamento: “Il percorso è ancora lungo, ma sarebbe una buona notizia se
Fratelli d’Italia abbracciasse l’dea di regolamentare la cannabis light, invece
di vietarla”. In attesa della diagnosi sul partito della premier: schizofrenia,
senatore cane sciolto, o ravvedimento operoso sulla canapa?
L'articolo Cannabis light, giravolta Fratelli d’Italia: da “droga” a monopolio
di Stato. Ecco l’emendamento del senatore Gelmetti proviene da Il Fatto
Quotidiano.
La Corte costituzionale giudicherà la legittimità costituzionale dell’articolo
18 del decreto sicurezza, approvato dal governo Meloni il 4 aprile. È la norma
per mettere al bando la cannabis light, con il divieto di lavorare e vendere il
fiore della canapa a prescindere dall’effetto drogante. Peccato abbia travolto
anche i coltivatori – bacino elettorale delle destre – innescando sequestri
delle forze dell’ordine ai danni di legittime aziende, con indagini per
detenzione di stupefacenti: gli imprenditori della canapa rischiano 20 anni di
galera. Per il governo, del resto, le infiorescenze sono un pericolo per la
sicurezza (soprattutto stradale), anche se il thc (il cannabinoide psicotropo) è
assente o nei limiti di legge, sotto l’asticella dello 0,5 per cento.
IL SEQUESTRO E IL RICORSO
L’ordinanza per sollevare la questione di legittimità costituzionale è stata
firmata da un giudice di Brindisi. Alla toga si era rivolta un’azienda italiana
con coltivazioni in Bulgaria, dopo il sequestro di un suo carico di cannabis
light nel porto di Brindisi, da parte dell’agenzia delle dogane. Non una
manciata di chili bensì diverse tonnellate, destinate dall’impresa
prevalentemente all’esportazione sui mercati esteri. Il pubblico ministero ne
aveva già ordinato la distruzione, ma il ricorso dell’azienda (firmato
dall’avvocato Lorenzo Simonetti) ha fermato il falò. Ieri è stata depositato il
verdetto del giudice per le indagini preliminari: prima di decidere sul
sequestro di Brindisi, serve un chiarimento della Corte costituzionale
sull’articolo 18 del decreto sicurezza.
DUBBI DI INCOSTITUZIONALITÀ SU TRE FRONTI
Gli addetti ai lavori ne erano certi: era solo questione di tempo, prima che il
bando al fiore della canapa arrivasse alla Consulta. Da settembre, non si
contano i casi di sequestri finiti nel nulla, bocciati dai tribunali del riesame
ma anche dai pubblici ministeri. Già il massimario della Cassazione, il 26
giugno, aveva indicato le contraddizioni tra il decreto sicurezza e il dettato
della Carta. Il costituzionalista Alfonso Celotto, interpellato dalle
associazioni, aveva stilato un elenco di 40 profili di incostituzionalità, solo
per l’articolo 18. L’11 novembre il Consiglio di Stato ha rinviato il dossier
alla Corte di Giustizia europea, esprimendo forti dubbi sulla coerenza tra il
diritto europeo e le leggi italiane sugli stupefacenti, dal Testo unico fino al
decreto sicurezza.
Nell’ordinanza di Brindisi, il giudice esamina il decreto sicurezza indicando 3
punti in bilico sull’incostituzionalità. In primis, la scelta del governo di
procedere per decreto, malgrado l’assenza del carattere d’urgenza e
l’eterogeneità dei contenuti del provvedimento. Poi la violazione del principio
di offensività, poiché il bando colpisce anche il fiore privo di thc, dunque
senza effetto drogante. Infine, la violazione del diritto europeo: il fiore
della canapa è legale in tutti i Paesi del Vecchio continente e le imprese del
settore ricevono finanziamenti pubblici.
IL LEGALE: “NON CI FERMIAMO”
L’avvocato Lorenzo Simonetti rivendica il risultato ma non vuole fermarsi qui,
mentre la minaccia dei sequestri incombe sugli imprenditori della canapa . “Lo
scopo è ottenere ordinanze di rinvio alla Corte costituzionale anche in altri
tribunali, speriamo sia solo l’inizio”, dice il legale a ilfattoquotidiano.it.
“Se i giudici non fossero convinti dei dubbi di costituzionalità, almeno
dovrebbero sospendere i procedimenti in attesa del verdetto della Consulta”,
aggiunge l’avvocato. Raffaele Desiante dell’associazione Ici (Imprenditori
canapa italia) non nasconde la soddisfazione per “la svolta attesa da tutto il
comparto della canapa industriale”. “Lo sosteniamo da mesi – prosegue Desiante –
un’intera filiera non può essere cancellata con un tratto di penna senza una
motivazione concreta, proporzionata e basata su dati scientifici”.
Anche Coldiretti, ascoltatissima a palazzo Chigi, dopo aver smarrito la voce
accoglie con favore il ricorso alla Consulta. “La canapa e le infiorescenze sono
fondamentali per lo sviluppo di alcune filiere e limitarle danneggerebbe
pesantemente chi ha investito nel settore – commenta l’associazione – Siamo
contrari a qualsiasi uso ricreativo della canapa fuori dalle norme comunitarie,
ma difendiamo le imprese agricole che operano nella legalità e nel rispetto dei
regolamenti europei. Non si possono bloccare attività su cui le aziende agricole
hanno investito legittimamente”. Chissà che Meloni non si lasci convincere.
L'articolo Cannabis light, il decreto Sicurezza arriva alla Consulta: il
tribunale di Brindisi solleva dubbi sul bando alle infiorescenze proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Mentre proseguono i sequestri agli agricoltori della canapa, il Consiglio di
Stato porta sul tavolo della Corte di Giustizia europea il bando alla cannabis
light. I magistrati lussemburghesi potrebbero spazzare via il bando al fiore
della canapa introdotto dall’articolo 18 del decreto Sicurezza, ma potrebbero
passare due anni. Con l’ordinanza pubblicata il 12 novembre, i giudici
amministrativi hanno chiesto ai colleghi europei di valutare se la normativa
italiana sulla canapa sia coerente con leggi europee. Nella sostanza, il
Consiglio di Stato mette in discussione l’equiparazione tra la canapa priva di
effetti psicotropi e la cannabis stupefacente: è il principio sancito
dall’articolo 18 del decreto Sicurezza.
COME NASCE IL CONTENZIOSO: FIORE E FOGLIE DELLA CANAPA NELLA TABELLA
STUPEFACENTI. IL “DECRETO OFFICINALI” FIRMATO PATUANELLI, SPERANZA E CINGOLANI
Tuttavia il confronto in tribunale nasce altrove. Non dal provvedimento
securitario firmato ad aprile governo Meloni, bensì dal decreto
interministeriale n. 29551 del 24 gennaio 2022, pubblicato in Gazzetta il 18
maggio. C’era il governo Draghi: il provvedimento è firmato dal pentastellato
Stefano Patuanelli (al tempo ministro dell’Agricoltura), il dem Roberto Speranza
(dicastero della Salute) e Roberto Cingolani (Transizione ecologica). Cosa
diceva il decreto, inviso alle imprese della canapa e della cannabis light? Lo
scopo era stilare l’elenco delle piante officinali: come quelle per
l’erboristeria, la cosmesi, i vegetali aromatici o per tisane ed estratti. Ma il
decreto si limita ad indicare le liste della farmacopea già esistenti in Europa.
Tranne per la canapa, che viene letteralmente fatta a pezzi: i fiori e le foglie
sono classificati nell’elenco delle sostanze stupefacenti, dunque valgono le
regole del testo unico sulle droghe (legge 309 del 1990); semi e fibra invece
sono considerate officinali e ricadono nella legge sulla canapa industriale (la
242 del 2016).
Le conseguenza è un freno alle imprese, perché imporrebbe l’autorizzazione del
ministero della Salute per coltivare canapa e vendere il fiore. Si chiedono le
associazioni: se la pianta è legale, priva di effetti droganti, con la soglia
del Thc entro lo 0,5 per cento, che senso ha bandire solo il fiore e le foglie
con lo stigma della droga? Dunque parte subito il ricorso al Tar. E’ firmato da
alcune imprese e sigle di settore, incluse Associazione canapa sativa Italia e
Federcanapa. Secondo loro, il decreto ministeriale contraddice la legge del 2016
sugli usi legali della canapa industriale. Soprattutto, chiedono di stabilire
una volta per tutte i criteri per individuare l’effetto drogante. Il tribunale
amministrativo dà ragione alle associazioni e alle imprese della canapa, nel
febbraio 2023, perché in tutta Europa fiori e foglie sono legali. C’è almeno un
paradosso nel decreto sulle piante officinali: ammette i vegetali inclusi
nell’elenco europeo dei cosmetici; peccato che quest’ultimo includa anche le
foglie della canapa.
IL CONSIGLIO DI STATO RINVIA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
Intanto dal governo Meloni arriva il ricorso al Consiglio di Stato firmato dal
ministero dell’Agricoltura, dell’Ambiente e della Salute. Ma il 12 novembre i
giudici amministrativi rinviano ogni decisione alla Corte di Giustizia europea,
dopo aver passato in rassegna l’intera legislazione sulla canapa in Italia. Tra
gli avvocati incaricati dalle associazioni della canapa c’è Giacomo Bulleri.
“Secondo i giudici il problema non è il decreto sulle officinali, bensì la
compatibilità con le regole europee del Testo unico sugli stupefacenti e
dell’articolo 18 del decreto Sicurezza”, dice il legale al Fatto.it. Il
Consiglio di Stato nutre dubbi sul bando al fiore e i suoi derivati
“indipendentemente dal tasso di Thc”, si legge nell’ordinanza.
Ora i giudici della Corte europea dovranno valutare la coerenza delle leggi
italiane con il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il responso
arriverà forse tra due anni. Canapa sativa Italia intanto chiede “la sospensione
delle operazioni” connesse al bando al fiore sancito dall’articolo 18 del
decreto Sicurezza: dunque stop ai sequestri e alle indagini per droga contro
agricoltori della canapa e cannabis shop. Il presidente Mattia Cusani formula
l’auspicio per il verdetto della Corte di Giustizia europea: “finalmente un
chiarimento definitivo sulle infiorescenze di canapa e dei loro derivati non
stupefacenti”. Perfino Coldiretti, l’associazione vicinissima a Giorgia Meloni,
attende il verdetto Ue con speranza malgrado l’estrema timidezza nel difendere
gli agricoltori: “un passo importante per salvare una filiera della canapa che
vale oggi mezzo miliardo di euro, con tremila aziende agricole e trentamila
posti di lavoro, che nel corso degli anni ha acquisito un peso importante per il
rilancio delle zone interne”.
L'articolo Cannabis light, il Consiglio di Stato rinvia alla Corte di giustizia
Ue il bando al fiore. Associazioni: “Alt ai sequestri” proviene da Il Fatto
Quotidiano.