L’Alleanza contro la povertà ha espresso forte preoccupazione l’emendamento del
governo alla legge di Bilancio che dimezza l’importo della prima mensilità
dell’Assegno di inclusione (Adi) al momento del rinnovo. Una delle iniziative
introdotte dall’esecutivo nel pacchetto di riformulazioni in vista del voto
definitivo sulla manovra, atteso tra Natale e Capodanno. La modifica interviene
sull’articolo della legge di bilancio che aveva precedentemente eliminato la
mensilità di sospensione tra il primo periodo di fruizione dell’Adi e la
proroga. Ma “l’importo della prima mensilità di rinnovo è riconosciuto in misura
pari al cinquanta per cento dell’importo mensile del beneficio economico
rinnovato ai sensi del primo periodo”, è scritto nell’emendamento, che punta a
un risparmio per le casse statali di circa 100 milioni di euro. “L’ennesimo
accanimento del governo contro i poveri” denuncia l’Alleanza contro la povertà,
criticando sia il metodo che il merito della decisione. Nel merito, perché si
introduce un taglio secco e immediato del reddito proprio nel momento di
maggiore fragilità dei nuclei familiari, trasformando lo strumento di inclusione
in una misura incerta e punitiva. “Si stima che circa 350-400 mila famiglie, a
partire dal 2026, si troveranno a subire questa riduzione”, spiega l’Alleanza in
un comunicato.
Secondo l’Alleanza, il dimezzamento significherebbe una perdita media stimabile
tra i 250 e i 300 euro per questi nuclei, rischiando di compromettere il
pagamento di spese essenziali come affitto, utenze e cure. Quanto al risparmio
di 100 milioni: “Una cifra modesta se rapportata alla spesa complessiva della
manovra, ma che viene ottenuta scaricando il costo su famiglie che già vivono
sotto o a ridosso della soglia di povertà assoluta”. “Proprio recentemente siamo
stati auditi dal governo in merito alla legge di Bilancio: abbiamo presentato le
nostre proposte e le nostre analisi, frutto del lavoro dei nostri esperti –
ricorda il portavoce Antonio Russo – Abbiamo anche pubblicato e presentato un
documento sulla povertà, in cui emerge chiaramente quanto le misure di contrasto
siano già gravemente insufficienti per rispondere al bisogno e alle gravi
fragilità. Ora, non possiamo credere che si intenda davvero procedere con
l’ennesimo taglio, colpendo proprio chi si trova in maggiore difficoltà.
Chiediamo quindi l’immediato ritiro dell’emendamento. Il contrasto alla povertà
non può essere affidato a interventi opachi e regressivi, né può diventare un
capitolo su cui fare cassa in silenzio”, conclude Russo.
A denunciare il contesto in cui si inserisce l’intervento governativo era stata
già nei giorni scorsi la Comunità di Sant’Egidio, che ha ripreso i dati Istat,
secondo cui 5,7 milioni di italiani, pari al 9,8% della popolazione, vivono
sotto la soglia della povertà assoluta, inclusi 1,283 milioni di minori, ovvero
il 13,8% del totale. La crisi è aggravata dall’incremento del costo della vita:
dal 2021 ad oggi i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 25%.
Parallelamente, alla fine di settembre 2025, gli stipendi lordi reali
risultavano ancora inferiori di oltre l’8% rispetto a gennaio 2021, con l’Italia
tra i pochi paesi europei dove i redditi diminuiscono. L’emergenza abitativa è
critica, con i canoni di affitto che superano in media il 40% del reddito
familiare medio, mentre la lista d’attesa per gli alloggi popolari coinvolge
circa 650 mila nuclei. Inoltre, ben il 9,9% delle persone, corrispondente a 5,8
milioni di individui, ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi a causa di
liste d’attesa, difficoltà economiche o scomodità delle strutture sanitarie, dai
4,5 milioni dell’anno precedente. Per questo Sant’Egidio ha proposto anche di
allargare la platea dei beneficiari dell’Adi e di facilitare l’integrazione del
sussidio con redditi da lavoro bassi.
L'articolo Manovra, Alleanza contro la povertà sul taglio all’Assegno di
inclusione: “Per fare cassa colpite 400mila famiglie” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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Il finanziamento, certo, c’è ma è insufficiente e col trucco visto che scarica
sulle università statali la responsabilità di assunzione delle migliaia di
ricercatori precari, gran parte contrattualizzati per i progetti legati al Pnrr.
Col trucco perché proposto con la consapevolezza che gli atenei potrebbero non
riuscire a stabilizzare neanche i soli 1.600 ricercatori “coperti” sui 4.500
individuati dal Governo stesso o, addirittura, sugli oltre 20 mila stimati dai
sindacati in un conteggio che considera tutte le forme di contratti a tempo
determinato su cui si appoggia l’università italiana.
L’EMENDAMENTO
Lo stanziamento è presentato come un “piano straordinario” di valorizzazione e
reclutamento per gli atenei statali e gli enti pubblici di ricerca vigilati dal
Mur (come Cnr, Inaf, Infn, Ingv, Ogs, Inrim) ed è previsto in uno degli
emendamenti alla manovra del pacchetto dei riformulati presentati in commissione
Bilancio. Il testo prevede, per le assunzioni, un cofinanziamento al 50% da
parte del ministero e al 50% a carico dei bilanci dei singoli enti. Vengono nel
complesso stanziati circa 50 milioni con incrementi del Fondo di finanziamento
ordinario delle università (FFO) e del fondo ordinario per gli enti e le
istituzioni di ricerca (FOE). Poco più di 11 milioni dal 2026, poco meno di 39
dal 2027. Le nuove assunzioni avvengono con procedure concorsuali, con una
riserva del 50% dei posti dedicata ai ricercatori attualmente impiegati su
progetti Pnrr.
POCHI INCLUSI
Nel dettaglio, si cofinanziano al 50% le posizioni da Ricercatori in tenure
track (quindi quelle che portano alla stabilizzazione) il resto a carico degli
atenei “entro le proprie facoltà assunzionali”, quindi nel quadro degli attuali
organici. È la stessa relazione tecnica a fornire i numeri: ci sono, secondo il
ministero dell’Università e della ricerca, 4.502 Ricercatori a tempo determinato
(A) in scadenza tra il 2025 e il 2026, di cui 2.574 assunti col Pnrr. E di
questi, si riusciranno a stabilizzare – ammesso che le università abbiano
abbastanza soldi per coprire la loro parte – circa 500 posizioni per il 2026 e
intorno alle 1.100 per il 2027. Quindi poco più di 1.600 se si aggiungono quelli
delle università non statali. “Non a caso – spiega la Flc Cgil – si prevede già
che ci possano esser risorse non utilizzate per questo misero pianetto
straordinario e le si destina, per ogni evenienza, ad integrazione della quota
base del Fondo per il finanziamento ordinario delle università”.
ENTI DI RICERCA
Per gli Enti di ricerca sono invece previsti quasi 8,8 milioni di euro in due
anni per assumere personale ricercatore e tecnologo con le stesse modalità di
cofinanziamento e anche qui una riserva del 50% dei posti per i precari Pnrr in
ruolo al 30 giugno 2025. “In termini concreti, si tratta di circa 240 posizioni,
ma anche in questo caso, non a caso, si prevede già che ci possano esser risorse
non utilizzate e le si destina, per ogni evenienza, ad integrazione del Fondo
Ordinario Enti ed Istituzioni di Ricerca” continua il sindacato.
UNIVERSITÀ PRIVATE
Altri 2 milioni di euro in due anni, con uguali modalità, sono previsti anche
per le università non statali con risorse che potranno permettere in questi
atenei di assumere tutti i ricercatori Pnrr. “A nostra memoria è la prima volta
che si prevede un piano straordinario anche delle università non statali”.
SPICCIOLI CON I TAGLI DEGLI ANNI SCORSI
La Flc Cgil traccia un bilancio pluriennale di tagli e sacrifici, a partire
dalla legge di Bilancio del 2025 che ha previsto per il 2025 un blocco del turn
over dei professori universitari al 75%, che per il 2026 si trasferiva ai
ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca. “Questo blocco ha
comportato per gli atenei una perdita di circa 50 milioni di euro e dal 2026
dovrebbe prevedere almeno 65 milioni di euro di trasferimenti annui dal sistema
università e ricerca al MEF”. E ancora, la cancellazione della coda del
cosiddetto “Piano straordinario Messa” che ha destinato agli aumenti stipendiali
del personale 50 milioni di euro dal 2025 e altri 50 milioni dal 2026 che
dovevano esser invece dedicati all’assunzione di nuovi professori, ricercatori e
personale tecnico amministrativo in deroga alle facoltà assunzionali (cioè,
aumentando gli attuali organici degli atenei). “Striminzita. Resta fuori una
ingente platea, tra assegni (prorogati e attivati anche per il Pnrr quando
ancora non erano implementati i Contratti di Ricerca che avrebbero dovuto
sostituirli) e precari “storici”. “A fronte di oltre 10.000 precari Pnrr in
espulsione da università ed enti di ricerca, di cui oltre 2.600 RTDa e oltre 300
TD, a fronte degli oltre 7.200 RTDa ancora in ruolo e in scadenza nei prossimi
due anni, a fronte dei 100 milioni di tagli attuati nel 2024 sul Piano
straordinario Messa e di un intervento garantito dalle opposizioni lo scorso
anno per il solo CNR di 10 milioni di euro, si prevede oggi un intervento
parziale per 1.900 posizioni, sostanzialmente finanziato con le risorse
provenienti dal taglio del turn over deciso nella legge di bilancio dello scorso
anno, di cui già oggi non si è sicuri che saranno effettivamente tutte bandite
per la necessità di un cofinanziamento nel quadro degli attuali organici”.
L'articolo Università, il “piano straordinario” per l’assunzione dei ricercatori
precari: lo stanziamento insufficiente e col trucco proviene da Il Fatto
Quotidiano.
La partita sulla manovra entra nella fase decisiva. Il voto sugli emendamenti in
commissione Bilancio al Senato dovrebbe iniziare in ritarado solo lunedì, con il
via libera definitivo destinato a slittare tra Natale e Capodanno. Nelle ultime
ore il governo ha depositato un nuovo pacchetto di riformulazioni che ritocca
misure sociali, fisco, assicurazioni e pubblico impiego, con interventi mirati
per contenere la spesa, trovare risorse aggiuntive o ammorbidire alcune strette
introdotte nel testo originario.
Sul fronte del welfare viene rivisto il meccanismo di rinnovo dell’assegno di
inclusione. La riformulazione riscrive l’articolo della legge di bilancio che
aveva cancellato la sospensione di un mese tra i primi 18 mesi di fruizione e la
proroga annuale. La continuità del beneficio viene mantenuta, ma il primo
assegno del rinnovo sarà dimezzato. Secondo la relazione tecnica, il risparmio
atteso per i conti pubblici è pari a circa 100 milioni di euro.
Sempre in ambito fiscale, ma con effetti diretti sulle famiglie, dal 1° gennaio
2026 salirà al 12,5% l’aliquota applicata alle polizze Rc auto per gli infortuni
del conducente e per l’assistenza stradale. Applicando i differenziali di
aliquota, pari al 10% per i premi relativi al rischio infortuni e al 2,5% per
quelli legati all’assistenza, il governo stima un maggior gettito di circa 115
milioni di euro su base annua.
Sul versante delle regole tributarie, una riformulazione interviene per far
saltare la stretta sulle indebite compensazioni. Viene infatti chiesta la
soppressione della modifica prevista dal ddl di bilancio che estendeva il
divieto di compensazione dei crediti agevolativi a nuovi ambiti, come i
contributi previdenziali e i premi Inail, oltre ai bonus edilizi, bloccando così
l’ampliamento delle limitazioni già previste per banche e intermediari
finanziari.
Per quanto riguarda il sostegno alle famiglie, dal 2026 viene istituito un fondo
da 20 milioni destinato a finanziare contributi comunali per l’acquisto dei
libri scolastici della scuola secondaria di secondo grado. Il beneficio è
riservato ai nuclei con Isee non superiore a 30mila euro e le modalità di
ripartizione saranno definite con un decreto del ministero dell’Interno di
concerto con il Mef e il ministero dell’Istruzione. Sempre sul fronte Isee, un
altro emendamento propone di innalzare da 91.500 a 120mila euro la soglia di
esclusione della casa di abitazione dal calcolo dell’indicatore, limitando però
l’intervento ai nuclei familiari residenti nelle città metropolitane.
Interventi rilevanti riguardano anche il funzionamento dell’amministrazione
finanziaria. Un emendamento riformulato amplia i margini per il trattamento
accessorio del personale delle Agenzie fiscali, consentendo di destinare agli
incentivi fino al 60% delle risorse disponibili, includendo anche quelle
derivanti dal miglioramento dei risultati di gettito. Una quota pari al 25% è
riservata alle fasce dirigenziali e alle posizioni organizzative. Dal 2026 sono
inoltre previsti stanziamenti aggiuntivi per il lavoro straordinario, pari a 5
milioni di euro per l’Agenzia delle Entrate e a 3 milioni per l’Agenzia delle
dogane e dei monopoli.
Sul fronte delle politiche abitative, un emendamento riformulato introduce un
fondo rotativo da 25 milioni complessivi, distribuiti tra il 2027 e il 2031,
destinato alla copertura del rischio di morosità incolpevole e del deposito
cauzionale nei contratti di locazione in caso di sopravvenuta impossibilità del
conduttore di adempiere ai pagamenti per cause non imputabili alla sua volontà.
La gestione della misura è affidata a Consap, tramite un apposito conto di
tesoreria.
Un emendamento del pacchetto dei riformulati prevede un piano straordinario di
reclutamento di ricercatori nelle università statali e non statali e negli enti
pubblici di ricerca vigilati dal Mur, tra cui Cnr, Inaf, Infn, Ingv, Ogs e
Inrim. Le assunzioni saranno finanziate con un cofinanziamento al 50% tra
ministero e singoli enti, per uno stanziamento complessivo di circa 60 milioni
di euro attraverso incrementi del Fondo di finanziamento ordinario delle
università e del Fondo ordinario per gli enti di ricerca. Le procedure saranno
concorsuali e prevedono una riserva del 50% dei posti per i ricercatori
attualmente impegnati su progetti Pnrr.
Resta infine aperto il confronto sulle risorse per l’emittenza locale. Il
ministero delle Imprese e del Made in Italy ha ribadito la propria contrarietà
al taglio di 20 milioni di euro annui per il triennio 2026-2028 previsto da un
emendamento alla manovra, definendo la riduzione intollerabile e confermando il
parere negativo espresso dall’ufficio legislativo anche nella fase di
riformulazione.
L'articolo Manovra, assegno di inclusione dimezzato il primo mese dopo il
rinnovo. E sale l’aliquota Rc auto proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giro di vite per la norma della legge di Bilancio, all’esame del Senato, che
vincola il saldo delle parcelle dei liberi professionisti che lavorano per la
pubblica amministrazione alla loro regolarità fiscale e contributiva. La
riformulazione del testo siglata dal ministero dell’Economia, arrivata giovedì
sera, estende infatti lo stop al pagamento a tutti gli emolumenti, inclusi
quelli dovuti da soggetti diversi dalla Pa per incarichi con compensi “a carico
dello Stato”.
Il presidente dell’Istituto nazionale tributaristi, Riccardo Alemanno, è
favorevole: “Avevo dichiarato già sulla norma originaria che ero assolutamente
d’accordo sul fatto che un professionista, come tutti i contribuenti, debba
pagare regolarmente imposte, tasse e contributi, che poi questa regolarità sia
anche condizione per ricevere i giusti compensi da parte della Pa”.
Ma nelle settimane passate, quando la disposizione meno restrittiva di quella
governativa era stata inserita nella manovra, le categorie ordinistiche avevano
protestato. Il presidente del Consiglio nazionale forense (Cnf) Francesco Greco
in una nota del 28 ottobre scorso aveva parlato di una norma “vessatoria e
discriminatoria nei confronti dei liberi professionisti”. Questo perché i
lavoratori dipendenti, “se inadempienti ai propri obblighi fiscali, anche di
importo rilevante, mantengono il diritto, ovvio e corretto, alla retribuzione”.
Ma è ben noto che la tendenza a evadere degli autonomi è ben superiore rispetto
a quella di chi è soggetto a sostituto di imposta.
Nei giorni scorsi, diversi esponenti parlamentari della maggioranza di
centrodestra avevano però sostenuto che la disposizione sarebbe stata
modificata, lasciando intendere che si sarebbe andati verso un ammorbidimento.
Ora le associazioni di categoria sono sul piede di guerra. “Abbiamo chiesto la
soppressione della norma contenuta in Legge di Bilancio e, invece, sembrerebbe
che sia ancora più stringente”, commenta la presidente di Confcommercio
professioni Anna Rita Fioroni, perché impone “di produrre la documentazione
comprovante la regolarità fiscale contestualmente alla presentazione della
fattura per le prestazioni rese alla Pubblica amministrazione”, “una condizione
vessatoria”. “Ci domandiamo il perché di questa prova ‘diabolica’ a carico dei
professionisti, quando a nessun altro viene chiesta. Peraltro già oggi c’è una
previsione vigente che inibisce il pagamento di somme superiori a 5.000 euro, se
ci sono importi iscritti a ruolo a carico del professionista”.
“La meritoria e improcrastinabile attenzione alla regolarità fiscale e
contributiva non credo debba porre discriminazioni in termini di diritto tra
lavoratori autonomi e subordinati”, aggiunge il presidente dell’Adepp,
l’Associazione delle Casse previdenziali private, e dell’Enpam (l’Ente
pensionistico dei medici e degli odontoiatri) Alberto Oliveti. La “lotta
all’evasione va portata avanti, ma ciò deve avvenire nei confronti di tutti”.
L'articolo Si rafforza la stretta sui compensi pubblici ai professionisti che
hanno irregolarità fiscali proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo giorni di stallo, entro giovedì sera sono attesi in commissione al Senato
gli emendamenti del governo alla manovra, che riformulano alcune delle proposte
di maggioranza. Non senza sorprese. La tassa da 2 euro sui piccoli pacchi fino a
150 euro di valore riguarderà infatti anche quelli che partono da e arrivano in
Italia: una mossa in parte obbligata, secondo Il Sole 24 Ore, per evitare che il
balzello di traduca in un dazio di competenza Ue, ma che promette di suscitare
non poche proteste perché in questo modo l’esecutivo di centrodestra danneggerà,
per quanto marginalmente, anche le aziende nazionali. Dovrebbe poi essere
immediato e non graduale il raddoppio della Tobin tax: l’imposta sulle
transazioni finanziarie passerebbe infatti nel 2026 dallo 0,2% allo 0,4%. Il
tutto per scongiurare l’aumento della tassazione sui dividendi incassati da
società partecipate, che pure lo stesso governo aveva inserito nella versione
originaria del ddl di Bilancio.
Sull’altro tema caldo, gli affitti brevi, tramonta l’aumento della cedolare
secca a partire dal primo immobile messo in locazione attraverso portali online,
questione del tutto secondaria dal punto di vista del gettito che aveva però
scatenato le ire di Forza Italia e Lega. La prima casa continuerà a godere anche
nel 2026 della cedolare secca al 21%, sulla seconda la tassa sarà al 26% mentre
in caso di terza casa si passerà direttamente alla tassazione sul reddito di
impresa, finora prevista a partire dal quinto immobile. La nuova versione della
misura dovrebbe auto-compensarsi grazie alla definizione di attività di impresa
anticipata alla terza casa.
Il voto sugli emendamenti dovrebbe iniziare nel weekend e procedere a tappe
forzate per consentire l’approdo del testo in aula lunedì 15 dicembre. Le
opposizioni hanno protestato per il – solito – esautoramento del Parlamento, che
non toccherà palla o quasi. “A cinquanta giorni dall’approvazione in Consiglio
dei ministri, il testo continua a vagare per i corridoi del ministero
dell’Economia”, ha ribadito mercoledì Anna Ascani, vicepresidente della Camera e
deputata dem. Il Parlamento è “ridotto a passacarte di una manovra imbarazzante
che, quando la destra verrà fuori finalmente dalla palude dei suoi conflitti,
sarà blindata”.
L'articolo Manovra, in arrivo emendamenti del governo. Tassa sui piccoli pacchi
anche per quelli che partono dall’Italia e raddoppio della Tobin tax proviene da
Il Fatto Quotidiano.
Fratelli d’Italia è andata in tilt sulla cannabis light, priva di effetti
stupefacenti. Dopo averla messa fuorilegge con il decreto sicurezza,
equiparandola alle droghe, un emendamento alla legge di Bilancio del meloniano
Matteo Gelmetti ne voleva affidare la gestione all’Agenzia delle dogane e dei
monopoli, con una supertassa al 40%. Come le sigarette. Un drastico cambio di
rotta: dal divieto alla regolamentazione delle vendite, sotto l’egida dello
Stato, poiché l’Agenzia è un ente pubblico controllato dal ministero
dell’Economia. Dopo che giovedì la notizia è uscita sul fattoquotidiano.it, il
partito di Giorgia Meloni prima ha rivendicato la proposta, poi ne ha annunciato
il ritiro. Due sbandate in meno di 24 ore.
L’EMENDAMENTO
Per capire le ragioni della doppia retromarcia abbiamo chiesto lumi all’autore
dell’emendamento. “La volontà è di ritirarlo, ma non ho ancora iniziato l’iter
parlamentare perché ora sono a Verona”, dice Gelmetti: “Nel partito c’è una
discussione in corso, ma non è ancora il momento di fughe in avanti”. Il
senatore FdI tuttavia non intende mollare la presa: “Di sicuro la discussione
andrà avanti e le frizioni sono naturali per arrivare alla sintesi. Bisogna
aspettare il tempo della maturazione, come per il frutto, anche se per la canapa
parliamo di fiore”. Alla cannabis light, secondo Gelmetti, Meloni non si sarebbe
neppure interessata, secondo Gelmetti: “La premier affronta questioni
importantissimi per i destini della nazione, questo dossier non è neppure giunto
sulla sua scrivania”. Sul tavolo di Alfredo Mantovano, invece, il “fascicolo
light” è presente già da tempo. Il 18 luglio, ad un evento romano contro le
mafie, il braccio destro di Meloni a capo del dipartimento antidroga di palazzo
Chigi tuonava: “Nulla contro la canapa, ma con la cannabis cosiddetta light sì”.
Il motivo? “Non si può vendere droga nei supermercati o nei negozi come se si
vendessero caramelle”. Abbiamo chiesto a Gelmetti con quali esponenti del suo
partito ha condiviso il suo emendamento, ma il senatore non ha voluto fare nomi.
LA DOPPIA SBANDATA DI FDI: PRIMA RIVENDICA, POI ANNUNCIA IL RITIRO
Intanto, lo sgomento si è diffuso tra gli addetti ai lavori, sull’onda della
proposta targata FdI: ma come, la cannabis light non era droga secondo il
governo? Meglio tardi che mai, auspicavano le aziende, con il legittimo sospetto
che l’emendamento sarebbe evaporato presto. Invece nel pomeriggio l’ufficio
stampa dei senatori di Fratelli d’Italia ha diramato un comunicato rivendicando
la proposta, con l’obiettivo di “contrastare la diffusione e la vendita di
prodotti a base di cannabis light”. Nessuna accenno al decreto sicurezza e al
divieto delle infiorescenze della canapa, bandite come sostanze stupefacenti:
“La proposta emendativa non nasconde alcuna volontà occulta di legalizzazione di
questi prodotti, come sostenuto da alcuni, ma l’esatto contrario. Sono in corso
interlocuzioni con i ministeri competenti per stabilire quale sia la strada
migliore per contrastare questo business”. L’emendamento classificava la
cannabis light come prodotto da fumo. Al pari delle sigaretta, il mercato del
fiore verde sarebbe stato affidato alla regolamentazione dell’Agenzia della
dogane e dei monopoli. Ma l’euforia, nella filiera, è durata un soffio. Poco
dopo fonti parlamentari lasciavano filtrare alle agenzie: “l’emendamento sarà
ritirato”. In attesa che Gelmetti avvii la pratica di ritorno da Verona, le
opposizioni si sono scatenate contro “l’indecente balletto” sulla cannabis.
Neppure sotto effetto di stupefacenti, scherza qualche buontempone, si toccano
tali vette di confusione. “Dopo tutta la guerra ideologica contro il settore,
questo governo non meritava di creare una legge per regolare la canapa ”, il
commento amaro di Federcanapa. Ora alla filiera non resta che sperare nelle
sentenze della magistratura: “Aspettiamo il giudizio della Corte di Giustizia
europea e della Corte Costituzionale, che erano da subito gli unici metri per
riportare in chiaro il settore”, aggiunge la Federazione.
L'articolo Fratelli d’Italia in tilt sulla cannabis light: dopo averla vietata
firma una proposta per rilegalizzarla. Ma poi la ritira proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tagliare le spese militari, un’imposta dell’1% sui grandi patrimoni sopra i
cinque milioni di euro, tassare le speculazioni finanziarie e gli extra profitti
delle imprese militari, fermare il progetto del Ponte sullo stretto di Messina.
E ancora, cancellare i sussidi ambientalmente dannosi, i Cpr e il protocollo
Italia-Albania. Tutto con l’obiettivo di rilanciare la sanità, gli investimenti
pubblici per costruire la transizione ecologica, promuovere misure
redistributive, in modo da ridurre le disuguaglianze e rafforzare le politiche
di pace. Sono questi i principali punti della contromanovra lanciata, come ogni
anno, dalla campagna “Sbilanciamoci!“, composta da oltre 50 associazioni della
società civile, che boccia la finanziaria del governo Meloni come “sbagliata,
lacunosa e modesta”.
“Vogliamo un cambio di rotta per il Paese. Con le nostre 111 proposte tracciamo
l’idea di un’economia diversa, fatta di scelte coraggiose e di un modello di
sviluppo che rimetta al centro le persone, i territori e il futuro delle giovani
generazioni”, ha rilanciato il portavoce Giulio Marcon, nel corso di una
conferenza stampa in Senato, dove hanno partecipato anche esponenti delle
opposizioni, dal capogruppo Pd a Palazzo Madama Francesco Boccia, al senatore
Tino Magni di Avs e alla vicepresidente dei senatori M5s Alessandra Maiorino.
“Il nostro non è un libro dei sogni: lo dimostriamo con la nostra contromanovra
da 55,2 miliardi di euro a saldo zero, costruita euro su euro”, ha rivendicato
Marcon. Alcune delle proposte erano già state condivise dai gruppi di
opposizione. Le stesse che negli scorsi giorni avevano presentato 16 emendamenti
comuni alla manovra: dalle misure per la restituzione del drenaggio fiscale alla
proroga di Opzione donna previgente, passando per l’incremento Fsn destinato
all’assunzione del personale paritario, al salario minimo, alla soppressione
dell’aumento dell’età pensionabile del comparto sicurezza, risorse per la
stabilizzazione dei precari del personale giustizia, l’aumento del Fondo
finanziamento ordinario per professori e ricercatori, il taglio del protocollo
con l’Albania, ma non solo.
Da Sbilanciamoci! però l’appello alle opposizioni è quello di trovare una
sintesi, dopo i distinguo delle scorse settimane (soprattutto dell’ex premier
Giuseppe Conte e dentro il M5s) sull’idea di una tassazione sui grandi
patrimoni: “Serve più coraggio. Con la nostra proposta, tassando poco più di
115mila persone solo in Italia, si produrrebbe un gettito extra di 18 miliardi
di euro“, spiega Marcon.
“Non l’abbiamo esclusa per i grandissimi patrimoni, ma la vogliamo a livello
europeo”, sottolinea Maiorino. Laddove però i numeri non ci sono, nel momento in
cui i popolari fanno pure sponda verso l’estrema destra. “Noi come Avs siamo gli
unici ad aver condiviso la proposta della Cgil (che prevede un’aliquota
dell’1,3% sui patrimoni sopra i 2 milioni, ndr) e ad averla proposta come
emendamento, così come avevamo fatto nostra quella di Oxfam e quella di
Greenpeace. L’importante è discutere nel merito e far pagare di più chi più
guadagna”, rilancia Magni. “Una sintesi si troverà, sono certo che tutte le
opposizioni si ritroveranno”, è convinto Boccia, che invece promette battaglia
sui livelli essenziali delle prestazioni: “Quella del governo è una manovra
fallimentare e anticostituzionale. Fallimentare perché il Paese non cresce, il
Pil è piantato a zero, soprattutto i salari diminuiscono e il governo non riesce
a ridistribuire risorse. Ed è anticostituzionale perché il governo Meloni,
ignorando volutamente le scelte della Consulta, ha di nuovo inserito i lep in
manovra. Ci riferiamo ai trasporti, alla sanità, all’istruzione, all’assistenza,
agli asili nido o agli anziani. Tutto questo è inaccettabile perché è un
tentativo del Governo di far rientrare dalla finestra quello che era già uscito
dalla porta. Noi daremo battaglia, faremo ostruzionismo in Parlamento e se
dovessero insistere saremmo costretti di nuovo a ricorrere alla Consulta”.
L'articolo “Il 40% degli investimenti industriali in armi, non è questa la
strada”: Sbilanciamoci! boccia la finanziaria. “Soldi vadano a sanità, scuola e
ambiente” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Da droga a monopolio di Stato: Fratelli d’Italia ingrana la retromarcia sulla
cannabis light. Dopo il bando imposto dal decreto sicurezza, con aziende della
canapa colpite da sequestri e imprenditori a rischio galera, il partito di
Giorgia Meloni vorrebbe affidare le infiorescenze all’Agenzia delle dogane e dei
monopoli, come le sigarette. Lo propone un emendamento alla Manovra firmato dal
meloniano Matteo Gelmetti. Chissà cosa ne pensa il sottosegretario di palazzo
Chigi Alfredo Mantovano, braccio destro della premier, primo sponsor del divieto
per la cannabis light. Solo il 25 luglio aveva dichiarato: ”I produttori di
canapa (…) non possono vendere droga nei supermercati o nei negozi come se si
vendessero caramelle”. Invece la “droga” sarà venduta eccome, come monopolio di
Stato negli odiati (dalle destre) cannabis shop, qualora andasse in porto la
proposta del Fratello d’Italia Gelmetti. Gli indizi sono positivi: l’emendamento
alla legge di Bilancio ha già superato il primo vaglio di palazzo Chigi. Una
sterzata talmente vistosa da rasentare la “schizofrenia” politica. Per anni la
destra ha urlato un’equazione sballata, Salvini in testa: cannabis light uguale
droga. E ora l’inversione a “U”.
L’EMENDAMENTO DI FRATELLI D’ITALIA, I DUBBI: “CANNABIS LIGHT REGALATA ALLE
MULTINAZIONALI STRANIERE”
La proposta del senatore meloniano affida la distribuzione del fiore della
canapa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli. La light – classificata come
prodotto da fumo – potrà essere venduta, con una supertassa del 40 per cento sui
marchi di produzione, solo da tabaccai e negozi specializzati. Ovvero i cannabis
shop: per essere autorizzati devono solo garantire la prevalenza dei prodotti
con quel livello di tassazione. L’emendamento inoltre vieta la pubblicità e la
vendita a distanza.
Le associazioni della canapa sono ben liete dell’iniziativa: dopo anni spesi
dalla destra a criminalizzare il settore, si volta pagina. Tuttavia auspicano
correzioni all’emendamento. Così com’è, la proposta Gelmetti rischia di regalare
la cannabis light alle multinazionali estere mettendo in ginocchio le piccole e
medie imprese italiane. Doppio smacco per Fratelli d’Italia: il business della
“droga” (copyright di Alfredo Mantovano) ceduto allo straniero. “E’ successo la
stessa cosa con il tabacco e le sigarette”, dice al fattoquotidiano.it Raffaele
Desiante, della sigla Imprenditori canapa Italia. “La tassazione al 40 per cento
è sostenibile solo dai colossi, gli unici a poter lavorare in perdita, è
accaduto lo stesso con le sigarette”, ammonisce l’addetto ai lavori. Che
predilige l’altro modello, quello dei liquidi per le sigarette elettroniche: in
tal caso l’accisa è in valore assoluto, non una quota percentuale sull’unità di
prodotto. Risultato? “Sono fiorite tante piccole aziende italiane nel mercato
e-cig, non c’è Big Tobacco a divorare i pesci piccoli”.
REGOLAMENTARE O VIETARE? IL BIVIO DEL GOVERNO CON LA CORTE COSTITUZIONALE
ALL’ORIZZONTE
Desiante accoglie positivamente l’emendamento, ma non sono chiare le chance di
sopravvivenza. Nei prossimi giorni il governo esprimerà i pareri sulle modifiche
alla Manovra e allora si scoprirà il destino della cannabis light. Gelmetti ha
già ingranato la retromarcia su un altro emendamento alla legge di Bilancio, per
proporre un giro di vite sul diritto di sciopero: proposta ritirata. Il bis
sulla canapa è plausibile, ma non è detta l’ultima parola. Le aziende sperano
nel ravvedimento del governo, mentre il bando il fiore al fiore rischia di
essere spazzato via dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia
europea. Alla Consulta si è rivolta un giudice di Brindisi, per un sequestro di
cannabis light a danno di un’azienda. Alla Corte di Lussembergo si è appellato
il Consiglio di Stato. Una doppia minaccia pende sul decreto sicurezza, bandiera
del governo Meloni: abbastanza da indurre palazzo Chigi sulla via della
regolamentazione della canapa, abbandonando il divieto e l’equivalenza con le
sostanze stupefacenti. Un principio sovente rifiutato anche dai magistrati, con
sequestri di canapa annullati e indagini archiviate. Malgrado le critiche alla
supertassa del 40 per cento, Raffaele Desiante promuove il principio alla base
dell’emendamento: “Il percorso è ancora lungo, ma sarebbe una buona notizia se
Fratelli d’Italia abbracciasse l’dea di regolamentare la cannabis light, invece
di vietarla”. In attesa della diagnosi sul partito della premier: schizofrenia,
senatore cane sciolto, o ravvedimento operoso sulla canapa?
L'articolo Cannabis light, giravolta Fratelli d’Italia: da “droga” a monopolio
di Stato. Ecco l’emendamento del senatore Gelmetti proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Passa per tre regali in manovra, di quelli pesanti, la pace sancita all’interno
di Forza Italia dopo lo scontro tra Claudio Lotito, vicepresidente della
Commissione Bilancio, e il capogruppo del suo partito al Senato, Maurizio
Gasparri che, a dire del presidente della Lazio, avrebbe “tagliato” tutti i suoi
emendamenti dalla lista dei segnalati, cioè quelli considerati prioritari. E
così, nel nuovo fascicolo della legge Bilancio, per sostituire gli emendamenti
degli azzurri dichiarati inammissibili o senza coperture, sono stati inseriti
diversi desiderata di Lotito. Assai rilevanti. Spicca un evergreen caro al
senatore forzista: l’abrogazione del divieto di pubblicità in forma indiretta di
scommesse o gioco d’azzardo. L’emendamento vuole modificare il dl Dignità
approvato nel 2018 che vieta “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta,
relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo,
comunque effettuata e su qualunque mezzo”. Se passasse questo emendamento
verrebbe eliminata dal testo la frase “anche indiretta”.
Poi, nonostante il flop conclamato del concordato preventivo – il perno della
riforma fiscale di Meloni – cioè una sorta di sconto per le partite Iva che
sanano il nero, Forza Italia reinserisce in manovra una nuova sanatoria per
invogliare ad accettare l’accordo biennale con le Entrate su imponibile e tasse
da pagare. Ci sono ben due emendamenti: il primo alza da 85mila euro a 15
milioni il limite di ricavi o compensi delle imprese; il secondo va rientrare
nel concordato anche chi è decaduto. È il caso del contribuente che ha un debito
tributario scaduto di importo non inferiore ai 5mila euro che non versa nei
termini stabiliti dalla legge una rata della rottamazione-quater.
Terzo regalo: il maxi sconto per i datori di lavoro che non versa, in tutto o in
parte, i contributi previdenziali e assistenziali dovuti per i propri
dipendenti. Forza Italia prevede che nelle ipotesi di evasione contributiva, il
tasso ufficiale di riferimento non sia più maggiorato di 5,5 punti ma solo di
3,5. E nel caso il versamento avvenisse in unica soluzione entro novanta giorni
dalla denuncia, il tasso scenderebbe da 7,5 punti a 4,5. Poi per non dimenticare
la Regione in cui è stato eletto, Lotito ha pensato bene anche di assegnare dei
fondi al Molise per la struttura commissariale che si occupa del piano di
rientro della Sanità.
Tra gli emendamenti di Fi che sono stati ritirati c’è, invece, la cosiddetta
rivalutazione dell’oro: un’aliquota agevolata temporanea al 12,5% per la
rivalutazione di monete, lingotti e placchette che, secondo le stime del
partito, avrebbe fatto raggiungere un gettito di 2 miliardi.
Nell’ottica forzista di rendere il piano sanitario per la sanità pubblica sempre
più privatizzata, Gasparri tra i nuovi emendamenti ha fatto inserire il suo che
consente ai medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale di poter
svolgere, fuori dall’orario di lavoro, l’attività professionale aggiuntiva
presso soggetti pubblici o privati, facendo quindi decadere ogni tipo di
incompatibilità. Ma anche una flat tax al 5% sugli straordinari degli infermieri
impiegati nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie private accreditate.
Sul fronte della maggioranza, se la Lega ha riformulato solo un emendamento sui
test genomici legati ai tumori, Fratelli d’Italia ha chiesto che il ministero
del turismo possa avvalersi per tutto il 2026 del personale Ales (Arte Lavoro e
Servizi spa), nuove agevolazioni fiscali per la polizia e nuove assunzioni nella
P.A.
Una nuova infilata di emendamenti che, comunque, potrebbero venire cassati molto
presto dopo la verifica delle coperture.
L'articolo Scommesse nel calcio, sconti sull’evasione e concordato: in manovra
rientrano gli emendamenti di Lotito proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Qui c’è un punto: l’incoerenza totale. Non si può dire una cosa e poi, quando
vai al governo, fai esattamente l’opposto, perché significa che stai prendendo
in giro gli italiani”. È l’accusa rivolta alla presidente del Consiglio Giorgia
Meloni dal segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, commentando la
manovra economica del governo. Ospite di Dimartedì (La7), il sindacalista
commenta un elenco di incoerenze ormai celebri della premier rispetto alle sue
posizioni passate.
Il nodo focale è il pacchetto di misure fiscali al centro del dibattito
parlamentare: accise su gasolio e sigarette, tasse sugli affitti brevi, sulle
banche, sui dividendi delle holding, imposta di soggiorno sugli alloggi
turistici, fino alla stretta sui piccoli pacchi extra-Ue e all’innalzamento dei
limiti all’uso del contante. Ed è proprio su accise e contante che il leader
sindacale richiama due episodi emblematici.
“Se penso alle accise su gasolio e sigarette, ricordo ancora i video di quella
che oggi è presidente del Consiglio che spiegava che lei non l’avrebbe mai
fatto”, afferma Landini, rievocando il filmato del 25 maggio 2019 in cui Giorgia
Meloni, allora all’opposizione, attaccava il governo Conte I e l’allora ministro
dell’Economia Giovanni Tria per l’ipotesi di aumenti sulla benzina. Oggi,
osserva Landini, il quadro si ribalta.
Lo stesso vale per l’uso del contante: “Non giriamoci attorno. Il nero esiste
perché ci sono i contanti. Nell’era del digitale, se uno vuole fare davvero una
battaglia contro l’evasione fiscale, dovrebbe rendere tracciabile tutto”.
Il segretario torna sulle parole pronunciate da Meloni il 31 marzo 2023 negli
“Appunti di Giorgia”, quando la premier smentì l’esistenza di qualsiasi
sanatoria: “L’opposizione dice che abbiamo introdotto un condono tributario
penale: è falso, noi condoni non ne facciamo”.
In realtà, la sequenza di misure di “pace fiscale” adottate dal governo dal 2022
è lunga, così come gli emendamenti sul condono edilizio avanzati da Fratelli
d’Italia.
Il sindacalista richiama anche il giudizio tecnico delle istituzioni: “Nelle
audizioni parlamentari, la Banca d’Italia e la Corte dei Conti hanno proprio
detto che quei condoni lì non servono a nulla. Anzi, danno uno schiaffo in
faccia a chi paga le tasse e da un certo punto di vista lo Stato diventa
sovventore di chi le tasse non le paga”.
L’effetto, sostiene Landini, è corrosivo: “Passa l’idea che se io non pago le
tasse non mi succede nulla. Siamo alla frutta, perché anziché avere una visione
e ragionare in modo molto serio sul futuro, stanno tentando di prendere soldi a
cavolo”.
L’ultimo capitolo riguarda una dichiarazione televisiva del 2011, quando Meloni,
da ministra della Gioventù, si dichiarava favorevole a tassare rendite e
patrimoni nell’ambito di una manovra di austerità.
La chiosa di Landini è sarcastica: “Dicono che il vino che invecchiando
migliora. Qui ho la sensazione che passando il tempo si peggiora. E soprattutto
questa è la cosa pericolosa: quando si va al potere si liscia il pelo a quelli
che stanno meglio e non a quelli che stanno peggio”.
E conclude: “Bisogna che lo sappiano i cittadini italiani, i lavoratori, i
pensionati, perché questo governo sta in realtà peggiorando la condizione. Per
questo noi abbiamo proclamato lo sciopero generale venerdì 12 dicembre”.
L'articolo Landini a La7: “Meloni? Il vino invecchiando migliora, qui si
peggiora. Incoerenza totale, prende in giro gli italiani” proviene da Il Fatto
Quotidiano.