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“Sono stupito, non c’è una mezza ragione per fare un’intervista del genere”: Mei risponde a Jacobs
“Sono stupito, credo non ci sia una mezza ragione per fare un’intervista di quel genere, però ognuno fa quello che vuole”. Così a LaPresse il presidente della federazione italiana di atletica Stefano Mei commentando l’intervista di Marcell Jacobs a La Stampa. Il velocista italiano aveva infatti attaccato in mattinata la Fidal, dichiarando che “si sente preso in giro”. Jacobs ha anche dichiarato che non ha ancora fatto chiarezza sul suo futuro e “gli manca la scintilla” che poi renderebbe tutto più semplice: “Da presidente della federazione e primo tifoso dell’atletica sono invece preoccupato perché gli manca la scintilla, tutto il resto mi tange poco, ma il fatto che lui dica all’8 dicembre che gli manca la scintilla non è un bel lavoro. Io sono preoccupato solo di quello, spero gli torni presto”, ha spiegato Stefano Mei. Il presidente Fidal ha poi continuato a rispondere alle dichiarazioni del campione olimpico e Tokyo 2020: “Dice che si è sentito preso in giro? Non si capisce da chi e da cosa, io l’ho contattato più volte, ho sentito Rana Reider durante l’anno così come ha fatto il direttore tecnico. Non riesco a comprendere, poi è chiaro che gli atleti che fanno parte della Nazionale noi chiediamo di condividere il percorso tecnico, ovviamente con la struttura – ha aggiunto – Questo non mi sembra qualcosa di strano”. Jacobs ha anche criticato l’atteggiamento della Federazione, che “ha deciso di chiudere ogni rapporto”. Ma Mei non ci sta: “Io sono il presidente della federazione, ovviamente la mia porta è sempre aperta. Io l’ultimo messaggio che ho mandato a Marcell è il 26 settembre di quest’anno, quando ha compiuto gli anni. Io gli auguri li ho mandati, poi se uno non risponde può essere anche che non abbia voglia… io quello che devo fare lo faccio, se poi uno preferisce evitare va bene uguale”. Il presidente della Fidal ha poi concluso: “La vita va avanti. non c’è Jacobs, Tamberi, Furlani o Battocletti, c’è tutto un movimento dell’atletica italiana a cui bisogna dare attenzione”. L'articolo “Sono stupito, non c’è una mezza ragione per fare un’intervista del genere”: Mei risponde a Jacobs proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Mi sento preso in giro, non interesso alla Fidal. C’è invidia incredibile”: il duro sfogo di Jacobs
“Sono ancora in fase di riflessione. Sono successe troppe cose che mi hanno fatto perdere la scintilla”. A distanza di tre mesi dallo sfogo in diretta dopo la delusione in semifinale dei 100 metri ai Mondiali di atletica, Marcell Jacobs non ha ancora deciso quale sarà il suo futuro. Quel giorno aveva dichiarato: “Non so se continuerò a correre”. E oggi – nel corso di un’intervista a La Stampa – conferma: “Mi manca il primo passo: la voglia di andare in campo ad allenarmi che poi si porta dietro tutto il resto. Non sento il richiamo della pista, zero. Questo un po’ mi preoccupa”. “LA FIDAL? MI SENTO PRESO IN GIRO” Tra le “troppe cose successe” di cui parla Jacobs c’è sicuramente anche il declassamento della Federazione italiana di atletica, che lo ha tenuto negli atleti di punta, ma non tra i top. “L’ho letto, ero consapevole e non mi sono posto il problema. Già nel 2025 non ho avuto accordi con loro. Con la finale a Parigi ho dimostrato di esserci, non mi pareva di essere da buttare via, invece mi hanno presentato nuovi parametri. Li rispetto, poi scopro che per altri, a parità di condizioni, è andata diversamente: mi sento preso in giro”. La federazione lamenta una scarsa condivisione. ma Jacobs ribatte: “Mi sono comportato come quando stavo in Italia. Ci pensa l’allenatore a comunicare i programmi. Non si sono mai messi in contatto con Rana che avrebbe risposto a ogni domanda, ma non le volevano fare”. Poi torna su un altro accaduto a gennaio: “Colpa mia, non avevo l’abilitazione sportiva e la federazione voleva mandare a tutti i costi un tecnico qui. Avevo bisogno di un medico e loro cercavano di controllarmi. Non il massimo. Il rapporto lo hanno interrotto loro e se mi tolgono dagli atleti top vuol dire che non hanno interesse per me. Prendo atto”. IL CASO SPIONAGGIO CON IL FRATELLO DI TORTU Altro caso che ha riguardato Marcel Jacobs negli ultimi mesi è quello relativo allo spionaggio, con l’inibizione per tre anni di Giacomo Tortu, fratello di Filippo che aveva pagato per far spiare Jacobs alla ricerca di prove di doping. “La situazione non è stata percepita nella sua gravità. Mi ha destabilizzato e travolto: pagare qualcuno per frugare negli affari miei è inconcepibile, definisce, a prescindere dalle questioni penali, che c’è un livello di invidia fuori controllo“, ha spiegato Jacobs. Poi ancora: “Resto turbato, è stata violata la mia privacy e da una persona con cui ho condiviso la maglia della nazionale nel 2014, qualcuno che conoscevo. Il padre e Filippo non sapevano nulla? Non metto la mano sul fuoco per nessuno e non ho voglia di ipotizzare scenari. Non ho elementi, fare congetture mi stancherebbe e basta, non mi interessa dare colpe”. Una situazione che ha inevitabilmente creato imbarazzo anche con Filippo Tortu: “I primi cinque minuti, poi tutto molto tranquillo. Ha affrontato la situazione e glielo riconosco, mi ha chiamato quando è uscita la notizia e ci è voluto coraggio. Siamo andati avanti”. L'articolo “Mi sento preso in giro, non interesso alla Fidal. C’è invidia incredibile”: il duro sfogo di Jacobs proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Un morto riportato alla vita”: la storia di Jiri Marzi, 18enne salvato durante una maratona dopo un arresto cardiaco e una temperatura corporea di 21 gradi
“Un morto riportato alla vita” è il commento del medico Lorini, direttore del dipartimento di urgenza che ha salvato Jiri Marzi, corridore comasco appena maggiorenne in ipotermia dopo una maratona. Un passo indietro: è il 27 settembre e siamo alla Marathon Trail sul Lago di Como. Sono le 8 del mattino, si parte da Menaggio. Come gli altri atleti, Jiri Marzi ritira il kit, si lega le scarpe e parte. Il ragazzo ha 18 anni, viene da Griante, ha la pettorina numero 7 e studia al liceo musicale dove frequenta l’ultimo anno. Oltre a essere un pianista è un atleta allenato. “Ero molto contento”, ricorda il giovane. E nonostante il maltempo la maratona, accorciata dai 42 km iniziali, parte. Già bagnato per la pioggia e vestito leggero per una gara che prevedeva di poche ore, il 18enne probabilmente imbocca il percorso sbagliato a un’altezza di 2000 metri. La sua marcia, però, continua e per i circa 6 km successivi che riesce a portare a termine degli altri maratoneti non vi è traccia. Arrivati al check-point ufficiale, qualcuno si accorge dell’assenza di Marzi. Che intanto inizia a perdere le energie e si accorge che qualcosa non va. Il ragazzo verrà ritrovato alle ore 18.10, dopo 6 ore dal primo allarme sulla cresta tra il monte Bregnaro e il Sasso Bellarona in una condizione di ipotermia grave e in arresto cardiocircolatorio. La sua temperatura corporea era arrivata a 21 gradi. La nota lieta di una storia che si preannuncia tragica è la velocità dei soccorsi. Nonostante il tempo in peggioramento e l’alta quota del ragazzo, le squadre del soccorso alpino iniziano a battere la zona e alle 18.10 l’elicottero Drago dei pompieri individua Marzi. Inizia una corsa contro il tempo. Alle 18.15 il personale medico scende dall’elisoccorso e presta le prime cure. Si decide subito di attivare la macchina Ecmo, sostitutiva temporaneamente di cuore e polmoni. Alle 18.40 e dopo delle complesse operazioni per caricare la barella sull’aeromobile si decolla in direzione dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove viene messo fuori pericolo dal personale sanitario. Orario d’arrivo 19.01. “Ventuno minuti” – dice Gabriele Aletti, l’anestesista che ha praticato il primo soccorso sotto la neve – “Non riesco ancora a capacitarmi di come sia stato possibile”. La storia viene raccontata a Palazzo Lombardia martedì 2 dicembre dal personale medico, i vigili del fuoco, i protagonisti dei soccorsi e soprattutto da Jiri Marzi. Il suo ricordo descrive meglio di qualsiasi cosa l’accaduto: “Quando ho sentito le energie venire meno ero ancora convinto di essere sul percorso giusto e ho pensato: se continuo, se cammino, da qualche parte arriverò, qualche corridore mi raggiungerà e potremo finire la gara insieme. Poi però mi sono trovato a un punto in cui mi sono detto che non ce l’avrei fatta. Sono uno che di solito va avanti e dà il tutto per tutto fino all’ultimo, mantengo livelli di lucidità abbastanza alti anche nei momenti stress. Ero cosciente che la situazione fosse grave. Avevo con me il telefono e l’ho sentito vibrare in qualche momento, ho sentito anche gli elicotteri e mi sono detto: c’è qualcosa che non va. Ma non potevo neanche prendere il cellulare perché le dita erano ghiacciate, e lo stesso le barrette che avevo con me, per il freddo non riuscivo ad aprirle, non potevo servirmene per scappare da questa situazione”. Nei suoi ricordi un buco di un’ora e mezza, Jiri si risveglia direttamente in ospedale, e vi rimane per un percorso di circa 6 settimane. Il ragazzo è stato attaccato all’Ecmo per 6 giorni, poi il ricovero in terapia intensiva e il trasferimento in reparto e la riabilitazione. E ora, colpito dalla straordinaria esperienza vissuta, nei piani del giovane sembra cambiare qualcosa: “Prima desideravo fare l’ufficiale militare, adesso sto cambiando. E sì, forse andrò a fare Medicina“. L'articolo “Un morto riportato alla vita”: la storia di Jiri Marzi, 18enne salvato durante una maratona dopo un arresto cardiaco e una temperatura corporea di 21 gradi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“È una vita che mi sento dire che ho il fisico sbagliato. Io ho perso, perché due amiche si sono ritirate per questi motivi”: la denuncia di Elisa Molinarolo
“Mi faccio ancora portavoce e dico che non bisogna stare zitti. Denunciamo: forse uno non fa la differenza, ma se siamo in tanti forse qualcosa cambierà“. Elisa Molinarolo non si nasconde mai quando c’è da parlare di body shaming nello sport, in particolare nell’atletica. Poco più di un anno fa, dopo uno splendido sesto posto nella finale del salto con l’asta alle Olimpiadi di Parigi 2024, denunciò i commenti sul fisico e le offese ricevute sui social: non solo pubblicamente, ma anche in tribunale. Il suo caso è stato archiviato: “Chi mi offende per il fisico la passa liscia“, raccontò Molinarolo con tanta delusione pochi mesi dopo. Oggi però l’atleta azzurra, 31 anni e tre volte campionessa italiana di salto con l’asta, rivendica quel gesto e lo considera comunque fondamentale per continuare a combattere il body shaming e aiutare le nuove generazioni di atlete: “Alla fine sono stata anche in diretta tv, ci sono stati articoli su giornali importanti, e quindi l’obiettivo di parlare di questo argomento è stato raggiunto”. Molinarolo ha affrontato queste tematiche durante un’intervista a OA Focus, trasmissione che va in onda sul canale YouTube di OA Sport. “È una vita che mi sento dire che ho il fisico sbagliato, perché quando facevo ginnastica ero troppo alta, poi ero troppo grassa“. La giovane veronese infatti aveva cominciato con la ginnastica artistica, poi è passata alla pedana del salto con l’asta: “Fortunatamente nell’atletica ho trovato Marco Chiarello, che è il mio allenatore dal primo minuto in cui ho messo piede in campo. È stata una delle mie grandi fortune, perché non ha mai forzato la mano su questo argomento, appena ha percepito che per me l’alimentazione ed il mio corpo erano un argomento un pochettino delicato, non si è mai permesso di entrare a gamba tesa come invece hanno fatto nella ginnastica per anni”. Sul caso di body shaming dopo le Olimpiadi di Parigi, Molinarolo ha spiegato: “Io sono abituata a sentirmi dire che ho il fisico sbagliato per fare quello che faccio, ma mi sembra assurdo che tu mi venga a dire, dopo un sesto posto alle Olimpiadi, che avevo un fisico impresentabile per l’occasione. Ho fatto il record personale in una finale olimpica, avrei potuto fare molto meglio?”. Molinarolo ha deciso di esporsi in prima persona anche per difendere le sue giovani compagne, per far capire loro che il body shaming non è normale: “Nell’ultimo anno in campo avevamo proprio vissuto, soprattutto con le ragazze più piccole, dei momenti veramente difficili e delicati“. L’astista prosegue: “Questi social mostrano sempre il fisico perfetto, mostrano la donna senza un filo di cellulite e senza una smagliatura, ed io ho sempre cercato di dire a queste ragazze che non è vero, perché le foto sono ritoccate, fidatevi di me. Magari parlo anche di atleti con cui gareggio, fidatevi che sui social sembra che siano perfette, ma quando poi le vedi da vicino hanno anche loro le imperfezioni“. Affrontando questo argomento, Molinarolo si lascia andare anche a un po’ di sconforto: “Io ho perso, nel senso che si sono ritirate dall’attività due compagne di allenamento per motivi legati all’alimentazione e per motivi legati appunto al corpo, che inizia a cedere da dentro, perché ovviamente se non metti benzina dentro, il corpo cede ad un certo punto”. “Quindi ero veramente arrabbiata, perché non solo perdi delle atlete, ma perdi anche a volte delle amiche per questo argomento”, ha aggiunto l’atleta azzurra, tornando sulle motivazioni della sua denuncia. L'articolo “È una vita che mi sento dire che ho il fisico sbagliato. Io ho perso, perché due amiche si sono ritirate per questi motivi”: la denuncia di Elisa Molinarolo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Maratoneti della stessa squadra morti nel sonno: un certificato medico di Anna Zilio era falso
Spunta un certificato medico falso di abilitazione all’attività agonistica, risalente al 2021, nell’indagine relativa alla morte di Anna Zilio, 39 anni, la runner veronese trovata senza vita in casa il 14 ottobre scorso. Come riportato da Ansa, è questo un primo esito degli accertamenti che la Procura di Verona ha avviato verso ignoti per la vicenda che ha scosso l’ambiente podistico veneto. L’inchiesta su Zilio è parallela a quella aperta dalla Procura di Vicenza sul decesso di un altro atleta, Alberto Zordan, 48 anni, morto nel sonno tra l’1 e il 2 novembre e appartenente alla stessa squadra della donna, la Team Km sport di San Martino Buon Albergo, in provincia di Verona. Nel 2021 la donna era stata costretta a interrompere l’attività sportiva per alcuni problemi medici. Zilio era segretaria della società sportiva e tra i suoi incarichi vi era quello di archiviare la documentazione degli atleti. Gli investigatori la scorsa settimana si erano recati in uno studio medico per verificare i documenti in particolare della donna. Non vi sono ovviamente certificati relativi al 2025, perché l’ultimo, risalente al 2024, vale per legge un anno e sarebbe dovuto ancora essere rinnovato. Zordan invece sarebbe sempre stato in regola con i certificati medici. Le due morti sono avvenute a meno di tre settimane di distanza l’una dall’altra con le stesse modalità: un malore nel sonno. Questa è l’unica coincidenza che si somma alla comune iscrizione alle stessa società sportiva. Su entrambe le vittime è stato eseguito un esame diagnostico con il prelievo di tessuti, che saranno analizzati. I magistrati hanno chiesto nello specifico un approfondimento sui liquidi biologici. La Procura di Verona ha nel frattempo conferito l’incarico per una consulenza tossicologica sull’eventuale presenza di sostanze nel sangue della donna. Emanuele Marchi, vicepresidente della Km Sport, aveva dichiarato di voler sapere la causa delle due morti “però noi come società – aveva puntualizzato nei giorni scorsi – non vediamo nessuna correlazione, purtroppo solo grande dispiacere e tristezza”, aveva aggiunto. Anche il legale della famiglia di Anna Zilio, l’avvocato veronese Marco Pezzotti, aveva ribadito come non vi fosse alcun collegamento tra questi due decessi: “Si tratta di una tragedia molto dolorosa, e attendiamo i risultati dell’autopsia che permetteranno di chiarire le cause della morte”. L'articolo Maratoneti della stessa squadra morti nel sonno: un certificato medico di Anna Zilio era falso proviene da Il Fatto Quotidiano.
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