Un matrimonio da favola, una location esclusiva affacciata sul lago di Como, un
rito civile curato in ogni dettaglio. Amici, parenti, genitori dello sposo
emozionati. Tutto perfetto, almeno in apparenza. Perché quella celebrazione,
come racconta Il Messaggero, era in realtà una messinscena: la sposa era già
sposata e il compagno non ne sapeva nulla. A far crollare l’inganno è stato uno
dei testimoni, l’unico tra gli invitati a notare che nella cerimonia c’era
qualcosa che non tornava. Nei giorni successivi alle “nozze”, deciso a
verificare che tutto fosse stato registrato regolarmente, si è rivolto
all’ufficio anagrafe competente. Ed è lì che ha scoperto la verità: “Non
risultano pubblicazioni, né atti di matrimonio”, gli hanno risposto gli
impiegati. Una circostanza impossibile per una celebrazione civile legittima.
A quel punto l’ufficio comunale ha allertato i carabinieri, che hanno
identificato la coppia e li hanno convocati per chiarire la situazione. È stato
allora che lo sposo – residente come la compagna in provincia di Varese,
professionista qualificato e ignaro di tutto – ha appreso ciò che nessuno
avrebbe immaginato: la donna era già unita in matrimonio con un altro uomo. Non
si trattava di un equivoco burocratico, ma di una vera e propria doppia vita.
Secondo la ricostruzione riportata da Il Messaggero, la donna non aveva mai
rivelato al compagno la sua situazione matrimoniale, riuscendo a nasconderla
fino al momento in cui la richiesta di sposarsi non le ha più permesso di
sottrarsi. Da qui l’organizzazione di una finta cerimonia civile: celebrante non
ufficiale, nessuna pubblicazione, nessun atto registrato. Solo un rito scenico,
con tanto di invitati, location prestigiosa e simbolismi nuziali, per non
confessare la verità. Ora la vicenda è nelle mani dei carabinieri, che stanno
verificando i possibili reati legati alla simulazione di un matrimonio e
all’inganno compiuto. Un’informativa verrà trasmessa alla Procura per stabilire
eventuali responsabilità penali.
L'articolo “La sposa era già sposata e lui non ne sapeva nulla”: la scoperta
choc del testimone, ecco come ha intuito che il matrimonio da sogno a Como era
una farsa proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Manca ancora l’ufficialità, ma Milan-Como non si giocherà a Perth, in Australia.
Dopo l’indiscrezione nella giornata di martedì 9 dicembre, arriva conferma anche
dalle parole di Paolo Scaroni, presidente del Milan, nel corso di una lunga
intervista a Class CNBC. “Non ho ancora abbassato le braccia su questo tema, ma
ci sono così tante autorizzazioni da ottenere che comincio ad essere
preoccupato. Se saltasse sarebbe un’occasione persa per la Serie A perché noi
abbiamo l’obiettivo di rendere la Serie A attrattiva nel mondo”.
Le autorizzazioni di cui parla Scaroni sarebbero in realtà delle condizioni
molto stringenti poste da Asian Football Confederation e Football Australia: la
sfida non sarebbe pubblicizzata come un match di Serie A e a dirigere l’incontro
ci sarebbe un team di arbitri dell’Afc e non della Can, federazione italiana
degli arbitri. Queste due condizioni hanno portato a uno stop – dopo quello di
Miami per il match tra Barcellona e Villarreal – del processo che avrebbe
portato a giocare il primo match di A fuori dall’Italia.
Il match vale 12 milioni sonanti, 4 per l’organizzazione dell’evento, gli altri
8 per le casse dei club coinvolti (e della Lega), ma Scaroni smentisce tutto:
“Noi dobbiamo andare via da San Siro perché c’è l’inaugurazione dei Giochi
olimpici. Una delle idee che abbiamo perseguito era di andare in Australia per
promuovere il calcio italiano, non per fare un affare economico che non c’è”.
Adesso, a meno di un nuovo colpo di scena nelle prossime ore o nei prossimi
giorni – con l’intervento della Fifa, l’unica istituzione in questo momento in
grado di sbloccare la situazione – il match salterà e così il Milan dovrà
trovare una sede libera in quel week end per giocare la propria partita di
campionato.
L'articolo Milan-Como in Australia, Scaroni: “Comincio a essere preoccupato. Ma
non c’è nessun affare economico” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo annunci trionfali, pubblicità e promozione dell’evento, la sfida tra Milan
e Como di febbraio non si giocherà con molta probabilità a Perth, in Australia.
Manca ancora l’ufficialità ma – come riportato da La Gazzetta dello Sport – la
direzione è quella. Nonostante il via libera, molto poco entusiasta per usare un
eufemismo, da parte della Uefa, in Lega Calcio non era ancora arrivata
l’autorizzazione della Federcalcio australiana e soprattutto della
Confederazione asiatica. Ora sarebbe arrivata, ma alle loro condizioni.
Per il match – che vale 12 milioni sonanti, 4 per l’organizzazione dell’evento,
gli altri 8 per le casse dei club coinvolti (e della Lega) – l‘Asian Football
Confederation e Football Australia hanno infatti posto delle condizioni molto
stringenti: la sfida non sarebbe pubblicizzata come un match di Serie A e a
dirigere l’incontro ci sarebbe un team di arbitri dell’Afc e non della Can,
federazione italiana degli arbitri. Queste due condizioni hanno portato a uno
stop – dopo quello di Miami per il match tra Barcellona e Villarreal – del
processo che avrebbe portato a giocare il primo match di A fuori dall’Italia.
A meno di un nuovo colpo di scena nelle prossime ore o nei prossimi giorni – con
l’intervento della Fifa, l’unica istituzione in questo momento in grado di
sbloccare la situazione – il match salterà e così il Milan dovrà trovare una
sede libera in quel week end per giocare la propria partita di campionato, visto
che San Siro sarà impegnato con la cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici di
Milano-Cortina 2026.
Nonostante la Serie A – di fronte a queste cifre e alla possibilità di
promuovere il nostro calcio nel mondo – non ci abbia pensato due volte a portare
una partita di campionato dall’altra parte del pianeta, adesso dopo le
condizioni poste dalle federazioni asiatiche e australiane, le possibilità di
vedere Milan e Como in Australia si sono così ridotte quasi allo zero. E sarà
felice qualche giocatore – come per esempio Adrien Rabiot (zittito subito
dall’amministratore delegato della Lega Serie A Luigi De Siervo) – che aveva
definito una “follia” l’evento australiano.
L'articolo Milan-Como in Australia rischia di saltare: “Condizioni troppo
stringenti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il Como non perdeva da agosto e aveva subito un gol nelle ultime quattro
partite. A San Siro ne ha presi quattro in un solo match, travolto dall’Inter.
Chiamata alla prova del nove, la squadra di Chivu ha risposto presente, tornando
in vetta alla Serie A per una notte. In apertura il gol di Lautaro, il
capocannoniere del campionato. Nella ripresa il raddoppio di Thuram, poi le reti
di Calhanoglu e Carlos Augusto a completare la goleada nerazzurra. Il Como di
Fabregas invece si spegne a San Siro: finisce 4-0, era da oltre un anno che non
arrivava una sconfitta così pesante per i lariani.
Articolo in aggiornamento
L'articolo L’Inter spegne il Como di Fabregas e torna in vetta per una notte:
goleada a San Siro proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Non ne voglio parlare, non mi interessa ora. Mi fa male questa domanda, per
l’emozione”. Così Cesc Fabregas in conferenza stampa pre Inter-Como, alla
domanda sul no all’Inter in estate dopo l’addio di Simone Inzaghi. “Io sono al
Como, mi mangio tutto e tutti per il Como. Andremo a San Siro per cercare di
vincere la partita, per fare una grande prestazione e continuare a crescere”, ha
proseguito l’allenatore spagnolo in vista del match che si giocherà sabato 6
dicembre alle ore 18 a San Siro.
“L’Inter ha una grandissima squadra e un grandissimo allenatore, con dirigenti
bravi – ha aggiunto Fabregas -. Vado tantissimo a San Siro a vedere l’Inter in
Champions, perché loro sono un squadra forte. Non siamo noi la squadra che può
mettere paura all’Inter. Hanno giocato tantissime partite, due finali di
Champions League, quindi noi giocheremo la nostra partita, giocheremo le nostre
carte e proveremo a vincere”, ha concluso il tecnico che in estate per un
momento è sembrato essere vicinissimo all’Inter.
Fabregas era infatti la prima scelta del presidente Marotta e della società
nerazzurra dopo l’addio di Simone Inzaghi dopo la finale di Champions League
contro il Psg persa per 5-0. L’Inter aveva individuato nell’allenatore del Como
il sostituto ideale, ma dopo giorni di dialoghi, Fabregas – di comune accordo
con il patron Mirwan Suwarso – ha deciso di rimanere nella città comasca. A quel
punto l’Inter ha virato su Cristian Chivu – preferito a Vieira – chiudendo la
trattativa in pochissimo tempo.
Adesso Fabregas arriverà a San Siro, sì, ma da avversario in quello che è a
tutti gli effetti uno scontro diretto. L’Inter si trova infatti al momento a
quota 27 punti, al secondo posto in classifica dietro a Milan e Napoli, mentre
il Como insegue al quinto, a quota 24. Una vittoria della formazione comasca
significherebbe aggancio in classifica. Un’eventuale sconfitta invece porterebbe
il Como a -6 dai nerazzurri.
L'articolo “Il no all’Inter? Non ne voglio parlare, non mi interessa ora. Mi fa
male questa domanda”: la reazione di Fabregas proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Un morto riportato alla vita” è il commento del medico Lorini, direttore del
dipartimento di urgenza che ha salvato Jiri Marzi, corridore comasco appena
maggiorenne in ipotermia dopo una maratona. Un passo indietro: è il 27 settembre
e siamo alla Marathon Trail sul Lago di Como. Sono le 8 del mattino, si parte da
Menaggio. Come gli altri atleti, Jiri Marzi ritira il kit, si lega le scarpe e
parte. Il ragazzo ha 18 anni, viene da Griante, ha la pettorina numero 7 e
studia al liceo musicale dove frequenta l’ultimo anno. Oltre a essere un
pianista è un atleta allenato.
“Ero molto contento”, ricorda il giovane. E nonostante il maltempo la maratona,
accorciata dai 42 km iniziali, parte. Già bagnato per la pioggia e vestito
leggero per una gara che prevedeva di poche ore, il 18enne probabilmente imbocca
il percorso sbagliato a un’altezza di 2000 metri. La sua marcia, però, continua
e per i circa 6 km successivi che riesce a portare a termine degli altri
maratoneti non vi è traccia. Arrivati al check-point ufficiale, qualcuno si
accorge dell’assenza di Marzi. Che intanto inizia a perdere le energie e si
accorge che qualcosa non va. Il ragazzo verrà ritrovato alle ore 18.10, dopo 6
ore dal primo allarme sulla cresta tra il monte Bregnaro e il Sasso Bellarona in
una condizione di ipotermia grave e in arresto cardiocircolatorio. La sua
temperatura corporea era arrivata a 21 gradi.
La nota lieta di una storia che si preannuncia tragica è la velocità dei
soccorsi. Nonostante il tempo in peggioramento e l’alta quota del ragazzo, le
squadre del soccorso alpino iniziano a battere la zona e alle 18.10 l’elicottero
Drago dei pompieri individua Marzi. Inizia una corsa contro il tempo. Alle 18.15
il personale medico scende dall’elisoccorso e presta le prime cure. Si decide
subito di attivare la macchina Ecmo, sostitutiva temporaneamente di cuore e
polmoni. Alle 18.40 e dopo delle complesse operazioni per caricare la barella
sull’aeromobile si decolla in direzione dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di
Bergamo, dove viene messo fuori pericolo dal personale sanitario. Orario
d’arrivo 19.01. “Ventuno minuti” – dice Gabriele Aletti, l’anestesista che ha
praticato il primo soccorso sotto la neve – “Non riesco ancora a capacitarmi di
come sia stato possibile”.
La storia viene raccontata a Palazzo Lombardia martedì 2 dicembre dal personale
medico, i vigili del fuoco, i protagonisti dei soccorsi e soprattutto da Jiri
Marzi. Il suo ricordo descrive meglio di qualsiasi cosa l’accaduto: “Quando ho
sentito le energie venire meno ero ancora convinto di essere sul percorso giusto
e ho pensato: se continuo, se cammino, da qualche parte arriverò, qualche
corridore mi raggiungerà e potremo finire la gara insieme. Poi però mi sono
trovato a un punto in cui mi sono detto che non ce l’avrei fatta. Sono uno che
di solito va avanti e dà il tutto per tutto fino all’ultimo, mantengo livelli di
lucidità abbastanza alti anche nei momenti stress. Ero cosciente che la
situazione fosse grave. Avevo con me il telefono e l’ho sentito vibrare in
qualche momento, ho sentito anche gli elicotteri e mi sono detto: c’è qualcosa
che non va. Ma non potevo neanche prendere il cellulare perché le dita erano
ghiacciate, e lo stesso le barrette che avevo con me, per il freddo non riuscivo
ad aprirle, non potevo servirmene per scappare da questa situazione”.
Nei suoi ricordi un buco di un’ora e mezza, Jiri si risveglia direttamente in
ospedale, e vi rimane per un percorso di circa 6 settimane. Il ragazzo è stato
attaccato all’Ecmo per 6 giorni, poi il ricovero in terapia intensiva e il
trasferimento in reparto e la riabilitazione. E ora, colpito dalla straordinaria
esperienza vissuta, nei piani del giovane sembra cambiare qualcosa: “Prima
desideravo fare l’ufficiale militare, adesso sto cambiando. E sì, forse andrò a
fare Medicina“.
L'articolo “Un morto riportato alla vita”: la storia di Jiri Marzi, 18enne
salvato durante una maratona dopo un arresto cardiaco e una temperatura corporea
di 21 gradi proviene da Il Fatto Quotidiano.
21 punti, 17 gol fatti, 7 subiti e un sesto posto in Serie A che, alla fine, può
quasi stargli un po’ stretto. Il Como di Fabregas sta assumendo una fisionomia
sempre più precisa che i dati confermano e che lo stesso allenatore ha voluto
tracciare anche dopo la vittoria netta e convincente contro il Torino. “Questa è
la nostra forza” ha detto dopo il 5-1 rifilato ai granata senza troppo bisogno
di interpretazioni.
“Ci sono giocatori giovani, con fame e talento da far crescere. Ci saranno alti
e bassi, ma sono contento e spero che sia solo l’inizio”, è il manifesto che ai
microfoni di Sky ha voluto rendere ancora più chiaro. E che i numeri, appunto,
dimostrano.
AGGRESSIONE E FALSE PERCEZIONI
Il primo punto che emerge, è quello dell’aggressione. Che ancora non coincide
con un numero di gol adeguato rispetto alla produzione di gioco che durante i 90
minuti viene espressa. Soccerment conferma che il Como sia al primo posto in
Serie A per pressing, costringendo le avversarie a una media di 12.72 passaggi
indietro ad azione: vuol dire che tanti ne servono per chiunque affronti i
lombardi, per provare a superarli.
Tantissimo. Importante anche la percentuale di pressing nel terzo offensivo:
3,89 rispetto a una media di 0,73. Un dato inequivocabile. Tutto questo porta a
un inevitabile alto numero di expected Goals: 1.31 nei 90’, che spesso derivano
da azioni laterali o da giocate individuali. Il Como, anche per le
caratteristiche dei singoli, spicca infatti nel numero dei dribbling tentati:
sono 16,58 a partita, un dato che porta al primo posto di questa speciale
classifica rispetto a tutta la Serie A.
Un marchio di fabbrica che, abbinato alle doti di aggressività, porta il Como a
essere la seconda miglior difesa di tutto il campionato, dietro solo alla Roma
(6 gol, contro i 7 dei lombardi) e davanti al Milan (9). Un numero che non stona
rispetto alle caratteristiche elencate sopra e che dimostra ancora una volta
come certe percezioni (quelle di una squadra con tanti giocatori offensivi e
spesso votati all’attacco) possano portare in qualche caso fuori strada. Perché
la squadra di Fabregas concede 1,02 expected Goals a partita. Molti meno
rispetto a quanto un gioco tanto propositivo potrebbe portare a pensare.
PROTAGONISTI E CLAUSOLE
Si parlava di giocate individuali: i protagonisti, in questo senso, sono tanti,
giovani e di bellissime prospettive. Contro il Torino, gli esterni Jesus
Rodriguez (20 anni) e soprattutto Addai (anche lui ventenne) hanno fatto la
differenza. E non ci si stupisce, soprattutto visto il dato dei dribbling di cui
sopra. Ma alla fine, c’è sempre anche il timbro di Nico Paz.
Lo spagnolo a soli 21 anni è davvero il leader della squadra: quando si
illumina, il Como cambia pelle. Lo dimostrano i 5 gol segnati (uno anche ai
granata) e i 4 assist in 12 partite. Le sue prestazioni sono così in crescita da
aver alimentato le voci su una possibile recompra già per questo gennaio da
parte del Real Madrid, la squadra in cui è cresciuto.
Prospettiva improbabile, per non dire proprio impossibile. Per Paz, la clausola
è valida solo a giugno e ha una quotazione di soli 9 milioni di euro (che
saliranno a 10 nell’estate 2027). Vero, il Como può accettare anche altre
offerte, che il Real dovrebbe o pareggiare o per le quali incasserebbe il 50%
sulla cessione. Ma anche in questo caso, non ci sono scenari simili
all’orizzonte.
Le due società stanno anzi trattando per provare a risolvere anticipatamente la
questione: il Como dovrebbe comprare, con una quotazione da concordare, ogni
diritto sportivo sul giocatore, liberandosi così dalla recompra a favore del
Real che incasserebbe denaro fresco da reinvestire sul mercato. Di questo, per
ora, si parla. E non di addii anticipati. Perché Paz, per Como, rappresenta il
presente. E anche un piccolo pezzo di futuro.
L'articolo Aggressioni e false percezioni: il Como vola in classifica ma i
numeri dicono che meriterebbe di più proviene da Il Fatto Quotidiano.
Zero. Tanti erano i gol che i tifosi del Como avevano visto al Sinigallia fino
ad allora. Un allora che porta la data del 24 novembre di 40 anni fa, col
campionato di Serie A già all’undicesima giornata.Per la verità già l’anno prima
il gol era stato un problema per i lariani nel massimo campionato: ne erano
arrivati 17 in 30 partite e il capocannoniere era stato Morbiducci con soli tre
gol, ma la squadra guidata da Ottavio Bianchi ne aveva beccati solo 27, roba da
vetta della classifica e si era salvata senza grossi problemi. Quell’anno però,
con mister Roberto Clagluna alla guida, era partito male: solo tre pareggi e una
vittoria in dieci giornate, nessun gol in casa.
Il pubblico esplode, perciò, quando contro la Sampdoria arriva dopo pochi minuti
un lancio lungo che scavalca la difesa, con l’attaccante che lascia rimbalzare
il pallone e spara un bel sinistro potente e preciso all’angolino. È Dan
Corneliusson, svedese, arrivato l’anno prima a Como. Figlio di un pescatore,
aveva trascorso l’infanzia sull’isolotto di Hönö, giocando a pallacanestro e a
calcio: si fa notare però in quest’ultimo sport, guadagnandosi l’ingresso nelle
giovanili del Göteborg.
Per restarci deve trasferirsi in città, da solo, e studiare: lui va a scuola con
profitto e si distingue negli allenamenti, guadagnandosi l’esordio e il
passaggio in prima squadra. Poche distrazioni, al massimo qualche vacanza
estiva: una in particolare a dieci anni, in campeggio, a Como, come ha ricordato
anche in un’intervista a La Provincia di Como. In poco tempo diventa titolare
sotto la guida di Sven Goran Eriksson e nel 1982, giovanissimo, si guadagna
l’accesso alla finale di Coppa Uefa, timbrando tre gol nella manifestazione.
L’andata della finale in Svezia era finita 1 a 0, l’Amburgo credeva nella
rimonta in Germania, ma è proprio Dan in apertura di primo tempo a far capire
che le cose sarebbero andate diversamente, aprendo le danze con un bel gol di
sinistro al volo.
Passa allo Stoccarda dove vince il titolo, poi lo vorrebbe il Torino, ma
preferisce Hernandez: nel 1984 è il Como ad accaparrarselo per un miliardo e
mezzo di lire. Il primo anno Dan Corneliusson mette a segno solo due gol, anche
se si fa apprezzare dal pubblico per generosità, guadagnandosi la riconferma per
la stagione successiva. Accanto a lui il giovane Stefano Borgonovo, ad ispirarli
il brasiliano Dirceu: la partenza non è col botto, come detto, ma con l’arrivo
di Rino Marchesi viene invertita la rotta. Il Como ritrova fiducia, gioco e
soprattutto gol. È meno frenetico rispetto al talentuoso Borgonovo, più lineare,
più “classico”: si allarga, tiene la palla, apre corridoi. Comincia a segnare
con maggiore continuità, ma soprattutto fa giocare bene gli altri. Marchesi se
ne innamora subito: lo ritiene uno di quei calciatori silenziosi che rendono
armoniosa una squadra, senza pretendere titoli sui giornali.
In quelle stagioni Corneliusson scopre davvero l’Italia. Vive Como con
discrezione: ama camminare sul lungolago la mattina presto, quando la città deve
ancora svegliarsi, e spesso si sofferma a guardare i pescatori, come suo padre
sull’isola di Hönö. Ogni tanto riceve visite dalla famiglia svedese, sorpresa
dalla quantità di tifosi che lo fermano per strada. A lui, che veniva da
un’infanzia semplice, fatta di barche, vento freddo e campetti polverosi, sembra
quasi irreale ritrovarsi in una piccola città che però vive il calcio con una
passione da metropoli.
In campo Dirceu illumina, Borgonovo entusiasma, e Corneliusson mette insieme
movimenti, sacrificio e una serie di gol pesanti. Memorabile quello alla
Juventus in Coppa Italia, in una serata gelida, con il Sinigallia coperto da una
neve sottile. Un sinistro improvviso, potente, che sbuca dal nulla e finisce
all’angolino: è uno dei lampi che i tifosi ricordano ancora oggi, uno di quei
momenti in cui sembra che tutto, per un attimo, giri dalla parte giusta. Un gol
che permette ai lariani di superare il turno e di sognare la finale, ma nella
gara contro la Samp ai supplementari un oggetto colpisce l’arbitro e al Como
viene assegnata la sconfitta a tavolino.
A Como Dan Corneliusson rimane cinque stagioni, diventando un punto fermo non
solo della squadra ma anche dell’ambiente. Si fa voler bene per il modo educato
di stare in gruppo, per la timidezza mai scambiata per distacco, per quella
puntuale disponibilità a fermarsi con i più piccoli fuori dagli allenamenti. In
campo è un lavoratore, un attaccante di raccordo come oggi se ne vedono pochi,
capace di dare equilibrio e profondità. Non è un goleador puro, ma è uno di
quelli che “ci sono sempre”: nelle partite sporche, quando servono le spalle
larghe e il carattere, è il primo ad alzare la testa.
Col tempo impara anche l’italiano, che parla con un accento dolce e
cantilenante, soprattutto impara ad amare un certo modo di vivere: lento,
affacciato sull’acqua, fatto di saluti, di piazze, di visi conosciuti. Racconta
spesso che Como è stata la sua seconda casa, più ancora di Stoccarda. E non è un
caso che torni periodicamente, ogni volta accolto come un amico che si era
soltanto allontanato per un po’.
Dopo Como ci saranno altre avventure, altre maglie, in particolare Wettingen e
Malmo. Ma il ricordo più pieno è quello di un ragazzo svedese arrivato dal
freddo con una valigia leggera e un sinistro educato, capace di trovare un posto
nel cuore di una città che ancora oggi ne custodisce i gol, i sorrisi e la
gentilezza. E allora il cerchio si chiude. Quel bambino che a dieci anni passò
un’estate in campeggio sul lago senza immaginare nulla del suo futuro, finì per
tornarci da uomo e da calciatore affermato, regalando ai comaschi emozioni che
il tempo non ha scolorito.
L'articolo Ti ricordi… Dan Corneliusson, il ragazzo venuto dal freddo che a Como
ha lasciato gol, silenzi e sorrisi proviene da Il Fatto Quotidiano.