Mentre risuonava il monito della Cop30 di Belem e il governo del nostro Paese
spariva dai monitor allarmati per la protezione del clima, un importante
convegno tenuto a Milano il 22 novembre – con una rilevante partecipazione in
rappresentanza di 30 associazioni territoriali – produceva una critica sistemica
all’opzione nucleare, civile e militare. L’auspicio del governo per un ritorno
dell’atomo in Italia è stato preso in considerazione con molto realismo: si è
colto così come i rischi tecnici, sanitari, economici e socio‑politici siano
sottovalutati e incompatibili con le urgenze e la qualità di una transizione
climatica rapida e a costi sostenibili.
Il dibattito è stato puntuale e documentato e ha registrato una notevole
convergenza delle forze politiche invitate e intervenute (Pd, M5S, Avs, Prc,
Pci), quando è stata messa a nudo la propaganda governativa per un incauto
rilancio di quello che è stato definito con Robert Jungk “uno stato atomico”.
Tra i molti spunti di un confronto documentato, riprendo qui alcune indicazioni
tra le più rilevanti e di immediata comprensione.
Gli interventi (registrati in video) hanno confermato una falsa separazione tra
“atomo per la guerra” e “atomo per la pace”, con il rischio effettivo di una
“compromissione di democrazia, di natura, di futuro”. E’ stata contestata la
narrativa dei “nuovi reattori economici”, definendola un’illusione fondata su
stime di costo irrealistiche. Le cifre sbandierate (Lcoe a 50-70€/MWh) sarebbero
lontane dai valori effettivi, che salirebbero oltre i 200 €/MWh, specie quando
si internalizzano oneri finanziari, rischio progetto, assicurazioni, gestione
rifiuti e decommissioning. Se le valutazioni del nostro governo stanno a livelli
assai inferiori è perché si ipotizza la socializzazione dei rischi e la
privatizzazione dei profitti tramite sussidi, garanzie e tariffe indicizzate a
carico dei consumatori. Sono stati poi richiamati tempi di costruzione per i
reattori ben superiori ai dieci anni, citando casi concreti per gli impianti più
recenti: Hinkley Point C in Inghilterra con una escalation di costi a 33 mld £,
Vogtle negli Usa con esborsi passati da 14 a 35 mld $.
Sul profilo salute‑ambiente, è stato rilevato che la radioprotezione moderna
adotta il principio lineare senza soglia (Lnt) per le basse dosi: dunque non
esisterebbero esposizioni “prive di rischio”. Si è sostenuto che, sapendo che
gli effetti sanitari (tumori tiroidei, patologie cardiovascolari, malformazioni
congenite) sono sistematicamente minimizzati da autorità e organismi
internazionali, si arriverebbe a pratiche di negazione del danno analoghe a
quelle storiche dell’industria del tabacco.
I limiti della cultura della sicurezza e della regolazione nel settore nucleare
con la compenetrazione fra governi, enti regolatori e operatori indebolirebbe
l’indipendenza e la trasparenza dell’informazione, con esiti di sottovalutazione
delle emergenze, come mostrato dall’incidente di Fukushima. La promessa di
“sicurezza assoluta” disincentiverebbe una pianificazione realistica per eventi
rari ma ad alto impatto. In prospettiva climatica, nel caso di reattori nucleari
si aggiungono stress fisici crescenti (ondate di calore, siccità, alluvioni) che
aumentano il rischio di fermate non programmate e vulnerabilità dei sistemi di
raffreddamento e delle supply chain. La gestione del combustibile esaurito e dei
rifiuti ad alta attività resta un nodo irrisolto tecnologicamente e socialmente.
La chiusura degli impianti, poi, genera impegni finanziari certi e prolungati,
spesso coperti da fondi alimentati da tariffe o fiscalità.
Il settore nucleare è dipendente da sussidi e diplomazia statale: export credit,
garanzie, pacchetti “chiavi in mano” e programmi di “colonizzazione” come quelli
trattati da Trump nell’incontro a Washington con Giorgia Meloni. La contiguità
tecnologica tra civile e militare e i rischi di proliferazione sono all’ordine
del giorno, con pratiche industriali controverse, ancor più condizionate oggi
dalla corsa al riarmo. Pur tenendo conto dell’ondata di venture capital e
dell’interesse politico, è stato sottolineato che i piccoli reattori modulari
(Smr) affrontano ancora barriere su licenze, supply chain, dimostrazione di
costi e sicurezza. Le stime aumentano, le timeline slittano, e permangono
criticità insormontabili su rifiuti, gestione del plutonio e complessità
ingegneristiche; la presunta “modularità” non avrebbe ancora provato economie di
serie vantaggiose nella pratica.
In termini di sistema, si è rivendicato che eolico, solare e pompaggi (insieme a
storage elettrochimico e flessibilità di rete) abbiano ridotto fortemente i
costi complessivi e i tempi di dispiegamento, superando il nucleare nella
competizione dei costi, oltre che in nuova capacità e quote di generazione. Una
tecnologia come quella di fissione, assai poco flessibile, si integrerebbe
peggio in mercati con alta penetrazione variabile come nel caso delle
rinnovabili, aumentando i costi di bilanciamento.
Per quanto riguarda politiche pubbliche e allocazione del capitale, ogni euro
vincolato a nuovi reattori sottrae risorse a soluzioni climatiche più rapide,
scalabili e “low‑risk”: efficienza, reti, rinnovabili, accumuli, domanda
flessibile, elettrificazione dei consumi finali e pompaggio idroelettrico. In un
orizzonte di budget di carbonio stringente, i lunghi tempi di realizzazione del
nucleare indebolirebbero il contributo alla decarbonizzazione entro le scadenze
2030-2040.
A conclusione del convegno si è ribadito quanto il nucleare combini rischi
sanitari, costi in crescita, incertezze regolatorie, passività di lungo periodo
e dipendenza da supporto pubblico, mentre le rinnovabili con sistemi di accumulo
e gestione della domanda offrano tempi, costi e profili di rischio migliori. Per
l’Italia, la priorità dovrebbe essere un portafoglio di efficienza, reti,
rinnovabili, storage e flessibilità, evitando impegni finanziari e industriali
che potrebbero aggravare la crisi climatica e gravare su contribuenti e
consumatori per decenni. Ma non sembra questa la strada imboccata dal nostro
governo.
Il successo del convegno milanese apre un dibattito finora monopolizzato dalle
dichiarazioni e dai disegni di legge che Pichetto Fratin evita di portare al
dibattito del Parlamento e ad una valutazione aperta e franca dell’opinione
pubblica.
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nucleare proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Quello che vorrei fare è denuclearizzare, anzitutto organizzando un incontro
con le tre maggiori potenze nucleari per ridurre le armi nucleari. Noi siamo i
numeri uno, la Russia il numero due, la Cina il numero tre, ma entro quattro o
cinque anni saranno al nostro livello”. Il presidente degli Stati Uniti Donald
Trump, parlando ai giornalisti a bordo dell’Air Force One, torna sul tema degli
arsenali nucleari e nello specifico della loro riduzione, di cui vorrebbe
discutere in un incontro tra Russia, Stati Uniti e Cina.
Il tema delle armi nucleari è tornato in primo piano a Washington dopo le
dichiarazioni del presidente, che vorrebbe riprendere gli esperimenti. Ma
secondo quanto riporta Cnn, i più alti funzionari dell’amministrazione Trump in
materia di energia e nucleare incontreranno il tycoon nei prossimi giorni con
l’obiettivo di dissuaderlo dalla ripresa dei test, valutata come non
sostenibile. Per parte sua, Mosca ha già dichiarato che eventuali esperimenti
segnerebbero la fine della moratoria e la Russia “agirà di conseguenza”. “I test
sulle armi nucleari significano, di fatto, che il periodo piuttosto lungo in cui
è stato in vigore un divieto totale verrà interrotto e, naturalmente, come ha
detto il nostro presidente, in questo caso la Federazione Russa agirà di
conseguenza”, ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
Sull’allarme creato dal rilancio del dibattito è intervenuto anche lo scorso 11
novembre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, parlando alle
Nazioni Unite di Vienna, ha sottolineato che c’è l’esigenza di “rafforzare – e
non demolire – l’architettura relativa al disarmo e alla non proliferazione
delle armi nucleari, in una fase storica in cui, invece, assistiamo a
inaccettabili allusioni all’impiego di armi di distruzione di massa“.
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nucleari” proviene da Il Fatto Quotidiano.