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Avete intenzione di comprare un panettone firmato? C’è l’imbarazzo della scelta: ecco quanto costano quelli di Cracco, Bottura, Knam…
Avete intenzione di regalare un panettone e siete determinati a spendere un bel po’? Niente paura, se si tratta di panettoni cari carissimi c’è l’imbarazzo della scelta. Stiamo parlando di chef molto noti e quindi, possiamo dire, di panettoni firmati. Niko Romito, per esempio, propone il panettone ‘classico’ da 55 euro ma anche la versione ‘special’ da 1,5 chili che costa 150 euro. La descrizione? “Il cuore del nostro Panettone è il lievito madre naturale, che, grazie alla sua lenta fermentazione, regala una texture delicata e un aroma inconfondibile”. Il tocco finale è di mandorla siciliana. Vi sembra un po’ caruccio? Ebbene, si può spendere di più. Alla Gucci osteria di Firenze di Massimo Bottura con la pasticceria di Filippo Timi, la versione classica costa 60 euro e quella da un chilo 85 euro. “Arricchita con uvetta, scorza d’arancia candita e note di vaniglia naturale del Madagascar, la creazione di quest’anno è una versione contemporanea dell’amato dolce della tradizione italiana”, si legge sul sito. Sarà la vaniglia naturale del Madagascar a far lievitare il prezzo? Comunque, un panettone classico firmato Carlo Cracco si trova in vendita da Eataly a 46 euro mentre quello di Iginio Massari ‘viene via’ a 26 euro nella versione da mezzo chilo (esaurita al momento sul sito) e 49 in quella da un chilo. C’è poi chi offre versioni molto particolari come Luigi Biasetto che ha trasformato la sua famosissima torta sette veli (di cioccolato) in un panettone da 82 euro (nella foto in evidenza). La pasticceria Sal de Risio propone invece un panettone farcito con gocce di cioccolato e pistacchio e con una sac à poche di crema al pistacchio siciliano che si trova all’interno della scatola. Costo? 43 euro. Torniamo al cioccolato con il Knamettone: tre cioccolati, arancia candita e glassa di fondente. Chi lo firma? Ernst Knam e costa 55 euro per un chilo. L'articolo Avete intenzione di comprare un panettone firmato? C’è l’imbarazzo della scelta: ecco quanto costano quelli di Cracco, Bottura, Knam… proviene da Il Fatto Quotidiano.
Cucina
Ricette di Natale
Non esiste una cucina italiana (ma bene che sia stata premiata)
di Giorgio Boratto L’Unesco ha riconosciuto la Cucina italiana Patrimonio dell’Umanità. Grande risultato ma bisognerebbe sapere che la Cucina italiana formalmente non esiste; noi abbiamo una cucina regionale o meglio dire locale. L’Italia è l’unico paese al mondo che ogni circa 50 km cambia il dialetto e cambiano i sapori della cucina. Per questo l’Italia ha il patrimonio culinario più vario e ricco della cucina mondiale. Tutto è dovuto a secoli di storia e influenze culturali tra le più diverse che hanno dato origine ad una varietà culinaria eccezionalmente ricca e variegata. Così ogni regione e città si caratterizza oltre che per i suoi costumi, opere d’arte, con una propria identità gastronomica. A codificare i menù fu per primo Pellegrino Artusi che raccolse le ricette casalinghe in ordine di portata. Era il 1891 e nasceva così il primo ricettario o manuale di cucina che raccoglieva i piatti che Pellegrino Artusi trovava e provava in viaggio per l’Italia. Erano per lo più ricette casalinghe che gustava e provava per poi descriverle nel suo Manuale pratico per le famiglie: L’Arte di mangiar bene. Fatto salvo che la cucina italiana allora è un’insieme di specificità unite da comunità dei luoghi, allora il riconoscimento dell’Unesco è dato non alle ricette ma al sentimento identitario che accomuna la cucina quotidiana: il preparare pronto in tavola da condividere… A sostenere questo riconoscimento sono stati Pier Luigi Petrillo (Direttore cattedra Unesco UnitelmaSapienza e professore di Cultural Heritage alla Luiss Guido Carli, nonché autore di tutte le candidature all’Unesco legate all’agro-alimentare) e Massimo Montanari (Professore all’Università di Bologna e tra i massimi esperti al mondo in storia dell’alimentazione). Proprio quest’ultimo ha scritto un libro Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro; questo è forse il piatto che unisce l’Italia: il piatto italiano per eccellenza. E così la nostra cucina spazia per diventare cultura e storia. Forza di una cucina immateriale; forza di una italianità che fa diventare italiani chi l’assaggia. IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA” POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ – MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI! L'articolo Non esiste una cucina italiana (ma bene che sia stata premiata) proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Cucina
Cucina Italiana
Patrimonio Unesco
I 10 piatti più buoni al mondo? Vince il vori vori (Paraguay) mentre la pizza napoletana (Italia) è al secondo posto. Ecco la classifica di TasteAtlas
Come ogni anno, TasteAtlas ha stilato i 10 piatti più buoni al mondo. La classifica è redatta dagli utenti – a migliaia – che sono stati chiamati a esprimersi sui 100 migliori piatti del 2025. La top 10 vanta ben 3 specialità italiane, con la cucina nostrana che si conferma tra le migliori al mondo. In cima alla classifica, però, non c’è l’Italia. Gli utenti di Taste Atlas hanno premiato il vori vori, piatto tipico del Paraguay. Si tratta di un brodo di carne con palline di mais e formaggio. Al secondo posto si trova la pizza napoletana, ogni anno sul podio. Sul gradino più basso del podio si è classificato un altro piatto tipico del Nord Italia, precisamente del Piemonte: i tajarin al tartufo d’Alba. DALL’INDONESIA AL MESSICO La top 10 è composta da piatti provenienti da tanti luoghi diversi del mondo (solo l’Italia si ripete in classifica). Appena giù dal podio troviamo il sate kambing, uno spiedino con carne di capra. Al quinto posto il cağ kebabı turco, mentre al sesto il kontosouvli. Piatto tipico greco, il kontosouvli è uno spiedo composto da sovraccosce di pollo, peperoni e cipolla. Nella settima casella della speciale classifica di Taste Atlas compare l’arroz tapado, un piatto unico formato da riso e carne trita. All’ottavo posto si posiziona il komplet lepinja, un panino tipico della Serbia con uova e bacon. Il penultimo posto è occupato dal quesabirria, una tortilla con carne e riso come ingredienti principali. Le pappardelle al cinghiale chiudono la top 10. La guida online di viaggio TasteAtlas rappresenta un portale esperienziale dedicato alla gastronomia tradizionale, offrendo un’ampia raccolta di ricette autentiche provenienti da ogni angolo del pianeta. Attraverso questa piattaforma, gli appassionati di cucina possono esplorare il patrimonio culinario mondiale e scoprire le preparazioni più genuine di diverse culture. L'articolo I 10 piatti più buoni al mondo? Vince il vori vori (Paraguay) mentre la pizza napoletana (Italia) è al secondo posto. Ecco la classifica di TasteAtlas proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Cibo
“Il DNA di Sempio sulle unghie di Chiara Poggi vale zero. stiamo predisponendo una nostra perizia sui possibili punti di contatto indiretto”: parla l’avvocato Liborio Cataliotti
“Non ho mai voluto mancare di rispetto alla dottoressa Albani. Apprezzo la sua perizia, ma quella comparazione, dal mio punto di vista, vale zero”. Sono queste le parole di Liborio Cataliotti, uno degli avvocati che difende Andrea Sempio dalle accuse per l’omicidio di Chiara Poggi, nel corso di una lunga intervista a “Lo Stato delle Cose”. Intervenuto durante la trasmissione condotta da Massimo Giletti, nella puntata in onda lunedì 8 dicembre, il legale risponde a una serie di interrogativi circa la strategia difensiva adottata dal team del 37enne. LA PERIZIA ALBANI: “APPREZZO LA PERIZIA ALBANI, MA LA COMPARAZIONE VALE ZERO” Il focus, in particolare, è sulla perizia pubblicata negli scorsi giorni dalla dottoressa Denise Albani, che ha riscontrato la compatibilità delle tracce di DNA trovate sulle unghie della vittima con la linea paterna della famiglia Sempio. “Non ho voluto mancare di rispetto al perito Albani, apprezzo la sua perizia al punto che difficilmente muoverò serie critiche, domande, polemiche in sede d’incidente probatorio. Il mio approccio non è quello del genetista, ma è quello del giurista”, esordisce Cataliotti. L’avvocato, a sostegno della sua tesi, legge dunque la perizia, sottolineando un passaggio in cui la dottoressa Albani spiega che “Non è possibile considerare le tre sessioni di tipizzazione relative a ciascun margine ungueale come repliche, ma è opportuno prenderle in considerazione come risultanze indipendenti”. In sostanza, sostiene Cataliotti, “il professor De Stefano (perito della Corte d’Assise d’appello del processo Stasi, ndr) fece più repliche non con lo stesso quantitativo, non dettero lo stesso risultato, è improprio dal punto di vista scientifico ed è improprio definirle tecnicamente repliche”, riporta il legale. L’avvocato, quindi, afferma: “La Cassazione dice che quando non ci sono repliche in senso proprio quella comparazione vale zero, dal mio punto di vista vale zero”. A quel punto, il conduttore interroga l’ospite su un aspetto da lui ritenuto particolarmente interessante: “Sull’unica unghia che non è stata toccata e analizzata dai Ris all’epoca, è stato trovato molto DNA riconducibile alla linea familiare di Andrea Sempio”, rivela infatti Giletti sostenendo che si tratti di una sua indiscrezione. Ma l’avvocato schiva la domanda, precisando che “quando l’indiscrezione diventa la prova, io ragionerò su questa prova”. IL DNA RICONDUCIBILE ALLA FAMIGLIA SEMPIO: “VERIFICHEREMO POSSIBILI PUNTI DI CONTATTO INDIRETTO” Sul perché ci sia un DNA riconducibile alla linea maschile dei Sempio sulle mani della vittima, l’avvocato ribadisce di voler tenere in considerazione qualsiasi ipotesi: “Noi del pool difensivo non ci siamo fermati al dato giuridico, abbiamo voluto prendere in considerazione l’ipotesi che quella valutazione, sia pure non replicata, un valore ce l’abbia, sia pur come prova o indizio che ci sia stato un contatto – non sappiamo di quale natura – fra una superficie toccata da Chiara Poggi e una superficie toccata da Andrea Sempio”. Proprio per fare luce su questo aspetto, Cataliotti rivela che il team difensivo di Sempio sta “predisponendo una nostra perizia sui possibili punti di contatto indiretto”. L’avvocato ammette che Sempio “non è mai entrato in quella casa senza Marco Poggi”, ma sostiene anche il DNA “su una superficie può rimanere 27 anni”: “Ammesso che Chiara possa essersi lavata le mani, che è altamente verosimile, può essere venuta a contatto con superfici che fossero usualmente toccate, sia pur non in tempi immediatamente precedenti, dal nostro cliente – aggiunge ancora -. Questo è l’esercizio che abbiamo fatto dotandoci della planimetria dell’immobile e comparando quello che Sempio ci ha detto stragiudizialmente con quelle che sono le risultanze processuali. Il mio perito sta ipotizzando 15 forse 20 punti di contatto”, le parole del legale. Interrogato sul punto da Giletti, che si chiede perché non si trovi il DNA di Stasi ma solo quello riconducibile alla famiglia Sempio, l’avvocato precisa che “il reperto di DNA trovato sulle mani di Chiara Poggi è un aplotipo Y misto, cioè lasciato da più persone. Vi era un reperto più facilmente isolabile, che poi è stato comparato con Stasi, Sempio e altri frequentatori della casa e quello parrebbe forse riconducibile alla famiglia Sempio. E ciò non esclude che quello più degradato fosse riconducibile ad altri. Questa è la vera risposta”, replica Cataliotti. LO SCONTRINO DEL PARCHEGGIO DI VIGEVANO: “SE FOSSE UN PROCESSO NON SAREBBE UN ALIBI” L’avvocato, infine, dice la sua sull’ormai noto scontrino del parcheggio di Vigevano – datato 13 agosto 2007 con orario di inizio fissato alle 10:18 – di cui Sempio aveva parlato agli inquirenti per supportare la versione secondo la quale si trovasse in una città diversa da Garlasco il giorno del delitto: “Io so che l’originale di quello scontrino non è mai stato sequestrato. So che ne parlò il 4 ottobre 2008 sentito come testimone, non so se gli sia stata chiesta espressamente la consegna perché la domanda venne rappresentata con l’acronimo adr (a domanda risponde, ndr). Se fosse un processo non sarebbe un alibi perché non indica la targa né il nome di chi quell’auto la utilizzò quella mattina. È evidente che se quell’affermazione venisse provato che fosse falsa, un rilievo sia pur indiziario lo verrebbe ad avere”, ammette Cataliotti. L'articolo “Il DNA di Sempio sulle unghie di Chiara Poggi vale zero. stiamo predisponendo una nostra perizia sui possibili punti di contatto indiretto”: parla l’avvocato Liborio Cataliotti proviene da Il Fatto Quotidiano.
Delitto Garlasco
Cucina
Qual è la migliore passata di pomodoro del supermercato? La classifica del Gambero Rosso: al secondo posto una sorpresa
La casa editrice Gambero Rosso ha stilato la classifica delle 5 migliori passate del supermercato. Buono, fresco e veloce, il pomodoro mette tutti d’accordo. Pablo Neruda scrisse un’ode per elogiarlo, Gambero Rosso ha deciso di fare chiarezza e, al tempo stesso, aprire una discussione: qual è la passata in bottiglia più buona? L’indagine condotta dalla casa editrice, specializzata in enogastronomia, è stata svolta sulla base di un blind test, ossia l’assaggio della passata senza conoscere la marca. Gambero Rosso ha provato a indentificare la salsa di pomodoro che, più delle altre, riesce a catturare l’anima di questo ortaggio. RODOLFI QUINTO, A SEGUIRE VITALE Con la sua Fior di passata, il marchio Rodolfi si è piazzato al quinto posto della speciale classifica. L’azienda di Vicofertile, in provincia di Parma, gode di grande successo per la logistica a chilometro zero, fattore che permette a Rodolfi di lavorare con pomodori maturi e non sottoposti a lunghi trasporti. La Fior di passata è stata giudicata come “schietta e caratteristica”, priva della nota acida che contraddistingue questo tipo di pomodoro. In cottura la salsa è sapida, dolce e amarognola al punto giusto. Al quarto posto si è posizionata la “Passata di Pomodoro di Vitale”, società dall’anima vesuviana. Il colore della passata è un rosso lucido e intenso. Il campione che si è sottoposto al blind test ha giudicato le note del pomodoro “legnose e pungenti”, due fattori che si ammorbidiscono con la cottura. Al gusto la “Passata di Pomodoro di Vitale” risulta dolce-acido-sapida, qualità raramente riscontrata in questo speciale confronto tra salse. PETTI È TERZO, AL SECONDO POSTO UNA SORPRESA Gambero Rosso ha assegnato la medaglia di bronzo a Petti. L’azienda di Venturina Terme, in provincia di Livorno, sale sul podio grazie alla sua Passata extrafine. Nonostante l’azienda sia toscana, il pomodoro che ha regalato il terzo posto a Petti proviene dall’agro nocerino sarnese. I giudici hanno elogiato l’azienda livornese per la consistenza compatta e carnosa della salsa di pomodoro. L’acidità acetica non compromette l’incisività delle note fruttate, che rimandano anche alla mela. L’assaggio risulta originale e armonioso. La medaglia d’argento va al collo della bottiglia della salsa di Santa Rosa. La “Pomodorissimo. La Passata di Santa Rosa” ha conquistato i giudici, che hanno assicurato al marchio il secondo posto in classifica. Il claim dell’azienda recita “Tutto il sapore del pomodoro crudo” ma, come riporta Gambero Rosso, la passata sorprende per la sua dolcezza. Il pomodoro ha un gusto fruttato, libero da alterazioni. Il colore è un rosso opaco, meno denso e brillante di altre passate. La semplicità del prodotto di Santa Rosa ha stregato i giudici che, però, hanno assegnato il primo premio a un altro marchio. CIRIO SU TUTTI In cima alla Top 5 delle passate di pomodoro del supermercato stilata da Gambero Rosso c’è la Cirio. La storica azienda torinese, fondata da Francesco Cirio nel 1856, si aggiudica la medaglia d’oro nonostante l’aspetto meno convincente rispetto alle rivali. La passata, infatti, è caratterizzata dalla separazione tra l’acqua della vegetazione e la polpa. A fare la differenza sono le note di pomodoro maturo nitide all’olfatto e al gusto, senza risultare spigolose. L’acidità è ordinata. la setosità della passata dona piacevolezza. Un mix di gusti e sapori che hanno reso Cirio la passata più buona di tutte. L'articolo Qual è la migliore passata di pomodoro del supermercato? La classifica del Gambero Rosso: al secondo posto una sorpresa proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Masterchef 15 tra “tradizione e innovazione”: torna il cooking show di Sky (e tra gli aspiranti chef c’è anche un 92enne)
Chissà se quest’anno qualcuno proverà a riproporre il virale “prosciutto e melone” di Rachida, ancora oggi, dopo undici anni, uno dei video più condivisi di Masterchef. O se ci saranno scontri al vetriolo come quelli tra Alessia e Mary della scorsa edizione. O, ancora, se la spaventosa prova dessert con Iginio Massari farà capitolare qualche aspirante chef. La nuova edizione di Masterchef Italia, al via dall’11 dicembre su Sky Uno e su Now, è pronta a partire. I tre (veterani) giudici, Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli, ormai consolidati alla guida del programma, sono già seduti sui loro tre sgabelli per assaggiare i piatti dei nuovi aspiranti chef. Nessun lancio di piatti in memoria delle vecchie edizioni, ma, ne siamo certi, qualcuno avrà dimenticato il sale (e Barbieri se ne sarà accorto) o qualcun altro avrà sfiorato il piatto perfetto, se solo avesse messo del limone (Cannavacciuolo docet). Il claim della quindicesima edizione promette già bene. “Tradizione e innovazione, questo è il futuro della cucina“, sentenzia Cannavacciuolo nello spot già viralissimo della trasmissione. Come rivelato da Repubblica, che ha potuto sbirciare dentro i live cooking, cioè le prime selezioni fatte dai tre chef, non mancheranno anche quest’anno tante storie, diventate ormai il cuore pulsante del programma. Sì perché se da una parte le ricette sono fondamentali, a Masterchef, ormai si sa, anche il racconto vuole la sua parte. Negli ultimi anni, per esempio, non sono mancati concorrenti con origini straniere, come Anna, la vincitrice dello scorso anno, che nei suoi piatti ha saputo mischiare i profumi orientali di casa e con la sua italianità, o Monir, di Masterchef 10, che ha portato le sue origini marocchine all’interno di molte delle prove insieme al suo accento umbro. Ma anche vere e proprie faide tra aspiranti chef e storie strappalacrime. > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da NOW (@nowtvit) Così anche quest’anno, largo allo storytelling. Ai live cooking, scrive il quotidiano romano, ci sarà Luciano, 92 anni, l’aspirante concorrente più anziano passato per il cooking show che racconta di aver cominciato a cucinare molto tardi “quando mia moglie si è ammalata” e che ha deciso di partecipare a Masterchef dopo aver incontrato una vecchia concorrente della terza edizione, Flaviana. Poi, ancora, l’11 dicembre conosceremo Iolanda, 56enne di origini brasiliane, da sempre amante della cucina, che già nel primo step del programma racconterà con il suo piatto l’incrocio delle sue due culture, quella brasiliana e quella italiana. E poi, ancora, troveremo Georgina, hostess 26enne di Mogliano Veneto, nata a Londra ma da otto anni in Italia. Non mancheranno, tanto per fare concorrenza a Barbieri, anche concorrenti “eccentrici” che punteranno, rivela ancora Repubblica, anche sul look: come Jonny, operaio toscano di 25 anni, che si presenterà con una camicia con le papere. Ma c’è anche chi punterà sulla semplicità, come Eros, 27enne di Mascalucia, nel Catanese, che si presenterà con una pasta alla norma. Nessuno spoiler però su chi indosserà il grembiule bianco: tutto sarà scoperto l’11 dicembre. L’appuntamento, anche quest’anno, sarà di giovedì. L'articolo Masterchef 15 tra “tradizione e innovazione”: torna il cooking show di Sky (e tra gli aspiranti chef c’è anche un 92enne) proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Vissani perde l’ultima stella rimasta: “La Michelin fa quello che vuole. Ci sono anche mondi diversi, ma in Italia come all’estero tutti esperti di cucina che non distinguono una patata da un topinambur”
Gianfranco Vissani, anzi il suo Casa Vissani a Baschi, perde tutte le stelle Michelin: è la fine di un’epoca? Lui, a poche ore dall’uscita della Guida con i vecchi e nuovi stellati e dalla quale si apprende che l’unica stella che gli era rimasta gli è stata tolta, raggiunto da Il Gusto di Repubblica spiega: “E vabbè: ognuno prende le sue decisioni. Se mi fa male? No, assolutamente. Ogni guida ha il suo metodo di misura. Io oggi non vorrei parlare: la Michelin fa quello che vuole”. Sicuro che il ristorante “andrà avanti” ed è convinto che gli chef delle nuove generazioni siano “tutti bravi, oggi tutti fanno cucina molecolare. La gente però non mangia più con questa cucina… odiosa“. Il futuro, per Vissani, è un ritorno “alla cucina antica (…) ma senza quelle porzioni che strabordavano dai piatti”. Lo chef attente l’appuntamento di Parigi con La Liste (migliori ristoranti al mondo) e una frecciata la lancia: “Ci sono mondi diversi dalla Michelin, in Italia come all’estero, dove tutti quanti sono gastronomi, esperti di cucina. Che spesso non sanno distinguere una patata da un topinambur. Cosa direi a un giovane che oggi sogna la stella? Abbassa la testa e lavora”. L'articolo Vissani perde l’ultima stella rimasta: “La Michelin fa quello che vuole. Ci sono anche mondi diversi, ma in Italia come all’estero tutti esperti di cucina che non distinguono una patata da un topinambur” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Guida Michelin
Guida Michelin Italia 2026, ecco a chi sono andate le nuove stelle
È arrivato quel momento dell’anno in cui la cucina italiana ‘brilla’ più del solito. Non è ancora tempo di Masterchef, che tornerà il prossimo dicembre, e infatti parliamo di cucine ben diverse. È ora di scoprire quali ristoranti si sono aggiudicati la stella (o le stelle) Michelin per il 2026. L’Italia si conferma il paese con più ristoranti stellati al mondo, dall’anno prossimo si passerà da 61 a 64 con il totale di 3 “tre stelle”, 6 “due stelle” e 55 “una stella”. La Lombardia resta la regione con il maggior numero di stelle totali nel nostro paese con Milano che è la quarta provincia con 20 ristoranti stellati: 1 tre stelle, 4 due stelle e 15 una stella. Significativa la conferma di tutti e 9 i nuovo stellati della passata edizione, oltre che dei tre tristellati Da Vittorio a Brusaporto, Enrico Bartolini al Mudec e Dal Pescatore di Canneto dull’Oglio, ristoranti che ormai da anni hanno il posto fisso nella guida. Nel dettaglio, la Lombardia accoglie fra i nuovi ristoranti stellati Senso Lake Garda Alfio Ghezzi di Limone sul Garda, in provincia di Brescia, Abba (chef Fabio Abbattista) e Procaccini (chef Emin Hazizi) a Milano e Olio di Origgio (chef Andrea Marinelli), in provincia di Varese. Tra le nuove stelle 2026 spicca Cracco Portofino, nell’omonima località ligure, dove la proposta gastronomica è curata da Carlo Cracco con l’executive chef Mattia Pecis, formatosi presso Cracco Galleria. Da segnalare che Senso Lake Garda Alfio Ghezzi, insieme al milanese Manna, ha ricevuto anche la menzione speciale ‘Passion Dessert‘, riconoscimento attribuito ai locali che si distinguono per l’eccellenza nella proposta dei dolci. LE NOVITÀ IN TUTTA ITALIA Serralunga d’Alba – La Rei Natura by Michelangelo Mammoliti *** Isola Vulcano – I Tenerumi ** Oppeano – Famiglia Rana ** Sant’Omero – Zunica 1880 a Villa Corallo * Forio – Isola di Ischia – Umberto a Mare * Napoli – Il Ristorante Alain Ducasse Napoli * Maranello – Cavallino * Rimini – Da Lucio * Roma – INEO * Roma – La Terrazza * Tivoli – Al Madrigale | Nuova Cucina Rurale * Portofino – Cracco Portofino * Sestri Levante – Rezzano Cucina e Vino * Limone sul Garda – Senso Lake Garda Alfio Ghezzi * Milano – Procaccini * Milano – Abba * Origgio – Olio * Recanati – Casa Bertini * Baia Sardinia – Capogiro * Firenze – Luca’s by Paulo Airaudo * Forte dei Marmi – Sciabola * Badia – Porcino * San Martino in Passiria – Quellenhof Gourmetstube 1897 * Venezia – Agli Amici Dopolavoro * LA STORIA DELLA GUIDA MICHELIN André e Edouard Michelin fondano nel 1889 la celebre azienda di pneumatici motivati da una grande passione e visione nei confronti dell’industria automobilistica: sono poche le macchine in circolazione, il neonato settore è estremamente lussuoso ed esclusivo. I fratelli Michelin decidono di creare un piccolo volume per il viaggiatore, del tutto funzionale alla sua esperienza. All’interno del volume inseriscono le mappe delle strade francesi, le procedure per cambiare una ruota, le stazioni di servizio e una lista di indirizzi dove andare a mangiare o dove pernottare. Il servizio resta gratuito per i primi decenni ed è all’inizio degli anni ’20 che André intuisce che un servizio a pagamento può dare nuova linfa al manuale. Quello che inizialmente nasce come un volume di accompagnamento all’esperienza di viaggio, inizia ad essere concepito come una vera e propria guida. L'articolo Guida Michelin Italia 2026, ecco a chi sono andate le nuove stelle proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Guide de L’Espresso, ecco quali sono i ristoranti che hanno ricevuto i massimi riconoscimenti: da Al Gatto Verde di Jessica Rosval al Pescatore di Nadia Santini. La lista (e i premi speciali)
Se dici Italia dici buona cucina. L’enogastronomia nostrana è tra le eccellenze riconosciute in tutto il mondo e che, un po’ come la nazionale di calcio, ha la capacità di mettere d’accordo un intero Paese. Da quasi 50 anni c’è chi si impegna a raccontare con dedizione quella che da più parti viene considerata “l’ottava arte”. Sono “Le Guide de L’Espresso”, giunte alla 46° edizione e che non hanno alcuna intenzione di abdicare alla loro funzione di punto di riferimento non solo per gli esperti, ma anche per gli amanti della buona cucina e delle specialità vinicole italiane. Una vera e propria bussola la cui autorevolezza non viene scalfita nemmeno dall’evoluzione del concetto di guida, che oggi sempre più ha i contorni di un reel sui social con le dritte degli influencer. Al mondo digital, però, inevitabilmente bisogna guardare, ed ecco che “Le Guide de L’Espresso” – “I 1000 Ristoranti d’Italia” e “I 1000 Vini d’Italia” – sono disponibili pure in una nuova app progettata per rendere le eccellenze enogastronomiche facilmente fruibili da chiunque, ovunque, con contenuti immediati e sempre aggiornati. I PREMIATI DELL’EDIZIONE 2026 21 i ristoranti che quest’anno hanno ottenuto il massimo riconoscimento dei 5 cappelli. Tra questi ben 3 sono guidati da chef donne: Antonia Klugmann (L’Argine a Vencò), Jessica Rosval (Al Gatto Verde) e Nadia Santini (Dal Pescatore). 6 sono invece i ristoranti che possono fregiarsi di aver raggiunto il punteggio massimo di 20/20: Osteria Francescana di Massimo Bottura, Cracco di Carlo Cracco, Reale di Niko Romito, Duomo di Ciccio Sultano e, per la prima volta, anche Villa Crespi di Antonino Cannavacciuolo e Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni. Per quel che riguarda i vini, 7 le cantine che hanno ricevuto il “110 cum laude”, il voto più alto conferito dalla Guida: Alta Mora, Castello di Ama, Elvio Cogno, Ferrari Trento, Giovanni Rosso, Podere Forte e Tenuta Sette Ponti. C’è spazio pure per premi speciali, pensati per valorizzare talenti capaci di imprimere direzioni inedite alla cucina e al vino italiani. Tra questi, il premio come Miglior Giovane è di Luca Adobati (Casa Romano) e il premio Miglior Outsider, riconoscimento introdotto quest’anno, va ad Alberto Gipponi (Dina). Per i vini, il titolo di Miglior Vino Spumante spetta a Ferrari Trento di Matteo Lunelli, e il premio per il Miglior Produttore Under 40 è conferito a Casanova di Neri. COME È STATA REALIZZATA L’EDIZIONE 2026 DE “LE GUIDE” Dietro all’edizione 2026 de “Le Guide”, che si confermano una cartina tornasole per osservare e interpretare i cambiamenti del Paese attraverso la sua tavola, c’è un lavoro che racconta la dimensione di un intero anno di reportage itinerante. A parlare sono i numeri: 60mila i chilometri percorsi da Luca Gardini, curatore de “Le Guide”, e dagli ispettori per degustare in tutte le regioni dello stivale 1500 vini, visitare 1200 ristoranti e assaggiare oltre 5000 piatti. “Raccontare l’Italia del gusto significa raccontare chi siamo, attraverso tavole e calici che esprimono ogni giorno la nostra identità” fa sapere Gardini. “Le Guide de L’Espresso valorizzano chi, con talento e passione, trasforma il cibo e il vino in esperienze autentiche, offrendo al lettore una bussola sicura nel panorama enogastronomico italiano”. L'articolo Guide de L’Espresso, ecco quali sono i ristoranti che hanno ricevuto i massimi riconoscimenti: da Al Gatto Verde di Jessica Rosval al Pescatore di Nadia Santini. La lista (e i premi speciali) proviene da Il Fatto Quotidiano.
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