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Ilva, tensione al corteo di Genova: la polizia spara lacrimogeni sugli operai
Cinquemila operai in marcia chiedendo di tutelare il lavoro. Una prefettura blindata, isolata, protetta con venti blindati e con le grate per impedire ai lavoratori di avvicinarsi al Palazzo del Governo, dopo giorni di sciopero e proteste per lo stallo nella vertenza Ilva. E alla fine, la tensione. Iniziata con un simbolico lancio di uova e fumogeni dei metalmeccanici di Genova e seguita dalla risposta della polizia che ha sparato lacrimogeni verso i manifestanti, alcuni anche ad altezza d’uomo. Mentre a Taranto gli operai dell’acciaieria hanno terminato lo sciopero ad oltranza che andava avanti da 48 ore con blocchi stradali su due statali, il capoluogo ligure non molla di un centimetro. Lo sciopero di oggi, al quale hanno aderito tutti i metalmeccanici in solidarietà con gli operai di Ilva, era stato giudicato a rischio. La tensione è palpabile da giorni, perché i sindacati chiedono a Giorgia Meloni di prendere tra le mani il dossier legato al rischio di chiusura del siderurgico dopo il “piano corto” presentato dal ministro delle Imprese Adolfo Urso. Ma la presidente del Consiglio tace e la situazione è in stallo. Un silenzio al quale gli operai hanno risposto compatti. I 5.000 in marcia sono partiti da Cornigliano, presente anche il segretario generale della Fiom Michele De Palma e la sindaca Silvia Salis, e si sono diretti verso il centro. Arrivati davanti alla Prefettura è partito il lancio di uova e di qualche fumogeno. Al quale la polizia ha risposto con i lacrimogeni. Non si sono registrati contatti, anche perché erano state predisposte le grate dai reparti mobili. Simbolicamente, dopo il lancio dei lacrimogeni, gli operai hanno fatto avanzare i mezzi da lavoro che hanno sfilato in corteo e ne hanno agganciato uno alle barriere in metallo, sradicandola. Ma pur avendo un varco per superare lo sbarramento non hanno comunque proceduto oltre. Anzi, hanno deciso di cambiare obiettivo, dirigendosi verso la stazione di Brignole con l’obiettivo di occupare i binari dopo aver sollecitato la sindaca Salis, intervenuta per provare a calmare le acque, a sospendere il Consiglio comunale fino a quando non arriveranno risposte da Roma. L'articolo Ilva, tensione al corteo di Genova: la polizia spara lacrimogeni sugli operai proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Studente fuorisede di 25 anni trovato morto in casa a Roma: indagini su telefono e cause del decesso
Lorenzo De Tommaso, 25 anni, originario di Pulsano in provincia di Taranto, studiava Matematica e Fisica alla Sapienza. Da tempo viveva fuori sede, in una stanza in affitto in un appartamento di via Vigevano, nella zona di piazzale delle Provincie a Roma. Il giovane – come riporta il Corriere della Sera – è stato trovato senza vita il 27 novembre scorso dalla sua coinquilina, un’altra studentessa, che ha forzato la porta della stanza dopo essersi accorta che Lorenzo non rispondeva. La ragazza ha raccontato alla polizia di essere andata in bagno prima di lui e, tornata nella sua camera, di aver notato che il coinquilino non era più uscito. Preoccupata, ha bussato e poi forzato la porta: De Tommaso era steso sul pavimento privo di sensi. Il personale medico intervenuto dopo la chiamata al 112 ha constatato il decesso. INDAGINI IN CORSO Sul corpo non sono stati riscontrati segni evidenti di violenza. Gli investigatori del commissariato Porta Pia attendono i risultati degli esami tossicologici per stabilire se la morte possa essere legata all’assunzione di farmaci o altre sostanze. Un elemento su cui gli inquirenti stanno concentrando l’attenzione riguarda il telefono dello studente, inizialmente non trovato durante il sopralluogo in appartamento e consegnato solo il giorno successivo da un amico, che non avrebbe avuto accesso diretto alla casa. La polizia sta valutando se sul dispositivo possa esserci stato materiale cancellato prima della consegna. IL LUTTO A Pulsano, la comunità locale si è stretta intorno alla famiglia: numerosi messaggi di cordoglio sono stati pubblicati sui social, tra cui quello della sezione Dem del paese. I colleghi dello studente hanno ricordato Lorenzo come un ragazzo attento e sensibile: “La perdita di un fratello, così giovane, lascia un vuoto profondo e ingiusto. A Lorenzo l’augurio di essere presto luce abbagliante e faro guida per noi”. L'articolo Studente fuorisede di 25 anni trovato morto in casa a Roma: indagini su telefono e cause del decesso proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Bambino di 4 anni cade dal primo piano a Taranto: ricoverato in condizioni stabili. Era da solo in casa
È vivo il bambino di 4 anni caduto dal primo piano di una palazzina a Taranto. L’accaduto ieri, poco dopo le 18, in un edificio sito tra Via Pupino e Via Mazzini. Il bimbo non sarebbe in pericolo di vita. Dalle prime ricostruzioni sembra che i genitori del ragazzino, una coppia nigeriana da anni in Italia, non fossero presenti in casa al momento dell’incidente. Non è ancora chiaro come o perchè il bambino sia precipitato, ma si pensa possa essersi sporto eccessivamente sulla ringhiera. Sul posto è arrivato il 118 che, dopo le prime manovre di soccorso, ha portato velocemente il bimbo all’ospedale Santissima Annunziata. Qui è stato sottoposto a una Tac total body che ha escluso lesioni. Il bambino rimane ricoverato tutt’ora in pediatria, in condizioni stabili e costantemente monitorato, e presenta solo lievi ecchimosi. Sul posto anche i carabinieri e la polizia scientifica per chiarire la dinamica dell’incidente. L'articolo Bambino di 4 anni cade dal primo piano a Taranto: ricoverato in condizioni stabili. Era da solo in casa proviene da Il Fatto Quotidiano.
Cronaca
Taranto
Incidente
Sono nato a Taranto, a 15 anni ho perso due compagni per tumore: così si cresce nella città dell’ex Ilva
di Massimiliano Di Fede Sono nato a Taranto e la storia di quella fabbrica è indissolubilmente legata alla mia famiglia. Mio padre fu assunto nel 1971, quando il complesso siderurgico si chiamava ancora Italsider ed era a partecipazione statale. All’epoca, quel lavoro rappresentava un futuro, una promessa di benessere per un’intera generazione. Mio padre maturò una consapevolezza dolorosa sulla pericolosità della fabbrica che, pur dando lavoro, avvelenava l’aria della città. Questa realizzazione lo spinse a prendere una decisione radicale per proteggerci: ci portò a vivere a circa 50 chilometri di distanza, a Manduria, dove potevamo aspirare a un ambiente più sano. Ricordo con dolore i primi anni 80, quando ero studente delle scuole superiori: nella mia stessa classe, si ammalarono e morirono di una forma tumorale ossea due miei compagni appena quindicenni. Erano residenti nel famigerato quartiere Tamburi, proprio a ridosso degli impianti, dove purtroppo le morti e i malati si contano ancora oggi in quasi la totalità delle famiglie. Questa tragedia, che ha colpito ragazzi giovanissimi, è la dimostrazione più lampante di come la salute sia stata sempre subordinata alla produzione. Il complesso, oggi noto come Ex-Ilva e attualmente sotto il controllo di Acciaierie d’Italia, una joint venture tra Arcelor Mittal e lo Stato italiano, è l’epicentro di una crisi ambientale, sanitaria, economica e occupazionale. La fabbrica, dopo essere stata a lungo statale, venne privatizzata e ceduta al Gruppo Riva che, negli anni, ha gestito l’impianto anteponendo il profitto alla salute e all’ambiente. La magistratura tarantina ha accertato un disastro ambientale e sanitario, portando al sequestro degli impianti “area a caldo” da parte della Procura. Di fronte al rischio di blocco della produzione, lo Stato italiano è intervenuto con una lunga serie di “Decreti Salva-Ilva” a partire dal 2012. Questi provvedimenti, spesso in contrasto con le decisioni della magistratura, sono stati volti a garantire la continuità produttiva in attesa del risanamento ambientale, limitando di fatto l’efficacia delle norme a tutela della salute. Nel 2017, la fabbrica in amministrazione straordinaria fu ceduta ad Arcelor Mittal. L’allora ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, aveva promosso questa operazione, introducendo contestualmente il controverso “scudo penale”. Questa norma esentava gli acquirenti da responsabilità penali per reati ambientali e sanitari, purché eseguissero il Piano Ambientale. La rimozione di questa garanzia da parte del Governo Conte I (M5S-Lega) nel 2019 fu un fattore chiave che portò Arcelor Mittal ad annunciare la volontà di recedere dal contratto. Il Movimento 5 Stelle aveva duramente criticato lo scudo penale, ritenendolo una licenza a inquinare. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), in diverse sentenze, ha condannato lo Stato italiano per non aver adottato le misure necessarie per proteggere la vita privata e il diritto alla salute dei cittadini di Taranto, sottoposti a rischi ambientali inaccettabili. La CEDU ha riconosciuto la violazione degli articoli 8 e 13 della Convenzione, obbligando l’Italia a intervenire. Oggi, l’impianto opera tra stop produttivi e incertezze finanziarie. Gli operai sono in uno stato di perenne agitazione: protestano per la mancanza di sicurezza sul lavoro, per il ricorso massiccio alla cassa integrazione e per il ritardo del piano di risanamento. Le loro proteste evidenziano un dilemma doloroso: la paura di ammalarsi è pari a quella di perdere il lavoro. L’immagine più forte di questa lotta è impressa sui muri di Taranto: il volto di Giorgio Di Ponzio, il ragazzo morto a soli 15 anni per un sarcoma, è stato dipinto dall’artista Jorit in un murale. Quell’opera, con la sua drammatica intensità, non è solo un monumento alla memoria delle vittime, ma un invito a non arrendersi. La scritta che accompagna l’immagine recita: “Basta ricatti. Vogliamo salute e lavoro. La nostra vita vale più dei vostri profitti”. IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA” POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ – MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI! L'articolo Sono nato a Taranto, a 15 anni ho perso due compagni per tumore: così si cresce nella città dell’ex Ilva proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ex Ilva: la protesta dei lavoratori si allarga da Genova a Taranto, blocchi stradali e presidi a oltranza
Dopo le assemblee di questa mattina è partita l’occupazione dello stabilimento siderurgico ex Ilva di Taranto da parte di lavoratori diretti e dell’appalto e sindacati, con presidi a oltranza e blocchi stradali. La protesta partita ieri da Genova, con gli stabilimenti di Cornigliano e di Novi Ligure, si estende ora anche alla città pugliese. Al grido “vergogna, vergogna” gli operai mettono nel mirino governo e commissari, chiedendo la revoca del piano presentato nei giorni scorsi e garanzie certe su decarbonizzazione, futuro produttivo e occupazionale, oltre alla riconvocazione immediata del tavolo a Palazzo Chigi. La mobilitazione di Taranto è accompagnata da uno sciopero di 24 ore, proclamato a partire dalle 9 di stamattina da Fim, Fiom, Uilm e USB, ma le sigle non escludono che la protesta possa proseguire oltre la singola giornata, vista la tensione crescente nello stabilimento. La statale Appia è stata bloccata all’altezza del siderurgico, con disagi alla circolazione e lunghe code in entrambi i sensi di marcia. Il presidio rimane attivo mentre i lavoratori annunciano ulteriori iniziative se non arriveranno segnali dal governo. Nel frattempo proseguono i presidi e l’occupazione dello stabilimento dell’ex Ilva di Genova Cornigliano. I lavoratori hanno passato la notte in strada, all’esterno dello stabilimento, in alcune tende allestite già da mercoledì sera. Il presidio potrebbe durare fino a domenica. Intanto oggi dovrebbe tenersi un primo incontro istituzionale in prefettura. Anche a Novi Ligure sono state proclamate altre 24 ore di sciopero, con picchetti a oltranza aspettando novità sull’incontro con il prefetto. Alle ore 8 circa, sulla A10 Genova-Savona tra Genova Prà e l’allacciamento A10/A7 verso Genova, Autostrade registrava 8 km di coda a causa della manifestazione dei lavoratori dell’ex Ilva. Per lo stesso motivo, code si sono formate in uscita alla stazione di Genova Aeroporto per chi proviene da Savona. In A7 code in uscita a Genova Sampierdarena e 4 km di coda nel tratto compreso tra l’allacciamento A7/A12 e Genova Sampierdarena in direzione Genova. Inoltre, si sono formati 2 km di coda in A12 Genova-Sestri Levante nel tratto compreso tra Genova est e l’allacciamento A12/A7 in direzione Genova. “I lavoratori – è stato spiegato nel corso dell’assemblera di oggi a Cornigliano – hanno apprezzato l’interessamento e la presenza nella giornata di ieri della sindaca di Genova Silvia Salis e del governatore Marco Bucci“. “Adesso però – ha detto Armando Palombo, coordinatore Rsu Fiom Cgil – attendiamo la convocazione del Governo e chiediamo una data certa in cui si discuta del ‘caso Genovà”. “Oggi la lotta prosegue: a difesa della nostra fabbrica e di milleduecento famiglie e per il futuro industriale di questa città”, si legge nel comunicato diffuso dai sindacati dell’ex Ilva di Genova al secondo giorno di presidio a Cornigliano contro la chiusura dello stabilimento. L'articolo Ex Ilva: la protesta dei lavoratori si allarga da Genova a Taranto, blocchi stradali e presidi a oltranza proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ilva, il governo conferma: 6mila in cassa integrazione. E Urso rispolvera il quarto operatore interessato
La conferma di tre offerte, una delle quali “coperta” e ancora senza un nome. Poi addirittura un quarto player che chiede informazioni e “l’interesse di operatori nazionali” che rispunta. Eppure, nessun passo indietro sulla necessità di ricorrere a nuove, massicce, dosi di cassa integrazione. Necessaria, sostiene l’azienda, per fermate degli impianti motivate da manutenzioni e sicurezza. Niente di strutturale, insistono governo e Acciaierie d’Italia, ma solo la necessità di lasciare a casa altre 1.550 persone per la fermata di tre cockerie e, quindi, delle lavorazioni a freddo sia a Taranto che negli impianti del nord. Il “piano” del governo per l’ex Ilva è confermato nella sua drammaticità. Da gennaio si arriverà a 6mila persone in cassa integrazione. L’unica novità? Potranno accedere alla formazione, 60 giorni per “nuove competenze”. Un pannicello caldo che non sposta di un millimetro le preoccupazioni dei sindacati, infuriati dopo la presentazione della strategia voluta da Acciaierie d’Italia, gestore dello stabilimento e in amministrazione straordinaria, e l’esecutivo, in primis il ministro delle Imprese Adolfo Urso. Dalla Fiom alla Uilm, passando per Fim e Usb la richiesta è unanime: ritirare quanto presentato, ideare un vero piano industriale e prevedere un intervento pubblico, almeno di garanzia. Mentre la procura di Taranto scopre le carte sul mancato dissequestro dell’Afo1, interessato da un incendio a maggio che sarebbe stato causato dal mancato funzionamento di un impianto di sicurezza, continua l’agonia dell’ex Ilva, alle prese con una gara di vendita ferma al palo e una produzione ridotta al lumicino, mentre le finanze dell’azienda sono in profondo rosso. Il governo aveva riconvocato i sindacati dopo la rottura del tavolo registrata la scorsa settimana, ma non c’è alcuna reale novità. Urso ha spiegato che sono in corso le trattative con chi ha manifestato interesse all’acquisizione: i fondi Bedrock, prossimo incontro giovedì, Falcks e due gruppi – entrambi extra Ue – con i quali si è in una primissima fase di negoziazione. Tantissimo fumo, zero di concreto. Così il ministro lascia ancora le porte aperte anche al fantomatico “interesse italiano”, che finora tuttavia non ha mai proposto una vera e propria offerta industriale. Urso ha inoltre spiegato che nel bando di gara sono stati inseriti “elementi vincolanti” su una decarbonizzazione accelerata e la nave rigassificatrice come fattore abilitante. È notte fonda. L'articolo Ilva, il governo conferma: 6mila in cassa integrazione. E Urso rispolvera il quarto operatore interessato proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Indagato il deputato De Palma (FI): “Scrutinio truccato alle Politiche. A lui i voti di Fdi, così fu eletto al posto di un collega di partito”
Non si trattò di un errore nel conteggio dei voti, poi corretto, a portare l’esponente Vito De Palma in Parlamento al posto del collega di partito Marcello Lanotte. Ma una vera e propria “alternazione del voto popolare”. Perché i componenti di un seggio di Taranto scambiarono di proposito i voti assegnati a Fratelli d’Italia con quelli di Forza Italia e così, il seggio che doveva essere assegnato ai berlusconiani nel collegio di Foggia/Bat, scattò a Taranto/Altamura. Risultato: Lanotte fuori dalla Camera, De Palma eletto a Montecitorio e Massimiliano Di Cuia, anche lui berlusconiano, ripescato in Consiglio regionale per coprire lo scranno lasciato libero da De Palma con la sua elezione. C’è una guerra intestina dentro Forza Italia, giocata grazie al supporto dei componenti di un collegio di Taranto e a discapito anche di Fratelli d’Italia, dietro l’elezione dell’onorevole De Palma, ex sindaco di Ginosa ed ex consigliere regionale, alla Camera: una sorta di scippo, sostiene la procura di Taranto nell’avviso di conclusione indagini notificato a 7 persone, tra cui De Palma e Di Cuia. Con loro risultano coinvolti anche i quattro componenti del seggio 54 di Taranto – presidente, segretaria e due scrutatrici – e un rappresentante di lista, come anticipato da Nuovo Quotidiano di Puglia e Gazzetta del Mezzogiorno. A vario titolo, il pubblico ministero Mariano Buccoliero contesta i reati di falso ideologico, alterazione del voto, induzione in errore di pubblici ufficiali e violazioni della normativa elettorale. I quattro membri del seggio 54 avrebbero concorso a modificare l’esito dello scrutinio alla Camera, omettendo il controllo voto per voto e attribuendo a Forza Italia preferenze che sarebbero state espresse per Fratelli d’Italia. Con i dati falsi avrebbero compilato verbali e tabelle inserendo la cifra 52 accanto alla lista FdI, così da far apparire ribaltato il risultato reale: quel numero di preferenze era infatti per Forza Italia, che formalmente ricevette invece i 213 voti espressi a favore di FdI. Un “dato completamente falso”, si legge nell’avviso di conclusione delle indagini firmato dal pubblico ministero. Una vicenda tutta interna al centrodestra, insomma, ma cruciale per il futuro dei due politici di Forza Italia indagati. Ad avviso della procura di Taranto, Di Cuia e De Palma avrebbero infatti utilizzato quei risultati, pur conoscendone la presunta falsità, per chiedere la rettifica all’Ufficio centrale circoscrizionale di Bari, inducendo l’autorità a certificare come veri i dati alterati. In un primo momento, infatti, la ripartizione dei seggi aveva portato all’elezione di Lanotte, anche lui forzista che era candidato nel collegio plurinominale di Foggia/Bat. Ma fu proprio quella modifica decisa “a tavolino” che, secondo i magistrati, fece invece scattare il seggio alla Camera per Forza Italia nel collegio Taranto/Altamura, dove era candidato De Palma a danno del collega di partito, ora presidente del Consiglio comunale di Barletta. In questo modo, sostiene la procura, De Palma veniva in promosso in Parlamento e “lasciava il posto di consigliere regionale proprio allo stesso Dicuia (primo dei non eletti)”. In concreto, De Palma – scrive il Buccoliero – “diffidava l’Ufficio centrale circoscrizionale” di Bari a “rettificare il precedente giudizio di attribuzione di voti” del 26 settembre e, “inducendolo in errore”, ad “attestare falsamente nel successivo provvedimento” del 5 ottobre di tre anni fa che i voti per Forza Italia erano 213, facendo “illecitamente scattare in suo favore l’attribuzione del seggio”. Sia De Palma che Di Cuia, ora ricandidato alle Regionali in Puglia del 22 e 23 novembre, hanno respinto le accuse. “Nessun atto ricevuto, totale estraneità ai fatti. Ribadisco che sono stato io a presentare un esposto affinché fossero acquisiti gli atti della sezione che mi venivano negati”, ha sostenuto De Palma. Mentre Di Cuia afferma: “Intendo precisare che nella sezione oggetto di indagine non sono mai stato presente. Ed ancora, la notifica dell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari proprio alla vigilia delle elezioni regionali appare piuttosto singolare”. Lanotte – ascoltato nelle scorse settimane dalla Digos di Taranto – era risultato subito eletto, ma nel giro di qualche giorno sulla base del ricorso – figlio di quei numeri ritenuti falsi dalla procura – a volare a Roma fu De Palma. Lanotte aveva anche presentato un ricorso alla Giunta per le elezioni. Ora a far luce arriva l’inchiesta della procura di Taranto, che Lanotte commenta con amarezza sui suoi social parlando di “soprusi e ingiustizie” e di una “ferita che pensavo quasi rimarginata” e che invece l’indagine riapre. L'articolo Indagato il deputato De Palma (FI): “Scrutinio truccato alle Politiche. A lui i voti di Fdi, così fu eletto al posto di un collega di partito” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ilva, il no dei pm al dissequestro di Afo1: “L’incendio di maggio? I dispositivi di sicurezza erano guasti”
L’altoforno 1 dell’ex Ilva di Taranto sarebbe stato rimesso in marcia nell’ottobre 2024 come se fosse tutto in ordine. Ma in realtà, secondo gli atti dell’inchiesta aperta dopo l’incendio che lo ha devastato nel maggio scorso, non lo era affatto. Insomma, quando il ministro delle Imprese Adolfo Urso andò a festeggiare la ripartenza dell’impianto, le sue condizioni erano tutt’altro che perfette. A rivelarlo sono i documenti dell’indagine della Procura di Taranto che nell’agosto scorso ha detto “no” al dissequestro. Secondo il pubblico ministero Francesco Ciardo, come anticipato da La Gazzetta del Mezzogiorno, l’incendio del 7 maggio divampò a causa del malfunzionamento di almeno una delle “termocoppie”, uno dei dispositivi di sicurezza dell’altoforno, che non segnalò l’aumento della temperatura, contribuendo a scatenare le fiamme che gli operai definirono “mai visto prima”. Un rogo gigantesco, colonna di fumo visibile per chilometri, finito con il sequestro dell’Afo1 e con lo scontro istituzionale tra i magistrati e il ministro Urso. Il titolare del Mimit, allora, accusava i magistrati di aver bloccato con la loro attività necessarie alla salvaguardia dell’impianto – che doveva essere spento, in quel momento, ma i lavori dell’Afo2 erano in ritardo – e di mettere con la loro azione a rischio la vendita del siderurgico. Ma ciò che emerge ora dagli atti è che perfino quando Urso entrò in stabilimento per la cerimonia di riavvio dell’altoforno, in ottobre, l’impianto non era affatto in piena efficienza. Secondo i documenti citati da La Gazzetta, la termocoppia della tubiera 11 – “letteralmente liquefatta” durante l’incendio, scive il pm – “risultava guasta già dalla ripresa delle attività dell’ottobre 2024”. E a sette mesi esatti dal riavvio, la stessa apparecchiatura non era stata “mai sostituita né riparata”. Non si tratta, tra l’altro, di un caso isolato: al momento dell’incidente, le termocoppie non operative erano 11 su 96, oltre il 10%: “Un numero significativo”, annota la procura nel decreto con cui, nell’agosto scorso, ha rigettato la richiesta di revoca del sequestro avanzata da Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, gestore dell’impianto e guidata da 3 commissari scelti proprio da Urso. Quel provvedimento – rimasto finora inedito – mette in fila tutte le cause dell’incendio individuate dagli inquirenti, sulla base delle analisi di Vigili del Fuoco, tecnici dello Spesal e dell’Arpa Puglia, oltre alla consulente della Procura, Paola Russo, docente alla Sapienza di Roma. Secondo i magistrati, “questa grave carenza ha impedito il tempestivo rilevamento di eventuali anomalie termiche” e “non ha consentito l’attivazione delle procedure operative previste”. Accertare le cause dell’incendio, si legge nel decreto, “risulta necessario e fondamentale per i rilevantissimi profili attinenti alla sicurezza dell’impianto e di conseguenza dei lavoratori ivi impiegati” e per la “comunità cittadina posta in prossimità dello stabilimento”. Da qui, il no al dissequestro. Anche perché, l’evento fu di “pericolosissima portata”, scrive la Procura. Parole che contrastano frontalmente con la narrazione politica delle ultime settimane. Solo pochi giorni fa, infatti, il ministro Urso aveva sostenuto che l’intervento della magistratura di maggio “ha ridotto le capacità produttive del sito, costringendo i commissari a rivedere i piani aziendali, chiedendo un ulteriore ricorso alla cassa integrazione”. Ma ciò che emerge dagli atti – e che Acciaierie d’Italia conosce da agosto – racconta ben altro: gli accertamenti “hanno evidenziato diversi profili di criticità relativi alle condizioni di precarietà manutentiva dell’impianto”, oltre a problemi di “inidoneità” o “omessa manutenzione delle apparecchiature finalizzate a segnalare la presenza di possibili guasti o situazioni di rischio”. Non solo: l’inchiesta ha messo a nudo anche i limiti delle procedure operative standard e delle prassi imposte ai lavoratori nelle situazioni di emergenza. Carenze che, scrive la Procura, non sono affatto “di superficiale rilievo”. La notizia arriva nel giorno in cui a Roma torna a riunirsi il tavolo tra governo e sindacati dopo l’annuncio dell’estensione della cassa integrazione fino a 6mila lavoratori a partire da gennaio. Una soluzione contestata dai metalmeccanici che parlano di un “piano di chiusura” e di “tradimento” di Urso. L'articolo Ilva, il no dei pm al dissequestro di Afo1: “L’incendio di maggio? I dispositivi di sicurezza erano guasti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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