Halima Begum, amministratrice delegata di Oxfam Gran Bretagna e figura di primo
piano di una delle più importanti organizzazioni umanitarie al mondo, ha
lasciato l’incarico dopo che una revisione indipendente ha riscontrato “gravi
problemi” nel suo comportamento e nel processo decisionale. La notizia è stata
diffusa da The Times e ripresa dal Guardian e Bbc. La decisione, assunta dal
consiglio di amministrazione, arriva al termine di settimane di tensioni interne
e di accuse di bullismo avanzate da parte del personale.
Secondo quanto riportato dai media britannici, il cda ha ritenuto
“insostenibile” la posizione della cinquantenne dirigente a causa di una
“irrimediabile perdita di fiducia” nella sua capacità di guidare
l’organizzazione. Alla base della scelta vi sarebbe anche il “clima di paura”
che, secondo le testimonianze raccolte, si sarebbe creato all’interno della
charity. Circa 70 membri dello staff avevano firmato una lettera chiedendo
formalmente l’apertura di un’indagine sulla condotta della dirigente; stando a
quanto riferito dal Times, diversi dipendenti avrebbero inoltre rassegnato le
dimissioni dopo scontri con la dirigente.
Begum, nata in una famiglia trasferitasi a Londra dal Bangladesh, ricopriva
l’incarico da quasi due anni. In precedenza aveva lavorato per ActionAid e per
il British Council. Contattata dalla Bbc per un commento, non ha rilasciato
dichiarazioni. A suo favore le dichiarazioni di chi ha definito le accuse di
bullismo “assurde”, sostenendo che la dirigente sia stata oggetto di valutazioni
ingiuste. L’indagine è stata condotta dallo studio legale Howlett Brown tra
novembre e dicembre 2025 e si è basata sulle testimonianze di 32 colleghi
attuali ed ex dipendenti, oltre che su documentazione interna.
I risultati, secondo quanto riferito dall’organizzazione, hanno evidenziato
“gravi problemi nel comportamento di leadership e nel processo decisionale
dell’amministratore delegato, tra cui violazioni dei processi e dei valori
organizzativi e interferenze inappropriate nelle indagini sulla salvaguardia e
l’integrità”. La decisione di sollevare Begum dall’incarico è stata presa la
scorsa settimana e la dirigente ha già lasciato l’organizzazione. La guida ad
interim di Oxfam Gran Bretagna è stata affidata a Jan Oldfield, responsabile del
sostegno all’interno dell’ente da oltre quattro anni. Il caso arriva inoltre al
termine di un anno difficile sul piano finanziario.
L'articolo “Clima di paura e bullismo”, costretta alle dimissioni
l’amministratrice delegata di Oxfam Gran Bretagna proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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“Lasciate che vi porti tra i campi della Palestina. La terra degli ulivi, dei
campi di grano e dei profeti. Una terra che dovrebbe essere di pace, è diventata
un luogo dove gli agricoltori della Cisgiordania vengono privati dei loro
diritti, della loro acqua e del loro futuro”. Di fronte ai componenti della
commissione Esteri e Difesa del Senato, presieduta dalla forzista Stefania
Craxi, a prendere la parola è Ziad Anabtawi, Ceo e fondatore di Al’Ard Group,
multinazionale di Nablus diventata negli anni sinonimo di eccellenza
nell’attività di produzione e fornitura di prodotti agricoli e alimentari
palestinesi di alta qualità, a partire dall’olio d’oliva, con una presenza
capillare nei mercati locali e internazionali. “Esportiamo verso 22 Paesi in
tutto il mondo. Nonostante le difficoltà dovute all’occupazione, siamo diventati
una realtà di successo. Io ho sviluppato e continuato questa attività da mio
padre. Ora i miei figli rappresentano la terza generazione in azienda”, racconta
Anabtawi al Fattoquotidiano.it, al termine dell’audizione a Palazzo Madama. La
replicherà a Montecitorio, ma il suo programma a Roma prevede anche incontri con
parlamentari Pd, Avs e M5s. Ovvero, i gruppi d’opposizione che nei due anni di
genocidio israeliano a Gaza hanno portato avanti in Parlamento le istanze
palestinesi.
Roma è l’ultima tappa di un tour di advocacy per Anabtawi, che ha toccato sei
capitali europee. Un viaggio alla quale ha preso parte una delegazione di
imprenditori, ricercatori e professori, accompagnati da Oxfam, per
sensibilizzare politica e opinione pubblica sugli effetti dell’occupazione nei
Territori palestinesi occupati. L’organizzazione infatti ha lanciato una
campagna per chiedere ai governi europei di sospendere il commercio con gli
insediamenti dei coloni ( SI PUO’ ADERIRE A QUESTO LINK) “All’alba un contadino
palestinese si sveglia per prendersi cura dei suoi ulivi. Ma sulla collina di
fronte c’è un colono che lo guarda non come un vicino, ma come un ostacolo
all’espansione”, racconta. Poi, al Fattoquotidiano.it spiega cosa significa oggi
cercare di fare impresa in quelle terre: “Per i palestinesi la raccolta delle
olive è come una festa: tutta la famiglia partecipa alla raccolta, sono momenti
in cui si condivide vita e lavoro, si mangia e si passa il tempo assieme. Oggi
sono 100mila le famiglie in Cisgiordania che si occupano di questa attività”.
Eppure, spiega, lavorare è diventata un’impresa, a causa delle violenze
sistematiche dei coloni israeliani contro le comunità palestinesi. “L’ultimo
anno è stato un incubo: sono aumentate le restrizioni e il numero degli
insediamenti illegali. I coloni confiscano le terre dei palestinesi, distruggono
i terreni e i loro alberi da frutto, sradicano gli uliveti. E le aggressioni
fisiche e gli atti di persecuzione sono ormai quotidiani”.
Tutte le forme di annessione sono vietate dalle norme del diritto
internazionale, allo stesso modo come non è permesso il trasferimento da parte
della potenza occupante di una parte della propria popolazione civile nel
territorio che essa occupa. Ma da anni Israele non rispetta alcun vincolo di
legge. Sono 700mila i coloni israeliani che vivono illegalmente in oltre 156
insediamenti e 250 “avamposti” in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.
Avamposti formati senza autorizzazione formale da parte del governo israeliano,
ma con il suo tacito sostegno. E poi in seguito riconosciuti da Tel Aviv. Lo
scorso maggio il governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu ha deciso la la
creazione di altri 22 insediamenti nella West Bank. Ma a questo si devono
aggiungere anche muri e cancelli: oltre mille barriere, secondo l’Anp, erette
dopo il 7 ottobre 2023, presidiate dai militari, che rendono impossibile la vita
quotidiana dei palestinesi.
“In questo scenario di occupazione le olive del colono raggiungono liberamente i
mercati internazionali e poi gli scaffali dei supermercati, mentre il raccolto
del contadino rimane intrappolato dietro i posti di blocco. Sono un migliaio i
check point in Cisgiordania, che rendono un’impresa la mobilità non soltanto
delle persone, ma anche delle merci. Di fatto, è impossibile o quasi raggiungere
il porto, per esportare il nostro prodotto all’estero. Senza dimenticare i costi
proibitivi: possono volerci 2mila dollari per soli 200 chilometri, dalla
fabbrica di Nablus al porto di Haifa. Mentre ce ne vogliono poco più, 3500
dollari, per la spedizione dei container da Haifa ad Amburgo, in Germania, dove
il tragitto è però di oltre 3mila chilometri. Questa non è solo una tragedia
umana; è un crimine economico“, sottolinea Anabtawi.
Eppure, nonostante le difficoltà, le vessazioni quotidiane e la lotta impari,
“stiamo continuando a vendere i nostri prodotti, richiesti dal mercato
internazionale”, rivendica con soddisfazione. Come una forma di resistenza.
Servirebbe l’aiuto e la pressione dei governi mondiali ed europei. Ma se
l’Unione europea continua ad applicare doppi standard (19 pacchetti di sanzioni
alla Russia, nessuno contro Israele, tra veti incrociati e misure proposte a dir
poco blande e inefficaci), anche diversi governi e Stati europei continuano a
commerciare beni e servizi che finiscono per alimentare e legittimare
l’occupazione, gli espropri illegali e le violenze dei coloni.
Per questo nelle scorse settimane è stata Oxfam a lanciare un appello ai governi
europei e all’Unione europea affinché si interrompa il commercio con gli
insediamenti israeliani in Cisgiordania: “Se fino ad oggi l’Europa non è
riuscita ad avere un ruolo politico, speriamo recuperi almeno quella leadership
smarrita attraverso la leva economica. L’Ue è il primo partner commerciale di
Israele. L’Italia nel 2024 ha scambiato beni e servizi per oltre 4 miliardi di
euro. Il nostro governo deve rispettare quanto richiesto dalla Corte di
giustizia europea che ha già chiarito l’illegalità dell’occupazione. Serve
adottare uno strumento legislativo per impedire relazioni commerciali con i
territori occupati e l’adozione in Ue di sanzioni economiche. E chiediamo che in
sede europea si sospenda l’accordo di associazione con Israele”, rilancia al
Fattoquotidiano.it Paolo Pezzati, di Oxfam Italia.
Ziad Anabtawi invece, nonostante l’immobilismo o quasi dell’Unione europea,
rivendica: “L’Europa ha creato la democrazia, la rispetto molto e guardiamo come
palestinesi alle sue pratiche di democrazia. Noi siamo in grado di costruire e
sviluppare la nostra economia, ma abbiamo bisogno del supporto dell’Europa
affinché si interrompa l’occupazione. Il sostegno dei popoli europei e dei
giovani per le strade e nelle piazze è stato per noi cruciale, ha dato respiro a
Gaza. Ora serve che la politica faccia la sua parte”, spiega. In audizione aveva
invece ringraziato quegli Stati europei – tra i quali Spagna, Irlanda, Norvegia,
fino alle ultime Francia e Gran Bretagna – che hanno già riconosciuto lo Stato
di Palestina. Paesi tra i quali non figura però l’Italia, dato che il governo
Meloni prima si è opposto, poi ha vincolato un eventuale riconoscimento a
determinate ‘condizioni’, come l’esclusione di Hamas da qualunque ruolo nel
futuro governo. Una strategia per prendere tempo e continuare a negare il
riconoscimento, avevano attaccato le opposizioni. “Vorrei dire alla vostra
presidente del Consiglio di ascoltare la voce che viene dalle strade italiane.
Loro hanno già dato il loro sostegno, in modo chiaro. È soltanto una questione
di tempo. I cambiamenti arriveranno“, si dice fiducioso. E ancora: “Israele non
vuole la democrazia per il popolo palestinese. Sta soltanto ritardando l’unica
soluzione possibile, quella dei due Stati. Penso che il governo Netanyahu stia
agendo alla cieca, così come chi continua a supportarlo. Ma la giustizia è in
arrivo. Non si può fermare”.
L'articolo “Le nostre olive intrappolate dietro i checkpoint, mentre quelle dei
coloni israeliani arrivano nei supermercati di tutto il mondo”: il racconto
dell’imprenditore palestinese proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Non esiste un luogo a Gaza City dove non si veda distruzione”. La testimonianza
video di Chris Mc Intosh di Oxfam, arrivato nel quartiere di Sheikh Radwan dopo
il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Prima dell’entrata in vigore
dell’accordo, la zona, come altre nella Striscia, ha subito una settimana intera
di bombardamenti a tappeto e oggi è ridotta in macerie. “Le persone sono tornate
per cercare di recuperare qualcosa, i loro effetti personali. Ma tragicamente
non c’è nessun luogo dove far ritorno”
Questo racconto audio fa parte di ‘Voci di Gaza’, una serie di testimonianze
degli operatori e dei manager di Oxfam a Gaza che ilfattoquotidiano.it ha
iniziato a pubblicare regolarmente a ottobre 2023, per avere un racconto in
prima persona da parte dei civili che si trovano nella Striscia. Sono loro
infatti che hanno pagato, e stanno ancora pagando, il prezzo più alto.
LA CAMPAGNA – Oxfam ha lanciato una raccolta fondi (si può aderire qui) per
portare aiuti salvavita a una popolazione che dopo due anni di bombardamenti non
ha più niente. La situazione umanitaria rimane drammatica: migliaia di famiglie
hanno perso tutto: i propri cari, la casa, il lavoro, l’accesso all’acqua, al
cibo e alle cure mediche.
L'articolo Voci di Gaza – “Vi parlo dalla zona di Sheikh Radwan, dove nulla è
rimasto in piedi. Non esiste un posto dove tornare” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Attori, giornalisti, cantanti e personaggi dello spettacolo. Nove artisti, da
Lodo Guenzi a Ilaria D’Amico, hanno prestato il loro volto per dare voce ai
palestinesi che hanno perso tutto dopo due anni di bombardamenti e assedio. La
campagna, ideata da Oxfam, serve proprio per amplificare le loro testimonianze.
Storie che, si legge nel comunicato dell’organizzazione, “parlano di fame,
paura, perdita e sopravvivenza ma anche di coraggio. Che restituiscono una
realtà che non può essere ignorata, una realtà che si riflette e resta impressa
sulla pelle, non solo di chi la vive ma anche di chi decide di non voltare lo
sguardo”.
La guerra a Gaza ha distrutto ogni cosa: case, famiglie, ospedali, ambizioni. Da
ottobre 2023 sono state uccisi più di 66mila palestinesi, compresi bambini,
operatori umanitari e sanitari, giornalisti. Le operazioni militari israeliane
hanno pesantemente danneggiato o distrutto i sistemi idrici e fognari, favorendo
la diffusione di malattie mortali, come l’epatite o la poliomielite. A causa dei
danni provocati dalle bombe, oggi meno della metà degli ospedali sono operativi,
e nessuno funziona a pieno regime.
A QUESTO LINK SI PUO’ CONTRIBUIRE AL LAVORO DI OXFAM
L'articolo Da Greta Scarano a Lodo Guenzi e Ilaria D’Amico: nove artisti danno
voce alla popolazione di Gaza che ha perso tutto. La campagna di Oxfam proviene
da Il Fatto Quotidiano.