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“Lo 0,01% ha tre volte più ricchezza della metà più povera dell’umanità. Ma la disuguaglianza non è inevitabile: è una scelta politica dei governi”
La lotta alla disuguaglianza, ormai un’emergenza globale, non può e non deve essere solo materia su cui si esercitano think tank e convegni accademici. È una scelta politica ed è la politica a doversene assumere la responsabilità. È il messaggio che arriva dal World Inequality Report 2026, la nuova indagine del World Inequality Lab, osservatorio co-diretto da Lucas Chancel, Thomas Piketty e Rowaida Moshrif, con Facundo Alvaredo, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman alla guida scientifica: il gotha mondiale della ricerca sul tema. La loro analisi aggiornata conferma ancora una volta che quando i governi rinunciano alla progressività fiscale e alla redistribuzione, i divari tra ricchi e poveri si allargano. E oggi i sistemi di tassazione di gran parte dei Paesi avanzati contribuiscono a quell’allargamento, perché consentono a chi si piazza in cima alla piramide dei redditi di pagare molto meno degli altri. “La storia, l’esperienza dei diversi Paesi e la teoria mostrano che l’attuale livello estremo di disuguaglianza non è inevitabile. Una fiscalità progressiva, forti investimenti sociali, standard di lavoro equi e istituzioni democratiche hanno ridotto i divari in passato e possono farlo di nuovo”, scrivono nella prefazione l’economista Jayati Ghosh e il premio Nobel Joseph Stiglitz, tra gli esperti a loro volta incaricati dalla presidenza sudafricana del G20 di stilare un rapporto ad hoc. “Il World Inequality Report fornisce la base empirica e la cornice intellettuale per capire come intervenire”. IL 37% DELLA RICCHEZZA GLOBALE ALL’1% PIÙ RICCO Oggi, calcola il World Inequality Lab nel suo terzo rapporto basato sul lavoro di 200 accademici, il 10% più ricco della popolazione mondiale incassa il 53% del reddito totale e detiene il 75% della ricchezza mentre la metà più povera si ferma rispettivamente all’8% e al 2%. Non è una “legge naturale dell’economia”. Sono le conseguenze cumulative di scelte politiche: riduzione dell’imposizione sui più abbienti, tagli al welfare, arretramento dello Stato come garante di servizi e investimenti collettivi. È il punto di caduta di un trentennio (1995-2025) durante il quale il 50% più indigente ha intercettato appena l’1,1% dell’incremento totale della ricchezza globale a fronte del 37% che è finito in tasca all’1% più ricco. E in Italia? La disuguaglianza risulta in aumento lento ma costante. Negli ultimi dieci anni il rapporto tra il reddito medio del top 10% e quello della metà più povera è salito da 14 a 15. Oggi il 10% più ricco assorbe circa il 32% del reddito totale, mentre il 50% più povero si ferma al 21%. Sul fronte patrimoniale le distanze sono molto più accentuate: il top 10% possiede il 56% della ricchezza nazionale e l’1% supera da solo il 22%. IL FISCO INIQUO Il fisco ha fatto la sua parte: in molti Paesi i miliardari finiscono per pagare aliquote effettive quasi nulle grazie a elusione e strutture societarie che permettono di posticipare o evitare la distribuzione di dividendi e la realizzazione di plusvalenze in modo da non generare reddito tassabile. In media, a livello globale versano circa il 20%, ben al di sotto rispetto alla pressione fiscale subita da contribuenti con redditi medi. Anche quando sono soggetti a imposizione, del resto, i guadagni in conto capitale sono tassati meno del lavoro. Il risultato è che dagli anni Novanta la ricchezza dei multi-milionari è triplicata e lo 0,001% – circa 60mila persone, che starebbero comodamente in uno stadio – controllano tre volte più denaro della metà più povera dell’umanità, composta da 2,8 miliardi di persone. I DIVARI TRA REGIONI Un adulto medio in Nord America e Oceania dispone di un reddito pari al 290% della media mondiale e di un patrimonio che arriva al 338% della media. In Europa le percentuali sono più basse (215 e 224% rispettivamente) ma comunque abbondantemente sopra la media globale. All’estremo opposto, in Africa subsahariana l’adulto medio sopravvive con un reddito pari al 30% del livello mondiale e una ricchezza che non arriva al 20%. In concreto, ogni giorno un cittadino statunitense dispone di circa 125 euro, contro i 10 euro di un abitante dell’Africa subsahariana. Anche all’interno di ciascun continente la frattura tra ricchi e poveri è estrema: in Russia e Asia centrale il top 10% guadagna 141 volte il reddito medio della metà più povera, in Nord America e Oceania il rapporto è 72 a 1 e in Europa, il continente più egualitario, il divario è comunque 19 a 1. Quanto alla ricchezza, in tutte le regioni il 10% più abbiente controlla ben oltre la metà di quella complessiva. LA DISUGUAGLIANZA COME SCELTA POLITICA “La disuguaglianza non è un destino, ma una scelta”, ribadiscono Ghosh e Stiglitz nella chiusa della loro introduzione. Dove i sistemi pubblici restano più robusti, infatti, tasse e trasferimenti riescono a ridurre le disuguaglianze in modo significativo. Vale a dire che se il gap aumenta è perché la politica ha deciso di stare a guardare, invece di adottare misure per affrontare il problema. Le vie per farlo sono numerose: investimenti pubblici in istruzione e salute, che secondo gli autori sono “tra i più potenti strumenti di riequilibrio”, trasferimenti monetari e sussidi di disoccupazione insieme a supporti mirati ai nuclei vulnerabili, riduzione dei gap di genere. E ovviamente politiche fiscali. PERCHÉ SERVE UNA TASSA MINIMA GLOBALE SUI MILIARDARI Una tassa minima globale su miliardari e centimiliardari sul modello di quella proposta da Gabriel Zucman ed elaborata dal suo Eu Tax Observatory, discussa anche dai leader del G20, sarebbe “tecnicamente realizzabile, gestibile sul piano amministrativo e politicamente trasformativa”. Fissando l’aliquota al 2% la regressività al vertice verrebbe neutralizzata e portandola al 3% il sistema tornerebbe progressivo. Al tempo stesso i governi potrebbero raccogliere cifre pari rispettivamente allo 0,45% o allo 0,67% del pil mondiale con cui finanziare investimenti decisivi in istruzione, sanità e adattamento climatico, settori penalizzati dai bilanci pubblici “magri” dei Paesi occidentali e sottofinanziati da sempre in quelli più poveri. Basti dire che nel 2025 la spesa pubblica per istruzione per ogni giovane tra 0 e 24 anni è stata di 220 euro in Africa subsahariana, contro i 7.430 euro dell’Europa e i 9.020 del Nord America. I RICCHI RESPONSABILI DELLA CRISI CLIMATICA Il tema climatico è un’altra bomba politica. Il 10% più ricco del mondo è responsabile del 77% delle emissioni legate alla proprietà di capitale e del 47% di quelle da consumo. La metà più povera non supera il 3% e il 10%, rispettivamente. Ma chi contribuisce meno alla crisi climatica è anche chi ne paga il prezzo più alto: secondo il rapporto, le famiglie a basso reddito sopportano il 75% delle perdite economiche globali legate al riscaldamento. Anche in questo caso, le soluzioni – se c’è la volontà politica – non mancano. Sovvenzioni climatiche mirate, combinate con una tassazione progressiva, possono accelerare l’adozione di tecnologie a basse emissioni. E tasse ad hoc accompagnate a paletti sui consumi di lusso e sugli investimenti ad alta intensità di carbonio possono contribuire a ridurre le emissioni dei Paperoni. Foto di Nabil Naidu e Carl Solder su Unsplash L'articolo “Lo 0,01% ha tre volte più ricchezza della metà più povera dell’umanità. Ma la disuguaglianza non è inevitabile: è una scelta politica dei governi” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sarò un pazzo ma voglio credere ancora nella decrescita
È di pochi giorni fa questa notizia riportata da Il Sole 24 Ore: “Negli Stati Uniti il divario tra ricchi e poveri continua ad ampliarsi. Secondo un nuovo rapporto di Oxfam America, i dieci miliardari più facoltosi del Paese hanno visto crescere la propria ricchezza complessiva di circa 698 miliardi di dollari nell’ultimo anno, un aumento che accentua la concentrazione del capitale nelle mani di una ristretta élite economica”. La notizia si presta a svariate considerazioni. La prima, ma che senso ha essere sempre più ricchi (ricordando il Massimo Fini del denaro quale “Sterco del demonio”)? La seconda: diventare sempre più ricchi significa direttamente o indirettamente depredare ancor di più le risorse della terra. Tanto per dire, quante risorse consuma Jeff Bezos con pacchi e trasporti, o Elon Musk con le batterie al cobalto? La terza, ma sicuramente non ultima. Più ricchi ma anche più poveri, o meglio “miseri”, e ampliamento della forbice tra chi ha e chi non ha. Un mondo di pazzi, si potrebbe dire. O forse solo un mondo di uomini, se partiamo dal presupposto che l’uomo abbia in sé la propensione all’accumulo e la distonia con il mondo naturale. E allora, così ragionando, viene da pensare che sia invece sì, da pazzi, o almeno da sognatori ipotizzare un uomo che cerchi di limitare i propri bisogni, ed anzi di dare un nuovo significato al termine “bisogno”. Un sogno ma neanche poi tanto, se si prende coscienza che quello che chiamo sistema (scusate il termine un po’ demodé) non crea solo milioni di miseri, ma anche malattie, suicidi, dipendenza da droghe artificiali, e quant’altro. Quindi siamo pazzi noi – uno sparuto gruppo di persone tra l’altro non più in giovane età – che andiamo a creare, meglio, a ricreare un sito della decrescita felice. Nel mare magnum di Internet, un rifugio lontano mille miglia dai partiti e da Webuild che li comanda; dai siti di scommesse e dallo Stato che ci guadagna; dalla pubblicità e dalle imprese che devono sempre inventarsi “cose” nuove per poter sopravvivere. Diciamo: lontano dall’altra pazzia, quella insana, meglio: dall’incubo. Un sito anche di ecologia profonda, cioè quell’ecologia che non parla dell’ossimoro dello sviluppo sostenibile (alla Legambiente, per intenderci), ma del rapporto non predatorio tra uomo e Natura, o meglio, della sintonia (sun e tonos, accordo di suoni) con l’ambiente che ci circonda e che ci consente di vivere. Andate a visitare questo sito in controtendenza nell’era dell’Antropocene, perché, tra l’altro – almeno questo anche il profano lo sa – la nostra impronta ecologica è sempre più incompatibile con la nostra stessa sopravvivenza. Anche se in realtà dobbiamo smettere di crescere non già per non estinguerci (l’uomo si è già estinto più volte in passato) bensì per stare meglio dentro. L'articolo Sarò un pazzo ma voglio credere ancora nella decrescita proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Trovo surreale il modo in cui in Italia viene affrontato il dibattito su una tassa patrimoniale
di Stefano De Fazi Ritengo che, dato il contesto attuale, chiunque si definisca di sinistra dovrebbe sostenere una tassazione rilevante sui grandi patrimoni. È ormai evidente il danno che un’eccessiva concentrazione della ricchezza — come quella che viviamo oggi — provoca allo stato sociale e al processo democratico. Tuttavia, sono assolutamente aperto a un dialogo costruttivo con chi la pensi diversamente, ma ciò che trovo davvero intollerabile è il modo approssimativo e surreale con cui se ne discute nel dibattito pubblico italiano. Alcuni giorni fa ho avuto la sfortuna di imbattermi nel tema durante uno dei talk show politici più famosi della televisione italiana. Vale la pena notare come gli ospiti — Pierferdinando Casini, Massimo Giannini e Chiara Geloni — fossero tutti riconducibili a un’area di centro-sinistra; eppure nessuno dei tre ha avuto dubbi nell’affermare che parlare di patrimoniale, come hanno fatto di recente le opposizioni, sarebbe un assist al governo Meloni. La prima argomentazione proposta è che, con un livello di pressione fiscale al 42,6%, non sarebbe possibile introdurre una nuova forma di tassazione. Questo valore è certamente alto, anche se non tra i primi tre in Europa. Tuttavia, il vero problema del sistema fiscale italiano è la sua ripartizione: il carico grava quasi interamente sui lavoratori con redditi medi o di poco sopra la media, mentre è poco incisivo sui detentori di grandi patrimoni e sulle loro rendite. A conferma di ciò, uno studio dell’Università di Pisa ha mostrato che il sistema è progressivo solo per il 95% dei cittadini: per il 5% più ricco diventa fortemente regressivo. In quest’ottica, la patrimoniale è proprio lo strumento adatto per correggere questa stortura, liberando risorse per ridurre la pressione sui redditi medi e redistribuendo quel 42,6% in modo più equo. Un altro argomento ricorrente è che “circa l’80% degli italiani possiede una casa”, e dunque non si potrebbe tassare la proprietà. In realtà, qualsiasi proposta di patrimoniale riguarda esclusivamente i grandi patrimoni — ad esempio con una soglia minima di 5 milioni — e coinvolgerebbe solo il 2-3% più ricco del Paese. Inoltre, poiché queste proposte sono spesso accompagnate dall’eliminazione di imposte attuali sul patrimonio spesso regressive; una quota tutt’altro che marginale di italiani con una seconda casa di modesto valore ne trarrebbe persino vantaggio tramite l’abolizione dell’Imu. Un’altra frase che ho dovuto sentire, e che faccio fatica a tollerare, è: “È inutile parlare di patrimoniale, serve una riforma complessiva del fisco”. È una tattica frequentemente usata — spesso, a mio avviso, in malafede — per screditare proposte di buon senso in contesti diversi. Si sa bene che una riforma complessiva, allo stato attuale della politica, è difficilissima; allo stesso tempo si invoca questa necessità per bloccare sul nascere qualunque proposta concreta che possa rappresentare un passo avanti. Per questo è importante dirlo chiaramente: sì, una riforma complessiva del fisco è necessaria, e la tassazione delle grandi ricchezze ne è un tassello fondamentale. Nel corso del dibattito televisivo viene ovviamente ignorato il fatto che le principali organizzazioni che si occupano del tema, da Tax Justice Network a Oxfam, promuovono la tassazione sui grandi patrimoni anche a livello nazionale, e quindi non solo tramite accordi internazionali come quelli del G20 o dell’Onu. Inoltre, mettono in luce che esistono esempi concreti che dimostrano come il temuto esodo dei milionari, spesso evocato da chi è contrario, sia talmente ridotto da risultare irrilevante. Si possono muovere molte critiche ai partiti di opposizione attuali, ma temo che ci sia un problema di fondo molto più grave: il livello medio dell’informazione italiana su temi imprescindibili come questo. IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA” POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ – MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI! L'articolo Trovo surreale il modo in cui in Italia viene affrontato il dibattito su una tassa patrimoniale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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