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Gli italiani pestati dai coloni israeliani: “Sono tornati, vogliono tutta la West Bank”. Feriti e case in fiamme
“Ieri notte i coloni sono tornati al villaggio di Ein al-Duyuk, erano sempre una decina, armati e bardati, come la notte in cui hanno attaccato noi. Solo che stavolta c’erano solo palestinesi, non c’erano internazionali e quindi è stato molto più brutale. Hanno distrutto le telecamere e gli schermi che avevamo installato, sono entrati in altre tre case del villaggio, non solo in quella in cui siamo stati attaccati noi. Ci sono stati 10 feriti di cui due gravi, ancora in ospedale, una è una donna. Il villaggio è terrorizzato, i padri non sanno come proteggere i figli, i bambini sono scioccati”, racconta Ruta, 32 anni, una volontaria campana appena tornata in Italia dalla Cisgiordania, sabato 13 dicembre, con un volo dalla Giordania. Ci sono foto e video di un palestinese non giovanissimo che perde sangue, poi caricato su un’ambulanza 4×4 della Mezzaluna rossa nel cuore della notte. Immagini di case bruciate sono passate anche su Rai News 24. Ein al-Duyuk è una piccola comunità beduina a 2 chilometri a Nord ovest di Gerico, 10-12 famiglie, un centinaio di persone, con lo stesso nome di un villaggio più grande alle porte della città. È nella cosiddetta zona A sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese, i coloni non ci dovrebbero nemmeno entrare ma invece cercano di strappare la terra metro per metro ai palestinesi. I volontari internazionali vanno lì per fare interposizione, nella speranza che i loro passaporti contino ancora qualcosa, in questo caso nell’ambito della campagna Faz3 a guida palestinese con cui collabora anche Assopace Palestina: l’obiettivo è proteggere la raccolta delle olive. La comunità di Ein al-Duyuk, su un’altura considerata strategica, è quasi circondata da colonie e avamposti israeliani. L’unica strada che arriva da Gerico passa vicino agli insediamenti israeliani, in parte è in Area C (controllo israeliano) e in parte contesa. I coloni avevano messo un cancello, poi l’hanno dovuto aprire. Sono in corso i lavori per fare un’altra strada, ma chissà che gli occupanti non si prendano tutto prima. Con altri due nostri connazionali e una ragazza canadese, nella notte tra il 29 e il 30 novembre, Ruta è stata vittima dell’attacco che per qualche giorno ha avuto l’attenzione dei media italiani. Un pestaggio intimidatorio piuttosto efficace. “Sono arrivati alle 4 di notte, hanno sfondato la porta, ci hanno colpiti con schiaffi, calci e pugni e ci hanno rubato tutto: soldi, passaporti e telefoni”, hanno raccontato. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani è stato costretto a dire qualche parola di circostanza su questi “giovani cooperanti che accompagnano le attività dei palestinesi, portano i bambini a scuola, aiutano gli agricoltori e i pastori, costituiscono una sorta di protezione civile per la popolazione locale”. Nessuna protesta ufficiale, naturalmente, come per gli attacchi alla Flotilla in acque internazionali. C’era anche un giovane pugliese, si fa chiamare Tau, 28 anni, laureato in astrofisica, lavora in una ditta di bioedilizia: “Avevo vari ematomi, al naso e alle costole, ferite alle parti genitali da cui non sono completamente guarito. Ho fatto anche una seconda notte di ospedale a Ramallah”, racconta. Anche lui è rientrato ieri in Italia. “Ci hanno chiesto più di dove fossimo, quando dicevo ‘Italia’ facevano come un’espressione di disgusto, forse perché consapevoli della solidarietà italiana verso i palestinesi. Ripetevano ‘dont’t come back, don’t come back’, ‘non tornate’”, dice ancora Tau, anche lui “molto turbato” per il “nuovo attacco al villaggio”. Preferiscono che non siano pubblicate le loro generalità per esteso per non esporsi ulteriormente qui in Italia, rischiano già il divieto di entrare nei Territori per chissà quanti anni. Ruta ci è andata per la prima volta, Tau ci era già stato ad aprile. Hanno sporto denuncia alla polizia palestinese e perfino alle autorità israeliane, che comunque hanno già chiuso il caso. “No evidence”, nessuna prova, dicono. Dall’ospedale di Gerico i palestinesi li hanno portati a Ramallah, lì hanno incontrato il console aggiunto Damiano La Verde. “Voleva anche farci parlare con Tajani, ma non di politica, ci ha detto. Ma allora di cosa dobbiamo parlare? Abbiamo rifiutato. Il console diceva che eravano in pericolo e si preoccupava soprattutto di farci ripartire al più presto”, racconta Ruta. È esattamente la preoccupazione del governo israeliano, che non vuole ficcanaso stranieri mentre incoraggia la violenta avanzata dei coloni. I tre italiani non avevano più i loro passaporti, il consolato li ha muniti di un documento provvisorio per il rimpatrio: “Volevano farlo per cinque giorni, poi sono arrivati a quindici ma solo perché io dovevo fare dei controlli in ospedale”, dice Tau. All’aeroporto di Amman sono andati in autobus, nemmeno una macchina del consolato. Ora preparano denunce anche in Italia: hanno subito reati di lesioni e rapina all’estero per motivi chiaramente politici. Il portavoce del ministro Tajani come è suo costume non ci ha risposto. “Eravamo appena arrivati – racconta Ruta – Già la sera prima avevo avuto il primo incontro con i coloni. Erano cinque, tre sono entrati in una casa in costruzione e hanno cominciato a sfondare, gli altri due erano fuori e noi li riprendevamo con il telefonino. Ci puntavano in faccia torcioni accecanti. Poi la notte seguente sono venuti da noi”. Dice ancora Tau: “Ci sono stati attacchi anche al villaggio principale di Ein al-Duyuk, mentre più a nord nel villaggio di Ras al-Ein al-Auja, nella valle meridionale del Giordano, ci sono sette attivisti fissi di Ucp, Unarmed Civilian Protection, che fanno presenza solidale come noi”. E ancora: “I coloni lavorano in tandem con i militari e la polizia: attaccano il villaggio e i militari lo circondano con le macchine per evitare la fuga delle persone. Poi una volta che i coloni hanno fatto le loro barbarie, entrano e arrestano tutti. L’ho visto ad aprile a Jinba, vicino a Masafer Yatta (Cisgiordania meridionale, ndr) e a Bardala, nella Jordan Valley, a Nord. Diversi feriti, serre distrutte, distrutti i tubi della rete idrica. Un tempo funzionava come deterrente la presenza di persone con passaporti internazionali, se filmavi i coloni riuscivi a farli allontanare. Da un anno non è più così, i militari arrestano gli attivisti, li deportano e li bannano da due a dieci anni. Il nostro – sottolinea Tau – non è stato l’unico attacco, ma spesso avvengono in Area C e non vengono denunciati perché lì gli attivisti non potrebbero nemmeno starci”. La campagna Faz3 – ricorda – “si occupa della raccolta delle olive perché c’è una legge israeliana per cui la terra se non ci vai per tre anni passa allo Stato di Israele. Serviva proprio a consentire ai palestinesi di tornare in quelle terre dove non potevano più entrare per gli attacchi dei coloni. Ma questo è l’anno in cui ci sono stati più attacchi negli uliveti, più sradicamenti di alberi, circa 6.200 alberi distrutti tra quelli piantati adesso e quelli secolari o millenari. Siamo andati anche in posti più pericolosi, ma sono arrivati sparando granate assordanti e siamo stati costretti ad andare via. Magari non serve più come deterrente, la nostra presenza. Ma almeno i palestinesi possono dormire una notte di più se c’è uno di noi a fare la guardia”. L'articolo Gli italiani pestati dai coloni israeliani: “Sono tornati, vogliono tutta la West Bank”. Feriti e case in fiamme proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Le nostre olive intrappolate dietro i checkpoint, mentre quelle dei coloni israeliani arrivano nei supermercati di tutto il mondo”: il racconto dell’imprenditore palestinese
“Lasciate che vi porti tra i campi della Palestina. La terra degli ulivi, dei campi di grano e dei profeti. Una terra che dovrebbe essere di pace, è diventata un luogo dove gli agricoltori della Cisgiordania vengono privati dei loro diritti, della loro acqua e del loro futuro”. Di fronte ai componenti della commissione Esteri e Difesa del Senato, presieduta dalla forzista Stefania Craxi, a prendere la parola è Ziad Anabtawi, Ceo e fondatore di Al’Ard Group, multinazionale di Nablus diventata negli anni sinonimo di eccellenza nell’attività di produzione e fornitura di prodotti agricoli e alimentari palestinesi di alta qualità, a partire dall’olio d’oliva, con una presenza capillare nei mercati locali e internazionali. “Esportiamo verso 22 Paesi in tutto il mondo. Nonostante le difficoltà dovute all’occupazione, siamo diventati una realtà di successo. Io ho sviluppato e continuato questa attività da mio padre. Ora i miei figli rappresentano la terza generazione in azienda”, racconta Anabtawi al Fattoquotidiano.it, al termine dell’audizione a Palazzo Madama. La replicherà a Montecitorio, ma il suo programma a Roma prevede anche incontri con parlamentari Pd, Avs e M5s. Ovvero, i gruppi d’opposizione che nei due anni di genocidio israeliano a Gaza hanno portato avanti in Parlamento le istanze palestinesi. Roma è l’ultima tappa di un tour di advocacy per Anabtawi, che ha toccato sei capitali europee. Un viaggio alla quale ha preso parte una delegazione di imprenditori, ricercatori e professori, accompagnati da Oxfam, per sensibilizzare politica e opinione pubblica sugli effetti dell’occupazione nei Territori palestinesi occupati. L’organizzazione infatti ha lanciato una campagna per chiedere ai governi europei di sospendere il commercio con gli insediamenti dei coloni ( SI PUO’ ADERIRE A QUESTO LINK) “All’alba un contadino palestinese si sveglia per prendersi cura dei suoi ulivi. Ma sulla collina di fronte c’è un colono che lo guarda non come un vicino, ma come un ostacolo all’espansione”, racconta. Poi, al Fattoquotidiano.it spiega cosa significa oggi cercare di fare impresa in quelle terre: “Per i palestinesi la raccolta delle olive è come una festa: tutta la famiglia partecipa alla raccolta, sono momenti in cui si condivide vita e lavoro, si mangia e si passa il tempo assieme. Oggi sono 100mila le famiglie in Cisgiordania che si occupano di questa attività”. Eppure, spiega, lavorare è diventata un’impresa, a causa delle violenze sistematiche dei coloni israeliani contro le comunità palestinesi. “L’ultimo anno è stato un incubo: sono aumentate le restrizioni e il numero degli insediamenti illegali. I coloni confiscano le terre dei palestinesi, distruggono i terreni e i loro alberi da frutto, sradicano gli uliveti. E le aggressioni fisiche e gli atti di persecuzione sono ormai quotidiani”. Tutte le forme di annessione sono vietate dalle norme del diritto internazionale, allo stesso modo come non è permesso il trasferimento da parte della potenza occupante di una parte della propria popolazione civile nel territorio che essa occupa. Ma da anni Israele non rispetta alcun vincolo di legge. Sono 700mila i coloni israeliani che vivono illegalmente in oltre 156 insediamenti e 250 “avamposti” in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Avamposti formati senza autorizzazione formale da parte del governo israeliano, ma con il suo tacito sostegno. E poi in seguito riconosciuti da Tel Aviv. Lo scorso maggio il governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu ha deciso la la creazione di altri 22 insediamenti nella West Bank. Ma a questo si devono aggiungere anche muri e cancelli: oltre mille barriere, secondo l’Anp, erette dopo il 7 ottobre 2023, presidiate dai militari, che rendono impossibile la vita quotidiana dei palestinesi. “In questo scenario di occupazione le olive del colono raggiungono liberamente i mercati internazionali e poi gli scaffali dei supermercati, mentre il raccolto del contadino rimane intrappolato dietro i posti di blocco. Sono un migliaio i check point in Cisgiordania, che rendono un’impresa la mobilità non soltanto delle persone, ma anche delle merci. Di fatto, è impossibile o quasi raggiungere il porto, per esportare il nostro prodotto all’estero. Senza dimenticare i costi proibitivi: possono volerci 2mila dollari per soli 200 chilometri, dalla fabbrica di Nablus al porto di Haifa. Mentre ce ne vogliono poco più, 3500 dollari, per la spedizione dei container da Haifa ad Amburgo, in Germania, dove il tragitto è però di oltre 3mila chilometri. Questa non è solo una tragedia umana; è un crimine economico“, sottolinea Anabtawi. Eppure, nonostante le difficoltà, le vessazioni quotidiane e la lotta impari, “stiamo continuando a vendere i nostri prodotti, richiesti dal mercato internazionale”, rivendica con soddisfazione. Come una forma di resistenza. Servirebbe l’aiuto e la pressione dei governi mondiali ed europei. Ma se l’Unione europea continua ad applicare doppi standard (19 pacchetti di sanzioni alla Russia, nessuno contro Israele, tra veti incrociati e misure proposte a dir poco blande e inefficaci), anche diversi governi e Stati europei continuano a commerciare beni e servizi che finiscono per alimentare e legittimare l’occupazione, gli espropri illegali e le violenze dei coloni. Per questo nelle scorse settimane è stata Oxfam a lanciare un appello ai governi europei e all’Unione europea affinché si interrompa il commercio con gli insediamenti israeliani in Cisgiordania: “Se fino ad oggi l’Europa non è riuscita ad avere un ruolo politico, speriamo recuperi almeno quella leadership smarrita attraverso la leva economica. L’Ue è il primo partner commerciale di Israele. L’Italia nel 2024 ha scambiato beni e servizi per oltre 4 miliardi di euro. Il nostro governo deve rispettare quanto richiesto dalla Corte di giustizia europea che ha già chiarito l’illegalità dell’occupazione. Serve adottare uno strumento legislativo per impedire relazioni commerciali con i territori occupati e l’adozione in Ue di sanzioni economiche. E chiediamo che in sede europea si sospenda l’accordo di associazione con Israele”, rilancia al Fattoquotidiano.it Paolo Pezzati, di Oxfam Italia. Ziad Anabtawi invece, nonostante l’immobilismo o quasi dell’Unione europea, rivendica: “L’Europa ha creato la democrazia, la rispetto molto e guardiamo come palestinesi alle sue pratiche di democrazia. Noi siamo in grado di costruire e sviluppare la nostra economia, ma abbiamo bisogno del supporto dell’Europa affinché si interrompa l’occupazione. Il sostegno dei popoli europei e dei giovani per le strade e nelle piazze è stato per noi cruciale, ha dato respiro a Gaza. Ora serve che la politica faccia la sua parte”, spiega. In audizione aveva invece ringraziato quegli Stati europei – tra i quali Spagna, Irlanda, Norvegia, fino alle ultime Francia e Gran Bretagna – che hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina. Paesi tra i quali non figura però l’Italia, dato che il governo Meloni prima si è opposto, poi ha vincolato un eventuale riconoscimento a determinate ‘condizioni’, come l’esclusione di Hamas da qualunque ruolo nel futuro governo. Una strategia per prendere tempo e continuare a negare il riconoscimento, avevano attaccato le opposizioni. “Vorrei dire alla vostra presidente del Consiglio di ascoltare la voce che viene dalle strade italiane. Loro hanno già dato il loro sostegno, in modo chiaro. È soltanto una questione di tempo. I cambiamenti arriveranno“, si dice fiducioso. E ancora: “Israele non vuole la democrazia per il popolo palestinese. Sta soltanto ritardando l’unica soluzione possibile, quella dei due Stati. Penso che il governo Netanyahu stia agendo alla cieca, così come chi continua a supportarlo. Ma la giustizia è in arrivo. Non si può fermare”. L'articolo “Le nostre olive intrappolate dietro i checkpoint, mentre quelle dei coloni israeliani arrivano nei supermercati di tutto il mondo”: il racconto dell’imprenditore palestinese proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Millennium, inchieste e approfondimenti sulle violenze dei coloni israeliani. In edicola, libreria e store online
Volete capire qualcosa di più delle violenze perpetrate da gruppi di coloni israeliani in Cisgiordania, anche a danni di volontari italiani, come è successo pochi giorni fa? Trovate inchieste e approfondimenti su MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, che aaffronta il tema nel numero di novembre, con il titolo di copertina Gangs of Netanyahu. Il numero si può acquistare in diversi store online (Amazon, Ibs, Feltrinelli, Mondadori, Liberia Universitaria, Hoepli), in edicole e librerie selezionate (trovate qui il punto vendita più comodo per voi). Dal 7 ottobre 2023 sono oltre 1.100 i palestinesi sono stati uccisi negli scontri con bande armate di coloni israeliani spalleggiati dall’esercito e dalla polizia (qui un riassunto del numero). Una lunga inchiesta di Fabio Scuto ripercorre gli episodi più cruenti, mette in luce i legami fra i coloni e il governo Netanyahu e spiega chi sono e come si finanziano i gruppi più violenti. Il numero è arricchito da un ritratto di Daniella Weiss, leader ideologica del movimento che ora promette di colonizzare anche la Striscia di Gaza, mentre lo storico Arturo Marzano spiega come il sionismo sia passato negli anni da una visione progressista a un radicalismo religioso di destra. In un’intervista, l’autorevole arabista Gilles Kepel mette in guardia dal rischio terrorismo, anche in Europa, legato alla crisi palestinese. Fra i rubrichisti del mensile ricordiamo Marco Travaglio, Antonio Padellaro, Valentina Petrini, Luca Mercalli, Claudia Rossi, Carlo Petrini, Fabrizio d’Esposito, Alberto Vannucci. MillenniuM esce contemporaneamente su tutti i canali di vendita: edicole, librerie e store online. Il giorno di uscita è venerdì di metà mese, invece del tradizionale sabato. Di conseguenza, anche i MillenniuM Live, le dirette social in cui sono presentati i contenuti del numero in corso, si spostano dal venerdì al giovedì. Detto questo, il modo più semplice per leggere il mensile è abbonarsi alla versione cartacea o digitale. L’abbonamento dà diritto anche all’accesso alla versione navigabile, e all’archivio, del sito. L'articolo Millennium, inchieste e approfondimenti sulle violenze dei coloni israeliani. In edicola, libreria e store online proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il video che mostra l’esercito israeliano uccidere due militanti del Jihad disarmati e ormai arresi. Onu: “Sembra esecuzione”
L’Onu ha bollato come una “apparente esecuzione sommaria” l’uccisione di due palestinesi a colpi d’arma da fuoco in Cisgiordania mentre si arrendevano alle forze israeliane. “Siamo sconvolti dalla sfacciata uccisione di due palestinesi da parte della polizia di frontiera israeliana giovedì a Jenin“, ha detto a Ginevra il portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, Jeremy Laurence, definendo l’incidente “un’altra apparente esecuzione sommaria”. L’episodio è emerso con la diffusione di un video trasmesso dal canale arabo Al Ghad Tv e Palestine tv news che mostrava due persone uscire con le mani alzate in segno di resa da un edificio, mentre i militari puntano contro di loro armi da fuoco. Si sente poi l’esplosione di diversi colpi diversi colpi con entrambe le persone che rimangono accasciate al suolo. L’Idf e la polizia israeliana hanno annunciato un’indagine. I due uomini uccisi erano Al-Muntasir Abdullah di 26 anni e Yousef Asasa di 37, e facevano parte del Jihad islamico. L'articolo Il video che mostra l’esercito israeliano uccidere due militanti del Jihad disarmati e ormai arresi. Onu: “Sembra esecuzione” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Espone bandiera palestinese al mach Milano – Tel Aviv per 10 secondi: 200 euro di multa al consigliere regionale
“Per questo semplice gesto prima dell’inizio di Olimpia Milano – Hapoel Tel Aviv, sono appena stato avvicinato dalla digos che ha preso le mie generalità e invitato a mettere via la bandiera”. Sono le parole con cui il consigliere regionale della Lombardia Luca Paladini (Patto Civico) comunicava in tempo reale quanto gli stava accadendo sugli spalti dell’Unipol Forum di Assago, la sera della partita di Eurolega di basket, giovedì 20 novembre. Commentando che “Non va bene. Non va bene per niente”. Ricostruendo poi quanto accaduto, Paladini racconta che appena esposta la bandiera “un agente in borghese si è avvicinato, mi ha chiesto i documenti e di evitare di mostrarla. Io, a quel punto, me la sono messa tipo sciarpa”. Dieci giorni dopo, Paladini ha ricevuto una multa di quasi 200 euro per aver esposto la bandiera palestinese durante la partita. Fuori dal palazzetto, prima del match, c’era anche un presidio pro Pal a cui Paladini non era collegato (video). “Mi ha appena chiamato il Commissariato di polizia della mia zona, qui a Milano”, ha fatto sapere oggi. “Devo andare a ritirare la notifica di una multa di poco inferiore ai 200 euro per aver esposto per 10 secondi la bandiera della Palestina al Forum. Un gesto fatto in silenzio, pacifico e non violento”. La ragione? “Mi si è accennato al telefono a una violazione delle regole interne al Palasport. Sono letteralmente annichilito e ovviamente la cosa per quanto mi riguarda non finisce qui”. “Domani sera andrò al Forum, come faccio per ogni partita di campionato e di Eurolega”, aveva scritto Paladini alla vigilia ricordando la sua grande passione per il basket, “Non sarò a capo di nessuna manifestazione di contestazione, che so ci sarà, fuori dal Palazzo. E che rispetto. Personalmente non andrò con lo spirito di insultare degli atleti a cui non posso attribuire nessuna colpa, perché fino a prova contraria, essere israeliani, non può essere considerata tale. E ci mancherebbe”. Ugualmente, continuava, “ritengo grave che gli organismi sportivi internazionali non abbiano fatto come con la Russia ed estromesso ogni rappresentante di uno Stato che si è macchiato di crimini di guerra, dalle competizioni internazionali. Per questo, solo per questo mi autodenuncio in partenza: andrò al Forum con una bandiera palestinese. Andrò per ricordare cosa è successo e continua a succedere lì”. L'articolo Espone bandiera palestinese al mach Milano – Tel Aviv per 10 secondi: 200 euro di multa al consigliere regionale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Tre italiani feriti in un assalto di coloni israeliani in Cisgiordania. “Le botte, poi rubati passaporti e cellulari”
Ci sono anche tre attivisti italiani tra i feriti in un attacco condotto da coloni israeliani nella comunità di Ein al-Duyuk, vicino a Gerico, in Cisgiordania, dopo che gli aggressori hanno fatto irruzione nella casa in cui alloggiavano. Lo riferisce l’agenzia palestinese Wafa. Un quarto attivista ferito è canadese. Secondo le fonti, circa 10 coloni israeliani mascherati hanno fatto irruzione nella residenza degli attivisti all’alba, li hanno picchiati e hanno rubato effetti personali, tra cui passaporti e telefoni cellulari. I feriti sono stati trasportati all’ospedale di Gerico per le cure necessarie. I tre italiani non sono in gravi condizioni, nonostante lo shock per quanto accaduto: due ragazze hanno riportato ferite lievi, mentre il terzo dovrà restare a riposo 3 giorni. Gli attivisti sono stati assistiti dal sindaco di Gerico e dalla polizia palestinese, a cui hanno denunciato l’accaduto. La foto è d’archivio L'articolo Tre italiani feriti in un assalto di coloni israeliani in Cisgiordania. “Le botte, poi rubati passaporti e cellulari” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Minacce, violenze, traumi e una paura senza fine”: il report che denuncia l’impatto “indicibile” della guerra sulle donne palestinesi
Il 14 settembre del 2024, Dalal, insegnante di 31 anni, viene svegliata in piena notte dal suono degli spari. Si affaccia alla finestra del suo appartamento a Kiryar Arba, vicino a Hebron, e vede decine di coloni armati, insieme a soldati dell’esercito israeliano. Dalal è incinta, aspetta il suo terzo figlio, e così suo marito, temendo di subire un attacco, decide di portarla via insieme ai bambini. La donna però si sente male, comincia a perdere sangue e a vomitare. Quando arriva in clinica è troppo tardi: i medici le dicono che ha avuto un aborto spontaneo. La sua storia è raccontata nel nuovo rapporto elaborato da Oxfam insieme a We Rise che prende in esame gli effetti dell’occupazione militare israeliana sulla vita delle donne palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. “Sono ancora in lutto per la perdita del mio bambino” racconta Dalal. “I miei bambini non riescono a parlare degli attacchi dei coloni e sono costantemente angosciati Non dormono e tutte le notti vado in camera loro perché si sentano al sicuro”. Le donne dono vittime due volte. “Il conflitto e l’occupazione illegale hanno un impatto indicibile su di loro” denuncia Oxfam. “Un’emergenza drammatica che la comunità internazionale e le Nazioni Unite avrebbero potuto contrastare e prevenire, ma di fronte a cui sono rimasti inerti“. Sono passati 25 anni dall’adozione della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che riconosce le conseguenze dei conflitti sull’universo femminile e dell’Agenda Donne, Pace e Sicurezza. Due iniziative che secondo Oxfam avrebbero dovuto garantire un ruolo chiave delle donne palestinesi nella vita pubblica, e che invece non sono mai state davvero trasformate in realtà. “Le Nazioni Unite, sia prima che dopo l’inizio del conflitto a Gaza, hanno ignorato la difesa dei diritti delle donne e delle ragazze palestinesi, il ruolo chiave che possono giocare per la costruzione della pace – spiega Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia – Allo stesso tempo la comunità internazionale si è resa di fatto complice di questa situazione vendendo armi a Israele, mai chiamato a rispondere per i crimini commessi, inclusa l’occupazione illegale”. Secondo le stime di Un Woman, l’ente delle Nazioni unite che si occupa di uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, i due anni di attacchi e bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza hanno ucciso oltre 38mila donne, ragazze e bambine e ne ha ferite più di 78mila. Un altro milione è stato costretto a continui sfollamenti. Abbandonare la propria casa e vivere in tenda ha un impatto devastante per le donne, costrette a fare i conti con pessime condizioni igieniche e con bagni di fortuna, spesso da condividere tra più famiglie o da raggiungere al buio di notte. Senza considerare la carenza di prodotti per l’igiene personale che per ragazze e donne sono essenziali. “La distruzione di ospedali e infrastrutture essenziali – aggiunge Oxfam – hanno avuto conseguenze drammatiche sulle donne, private di ogni assistenza per la maternità, esposte a continui traumi, fame e violenze di ogni sorta”. Il report prende in esame anche la situazione delle donne palestinesi detenute. “Sono state vittime di abusi sistematici, sessuali e di genere, che secondo le indagini delle Nazioni Unite potrebbero costituire crimini di guerra e contro l’umanità”. In Cisgiordania le storie come quella di Dalal sono tantissime. Gli assalti dei coloni e la sempre più estesa militarizzazione del territorio palestinese è un peso molto difficile da sostenere. “Gli attacchi armati dei coloni, spesso sostenuti dalle forze israeliane, hanno portato a molestie sessuali, minacce di stupro e distruzione di case e scuole”. Le donne e le ragazze palestinesi, denuncia il report, vivono in uno stato di paura costante, che in molti casi le ha costrette ad abbandonare gli studi, subire aborti spontanei e gravissimi danni psicologici. “Chi si batte per i propri diritti in questa parte di mondo è spesso vittima di detenzioni arbitrarie e repressione, mentre la partecipazione delle donne alla vita pubblica e politica è pregiudicata dagli effetti dell’occupazione israeliana o da una visione patriarcale ancora predominante nella società palestinese”. Oxfam rivolge quindi un appello urgente alla comunità internazionale perché “si impegni da subito per garantire un ruolo centrale alle donne palestinesi nel processo di ricostruzione di Gaza e in Cisgiordania agendo concretamente per porre fine all’occupazione illegale di Israele”. L'articolo “Minacce, violenze, traumi e una paura senza fine”: il report che denuncia l’impatto “indicibile” della guerra sulle donne palestinesi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Millennium, il numero sulle violenze dei coloni israeliani ancora in vendita in edicole, librerie e store online
È ancora disponibile il numero di MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, che con il titolo di copertina Gangs of Netanyahu racconta le violenze dei coloni israeliani in Cisgiordania ai danni della popolazione palestinese. Il numero si può acquistare in diversi store online (Amazon, Ibs, Feltrinelli, Mondadori, Liberia Universitaria, Hoepli), in edicole e librerie selezionate (trovate qui il punto vendita più comodo per voi). Dal 7 ottobre 2023 sono oltre 1.100 i palestinesi sono stati uccisi negli scontri con bande armate di coloni israeliani spalleggiati dall’esercito e dalla polizia (qui un riassunto del numero). Una lunga inchiesta di Fabio Scuto ripercorre gli episodi più cruenti, mette in luce i legami fra i coloni e il governo Netanyahu e spiega chi sono e come si finanziano i gruppi più violenti. Il numero è arricchito da un ritratto di Daniella Weiss, leader ideologica del movimento che ora promette di colonizzare anche la Striscia di Gaza, mentre lo storico Arturo Marzano spiega come il sionismo sia passato negli anni da una visione progressista a un radicalismo religioso di destra. In un’intervista, l’autorevole arabista Gilles Kepel mette in guardia dal rischio terrorismo, anche in Europa, legato alla crisi palestinese. Al di fuori del tema di copertina, MillenniuM propone una lunga inchiesta di Youssef Taby sui cosiddetti “maranza” milanesi, mente la chiuruga-narratrice Ilaria Potenza esplora una nuova frontiera della maternità: il social freezing, la crioconservazione degli oviciti grazie alla quale le donne possono pianificare una gravidanza, non più solo per esigenze terapeutiche, ma per conciliazione famiglia e professione. Fra i rubrichisti del mensile ricordiamo Marco Travaglio, Antonio Padellaro, Valentina Petrini, Luca Mercalli, Claudia Rossi, Carlo Petrini, Fabrizio d’Esposito, Alberto Vannucci. MillenniuM esce contemporaneamente su tutti i canali di vendita: edicole, librerie e store online. Il giorno di uscita è venerdì di metà mese, invece del tradizionale sabato. Di conseguenza, anche i MillenniuM Live, le dirette social in cui sono presentati i contenuti del numero in corso, si spostano dal venerdì al giovedì. Detto questo, il modo più semplice per leggere il mensile è abbonarsi alla versione cartacea o digitale. L’abbonamento dà diritto anche all’accesso alla versione navigabile, e all’archivio, del sito. L'articolo Millennium, il numero sulle violenze dei coloni israeliani ancora in vendita in edicole, librerie e store online proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La raccolta delle olive in Cisgiordania è una festa ma la nostra è durata poco: subiamo due attacchi dai coloni
di Giorgia Lombardi * Oggi abbiamo subito due attacchi. Siamo partiti all’alba per la raccolta delle olive, nel nord-ovest della Cisgiordania, vicino Tulkarem. Mohammed e sua moglie Fouzia sono venuti a prenderci alle 6:30. Anziani contadini che hanno chiesto aiuto per riuscire a raccogliere le loro olive. Siamo dieci “internazionali” — da Francia, Germania, Italia, Stati Uniti e Canada — venuti a dare una mano nei campi. Avevamo con noi sacchi neri, secchi, un bollitore. Tutto l’occorrente per un giorno di lavoro che, in Palestina, è anche una festa. La raccolta delle olive, qui, è un rito antico. Si chiacchiera, si canta, ci si prende cura degli alberi, un po’ come da noi. Ma la festa, oggi, è durata meno di un’ora. ‹ › 1 / 5 IMG-20251028-WA0050 ‹ › 2 / 5 IMG-20251102-WA0010 ‹ › 3 / 5 IMG-20251102-WA0007 ‹ › 4 / 5 IMG-20251028-WA0049 ‹ › 5 / 5 IMG-20251028-WA0048 Dopo trenta minuti è arrivato un colono. Occhiali da sole, mitra a tracolla, tono aggressivo. Ci dice che non possiamo stare lì, che quella terra è loro perché “gliel’ha data Dio”. Che le olive le raccoglierà “la sua gente”. Aggiunge che i palestinesi lo sanno: non devono venire. Proviamo a parlargli, a spiegare che stiamo solo raccogliendo olive nella terra che appartiene a Mohammed. Intanto velocizziamo, nel tentativo di salvare almeno un po’ del raccolto. Ma arriva l’esercito. Una camionetta, due soldati incappucciati con la divisa dell’IDF e i fucili spianati. Chiedono i documenti. Noi abbiamo solo le fotocopie dei passaporti; i palestinesi, invece, consegnano le carte originali e vengono trattenuti. Ci intimano di andarcene. La colonia — illegale anche secondo il diritto internazionale — si trova a duecento metri di distanza dai campi, e quella sarebbe, a detta loro, una “zona di sicurezza”. Arbitraria come la colonia. Hanno rubato la terra, e ora rubano anche le olive. Con noi sono gentili, persino melliflui. Uno dei soldati ci chiama “amore mio”. Con i palestinesi, invece, la voce cambia: urla, insulti, minacce. Li lasciano due ore sotto il sole, senza acqua. Poi arriva un altro colono, con la pistola infilata nei pantaloni. È fuori di sé, urla contro tutti, anche i soldati provano — invano — a calmarlo. Dice che conosce quei palestinesi, che li ha già visti lì. E alla fine li arrestano. Li portano via. Noi non riusciamo a impedirlo. Riprendiamo la strada a piedi, tre chilometri sotto il sole. Trenta gradi, nessuna ombra, solo terra e vento. Non ci fidiamo delle strade: i coloni sono feroci, e gli agguati frequenti. Appena arriviamo al rifugio, un’altra famiglia ci chiede aiuto. Qualcuno ha bruciato i loro uliveti: centinaia di alberi. Sono di Ismail. Saliamo in dieci su una macchina. Quando arriviamo, troviamo un’auto incendiata, due persone sono finite in ospedale a causa dei coloni: a una delle due hanno spaccato la testa e gli hanno versato addosso della benzina, l’altra ha una gamba rotta. I campi sono ancora fumanti. Centinaia di olivi antichi che bruciano… un colpo al cuore. I palestinesi ci guidano tra le ceneri. Sono protettivi con noi, camminano davanti, non vogliono farci correre rischi. Da lontano si vede l’ennesimo outpost, un insediamento nuovo: tende colorate che presto diventeranno container, poi case. È così che comincia sempre. Su terra palestinese. Lo Stato di Israele lo sa, e lascia fare. Anzi, finanzia. Hanno avuto il tempo di bruciare tutto intorno al nuovo insediamento. E di sparare, da lontano. Questa è terra palestinese. Curata, amata e tramandata, difesa ogni giorno e ogni notte. Noi siamo qui per una campagna che si chiama Faz3a — parola che significa aiuto nel momento del bisogno ma anche solidarietà. Noi siamo qui per andare a raccogliere le olive, perché se ci sono “gli internazionali” i coloni sono meno feroci. I palestinesi devono chiedere il permesso all’esercito per prendersi cura dei propri alberi. Eppure la raccolta resta una festa. La raccolta è l’amore per la terra, il senso di giustizia, la memoria di chi c’era prima. Quest’anno è ancora più difficile, vogliono prendersi tutta la Cisgiordania e gli israeliani sempre più aggressivi. Quello che tengono vivo i palestinesi si chiama sumud: fermezza, resilienza, ostinazione nella dignità. E noi — noi che veniamo da fuori – siamo la loro flottiglia di terra. * Volontaria Assopace Palestina Da venerdì 14 novembre è nelle edicole e nelle librerie selezionate il nuovo numero di Millennium dal titolo “Gangs of Netanyahu” con inchieste e approfondimenti sulla guerra strisciante in Cisgiordania e il racconto degli appoggi politici ed economici ai gruppi più estremisti, responsabili di omicidi e danneggiamenti contro i palestinesi L'articolo La raccolta delle olive in Cisgiordania è una festa ma la nostra è durata poco: subiamo due attacchi dai coloni proviene da Il Fatto Quotidiano.
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