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Amazon si accorda con l’Agenzia delle Entrate e versa 723 milioni. Per la Procura avrebbe dovuto pagare 3 miliardi
Per la Procura di Milano, a causa di alcune condotte illecite tra il 2019 e il 2020, il gruppo Amazon ha commesso una frode fiscale da 1,2 miliardi di euro. E per questo, tra sanzioni e interessi, avrebbe dovuto versare al fisco italiano un cifra intorno ai 3 miliardi. Adesso però il colosso statunitense di Jeff Bezos ha raggiunto un accordo con l’Agenzia delle Entrate per versare 511 milioni di euro a cui si aggiungono 212 milioni definiti da Amazon logistica e Amazon Italia transport, già versati nei giorni scorsi. Amazon verserà quindi all’Agenzia delle Entrate un importo complessivo di 723 milioni di euro, usufruendo anche di meccanismi rateali. Nel mirino degli inquirenti milanesi, in particolare, c’era l’algoritmo predittivo di Amazon che, secondo le accuse, non terrebbe in considerazione gli obblighi tributari in capo a chi mette in vendita sul proprio market-place in Italia merce di venditori extraeuropei, in questo caso prevalentemente cinesi, senza però dichiararne l’identità e i relativi dati all’Agenzia delle Entrate ai fini del pagamento del 22% di Iva da parte dei venditori extraeuropei. L'articolo Amazon si accorda con l’Agenzia delle Entrate e versa 723 milioni. Per la Procura avrebbe dovuto pagare 3 miliardi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Nell’America di Trump crollano le inchieste sui reati fiscali: i federali vengono dirottati ai servizi di pattuglia
Il 17 ottobre 1931 Al Capone fu arrestato e condannato per reati fiscali, dopo numerosi tentativi andati a vuoto da parte dei federali. La vicenda, che tanto ha ispirato Hollywood, e che costituì un punto di svolta per gli investigatori americani nelle indagini a carico dei pezzi da novanta del crimine organizzato e della finanza, nell’America di Trump ha perso vigore. Secondo una inchiesta dell’agenzia Reuters, le azioni penali federali per reati fiscali sono scese al livello più basso degli ultimi decenni, con un calo di oltre il 27%. Il motivo è da attribuire alla preferenza data dalla Casa Bianca al contrasto dell’immigrazione illegale e alla criminalità di strada. Tagli significativi sono stati apportati all’unità investigativa Internal Revenue Service (IRS), con 330 unità in meno: a Washington, le nuove mansioni affidate agli investigatori prevedono anche pattugliamenti con gli agenti di polizia cittadina per fare fronte a quella che Trump ha definito la crisi della Capitale legata alla microcriminalità. L’IRS ha cercato di fare buon viso a cattivo gioco, mettendo a disposizione solo una parte delle sue forze. Ma Stephen Miller, collaboratore di Trump, si è apertamente lamentato e il numero dei funzionari destinato al pattugliamento è aumentato. Nel contempo il Dipartimento di Giustizia ha chiuso la sua Divisione Fiscale; un terzo o più degli avvocati sono stati mandati via. In termini di numeri, le conseguenze sono queste: i procedimenti per reati fiscali dinanzi a Tribunali federali nel 2024, tra gennaio e l’inizio di novembre, erano stati 420; nel 2025 ne sono stati registrati 160. La Reuters ha ottenuto conferme da più fonti: alti funzionari dell’amministrazione Trump hanno fatto sapere ai procuratori che le indagini fiscali non erano una priorità, mostrando scetticismo sulle inchieste a carico dei colletti bianchi e “sull’opportunità” di occuparsi di quei casi. Alla base c’è uno scontro politico tra la precedente amministrazione Biden, e quella attuale, che ha accusato l’ex presidente democratico di aver “militarizzato” il Dipartimento di Giustizia. Una storia emblematica, in questo contesto, è quella di Roger Ver, noto anche come “Gesù Bitcoin”, investitore di criptovalute. In un video, Ver ha affermato di essere stato preso di mira dal Dipartimento di Giustizia che gli imputava di non aver pagato decine di milioni di dollari in tasse. Per difendersi dalle contestazioni, “Gesù Bitcoin” si è rivolto all’avvocato Chris Kise, legato a Donald Trump. Reuters sottolinea che in ottobre Kise e un alto funzionario del Dipartimento di Giustizia che in precedenza aveva rappresentato Ivanka Trump, hanno raggiunto un accordo di sospensione dell’azione penale nei confronti di Ver; lui, in cambio, ha versato quasi 50 milioni di dollari. Ufficialmente, la portavoce del Dipartimento di Giustizia, Natalie Baldassarre, ha affermato che questo nuovo assetto “non avrà alcun impatto sulla capacità degli avvocati civili e dei procuratori di portare avanti la propria missione di far rispettare in modo equo e coerente le leggi fiscali nazionali”. Ma tra le dichiarazioni governative e ciò che poi accade nella realtà a volte c’è un solco profondo, e certamente i federali dell’IRS che assistono gli agenti per effettuare arresti su strada di irregolari, accattoni o scippatori non avranno poi il tempo di inseguire gli Al Capone degli anni 2000. L'articolo Nell’America di Trump crollano le inchieste sui reati fiscali: i federali vengono dirottati ai servizi di pattuglia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Lo 0,01% ha tre volte più ricchezza della metà più povera dell’umanità. Ma la disuguaglianza non è inevitabile: è una scelta politica dei governi”
La lotta alla disuguaglianza, ormai un’emergenza globale, non può e non deve essere solo materia su cui si esercitano think tank e convegni accademici. È una scelta politica ed è la politica a doversene assumere la responsabilità. È il messaggio che arriva dal World Inequality Report 2026, la nuova indagine del World Inequality Lab, osservatorio co-diretto da Lucas Chancel, Thomas Piketty e Rowaida Moshrif, con Facundo Alvaredo, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman alla guida scientifica: il gotha mondiale della ricerca sul tema. La loro analisi aggiornata conferma ancora una volta che quando i governi rinunciano alla progressività fiscale e alla redistribuzione, i divari tra ricchi e poveri si allargano. E oggi i sistemi di tassazione di gran parte dei Paesi avanzati contribuiscono a quell’allargamento, perché consentono a chi si piazza in cima alla piramide dei redditi di pagare molto meno degli altri. “La storia, l’esperienza dei diversi Paesi e la teoria mostrano che l’attuale livello estremo di disuguaglianza non è inevitabile. Una fiscalità progressiva, forti investimenti sociali, standard di lavoro equi e istituzioni democratiche hanno ridotto i divari in passato e possono farlo di nuovo”, scrivono nella prefazione l’economista Jayati Ghosh e il premio Nobel Joseph Stiglitz, tra gli esperti a loro volta incaricati dalla presidenza sudafricana del G20 di stilare un rapporto ad hoc. “Il World Inequality Report fornisce la base empirica e la cornice intellettuale per capire come intervenire”. IL 37% DELLA RICCHEZZA GLOBALE ALL’1% PIÙ RICCO Oggi, calcola il World Inequality Lab nel suo terzo rapporto basato sul lavoro di 200 accademici, il 10% più ricco della popolazione mondiale incassa il 53% del reddito totale e detiene il 75% della ricchezza mentre la metà più povera si ferma rispettivamente all’8% e al 2%. Non è una “legge naturale dell’economia”. Sono le conseguenze cumulative di scelte politiche: riduzione dell’imposizione sui più abbienti, tagli al welfare, arretramento dello Stato come garante di servizi e investimenti collettivi. È il punto di caduta di un trentennio (1995-2025) durante il quale il 50% più indigente ha intercettato appena l’1,1% dell’incremento totale della ricchezza globale a fronte del 37% che è finito in tasca all’1% più ricco. E in Italia? La disuguaglianza risulta in aumento lento ma costante. Negli ultimi dieci anni il rapporto tra il reddito medio del top 10% e quello della metà più povera è salito da 14 a 15. Oggi il 10% più ricco assorbe circa il 32% del reddito totale, mentre il 50% più povero si ferma al 21%. Sul fronte patrimoniale le distanze sono molto più accentuate: il top 10% possiede il 56% della ricchezza nazionale e l’1% supera da solo il 22%. IL FISCO INIQUO Il fisco ha fatto la sua parte: in molti Paesi i miliardari finiscono per pagare aliquote effettive quasi nulle grazie a elusione e strutture societarie che permettono di posticipare o evitare la distribuzione di dividendi e la realizzazione di plusvalenze in modo da non generare reddito tassabile. In media, a livello globale versano circa il 20%, ben al di sotto rispetto alla pressione fiscale subita da contribuenti con redditi medi. Anche quando sono soggetti a imposizione, del resto, i guadagni in conto capitale sono tassati meno del lavoro. Il risultato è che dagli anni Novanta la ricchezza dei multi-milionari è triplicata e lo 0,001% – circa 60mila persone, che starebbero comodamente in uno stadio – controllano tre volte più denaro della metà più povera dell’umanità, composta da 2,8 miliardi di persone. I DIVARI TRA REGIONI Un adulto medio in Nord America e Oceania dispone di un reddito pari al 290% della media mondiale e di un patrimonio che arriva al 338% della media. In Europa le percentuali sono più basse (215 e 224% rispettivamente) ma comunque abbondantemente sopra la media globale. All’estremo opposto, in Africa subsahariana l’adulto medio sopravvive con un reddito pari al 30% del livello mondiale e una ricchezza che non arriva al 20%. In concreto, ogni giorno un cittadino statunitense dispone di circa 125 euro, contro i 10 euro di un abitante dell’Africa subsahariana. Anche all’interno di ciascun continente la frattura tra ricchi e poveri è estrema: in Russia e Asia centrale il top 10% guadagna 141 volte il reddito medio della metà più povera, in Nord America e Oceania il rapporto è 72 a 1 e in Europa, il continente più egualitario, il divario è comunque 19 a 1. Quanto alla ricchezza, in tutte le regioni il 10% più abbiente controlla ben oltre la metà di quella complessiva. LA DISUGUAGLIANZA COME SCELTA POLITICA “La disuguaglianza non è un destino, ma una scelta”, ribadiscono Ghosh e Stiglitz nella chiusa della loro introduzione. Dove i sistemi pubblici restano più robusti, infatti, tasse e trasferimenti riescono a ridurre le disuguaglianze in modo significativo. Vale a dire che se il gap aumenta è perché la politica ha deciso di stare a guardare, invece di adottare misure per affrontare il problema. Le vie per farlo sono numerose: investimenti pubblici in istruzione e salute, che secondo gli autori sono “tra i più potenti strumenti di riequilibrio”, trasferimenti monetari e sussidi di disoccupazione insieme a supporti mirati ai nuclei vulnerabili, riduzione dei gap di genere. E ovviamente politiche fiscali. PERCHÉ SERVE UNA TASSA MINIMA GLOBALE SUI MILIARDARI Una tassa minima globale su miliardari e centimiliardari sul modello di quella proposta da Gabriel Zucman ed elaborata dal suo Eu Tax Observatory, discussa anche dai leader del G20, sarebbe “tecnicamente realizzabile, gestibile sul piano amministrativo e politicamente trasformativa”. Fissando l’aliquota al 2% la regressività al vertice verrebbe neutralizzata e portandola al 3% il sistema tornerebbe progressivo. Al tempo stesso i governi potrebbero raccogliere cifre pari rispettivamente allo 0,45% o allo 0,67% del pil mondiale con cui finanziare investimenti decisivi in istruzione, sanità e adattamento climatico, settori penalizzati dai bilanci pubblici “magri” dei Paesi occidentali e sottofinanziati da sempre in quelli più poveri. Basti dire che nel 2025 la spesa pubblica per istruzione per ogni giovane tra 0 e 24 anni è stata di 220 euro in Africa subsahariana, contro i 7.430 euro dell’Europa e i 9.020 del Nord America. I RICCHI RESPONSABILI DELLA CRISI CLIMATICA Il tema climatico è un’altra bomba politica. Il 10% più ricco del mondo è responsabile del 77% delle emissioni legate alla proprietà di capitale e del 47% di quelle da consumo. La metà più povera non supera il 3% e il 10%, rispettivamente. Ma chi contribuisce meno alla crisi climatica è anche chi ne paga il prezzo più alto: secondo il rapporto, le famiglie a basso reddito sopportano il 75% delle perdite economiche globali legate al riscaldamento. Anche in questo caso, le soluzioni – se c’è la volontà politica – non mancano. Sovvenzioni climatiche mirate, combinate con una tassazione progressiva, possono accelerare l’adozione di tecnologie a basse emissioni. E tasse ad hoc accompagnate a paletti sui consumi di lusso e sugli investimenti ad alta intensità di carbonio possono contribuire a ridurre le emissioni dei Paperoni. Foto di Nabil Naidu e Carl Solder su Unsplash L'articolo “Lo 0,01% ha tre volte più ricchezza della metà più povera dell’umanità. Ma la disuguaglianza non è inevitabile: è una scelta politica dei governi” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Caos sugli straordinari degli infermieri, trattenute anomale in busta paga. Il governo smentisce il fisco: chiesti indietro soldi senza motivo
Gli stipendi di novembre degli infermieri dipendenti del Servizio sanitario nazionale sono stati più leggeri del previsto. Alcuni lo sapevano già, altri lo hanno scoperto il 27 del mese. Rispetto al salario atteso, nella busta paga di migliaia di lavoratori manca una cifra netta compresa tra i 50 e le diverse centinaia di euro. È l’effetto di un recupero fiscale imposto dalle aziende sanitarie e avallato, erroneamente, dall’Agenzia delle Entrate. Di fatto, le Asl stanno indebitamente chiedendo indietro dei soldi agli infermieri, una delle categorie professionali più in difficoltà della nostra sanità pubblica. Tutto nasce dall’istanza di una singola azienda sanitaria locale che, appellandosi a un cavillo normativo, ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se fosse possibile smettere di applicare la flat tax del 5% – introdotta dalla legge di Bilancio 2025 – ad alcune tipologie di ore di straordinario svolte dagli infermieri. Il Fisco, mal interpretando la norma, ha risposto di sì. Da qui l’effetto domino: in diverse Regioni, molte aziende sanitarie – secondo i sindacati parliamo dell’80% – si sono attivate per recuperare un po’ di budget dalle tasche dei lavoratori, predisponendo un conguaglio nelle buste paga di novembre degli infermieri. E, se il cavillo non verrà risolto a breve, l’operazione potrebbe ripetersi anche per gli stipendi di dicembre. Il nodo è la detassazione al 5% del lavoro straordinario degli infermieri, prevista dal comma 354 della scorsa legge di Bilancio, quella per il 2025. Una norma introdotta per provare a rendere più appetibile una professione che soffre di una gravissima carenza di personale, per via di pessime condizioni di lavoro e di salario. Dall’inizio dell’anno, quindi, le aziende e gli enti del Ssn hanno iniziato ad applicare la nuova flat tax a tutte le ore di straordinario lavorate degli infermieri dipendenti. Fino ai primi di novembre, quando una Asl piemontese – secondo quanto raccolto da ilfattoquotidiano.it – ha posto un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate. L’azienda ha chiesto al Fisco se anche le ore di pronta disponibilità fossero da considerare come straordinari, e quindi da sottoporre alla flat tax. L’Agenzia ha risposto dando un’interpretazione restrittiva della norma: la detassazione al 5% si applicherebbe solo allo straordinario regolato dall’articolo 47 del contratto collettivo del comparto sanità, escludendo invece le ore di pronta disponibilità, regolate dall’articolo 44. Detto fatto: le aziende hanno colto la palla al balzo e si sono subito attivate per recuperare le somme detassate nei mesi scorsi, disponendo il recupero dell’Irpef non trattenuta fino ad oggi. Il fatto è che le ore di pronta disponibilità sono a tutti gli effetti ore di lavoro straordinario. Si tratta, infatti, di una reperibilità svolta oltre l’orario ordinario: l’infermiere deve essere pronto a rientrare in struttura rapidamente in caso di urgenza. Ad esempio per una sala operatoria da aprire la domenica o per un intervento chirurgico d’emergenza da effettuare di notte. Al di fuori, dunque, delle 36 ore settimanali previste da contratto. Nonostante questo, secondo l’Agenzia, “pur se anche retribuibili a titolo di straordinario, le ore di pronta disponibilità non possono essere assimilate alla fattispecie delle prestazioni” soggette alla flat tax, perché la Legge di Bilancio 2025 non le nomina espressamente, né fa riferimento all’articolo 44 del Ccnl. Ovvero quello che le disciplina. Un’interpretazione definita “incomprensibile sul piano giuridico e incoerente su quello economico” dal sindacato di categoria Nursind, che ha portato alla luce la vicenda attraverso la denuncia del suo segretario nazionale, Andrea Bottega. Ma la lettura dell’Agenzia delle Entrate è stata smentita anche da un documento ufficiale del governo. Il 20 novembre scorso, infatti, l’Ufficio legislativo del ministro per la Pubblica Amministrazione ha inviato un suo parere al Fisco, chiarendo che la detassazione deve applicarsi anche al lavoro straordinario derivante dalla pronta disponibilità, perché ogni ora effettivamente lavorata oltre l’orario contrattuale “è qualificata e retribuita come lavoro straordinario”, indipendentemente dalla causale. Inoltre, il documento governativo precisa che le coperture economiche per questo provvedimento, indicate nella relazione tecnica della Manovra 2025, includono anche la pronta disponibilità. Tradotto: lo Stato ha già calcolato il costo dell’intero straordinario infermieristico, senza distinzioni tra le due tipologie. Una presa di posizione netta, che smentisce chiaramente l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate: le aziende hanno chiesto soldi indietro agli infermieri senza che ci fosse alcuna base normativa a giustificarle. Ora resta da capire come faranno gli infermieri a recuperare ciò che spetta loro. “Avevamo già inviato una diffida formale a tutte le aziende sanitarie d’Italia, ai presidenti di Regione e all’Agenzia delle Entrate. Ma le Asl ci hanno risposto, in sostanza, che non gliene fregava niente e che avrebbero effettuato comunque la trattenuta nelle buste paga di novembre. Cosa che è effettivamente successa”, commenta a ilfattoquotidiano.it Andrea Bottega. “Ora ci aspettiamo che l’Agenzia delle Entrate faccia un passo indietro e comunichi che la sua interpretazione era scorretta – prosegue -. E siamo in attesa anche di un parere chiarificatore dal ministero della Salute”. La cosa che più amareggia il segretario è che, in un momento delicato come quello attuale, caratterizzato da una forte crisi della professione, le aziende si siano mosse con tale decisione per smantellare una delle poche misure che effettivamente valorizza il ruolo degli infermieri. “È ormai noto a tutti che in Italia mancano decine di migliaia di professionisti, se non di più. Tutti gli studi italiani e internazionali lo ribadiscono. Come possiamo giustificare questo accanimento su una categoria di cui il nostro Ssn avrebbe così drammaticamente bisogno?”. L'articolo Caos sugli straordinari degli infermieri, trattenute anomale in busta paga. Il governo smentisce il fisco: chiesti indietro soldi senza motivo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Perché pago le tasse. Una storia (e un’idea per l’opposizione)
Pagare le tasse può essere seccante. Da lavoratore dipendente, leggere il totale delle trattenute e confrontare il lordo con il netto è un colpo al cuore. A volte scatta un senso di ingiustizia: così è troppo. Gli autonomi hanno l’opzione di fatturare e dichiarare meno del dovuto e tantissimi lo fanno. Chi versa fino all’ultimo centesimo tende a sentirsi in minoranza. Cornuto e mazziato. Mentre alle sue spalle gli evasori innaffiano con lo champagne un banchetto a base di ostriche e tagliolini al tartufo, come in uno sfortunato spot del ministero dell’Economia che avrebbe dovuto convincere le partite Iva ad aderire al (fallimentare) concordato preventivo biennale con il fisco. Capita però che a un certo punto della vita qualcosa ci ricordi perché paghiamo. E perché rivolgersi ai contribuenti onesti promettendo rigore estremo contro quel furto che è l’evasione – e impegnandosi a correggere le insopportabili iniquità dell’attuale sistema fiscale, a partire dalle flat tax – potrebbe essere una buona idea per i partiti dell’attuale opposizione. Il punto per me è questo perché mia madre sta morendo. Dopo il terzo, lungo ricovero di quest’anno abbiamo deciso di riportarla a casa come aveva chiesto. Gestire in casa un paziente oncologico terminale, al netto del peso psicologico sui famigliari che se ne prendono cura, richiede molta organizzazione e l’aiuto di diversi professionisti. Ma permette anche di scoprire che, nonostante il definanziamento in termini reali subìto negli ultimi 15 anni, la sanità pubblica italiana è miracolosamente ancora in grado di riservare sorprese positive. Medici, infermieri e Oss che in reparti fatiscenti dedicano ai ricoverati un’attenzione affettuosa. Una rete di servizi territoriali che offre gratuitamente non solo attrezzature e presìdi ma anche la visita quotidiana di un infermiere e la presa in carico da parte di un medico palliativista che valuta lo stato del paziente, fornisce gli analgesici per la terapia del dolore, offre alla famiglia colloqui con uno psicologo, propone l’opzione del ricovero in hospice. Sono diritti fondamentali, previsti dalla legge 38 del 2010. Vederseli riconoscere per davvero è però un sollievo inatteso. Del resto garantirli è sempre più difficile. Il Friuli-Venezia Giulia, dove mia madre vive, è la seconda Regione più anziana d’Italia e il fabbisogno di cure palliative è dieci volte superiore alla media nazionale per 100mila abitanti. I medici sono troppo pochi e fanno i salti mortali. Oltre ai casi terminali, devono gestire centinaia di pazienti con malattie neurodegenerative a lungo decorso. Servono più risorse e più professionisti. E qui torniamo alle tasse, obbligo seccante fino a che non si ha bisogno dei servizi che contribuiscono a finanziare. Quali? Scoprirlo non è difficile: la pagina personale di ogni contribuente, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, racconta che cosa è stato pagato con le sue imposte. L’anno scorso 3.700 euro della mia Irpef sono andati alla voce previdenza e assistenza, quasi 3mila alla sanità. Averli pagati, al momento, mi fa sentire in pace. Mi piace illudermi che un evasore incallito, in una situazione analoga, provi un certo disagio. Che c’entra l’opposizione? Oggi ancora di più voterei volentieri chi mi promettesse di fare tutto il necessario – gli esperti possono suggerire le ricette più efficaci – perché tutti paghino. Il che consentirebbe di recuperare strutturalmente un centinaio di miliardi l’anno e per quella via, oltre a ridurre le aliquote per tutti, portare la spesa sanitaria a un livello decoroso in proporzione al pil. Se nel programma fosse anche previsto che nemmeno un euro sarà tolto a sanità, istruzione e assistenza per gonfiare la spesa per la difesa, tanto meglio. L'articolo Perché pago le tasse. Una storia (e un’idea per l’opposizione) proviene da Il Fatto Quotidiano.
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