Prima i malori, poi l’odore anomalo e l’interruzione della partita, che ha
salvato molte vite. Sabato sera, alcune atlete di volley femminile sono state
improvvisamente male durante il match tra Zafferana Volley e Volley ’96 Milazzo.
Il fatto è accaduto al palatenda di Zafferana Etnea, in provincia di Catania.
Durante il terzo set, sul punteggio di 1-1 e con il parziale di 3-5 a favore
della squadra ospite, sono arrivati i primi segnali di quello che stava
accadendo nel corso della partita.
La prima a sentirsi male è stata una giocatrice della squadra ospite, che ha
accusato un malore, è svenuta e dopo poco tempo ha ripreso conoscenza. Subito
dopo un’altra compagna di squadra ha accusato giramenti di testa e difficoltà
respiratorie. Sintomi che hanno iniziato a manifestarsi anche nelle altre
atlete.
A quel punto c’è stato l’intervento del 118, che ha visitato le due squadre. Una
dottoressa, insospettita da un odore anomalo, ha chiamato i vigili del fuoco. E
aveva ragione: una volta giunti sul posto ed aver effettuato dei rilievi, i
vigili hanno riscontrato la presenza di monossido di carbonio nella palestra.
Dopodiché, quindici persone sono state trasferite al pronto soccorso
dell’ospedale Cannizzaro di Catania. Sei atlete della squadra ospite, una
giocatrice della squadra di casa e un adulto hanno fatto ricorso alla camera
iperbarica. Le altre sette persone sono state sottoposte all’ossigeno-terapia
nel pronto soccorso dell’ospedale Garibaldi di Catania. Nella notte tutte le
persone sono state dimesse.
Su Facebook, l’account social della Volley ’96 Milazzo denuncia l’accaduto:
“Questa volta non possiamo stare zitti e non possiamo non agire”. “Il monossido
di carbonio è un gas letale e silenzioso. Oggi le nostre atlete hanno rischiato
la vita. E questo, per noi, è inaccettabile. Non possiamo fare silenzio. Non
possiamo non agire. Lo dobbiamo alle nostre ragazze, alle loro famiglie e a chi
ogni giorno entra in quella palestra”.
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in 15 finiscono in ospedale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Ieri sera sono rinata! Ho vissuto qualcosa che non avrei mai immaginato di
passare: mi hanno sparato”. Comincia così un lungo post Instagram di Julia Rocha
Marques de Azevedo, pallavolista brasiliana che gioca con il Tijuca Tennis Club
di Rio de Janeiro. La pallavolista era in auto con il papà, quando a loro si è
avvicinata una banda di malviventi, che armati hanno sparato contro la portiera
del veicolo per rapinarli.
Tre i colpi partiti dalle armi dei rapinatori: due hanno colpito l’auto, il
terzo ha perforato il bagagliaio della Honda Civic e poi ha trapassato la
schiena della giocatrice. “Prima di tutto voglio tranquillizzare tutti, sto
bene. Il proiettile è entrato nella mia schiena, ma grazie a Dio non ha colpito
il mio midollo, è passato a 1 mm dalla collana vertebrale e non ha perforato
nessun organo, passando a meno di 1 cm dalla mia vescica, ma è uscito senza
causare grossi danni. Per poco la mia storia poteva essere un’altra… sono
letteralmente nata di nuovo”, ha dichiarato l’atleta brasiliana.
“Si stanno prendendo cura di me, sono in convalescenza e avrò bisogno di
allontanarmi per un po’ dalla pallavolo, che è la cosa che amo fare di più, per
riprendermi con calma. Ma starò bene e tornerò ancora più forte”, ha proseguito
Julia Rocha Marques de Azevedo, che ha poi concluso lanciando un vero e proprio
allarme sicurezza nella sua città.
“Allo stesso tempo, è impossibile non provare una profonda tristezza per la
violenza che viviamo. Non si può normalizzare e tanto meno proteggere chi
sceglie di fare del male. La vita è il nostro bene più prezioso, e ieri la mia è
stata risparmiata da un miracolo”, ha concluso la pallavolista prima dei
ringraziamenti finali ai medici, alla famiglia, agli amici e a chiunque le abbia
mostrato supporto sui social.
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uscito senza causare grossi danni”: la storia choc della pallavolista Julia
Rocha Marques de Azevedo proviene da Il Fatto Quotidiano.
“La vita dell’atleta è solitudine. Se non hai la fortuna di vivere a casa e –
credo che l’80% degli atleti non viva con i propri genitori – quando ti svegli,
sei da sola: fai colazione, vai in palestra, torni, pranzi, torni in palestra,
ceni e vai a dormire. E sei sempre sola. Sempre. E quindi succede che ti abitui,
che comincia a piacerti quella solitudine”. Mai banale Paola Egonu nelle sue
dichiarazioni. La pallavolista italiana ha parlato ai microfoni di GQ Italia,
che l’ha nominata atleta dell’anno. Miglior opposto in Champions League, miglior
opposto all’ultima Nations League ed Mvp nell’ultima Supercoppa Italiana vinta
con la Pro Victoria, Paola Egonu con la nazionale italiana femminile di volley
ha vinto gli ultimi Mondiali e la medaglia d’oro alle Olimpiadi.
Nel corso dell’intervista ha affrontato diversi aspetti, tra cui appunto quello
della solitudine dell’atleta: “Poi vedi i tuoi coetanei e magari succede
qualcosa: chiami i genitori, oh Dio, è successo questo, quello, si chiacchiera,
si sta al telefono. Nella vita dell’atleta non hai il tempo di fermarti, di
piangere, di parlare. Appena c’è un problema devi reagire, andare oltre. Perché
siamo abituate ad andare a una velocità molto più alta”, ha spiegato Egonu. “È
difficile però essere comprese sempre, perché non viviamo le stesse cose, cioè
non vivono in prima persona le emozioni che vivo io. Però è importantissimo
avere qualcuno che ti supporta e che ti ascolta”.
La pallavolista italiana – oggi fidanzata con il pallavolista Leonardo Puliti –
è entrata poi maggiormente nel dettaglio del concetto, spiegando tutte le
difficoltà che un’atleta può avere nel corso della quotidianità e della
pianificazione della propria vita. “Io sono una donna e ho desideri di
maternità. Ci sono nove mesi in cui devi stare ferma, il tuo fisico cambia, non
sai se riuscirai a tornare a quel livello, quindi se vuoi un figlio, o lo fai
prima, interrompi la carriera, torni, ma se non sei in grado, smetti e ti manca.
È il momento giusto? Come si fa a dire, ‘adesso riprendo’?“.
E qui – secondo Paola Egonu – la differenza tra un atleta uomo e una donna: “Nel
senso che quando un uomo fa un figlio, può scegliere di tornare immediatamente
in campo. È una questione legata al corpo e al recupero. Per me è un grandissimo
conflitto, come si fa a tornare a giocare? E riuscirei a mantenere un certo
livello? Per adesso ho messo un limite di tempo, poi si vedrà”.
26 anni. Troppo presto ancora per iniziare a pensare al ritiro, ma Egonu ha già
le idee chiare a riguardo: “Non ci ho ancora pensato, però sicuramente vorrei
avere il coraggio di smettere nel momento giusto della mia carriera, per potermi
costruire la vita dopo e non avere paura dell’incognito che c’è dopo, appunto, e
continuare ad andare avanti, ma in maniera diversa”.
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Succede che ti abitui, che comincia a piacerti la solitudine. Poi vedi i tuoi
coetanei e magari succede qualcosa”: parla Egonu proviene da Il Fatto
Quotidiano.