“Cari Genitori, nelle prossime settimane saranno avviate le procedure di
iscrizione per l’anno scolastico 2026/2027 e le nostre ragazze e i nostri
ragazzi potranno scegliere il percorso di studi da intraprendere al termine
della scuola secondaria di primo grado. Si tratta di un momento fondamentale: è
l’inizio di un percorso di vita, oltre che di studio, che dovrà servire a
valorizzare i talenti, le attitudini e le aspettative di ogni giovane. Per
questa ragione il sistema scolastico si impegna a offrirVi il suo supporto”.
Puntuale – come ogni anno da quando è al governo – nei giorni scorsi, il
ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha scritto alle mamme
e ai papà d’Italia che devono scegliere con i loro figli la scuola secondaria,
per fornire loro le prospettive lavorative dei diplomati, alcune tendenze del
mondo del lavoro e alcuni dati sulle possibilità di scelta dei percorsi di
studio dopo il diploma: Istituti Tecnologici Superiori Academy e Università. Una
missiva dove Valditara non nasconde più di tanto la “sponsorizzazione” per il
cosiddetto 4+2, battezzato dallo stesso professore.
Nella nota, infatti, dice: “Mi sembra utile evidenziare che sono ormai entrati a
pieno regime i percorsi della filiera tecnologico professionale che consentono
agli studenti dopo solo quattro anni di scuola tecnica o professionale di
entrare immediatamente nel mondo del lavoro con qualifiche particolarmente
richieste e ben retribuite, di iscriversi all’università ovvero di conseguire
con ulteriori due anni di studio il diploma di tecnico superiore rilasciato
dagli Its Academy, cioè un titolo di studio di livello terziario a cui
corrisponde un profilo di tecnologo che permette un rapido e appagante
inserimento lavorativo. A tal riguardo, i dati di monitoraggio a disposizione
evidenziano un tasso di occupazione molto alto, pari a circa l’84%, a un anno
dal diploma Its”.
A fronte delle venti righe dedicate al 4+2, spende quattro righe d’inchiostro
per i licei anche perché i percorsi tradizionali si dà per scontato che si
conoscano. Balza all’occhio, invece, come il liceo made in Italy (altra creatura
di questo Governo) tanto promosso negli scorsi anni, finisca in fondo alla
lettera riassunto in una riga e mezza. Negli allegati, molto dettagliati, il
ministero di viale Trastevere spinge molto l’acceleratore sui tecnici: “Nel
periodo 2025-2029, le aziende richiederanno complessivamente circa 1,6/1,8
milioni di lavoratori in possesso di un diploma di secondo grado, corrispondenti
a circa 310/360 mila in media all’anno. I posti di lavoro da coprire ogni anno
tra il 2025 e il 2029 con lavoratori in possesso di diploma tecnico
professionale saranno compresi tra 160mila e 186mila unità a fronte di circa
153mila giovani in uscita da questi indirizzi di studio che si metteranno alla
ricerca di un lavoro. Vi sarà, pertanto, una carenza di diplomati tecnici e
professionali che potrà variare tra 8mila e 33mila unità all’anno, interessando
trasversalmente quasi tutti i percorsi, anche se con diversa intensità”.
Sui licei, invece, il ministero è molto più prudente: “I posti di lavoro da
coprire nel periodo (2025-2029) con un diploma liceale vengono stimati tra
25mila e 30mila annui. Il dato conferma che i diplomi liceali di per sé non
rivestono una forte attrattività per il mercato del lavoro e richiedono
piuttosto una prosecuzione nell’istruzione terziaria. La rilevazione Excelsior
mette in evidenza che, comunque, circa 100mila neodiplomati liceali, ovvero il
triplo di quanti richiesti, proverà ad entrare nel mondo del lavoro”. Una spinta
verso le professioni tecniche e il mondo industriale legato all’innovazione
informatica che non solo Valditara ha premiato.
Lo stesso Romano Prodi, nel 2016, su “Il Sole24Ore” scriveva: “Il nostro Paese
ha bisogno di un forte rilancio dell’istruzione tecnica. Oggi siamo di fronte ad
un vero e proprio dramma: i nostri Istituti tecnici, che hanno formato la classe
di lavoratori e dirigenti dando certamente un forte impulso al nostro sistema
industriale vivono una profonda crisi. Dal 1990 sul totale dei diplomati della
scuola secondaria gli allievi degli istituti tecnici sono passati dal 44% al
35%, mentre quelli dei licei sono passati dal 30% al 45%: un calo drammatico
dell’istruzione tecnica che si è appena arrestato negli ultimi 3 anni. Occorre
mettere in chiara luce le cause di questo fenomeno. La prima causa è la
mentalità dei genitori che erroneamente ritengono gli istituti tecnici scuole di
serie B”.
Resta un problema, sollevato dalla Gilda in queste ore: la riforma della filiera
tecnico- professionale non è a tutt’oggi accompagnata dai decreti attuativi che
dovrebbero definire i quadri orari dei singoli indirizzi e i loro effetti
sull’organizzazione delle attività didattiche e del lavoro dei docenti. Molti
dirigenti scolastici – fa sapere il sindacato – stanno spingendo per una rapida
approvazione da parte dei collegi dei docenti della riforma senza avere un
quadro certo sui suoi effetti, soprattutto in termini di organici e di
didattica. Una fretta determinata dall’emanazione di un decreto del Mim che
fissa al 10 dicembre la scadenza per candidare le scuole che intendono far parte
dei percorsi 4+2 dal 2026-27. “Ci teniamo a ricordare che non è previsto alcun
obbligo di approvazione da parte delle scuole, per l’avvio della riforma e che i
collegi dei Docenti possono rifiutare di votare provvedimenti che risultano
incerti”, spiega il coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti Vito
Carlo Castellana.
L'articolo Iscrizioni alla scuola secondaria, la lettera di Valditara
“sponsorizza” gli istituti tecnici. Ai licei solo quattro righe, ancora meno al
percorso “made in Italy” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Ministero dell’Istruzione
La decisione del ministero dell’Istruzione e del Merito di rendere, da questa
settimana, accessibile la piattaforma “Carta del docente” agli insegnanti che
dispongano di eventuali residui dell’anno scolastico 2024/2025 e ai beneficiari
di sentenze a cui è stata data esecuzione, ha sollevato una bufera che rischia
di travolgere proprio il ministro Giuseppe Valditara che sarebbe – secondo i
sindacati e Elisabetta Piccolotti, di Alleanza Verdi Sinistra– travolto da
ricorsi da parte di coloro che hanno il contratto fino al 30 giugno e da parte
di coloro che pur avendo già avuto il riconoscimento del tribunale non hanno
ancora ottenuto un centesimo al punto da doversi rivolgere di nuovo ad un legale
per la mancata ottemperanza di viale Trastevere.
Non è semplice ricostruire quanti sarebbero con esattezza i ricorsi ma secondo i
sindacati si parla di 200 mila precari che hanno compilato le carte bollate.
Tant’è che Piccolotti, con un’interrogazione parlamentare, ha segnalato che il
ministero viene quasi sempre condannato anche a risarcire spese legali per circa
due mila euro. Una montagna di costi che paiono essere già arrivati in tre anni
“ad un miliardo di euro e che lieviteranno ancora, pare almeno fino ad un
miliardo e mezzo” a detta di Avs. Numeri che le organizzazioni sindacali non
smentiscono. Solo la Uil Scuola ha presentato oltre quindici mila ricorsi per la
corretta attribuzione della Carta Docente; l’Anief 17.130 e la Gilda cinque
mila.
Altra questione: ad oggi non è ancora chiaro a quanto ammonterà la cifra
effettivamente spendibile dai docenti. La sottosegretaria all’Istruzione Paola
Frassinetti ha detto che bisognerà aspettare gennaio per far ripartire la
macchina in attesa di conoscere i numeri dei contratti a termine al 30 giugno ma
nessuno si è sbilanciato a confermare il bonus. Anzi. Le avvisaglie non sono
delle migliori. Nella Maggioranza qualcuno non ha negato che la “coperta è
sempre più corta” e Valditara già a settembre è stato prudente. Giuseppe
D’Aprile, numero uno della Uil Scuola è determinato: “È necessario un intervento
più chiaro e concreto, che permetta di rendere pienamente operativo questo
strumento e di tutelare il diritto alla formazione dell’intero personale della
scuola senza costringerlo, ancora una volta, a ricorrere ai tribunali per
vedersi riconosciuto ciò che gli spetta”.
Nei giorni scorsi, intanto, l’Anief ha lanciato una petizione che ha già
raccolta tre mila firme per ottenere un finanziamento di cento milioni di euro
per non far diminuire il bonus dal prossimo anno. La mancata volontà del Governo
di Destra di riconoscere a tutto il personale della scuola la “Carta docente”
nata fin dall’inizio, all’epoca del premier Matteo Renzi, solo per i docenti a
tempo indeterminato ha portato ad un pasticcio infinito. La sentenza C‑268/24
della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha deciso che escludere
automaticamente i docenti con supplenze brevi dall’accesso alla Carta del
Docente viola il diritto comunitario. La normativa italiana, che riservava il
beneficio ai soli docenti di ruolo o ai supplenti annuali, è stata giudicata
discriminatoria.
Secondo i giudici, tale limitazione contrasta con la clausola quattro
dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva
1999/70/CE. Per la Corte, quindi, poiché anche i supplenti a termine svolgono
funzioni identiche a quelle dei colleghi di ruolo e partecipano alle stesse
attività didattiche e formative, non può esistere una giustificazione oggettiva
per l’esclusione dall’accesso alla Carta del docente facendo quindi decadere il
trattamento differenziato. Oggi, quindi, in base alla legge di bilancio 2025,
tutti i docenti assunti con contratto al 31 agosto 2025 hanno diritto automatico
alla Carta del Docente, senza necessità di ricorsi mentre chi ha un contratto al
30 giugno deve presentare ricorso al tribunale per ottenere il riconoscimento.
Inoltre, a detta dell’Anief, anche i docenti con supplenze brevi (anche per
pochi mesi) possono rivolgersi al tribunale del lavoro del luogo in cui hanno
prestato servizio per richiedere la Carta del Docente. Il diritto può essere
rivendicato anche per i contratti stipulati negli ultimi cinque anni, in base
alla prescrizione quinquennale. Nonostante ciò a viale Trastevere continuano a
fare spallucce e spesso chi ha anche ottenuto il riconoscimento dei togati deve
procedere con l’iter dell’ottemperanza che può punire anche il funzionario
inadempiente. In questo caso un commissario ad acta è incaricato di eseguire la
sentenza entro trenta o sessanta giorni.
Secondo l’Anief il ministero non eseguirebbe subito il pagamento per questione
economiche: “Lo Stato italiano preferisce sostenere il costo dei ricorsi
individuali piuttosto che estendere automaticamente il beneficio a tutti i
precari, poiché non tutti hanno tempo, risorse o volontà di agire legalmente.
Tuttavia, questa strategia espone l’Italia a nuove procedure di infrazione a
livello europeo per mancato rispetto dei principi comunitari, come quello di non
discriminazione”.
Solo in casa Anief dei 17.130 ricorsi depositati ci sono state 12.600 sentenze
favorevoli ai docenti ma due terzi non sono state ottemperate. “C’è un
ammonimento – spiega il presidente di Anief, Marcello Pacifico – della procura
di Roma (su commissariamento) ai dirigenti del Mim per la possibile
responsabilità erariale e penale sulla mancata esecuzione delle sentenze”. Anche
la Gilda è ricorsa alla Procura per i mancati pagamenti.
Tanti i casi segnalati. A Reggio, 581 docenti precari, rivolgendosi alla Fl Cgil
hanno vinto i ricorsi individuali ma più di un terzo degli aventi diritto –
comprese persone che sono nel frattempo uscite dal mondo della scuola – non ha
infatti ottenuto quanto gli spettava. Lo ha denunciato su “Il Resto del Carlino”
Tatiana Giuffreda, segretaria della categoria dei “lavoratori della conoscenza”
della Camera del lavoro, che evidenzia: “In più la piattaforma della carta
docenti è ora bloccata, probabilmente per la riorganizzazione in corso. E molti
docenti che vorrebbero iscriversi a corsi di formazione non possono farlo”. Da
un test de “Il Fatto Quotidiano.it” – eseguito più volte in una giornata – i
tempi di attesa vanno da un minuto e mezzo a tre.
“Il ministro del governo Meloni – ha spiegato la deputata di Avs – si è ostinato
su questa strada per tre anni nonostante la pioggia di ricorsi per la carta
docente, per le ferie non godute che non vengono pagate e per l’equiparazione
economica e giuridica al personale stabile. Quel che è peggio é che il recente
intervento normativo proprio su questo punto non sana il pregresso e lascia
esclusi i supplenti con almeno 150 giorni di servizio, in contrasto con la
giurisprudenza di Cassazione. Queste risorse pubbliche potrebbero essere meglio
impiegate per stabilizzare gli stessi precari o per finanziare gli aumenti
contrattuali, quegli aumenti che scandalosamente non sono stati adeguati
all’inflazione crescente. Per questo – ha concluso Piccolotti – abbiamo
presentato un’interrogazione parlamentare al ministro per sapere se i dati in
nostro possesso sono giusti e affinché ci spieghi quali iniziative urgenti
intenda assumere per ridurre i contenziosi, tutelare i lavoratori precari e
mettere fine a uno spreco enorme di denaro pubblico”. Il totale di questi
contenziosi, stimato da Avs, dall’ottobre 2022 all’ottobre 2025, sarebbe di
circa 1,53 miliardi di euro.
L'articolo Carta del docente, caos senza fine: pronti oltre 200mila ricorsi di
insegnanti precari proviene da Il Fatto Quotidiano.