La catastrofe culturale conseguente alla riforma dell’accesso ai Corsi di Laurea
a numero programmato in Medicina e Chirurgia, Medicina Veterinaria e
Odontoiatria si sta manifestando con l’esito degli esami di ammissione; una
ragione del disastro sta nell’imposizione dall’alto di metodi e tempistiche
inadatti al loro scopo.
Nel semestre cosiddetto aperto, preliminare agli esami di ammissione, le lezioni
delle tre materie previste (Fisica Medica, Chimica e Propedeutica Biochimica e
Biologia) si svolgevano tra l’inizio di settembre e la fine di ottobre. Le date
prestabilite per le due prove di esame, coincidenti su tutto il territorio
nazionale, erano il 20 novembre e il 10 dicembre. Poiché ciascun corso aveva un
carico didattico assegnato di 6 crediti formativi, ciascuno dei quali
corrisponde a 25 ore di impegno dello studente “medio”, la metà delle quali in
aula, è facile calcolare che l’impegno previsto era di 450 ore di studio.
Questo impegno, oltre ad essere molto gravoso, era basato su una tempistica
coercitiva che non lasciava allo studente margini per organizzare lo studio nel
modo da lui preferito. Ancora più coercitiva era la pretesa che si dovessero
sostenere tre esami nello stesso giorno, consecutivamente, con un quarto d’ora
di intervallo tra l’uno e l’altro.
Ogni docente (come ogni ex studente) sa che la maggioranza degli studenti
universitari, se appena ha la libertà di scegliere come organizzare e
pianificare i suoi esami, evita di prevedere due esami nello stesso giorno, e
cerca invece di distanziarli il più possibile nel corso della sessione. Lo
studente ha bisogno di alcuni giorni prima di ciascun esame per ripassare la
materia e mette in atto il “chiusone”, così chiamato perché nei giorni che
precedono l’esame si rifiutano feste, inviti, cinema, partite di calcetto e
altre distrazioni e ci si concentra invece nello studio. Il calendario
ministeriale non consente questa modalità: in primo luogo le lezioni
(obbligatorie) finivano piuttosto a ridosso delle date di esame; in secondo
luogo un chiusone di lunghezza triplicata, necessario per sostenere tre esami,
risulta insostenibile.
Il secondo caposaldo della preparazione dello studente medio è la “sbobina”, che
si pratica in genere in gruppo: uno studente a turno registra la lezione del
docente col telefonino e ne prepara un trascritto; la somma dei trascritti
costituisce la guida allo studio e per gli argomenti trattati con maggiore
dettaglio dal docente può arrivare a sostituire il libro di testo. Alcuni di noi
forniscono direttamente i trascritti, per evitare errori di interpretazione. La
sbobina, come il chiusone, può non essere un metodo di studio ideale, ma in
genere funziona perché gli argomenti di maggiore rilevanza per il corso,
spiegati con maggiore dettaglio, sono anche quelli più importanti per l’esame.
La riforma introdotta quest’anno dal Mur prevedeva che gli esami si svolgessero
su quesiti identici a livello nazionale e preparati da una commissione
ministeriale, della quale non facevano parte i docenti che tenevano i corsi.
Agli studenti che ci chiedevano come sarebbe stato l’esame, non potevamo dare
altra risposta che di guardare le norme pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale,
perché non saremmo stati noi a preparare le domande di esame.
Infine, per completare la costruzione della tempesta perfetta, la riforma
utilizza gli esami come prove di ammissione; mentre nelle prove concorsuali
usuali la graduatoria si basa sui punteggi ottenuti dai candidati qualunque essi
siano, negli esami esiste una soglia di sbarramento data dalla sufficienza: chi
non ha la sufficienza nelle tre materie non entra in graduatoria; questo fa sì
che soltanto una minima percentuale dei candidati appaia meritevole. Il metodo
precedentemente in vigore prevedeva un concorso di ammissione preliminare su
argomenti di logica o tratti dai programmi di liceo, costruiva una graduatoria
senza limiti di sufficienza e non pregiudicava il successivo svolgimento dei
corsi e la preparazione agli esami universitari.
E’ possibile imporre ad uno studente universitario, del quale noi cerchiamo di
valorizzare l’autonomia e l’iniziativa, un sistema rigido, nel quale i suoi
strumenti preferiti, chiusone e sbobina, sono vanificati e l’accesso alla
graduatoria di ammissione prevede una soglia di punteggio? Chi ha il potere, e
l’arroganza necessaria, può imporre molte cose, ma i risultati dell’attività
imposta saranno inferiori, spesso molto inferiori, a quelli che si sarebbero
ottenuti se si fosse lasciata allo studente una maggiore libertà: obbligare
qualcuno a lavorare in un modo piuttosto che in un altro non porta mai al
risultato migliore che quel qualcuno potrebbe produrre.
Inoltre, poiché lo studente lavora per se stesso, ottenere una preparazione
peggiore in un esame di ammissione costruisce un debito formativo che lo
studente, se ammesso, dovrà poi colmare.
L'articolo Così si è costruita la tempesta perfetta per la catastrofe degli
esami filtro a Medicina proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Medicina
di Paolo Gallo
È una scena che colpisce: studenti che contestano una riforma universitaria
complessa e divisiva, e una ministra che risponde con espressioni che li
etichettano e li svalutano. Il punto non è giudicare l’emotività del momento, ma
interrogarsi sul significato istituzionale e sociale di un linguaggio che, da un
rappresentante dello Stato, assume un peso simbolico ben più grande di una
semplice battuta stizzita.
Le istituzioni, in una democrazia matura, non hanno solo il compito di
governare: devono anche incarnare un metodo, un tono, un esempio. È naturale che
una figura pubblica venga contestata, soprattutto quando la posta in gioco
riguarda il futuro formativo e professionale di migliaia di giovani. Ma è
altrettanto naturale attendersi che la risposta istituzionale mantenga un
livello di compostezza adeguato, non per formalismo, bensì per responsabilità.
Le parole non sono un dettaglio: definiscono relazioni, costruiscono fiducia o
la erodono.
L’etichettamento ideologico di studenti che esprimono timori e critiche può
produrre effetti che vanno oltre la polemica contingente. Gli studi di
psicologia sociale mostrano come il linguaggio divisivo, soprattutto se
proveniente da figure di autorità, attivi dinamiche di polarizzazione e di
esclusione. Il messaggio implicito rischia di essere: chi dissente non è un
interlocutore, ma un avversario. E quando quest’avversario è composto da giovani
che si affacciano alla vita adulta, il costo collettivo diventa evidente.
Gli studenti che protestano lo fanno quasi sempre perché vivono direttamente le
conseguenze delle scelte politiche: pressioni, incertezze, timori per il proprio
futuro. Ridurre queste istanze a slogan o categorie identitarie significa
perdere l’occasione di ascoltare ciò che il Paese reale prova e chiede.
Significa anche alimentare un sentimento di lontananza tra politica e nuove
generazioni, una frattura che da anni rappresenta uno dei principali fattori di
disaffezione verso la partecipazione democratica.
Una risposta diversa, più attenta e dialogica, non solo sarebbe stata più
coerente con il ruolo di un membro del governo, ma avrebbe potuto trasformare un
momento di tensione in un’occasione di confronto. Le istituzioni non sono
obbligate a condividere le critiche, ma hanno il dovere di ascoltarle con
rispetto. È questa la differenza tra un potere che si sente messo in discussione
e una democrazia che si sente arricchita dal dissenso.
Le parole della ministra non cambieranno la sostanza della riforma, né la
determinazione degli studenti. Ma contribuiscono a definire un clima. Un clima
in cui il dialogo rischia di essere sostituito da etichette, e in cui il
confronto, invece di migliorare le decisioni, viene relegato a scontro
identitario.
L’Italia ha bisogno dell’energia, della competenza e delle domande dei suoi
giovani. E i giovani hanno bisogno di istituzioni che rispondano con rigore,
fermezza, ma anche rispetto. Perché è da questo equilibrio che nasce la fiducia.
E senza fiducia, nessuna riforma può davvero funzionare.
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L'articolo Perché la risposta della ministra Bernini agli studenti che la
contestano divide più della sua riforma proviene da Il Fatto Quotidiano.
È una requisitoria senza sconti, rivolta più ai genitori che agli studenti,
quella con cui Roberto Burioni interviene sulle polemiche esplose dopo l’esito
del semestre filtro di Medicina, che ha lasciato fuori due candidati su tre. Per
il virologo del San Raffaele il problema non è il test, né la riforma, ma “il
livello spaventoso di ignoranza” emerso dalle prove. E lo dice con parole che
hanno acceso il dibattito sui social: “Un genitore normale, se il figlio che ha
mantenuto e fatto studiare arriva alla maturità e pretende di entrare a Medicina
senza sapere la formula chimica del sale da cucina, dovrebbe arrabbiarsi con il
figlio che non ha studiato”, scrive Burioni. Invece, osserva, “se la prendono
con il ministro, con la scuola, con il governo, con il destino cinico e baro e
infine con me, che ho avuto il torto di far notare che molte domande di questi
‘difficilissimi’ test sono di una facilità imbarazzante”.
Al centro delle proteste c’è l’elevato numero di bocciati al primo appello del
semestre filtro, contestato anche pubblicamente alla ministra dell’Università
Anna Maria Bernini. Ma per Burioni la dinamica è chiara: “La selezione, che
avete accuratamente evitato, è arrivata ieri. Due su tre non entreranno, e un
esame che elimina il 66% dei candidati non è impossibile, ma è decisamente
selettivo”. In altre parole, la selezione non è stata abolita, ma solo spostata
più avanti nel percorso. Le parole più dure sono riservate ai genitori. Secondo
Burioni, molti di loro descrivono i figli come “povere vittime, devastate da tre
esami in un pomeriggio (poverini!)”. E aggiunge, con sarcasmo: “Io me li vedo al
pronto soccorso che chiedono al paziente di sanguinare meno, sennò si stressano
e gli viene l’ansia”. La responsabilità, per il virologo, è strutturale e parte
da lontano. “I vostri figli hanno veleggiato per anni in una scuola che voi
avete voluto non selettiva, perseguitando ogni insegnante minimamente severo”,
accusa. Una scuola che, a suo dire, “non ha chiesto di studiare perché
l’importante era esprimere la propria personalità”, fino ad arrivare a una
maturità che “tra mille paure ha promosso il 99,98% di loro”.
Da qui l’invito, che Burioni rivolge direttamente alle famiglie: “Fateli sfogare
per una settimana e poi invitateli a studiare seriamente per il prossimo anno”.
Ma con una precisazione netta: “Dite loro che non sono più alle elementari e che
nel mondo vero non basta l’impegno e il sacrificio: ci vuole il risultato”. Il
virologo insiste nel chiarire che la discussione, a suo avviso, è stata spostata
sul piano sbagliato. “Il discorso non è sulle modalità di selezione a Medicina,
ma sul livello spaventoso di ignoranza dimostrato dai partecipanti alla
selezione”, ribadisce. A sostegno della sua tesi, Burioni ha pubblicato sui
social alcune delle domande contestate, come quella sul cloruro di sodio,
giudicandole oggettivamente elementari.
In un altro intervento, rincara la dose: “Visti gli esami di Medicina: io li
avrei superati al quarto anno di liceo insieme a tutti i miei compagni di
classe. Bisogna lamentarsi di meno e studiare MOLTO di più”. E ancora: “Se il
liceo vi ha illuso, promuovendo alla maturità il 99,98% di voi e dando in alcune
regioni al 20% degli studenti il massimo dei voti, questa è un’ottima occasione
per riprendere contatto con la dura realtà”. Poi l’autocorrezione, che rende il
giudizio ancora più severo: “Ho scritto che uno studente di seconda liceo
avrebbe superato gli esami di ammissione a Medicina. Devo correggermi: a diverse
domande avrebbe saputo rispondere correttamente anche uno studente di seconda
media”. E aggiunge: “Personalmente, se fossi il ministro, identificherei chi non
sa fare un’equivalenza e lo rispedirei in quinta elementare”. Il riferimento è a
domande di base, come la conversione tra unità di misura: “Spero che chi ha
avuto la faccia di presentarsi a un esame universitario senza sapere a quanti
millilitri corrispondono 10 decimetri cubi si stia vergognando profondamente”.
Alle sue parole hanno fatto eco anche insegnanti delle superiori. Una
professoressa di Informatica ha scritto: “Ogni anno in seconda devo spiegare
proporzioni e percentuali ripartendo dalla torta divisa in 100 parti. Ogni anno
è peggio”. Burioni ha risposto rilanciando: “Credo che il problema di come
selezionare i futuri medici sia irrilevante rispetto all’oggettiva catastrofe
scolastica dimostrata da queste prove. La facilità delle domande è oggettiva, il
quadro sconfortante”.
> “Sapendo che 1 metro è uguale a 100 centimetri” ecco la difficoltà di alcune
> domande dell’esame di fisica che ieri ha fatto strage al “semestre filtro”.
> In un Paese oggettivamente privo di un’istruzione primaria e secondaria non
> può esistere uguaglianza. pic.twitter.com/XHDED1QIF4
>
> — Roberto Burioni (@RobertoBurioni) December 11, 2025
L'articolo “Livello di ignoranza spaventoso. Altro che povere vittime, dite ai
vostri figli che le elementari sono finite. Me li vedo al pronto soccorso che
chiedono al paziente di sanguinare meno”: la rabbia di Burioni proviene da Il
Fatto Quotidiano.
“Dopo mesi di silenzi e rimpalli, il semestre filtro si conferma per ciò che è:
un esperimento fallito che ha lasciato migliaia di studenti in un limbo
ingestibile. Nessuna risposta chiara, nessuna tutela, solo attese infinite e
percorsi universitari bloccati. Mentre il ministero continua a rincorrere
ipotesi e correggere in corsa un modello nato già storto, negli atenei si
consuma un disastro: studenti che stanno male, carriere sospese, mesi di studio
che rischiano di finire nel vuoto”. A dirlo sono è Alessandro Bruscella,
coordinatore nazionale dell’Unione degli universitari, che oggi sono scesi di
nuovo in piazza – da Roma, in Piazza Vidoni sotto il Senato, ad altre piazze in
Italia – “per pretendere ciò che la politica non ha voluto garantire: una
soluzione immediata, uniforme e che ammetta tutti gli studenti coinvolti nel
semestre filtro. Non accetteremo altri rinvii, nè altri giochi al ribasso. Il
semestre filtro è un fallimento sotto gli occhi di tutti; a pagarne il prezzo
non saranno ancora una volta gli studenti”, concludono. In piazza anche Cambiare
Rotta, con uno striscione che recita: “Più medici, meno bombe”. “Il governo non
finanzia la sanità pubblica ma pensa a finanziare le armi. La ministra Bernini
con questa riforma ha chiaramente fallito ogni suo intento”, ha dichiarato Licia
di Cambiare Rotta. “Si sarebbe dovuto dare la possibilità agli atenei di
accogliere questa grande domanda, tramite un finanziamento adeguato, ma a costo
zero così come è stata fatta la riforma le università hanno fatto dei corsi che
si sono rivelati inadeguati. Addirittura non coprendo i posti per la prima volta
nella stoia”, afferma la senatrice Pd Cecilia D’Elia.
L'articolo “Il semestre filtro a medicina è un fallimento, migliaia di studenti
nel limbo”: la protesta degli universitari proviene da Il Fatto Quotidiano.
Mentre cresce la polemica per il pasticcio del test filtro per Medicina e si
cercano soluzioni all’italiana, a riscaldare gli animi arriva anche la risposta
piccatissima della ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini,
a un gruppo di studenti che la contestavano, all’inizio del suo intervento ad
Atreju. +
“Non ce la facciamo più, con il semestre filtro rischiamo di perdere un anno”,
hanno urlato i giovani, mobilitati contro la riforma del corso di laurea in
Medicina voluta proprio da Bernini. La ministra ha replicato citando l’ex
presidente Silvio Berlusconi: “Sapete come diceva il presidente Berlusconi?
Siete sempre dei poveri comunisti. Prima di contestare fatemi parlare. Questo
dimostra la vostra inutilità”. Dopo lo scambio di battute, Bernini è scesa dal
palco per dialogare direttamente con gli studenti.
Rivolgendosi nuovamente ai giovani, la ministra ha aggiunto: “Stavate meglio
pagando 30mila euro? Ho investito 9,4 miliardi sull’università e oltre 800
milioni sulle borse di studio. Questa degli studenti è la strategia del caos:
parlano ma non ascoltano. Comincio a preoccuparmi quando qualche partito
politico fa loro eco”.
Bernini ha poi ammesso che nei test della prova di Fisica – descritta come
difficile – “c’erano due errori e nel caso della seconda domanda sbagliata,
verrà riconosciuto un punto” per tutti “quindi nel compito di fisica si partirà
da un punto”. La ministra ha poi annunciato che “saranno riempiti tutti i posti
della graduatoria di medicina: 24mila posti saranno coperti sulla base delle
valutazioni di merito perché le domande sono serie. Quella di oggi non è una
sanatoria, è la naturale evoluzione di una riforma che deve aspettare di
arrivare a tutte le fasi di attuazione – ha spiegato – nel momento in cui noi
avremo tutti i voti prima di Natale di tutti gli studenti che hanno partecipato
al primo e al secondo appello, faremo la graduatoria e sulla base della
graduatoria vedremo chi entra subito, chi entro il 28″ febbraio “sconterà i suoi
debiti d’esame e chi potrà scivolare sulle materie affini che sono già state
indicate perché hanno potuto gratuitamente già iscriversi a delle materie
affini”.
“Per quanto riguarda le preoccupazioni degli studenti, io vorrei dire che è
semplicemente l’evoluzione della riforma – ha poi continuato – Abbiamo fatto il
primo appello, il secondo appello, compileremo la graduatoria che scorrerà e chi
non ha la sufficienza nelle proprie sedi di destinazione, ciascuno ne ha
indicate 10, avrà i suoi crediti formativi”. Per Bernini “il cambio di paradigma
è che prima c’erano dei candidati ai test che venivano ghigliottinati fuori dai
cancelli dell’università. Qui dal primo settembre abbiamo 55mila studenti che
stanno studiando, formandosi e accumulando crediti formativi”.
L'articolo “Siete sempre dei poveri comunisti”, la ministra Bernini contro gli
studenti di Medicina che la contestavano proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Robot microscopici che percepiscono, pensano, agiscono ed elaborano dati”. Un
team di ricercatori coordinato dell’Università della Pennsylvania ha realizzato
i primi robot con dimensioni comparabili a quelle di un batterio. Macchine,
invisibili a occhio nudo, sono in grado di percepire l’ambiente circostante,
eseguire calcoli, prendere decisioni autonome e muoversi. Il risultato dello
studio, pubblicato su Science Robotics, è stato così innovativo da meritare la
copertina della rivista.
La robotica ha da decenni come obiettivo la miniaturizzazione di macchine
completamente automatizzate, ossia capaci di operare senza alcun controllo
esterno. Tuttavia, tutti i tentativi precedenti si erano scontrati con limiti
tecnologici significativi: i robot più piccoli realizzati fino ad oggi avevano
dimensioni non inferiori a un millimetro e necessitavano di ricevere
dall’esterno sia energia sia istruzioni operative.
Per superare questi limiti, i ricercatori hanno sfruttato le tecniche di
litografia, comunemente impiegate per la produzione di transistor. Grazie a
questo approccio, il volume complessivo dei microrobot è stato ridotto di circa
10.000 volte rispetto agli standard precedenti. I nuovi microrobot misurano
appena 250 micrometri, ossia 250 milionesimi di metro, equivalenti alle
dimensioni di un paramecio, uno degli organismi unicellulari più noti.
Nonostante le dimensioni estremamente ridotte, i robot incorporano un
micro-calcolatore, sensori e altri dispositivi miniaturizzati che permettono
loro di muoversi autonomamente. Il consumo energetico è estremamente basso, pari
a circa 100 nanoWatt, ossia un miliardesimo di Watt. La programmazione dei
microrobot avviene tramite impulsi luminosi, permettendo loro di rispondere a
stimoli esterni. I primi test sperimentali hanno dimostrato che i robot sono
capaci di percepire variazioni di temperatura nell’ambiente e di dirigersi verso
la fonte di calore, confermando una forma elementare di comportamento adattivo.
Le potenziali applicazioni di questa tecnologia sono molteplici. I microrobot
potrebbero essere utilizzati per il monitoraggio ambientale, per interventi
chirurgici o per il trasporto mirato di farmaci all’interno dell’organismo,
aprendo nuove prospettive nella robotica medica e nella nanotecnologia
applicata. Lo studio rappresenta un passo fondamentale verso la realizzazione di
sistemi robotici completamente autonomi a scala microscopica, capaci di operare
in ambienti complessi senza intervento umano diretto.
Lo studio su Science
L'articolo Ecco i primi robot microscopici: possono prendere decisioni autonome
e muoversi. Lo studio su Science proviene da Il Fatto Quotidiano.
Come risolvere il pasticciaccio del test filtro per la facoltà di Medicina con
gli studenti cadute sulle pare difficilissime domande di Fisica? Il ministero
dell’Università e della Ricerca lavora a una soluzione per uscire dal buco nero
del semestre filtro di Medicina, in cui rischiano di essere inghiottito l’80%
degli aspiranti camici bianchi. Anche il secondo appello sembrerebbe essere
andato malissimo con proteste, denunce di presunti brogli e probabili ricorsi.
L’ipotesi più concreta, attualmente sul tavolo del Mur, prevede l’inserimento in
graduatoria di tutti i candidati, anche di coloro che non abbiano raggiunto la
sufficienza – il “18” – in tutte e tre le prove, a condizione però di recuperare
successivamente i crediti formativi mancanti.
Il nuovo schema di classificazione, secondo quanto emerge, dovrebbe prevedere
una graduazione per fasce: in cima gli studenti (i pochissimi) che hanno
ottenuto almeno tre sufficienze; a seguire chi ne ha raggiunte due; poi,
progressivamente, tutti gli altri. Anche chi non ha superato tutte le prove
riceverà comunque l’assegnazione di una sede, nella quale sarà tenuto a colmare
i debiti formativi.
La proposta arriva dopo l’ondata di proteste scatenata dai risultati dell’ultimo
appello. Migliaia di studenti hanno denunciato quesiti “estremamente complessi”
e, soprattutto, una prova di fisica definita da molti “impossibile”. Commenti e
testimonianze hanno invaso gruppi e social, descrivendo un esame percepito come
non omogeneo né trasparente. Oggi quasi 50.000 candidati hanno affrontato
nuovamente le prove di biologia, chimica – ritenuta da alcuni più agevole – e
fisica, ancora una volta la più temuta.
Durissima la posizione dell’Unione degli Universitari, che parla apertamente di
“fallimento” del semestre filtro: “Non può essere questa la risposta alla
necessità di formare nuovi medici”, commentano i rappresentanti, presenti questa
mattina davanti alle sedi d’esame per ricordare agli studenti la possibilità di
ricorrere contro “un sistema profondamente ingiusto”.
Le preoccupazioni dell’Udu erano già emerse dopo il primo appello, quando il
numero insufficiente di idonei aveva fatto temere che alcuni posti non venissero
coperti. Da qui la richiesta, arrivata da molti candidati, di un terzo appello.
“L’unico modo è aprire tutto o fare un terzo appello”, afferma Elisa, una delle
studentesse che hanno sostenuto il test. Ma non tutti sono d’accordo: “Chi si
rimette a studiare?”, ribatte Tiziana. Altri, come Monica, propongono invece di
eliminare il vincolo del “18” almeno nella prova di fisica. Intanto sui social
alcuni avvocati segnalano nuove presunte irregolarità: circolazione di messaggi
con domande degli esami, richieste d’aiuto e un aumento anomalo di ricerche su
Google con parole chiave legate ai test. Elementi che alimentano ulteriori dubbi
sulla regolarità della procedura.
La mobilitazione degli studenti non si ferma. Per giovedì è stata convocata una
manifestazione a Roma, nei pressi del Senato, con l’obiettivo di rilanciare il
ricorso collettivo promosso dopo il primo appello e chiedere al governo un
intervento urgente sul semestre filtro, prima che la situazione degeneri
ulteriormente.
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L'articolo Per il pasticciaccio del test filtro di Medicina il ministero valuta
il recupero crediti per tutti proviene da Il Fatto Quotidiano.
Possibili novità per pazienti e medici. Nel disegno di legge sulle
semplificazioni, approvato nei giorni scorsi ma non ancora in vigore, sono
previsti certificati di malattia “da remoto” e prescrizioni valide anche per 12
mesi per i malati cronici. Sarà quindi possibile sostenere una televisita, a
dispetto dell’obbligatorietà prevista fino ad ora di una visita in presenza
nello studio medico o a domicilio. È importante sottolineare che per rendere
operative queste due nuove misure – richieste espressamente dalla Fimmg, il
sindacato dei medici – bisognerà aspettare ancora un po’ di tempo.
Fimmg precisa che per quanto riguarda le visite telematiche, si attende un
accordo nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni. Fino a quel momento
resteranno obbligatorie le regolari visite e in atto le pene per i lavoratori
che ricevono e i medici che rilasciano certificati falsi o non validi. Pene che
rimarranno invariate anche nel caso di introduzione del nuovo sistema. Il
sindacato – tramite il segretario generale Silvestro Scotti – precisa:
“L’articolo 58 del provvedimento equipara la certificazione effettuata da
remoto, attraverso la telemedicina, a quella tradizionale in presenza. Quando
accadrà? Non immediatamente. La legge rinvia ad un successivo accordo che sarà
assunto in Conferenza Stato-Regioni, senza indicare nessuna precisa scadenza: in
questa sede, su proposta del ministro della Salute, saranno definiti i casi e le
modalità del ricorso alla telecertificazione. Fino ad allora resteranno in
vigore le regole attuali: il medico deve accertare di persona le condizioni del
paziente. Resta ferma la tutela contro i certificati falsi, con pene severe per
i lavoratori e i medici che li rilasciano, sia in presenza che in modalità
telematica”.
Per quanto concerne, invece, la nuova durata delle prescrizioni potrebbe bastare
l’attesa di 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto, fissata al 18
dicembre. La novità è contenuta nell’articolo 62 del decreto e nello specifico
riguarda la possibilità da parte dei medici di prescrivere farmaci per patologie
croniche fino a 12 mesi, senza ripetere continuamente le ricette. Il medico
dovrà indicare nella ricetta la posologia (ovvero il numero delle dosi) e il
numero di confezioni dispensabili per massimo un anno, e potrà sospendere la
prescrizione o modificare la terapia qualora fosse necessario per gli esiti di
salute del paziente. Possibili, quindi, tempi brevi. La Fimmg conferma: “Entro
90 giorni a partire dal 18 dicembre, quando entrerà in vigore la legge, previo
decreto attuativo del ministro della Salute, di concerto con il ministro
dell’Economia, che definirà le modalità di attuazione della norma”.
Sarà possibile “ottenere i farmaci prescritti anche con documentazione di
dimissione ospedaliera o referti del pronto soccorso, senza dover attendere una
seconda prescrizione da parte del medico di famiglia. Il farmacista, ricevuta la
ricetta” – conclude il sindacato dei medici di medicina generale – “informerà
l’assistito sulla corretta modalità di assunzione dei medicinali prescritti e
consegnerà un numero di confezioni sufficiente a coprire 30 giorni di terapia in
relazione alla posologia indicata e dovrà trasmettere la consegna al paziente
del farmaco al rispettivo medico di famiglia nell’ottica di una vera
collaborazione interprofessionale nell’ambito delle cure territoriali”.
Scotti, infine, spiega che la possibilità di prolungare le ricette “deve essere
bilanciata con la necessità di controllo, da parte del medico, dell’evoluzione
di malattia e dell’aderenza alla terapia”. I medici stanno sviluppando strumenti
informatici per individuare i pazienti che possono ricevere prescrizioni in tal
senso, e la collaborazione digitale estesa alle farmacie permetterebbe di
monitorare l’effettivo utilizzo dei farmaci. La prescrizione prolungata “non può
significare abbandono del paziente perché c’è un progetto complessivo”, ma deve
seguire criteri clinici e i Pdta (Percorsi diagnostico-terapeutici
assistenziali”, conclude il segretario generale.
L'articolo Certificati di malattia “da remoto” e prescrizioni prolungate: cosa
cambierà per pazienti e medici proviene da Il Fatto Quotidiano.
La riforma dell’accesso ai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, Medicina
Veterinaria e Odontoiatria in vigore da quest’anno si sta dimostrando
disastrosa, come peraltro era stato previsto da tutti gli organi accademici,
inclusa la Conferenza dei Rettori e il Consiglio Universitario Nazionale. La
legge conteneva un tale numero di errori di prospettiva, incongruità e difetti,
che non è possibile analizzarli tutti in un solo post; in questo post mi limito
ad analizzare i difetti progettuali della prova di esame. Non considererò
minimamente le violazioni delle norme, la pubblicazione dei quesiti in rete,
etc., che non sono difetti strutturali della legge: la riforma sarebbe pessima
anche in assenza di qualunque anomalia nella gestione delle prove di esame.
Come è noto la riforma prevede l’accesso libero a tre corsi erogati tra
settembre e ottobre: Fisica Medica, Chimica e Propedeutica Biochimica e
Biologia; gli studenti hanno due possibilità di sostenere i relativi esami a
novembre e dicembre, e infine coloro che sono stati promossi in tutti e tre gli
esami entrano in una graduatoria che consente il proseguimento degli studi nel
corso scelto, entro il limite del numero programmato (che non viene abrogato).
La prima prova ha avuto un esito disastroso e i promossi nelle tre materie sono
risultati circa il 10% degli iscritti, un numero molto inferiore a quello dei
posti da coprire. Una catastrofe di questo genere dimostra che la modalità di
esame prevista dalla riforma è inadeguata al suo scopo.
Per poter assegnare ad un esame universitario la funzione aggiuntiva di prova
concorsuale, le legge prevede un esame scritto, uguale in tutta Italia, con 16
domande “a completamento” (frasi nelle quali manca una parola, che lo studente
deve aggiungere) e 15 quiz (“a crocette”). Questa modalità di valutazione,
largamente impiegata in molti contesti, anche all’estero, testa le conoscenze
dello studente su un programma ampio (31 domande sono tante) ma ad un livello di
comprensione molto superficiale; poteva essere adatta per un test di ammissione,
come si faceva negli anni passati, ma non corrisponde agli scopi formativi
dell’università, che richiedono invece approfondimento, comprensione e capacità
di ragionamento.
Uno dei pochi pregi rimasti all’università italiana, che rende i nostri laureati
desiderati e competitivi anche all’estero, sta proprio nel fatto che noi
manteniamo una modalità di esame basata sull’interrogazione orale o scritta,
nella quale al candidato è richiesto il ragionamento. Le prove di esame non
erano di per sé difficili e la grande passione dello studente medio è l’esame a
quiz da studiarsi sul quizzario, un elenco di tutti i quiz utilizzabili per
l’esame con le rispettive risposte. A parte il fatto che nel caso presente, per
fortuna, il quizzario non c’era, il punto è che nei corsi di livello
universitario si spiegano ragionamenti e ipotesi scientifiche, non si dispensano
rispostine a domandine, peraltro imprevedibili.
E’ superfluo aggiungere che la medicina, come ogni scienza, non è fatta di
domandine e rispostine, che molte domande che un medico si deve porre non hanno
risposte certe e assolute, che certe risposte possono essere giuste in un
contesto e sbagliate in un altro, che in molti casi la transizione tra giusto e
sbagliato è graduale e non assoluta: in una parola che finalizzare un corso
universitario al superamento di un quiz è un tradimento culturale della missione
dell’università. Anche in quei contesti stranieri in cui l’esame a quiz è usato,
il corso non è costruito sulla misura dei quiz.
La prima ragione per la quale gli esami sono stati tragicamente deludenti è
quindi che la modalità di esame imposta dalla riforma è completamente inadeguata
alla modalità formativa universitaria e professionale: i corsi hanno cercato di
insegnare allo studente a ragionare, ma la legge ha poi imposto una valutazione
nozionistica, nella quale il ragionamento serviva a poco; questo ha tradito e
tratto in inganno gli studenti.
Spiego meglio questo concetto facendo al tempo stesso una solenne promessa alla
ministra Bernini, e a tutti gli italiani, a nome mio e di tutti i colleghi
docenti nei Corsi di Laurea in Medicina: a nessun paziente accadrà mai di andare
da un medico, chiedergli: “dottore, cosa ho?” e sentirsi rispondere: “scriva su
un pezzo di carta quattro diagnosi e io metterò una crocetta su quella che mi
pare giusta”. Non accadrà mai una cosa del genere, Signora ministra, perché
l’università educa il futuro medico in un modo che è completamente diverso da
quello che la sua riforma pretende di valutare con esami nozionistici non solo
inadeguati, ma metodologicamente estranei alla formazione che lo studente ha il
diritto di ricevere. Gli studenti avrebbero avuto risultati migliori se si
fossero potuti preparare per esami universitari “veri”, anche se più difficili.
L'articolo Il disastro degli esami filtro a Medicina dimostra che questo metodo
è sbagliato proviene da Il Fatto Quotidiano.
Accetta o rifiuta il voto?” è una delle frasi ricorrenti all’università. In
questo caso, però, le circostanze rendono ancora più difficile dare una
risposta. Le studentesse e gli studenti di medicina si trovano a dover fare i
conti con gli effetti della riforma al corso di medicina. Adesso che sono stati
pubblicati gli esiti della prima prova del semestre filtro, bisogna decidere se
accettare il voto oppure ritentare la prova all’appello del 10 dicembre. Il
problema, però, è che la graduatoria non è stata pubblicata e la decisione verrà
presa al buio.
Il semestre filtro era stato progettato per superare il famigerato test
d’ingresso a numero chiuso e rispondere alla carenza di personale sanitario nel
nostro Paese. Tuttavia, guardando ai risultati della prima prova, sembra che
questo nuovo collo di bottiglia non renda il semestre filtro un sistema a numero
aperto. Le percentuali del numero di idonei sono davvero basse: 20% per
biologia, meno del 20% per chimica e il 10% per fisica.
“La gestione del semestre filtro si conferma così incoerente, opaca e
strutturalmente discriminatoria”, dichiarano gli studenti di Udu, l’Unione degli
universitari, che sottolineano “il divario tra iscritti e posti disponibili
rimane enorme: con oltre 54mila aspiranti per meno di 17mila posti, non si può
parlare di numero aperto”. Udu ha organizzato un presidio che si terrà l’11
dicembre alle ore 15 in piazza Vidoni, a Roma, e in molte altre piazze italiane.
La Flc-Cgil sostiene la mobilitazione, e aggiunge che “il sistema universitario,
malgrado le parole di circostanza delle Rettrici e dei Rettori, è sempre stato
consapevole della illogicità e dell’inutilità di questa presunta riforma. Si
tratta dell’ennesima presa in giro, con una selezione dilazionata impostata su
prove di esame irrigidite e standardizzate (anche fuori e oltre le attuali
normative sulla libertà di docenza), proprio per fungere di fatto da test
nazionale”. E rimarca sulla valanga di bocciature, segno del fallimento del
semestre filtro.
Oltre alla mobilitazione, Udu inoltrerà una diffida collettiva per garantire
agli studenti la possibilità di mantenere tutti i voti positivi ottenuti nella
prima sessione e decidere successivamente quale esito conservare, una volta resi
pubblici i dati necessari. Sempre sul fronte legale, stanno preparando anche un
ricorso collettivo al Comitato europeo dei diritti sociali per chiedere il
riconoscimento delle violazioni sistemiche, la tutela del diritto allo studio e
l’ingresso in sovrannumero per chi è stato penalizzato dal sistema del semestre
filtro.
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costretti a decidere se accettare il voto al buio” proviene da Il Fatto
Quotidiano.