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Il ‘caso Folorunsho’ rilancia il lato zotico del pallone italico: ora la federazione dia l’esempio (copiando dagli inglesi) | il commento
C’è stato qualcosa di peggio nella vicenda Folorunsho, in cui il giocatore del Cagliari ha ricoperto di orribili insulti sessisti la mamma del romanista Hermoso – anche il giocatore spagnolo avrebbe usato qualche parola deprecabile, ma senza raggiungere il livello e i toni del suo avversario –, episodio rilanciato più volte dalle televisioni: si tratta delle norme della giustizia sportiva e dei commenti social che ripropongono, purtroppo, un calcio da Medioevo, se non da preistoria. La prova tv non può essere usata. L’articolo 61, comma 3, prevede il suo utilizzo “limitatamente ai fatti di condotta violenta o gravemente antisportiva o concernenti l’uso di espressione blasfema non visti dall’arbitro o dal Var”. Tradotto: si punisce la bestemmia, ma non gli insulti sessisti come quelli rivolti da Folorunsho alla mamma di Hermoso. Va bene tutto, siamo un paese cattolico e abbiamo il Vaticano in casa, ma sarebbe ora di allargare gli orizzonti. Non è accettabile quello che abbiamo visto domenica in diretta televisiva da Cagliari. Non si possono offendere donne e madri, sapendo di passarla liscia. Com’era la storia di “donna, madre e cristiana”? Ecco, rilanciamo la palla. È poi un trionfo dell’ipocrisia segnarsi il viso di rosso per celebrare il NO alla violenza delle donne e poi non intervenire quando in campo volano insulti a madri, moglie, fidanzate e sorelle. Nell’attesa di una auspicabile revisione del regolamento che consenta l’uso della prova televisiva anche nei “casi” Folorunsho – che si è scusato due volte sui social -, c’è un modo per prendere provvedimenti anche nelle lacune della giustizia sportiva. Il più semplice chiama in causa la federazione. Il giocatore del Cagliari fa parte, seppure in modo saltuario, del giro azzurro. Ha giocato due partite nell’era-Spalletti, il 9 giugno 2024 l’amichevole contro la Bosnia a Empoli e il 15 giugno a Dortmund contro l’Albania nell’esordio europeo. Spiccioli di gioco (entrò in campo al 76’ e al 92’), ma fanno curriculum. La federazione potrebbe prendere posizione ed escluderlo ufficialmente per un periodo “tot”, a prescindere dalle intenzioni di Gattuso. Una misura esemplare, per lanciare un messaggio chiaro e forte all’ambiente. La seconda cosa sconfortante è stata la lettura, sui social, di messaggi che ci riportano davvero al “la partita è maschia”, “il calcio non è sport da donne o da signorine” “quello che succede in campo, lì finisce”. Nel 2025, prendere nota che si siano ancora migliaia di persone che considerano il calcio una zona franca è prima di tutto una sconfitta culturale: ci riporta al Medioevo e forse anche alla preistoria. Bisogna piantarla di liquidare episodi come quello di Cagliari con la tesi ottusa che il calcio è una zona franca e tutto deve essere giustificato all’altare della trance agonistica. Non esistono zone franche per la civiltà. Il calcio deve adeguarsi ed è ora di ficcarselo bene nelle cocuzze. Questo andazzo è quello che ha lasciato fiorire negli anni Novanta gli episodi di razzismo, fuori e anche in campo. È la subcultura del “devi morire”, “tua madre è una putt…”, dei cori che richiamano l’Heysel, la tragedia di Superga, la morte di Paparelli. La verità amara, semmai, è un’altra: non esiste un luogo delle nostre vite più incivile e retrogrado del mondo del calcio. Dove, sia chiaro per tutti, giornalisti compresi, fare battute sulle donne non è mai passato di moda. In Inghilterra due giorni fa Joey Barton, ex calciatore con un passato di violenze, di risse e di arresti – chiedere all’ex laziale Dabo, aggredito in allenamento e costretto ad andare in ospedale per una mandibola fratturata -, è stato condannato a 18 mesi con la condizionale e a fare duecento ore di servizi sociali, con l’aggiunta di una multa di 20mila sterline, per una serie di commenti sessisti apparsi su X, rivolti a due ex giocatrici, Lucy Ward e l’ex juventina Eni Aluko, e al conduttore Jeremy Vine. In buona sostanza, contro le ex giocatrici Barton sfogò il suo disprezzo nei confronti del calcio femminile, mentre nei messaggi rivolti a Vine s’insinuava che fosse un pedofilo. Barton, uscendo dal tribunale, ha abbassato la cresta: “Non volevo offendere nessuno, mi sono fatto prendere la mano”. Barton, 43 anni, ha un seguito di 2.521.786 persone su X. I suoi messaggi raggiungono una platea consistente. Era giusto intervenire. In Inghilterra, dove prendono sul serio i comportamenti, in campo e fuori, giustamente non scherzano. L'articolo Il ‘caso Folorunsho’ rilancia il lato zotico del pallone italico: ora la federazione dia l’esempio (copiando dagli inglesi) | il commento proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Italia fuori dai Mondiali? Gravina mette già le mani avanti: “Nessuna norma mi impone le dimissioni”
La nazionale rischia di rimanere fuori dai Mondiali per la terza volta di fila. A fine marzo la doppia sfida contro Irlanda del Nord (in casa), e poi – si spera – lo spareggio finale da giocare in trasferta contro la vincente tra Galles e Bosnia rappresenta lo snodo decisivo per il futuro del pallone italiano. Probabilmente un punto di non ritorno, perché rimanere fuori un’altra volta dai Mondiali significherebbe davvero sparire in maniera quasi definitiva dal panorama calcistico internazionale. Uno scenario da brividi che in qualsiasi Paese normale porterebbe all’azzeramento immediato del sistema. Ma in Federcalcio il presidente Gabriele Gravina mette già le mani avanti e fa capire di non avere alcuna intenzione di dimettersi: “Non c’è una norma che lo prevede”, risponde quasi provocatoriamente a chi gli chiede se il suo futuro è legato al risultato degli spareggi. Incredibile, ma fino a un certo punto. La notizia è che chi pensa che con una sconfitta a marzo ci libereremmo automaticamente del peggior governo della storia del calcio italiano, probabilmente si illude. Gravina ha già dimostrato in passato di non avere alcuna vergogna dei risultati conseguiti sotto la propria gestione, e di essere capace di andare avanti in sprezzo dell’opinione pubblica e della decenza. È successo dopo la figuraccia contro la Macedonia del Nord, archiviata con un’alzata di sopracciglia, mentre il suo predecessore Tavecchio fu costretto a dimettersi dopo la Svezia. O la scorsa estate, agli Europei 2024, dopo l’eliminazione agli ottavi con la Svizzera, forse il punto più basso della nazionale in una grande manifestazione per come arrivò quella sconfitta, ma comunque insufficiente a indurlo a farsi da parte. Proprio quest’ultimo precedente viene chiamato in causa da Gravina nel suo ragionamento: “Se n’era già parlato dopo la Svizzera, al nostro interno vige un principio di democrazia sancito e dettato dalle norme federali, e la risposta è stata un 98% di consenso. Quindi evidentemente c’è qualcosa che non torna”. Gravina fa riferimento alle ultime elezioni, che nonostante risultati disastrosi su tutti i fronti gli hanno riconfermato il mandato con percentuali bulgare. Perché sa che la stessa situazione si riproporrà anche a marzo, comunque vada in campo: l’intero sistema è nelle sue mani grazie ad una rete di potere inscalfibile, ad oggi non esiste un’opposizione in grado di sfiduciarlo. Sa che all’interno non corre pericoli. Forse soltanto un forte movimento d’opinione pubblica o un’azione politica potrebbero mettere in discussione il suo potere, ma fin qui non è successo. Gravina del resto non ha alcuna intenzione di mollare la poltrona e anzi è pronto a rilanciare, come dimostrano le sue ultime mosse. Dall’inchiesta che la procura federale sta chiudendo sul presidente dell’Aia, Antonio Zappi, che sembra propedeutica a mettere le mani sul mondo arbitrale, con la creazione di un nuovo soggetto per i fischietti di élite (la cosiddetta PGMOL, Professional Game Match Officials Limited, sul modello inglese). All’assurdo progetto di riforma dei campionati col taglio delle promozioni e retrocessioni, per conquistarsi ulteriormente il favore dei club, anche a costo di dare il colpo di grazia definitivo alla competitività del calcio italiano. Prima però c’è l’incognita dei playoff a marzo, e per questo lascia solo una porticina aperta quando parla di “riflessioni da fare, legate più ad una scelta di responsabilità personale”: lo stesso bluff dello scorso anno, quando aveva confidato a destra e manca di averne abbastanza, salvo poi ripresentarsi più forte di prima alle urne. Infatti subito aggiunge: “Parlarne aprioristicamente mi sembra fuori luogo. Soprattutto perché io per natura sono ottimista: andremo ai Mondiali”. Se ne è convinto lui… X: @lVendemiale L'articolo Italia fuori dai Mondiali? Gravina mette già le mani avanti: “Nessuna norma mi impone le dimissioni” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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