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Nella Repubblica Dominicana i partiti sono vuoti a perdere: prevalgono crisi e narcotraffico
A cinque anni dal primo insediamento di Luis Abinader alla presidenza della Repubblica Dominicana, il cui mandato è stato rinnovato per altri quattro dopo le votazioni del 19 maggio 2024, ho voluto fermarmi di nuovo nello stato caraibico prima di tornare in una Giamaica devastata dall’uragano Melissa. Quello che ho visto e sentito conferma la tendenza globale che punta alla privatizzazione della cosa pubblica, rendendo ormai superflua l’esistenza dei partiti. E sullo sfondo Trump ringrazia. Vuoti a perdere Avenida Simón Bolivar, il cimitero dei partiti: le sezioni deserte, una dietro l’altra, simboleggiano il vuoto politico attuale. Tutti gli schieramenti sfoggiano nomi altisonanti, di cui termini come “rivoluzione” “democrazia” “sociale” “popolo” sono ormai ridotti a etichette prive di riscontro reale: primeggia il Partido Revolucionario Moderno (Prm) la compagine governativa che ha prodotto i due mandati consecutivi di Luis Abinader, l’attuale presidente. Il governo è supportato da un’alleanza di pseudo centrosinistra composta da Unión Demócrata Cristiana (Udc), Partido Revolucionario Independiente (Pri), Partido Demócrata Popular (Pdp) e il Partido Revolucionario Social Demócrata (Prsd), un nome che è quasi un ossimoro. Sul fronte opposto, con altri partiti minori, Fuerza del Pueblo dell’ex presidente Leonel Fernández, due mandati come presidente della Repubblica Dominicana: 16 agosto 1996-16 agosto 2000 e 16 agosto 2004-16 agosto 2012. Fuori dalla mischia, le formazioni di estrema sinistra: Pcd (Partido Comunista Dominicano) – unico, oltre al Pcc cubano, a rimanere “comunista” – e il Movimiento Rebelde; per protesta contro gli inciuci delle alleanze, non si sono presentati alle scorse elezioni. Secondo fonti locali, i due mandati di Fernández furono contrassegnati dal rafforzamento del welfare pubblico. Adesso la privatizzazione della sanità è diventata invadente, così come nella distribuzione dell’energia. Percorrendo la stessa Avenida Simón Bolivar, dal lato opposto del lungo viale che parte da Calle Mercedes – arteria principale della Zona Colonial – proprio di fronte alla fila delle sedi dei partiti, si snodano ininterrottamente consultori, laboratori di analisi e cliniche private. Durante i primi quattro anni del suo secondo mandato, Fernández fece costruire seimila alloggi, di cui duemila destinati ai benestanti e gli altri quattromila ai ceti medio-bassi. Ebbe il merito di emancipare il paese dalla crisi economica dove era precipitato a causa del fallimento di ben tre banche, riducendo l’inflazione e il divario del cambio tra peso e dollaro, dando il via a un processo di stabilizzazione della nazione caraibica. C’è da dire che Fernández ha avuto la fortuna di poter contare nel suo primo mandato su una congiuntura economica favorevole, quando il boom dei Carabi negli anni 90 e all’inizio del nuovo millennio era in piena ascesa. Ma già nell’ultimo, che ha coinciso con la crisi globale provocata dai mutui subprime negli Usa, il turismo internazionale calò, e di conseguenza le difficoltà economiche ricominciarono. Dal canto suo, Abinader ha cominciato nel momento peggiore dell’economia moderna, cioè in piena pandemia Covid, nell’agosto 2020. A oggi, il salario minimo in vigore nel Paese è 19.450 Dop (pesos dominicani) equivalenti a € 340 mensili. Ma non tutti sono trattati allo stesso modo: se le grandi imprese pagano quasi 28.000 Dop, quelle piccole a gestione familiare hanno ribassi fino a 10.000 (€ 150) e persino le commesse che lavorano all’aeroporto, dentro attività carissime, sono sottopagate a 17.000 Dop. Nella miniera d’oro della splendida Zona Colonial – che è il fiore all’occhiello del business della capitale – e nell’area balneare di Boca Chica dove i turisti lasciano valuta pregiata, ho registrato i salari più bassi: uno sfruttamento della manodopera che incide sulla qualità del servizio, come spesso succede. I dipendenti usufruiscono però della propina (mancia) obbligatoria, 10% in più sul conto, che si aggiunge al 18% della Vat, la loro Iva. I Narco-Stati Oltre all’aumento incontrollato del costo della vita, all’attuale presidente viene attribuita la responsabilità di non aver saputo frenare lo strapotere dei trafficanti di droga. La Repubblica Dominicana è annoverata tra i paesi dove transitano più sostanze illecite, insieme ad Haiti, Ecuador e Colombia. Non è un caso che, mentre Trump si accanisce sul Venezuela facendo uccidere equipaggi di imbarcazioni sospettati di trasportare stupefacenti, mirando a rimpiazzare Maduro con la sua beniamina Maria Corina Machado (insignita di un Nobel della Pace scandaloso) questo trattamento venga risparmiato ai paesi alleati di Washington, malgrado Haiti sia ormai in piena guerra civile scatenata dalle bande del boss Barbecue, con l’Ecuador di Noboa fuori controllo a vantaggio del narcotraffico, nonostante una campagna elettorale basata sulla sicurezza interna. Ironicamente, proprio durante i dieci anni del governo Correa, l’Ecuador era una delle nazioni sudamericane più sicure. Trump vorrebbe ripristinare le basi navali statunitensi, ma il referendum di novembre ha respinto la riforma costituzionale che Noboa aveva imposto. Alla Repubblica Dominicana, gli Stati Uniti hanno assegnato reparti speciali della Dea per operazioni di polizia congiunte alle forze locali, che sembrano però più tentativi di legittimare il governo attuale, piuttosto che garantire dei risultati duraturi nella lotta ai trafficanti; nonostante l’operazione effettuata a Boca Chica abbia prodotto arresti di spessore, tra cui un ex aspirante sindaco appartenente proprio a Prm, il partito di Abinader, denunciato dallo stesso premier. Foto e video – F.Bacchetta L'articolo Nella Repubblica Dominicana i partiti sono vuoti a perdere: prevalgono crisi e narcotraffico proviene da Il Fatto Quotidiano.
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