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Ignorate le parole di Papa Francesco: le carceri sono ancora sovraffolate e governate dall’ipocrisia
Siamo governati dall’ipocrisia. Tutti si definiscono cristiani ma nessuno ascolta le parole del capo della Chiesa. Lo scorso 26 dicembre Papa Francesco aprì la porta Santa a Rebibbia, dove giovedì è morta una detenuta e dove il giorno prima si è recato il Presidente della Repubblica. Le parole del Pontefice, che al carcere aveva dedicato pensieri e azioni, sono rimaste inascoltate, colpevolmente rimosse da parte di chi dirige il nostro sistema penitenziario. Per questo un ampio numero di associazioni e istituzioni – tra le quali A buon diritto, Acli, Antigone, Arci, Cgil, Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia CNVG, Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti CNCA, Federsolidarietà, Forum Droghe, Gruppo Abele, L’altro diritto, La Società della Ragione, Legacoop, Movi, Ristretti, No prison e Nessuno Tocchi Caino – hanno promosso un appello per offrire dignità e megafono all’impegno di Papa Francesco. Vanno assicurate umanità e clemenza a un sistema, quello delle prigioni, che vive una drammatica crisi. Il mondo delle carceri italiane sta perdendo ogni legame con la missione costituzionale di cui al terzo comma dell’articolo 27. Un articolo scritto con il sangue, il dolore e la profondità politica di quella parte dei nostri costituenti che aveva vissuto l’esperienza della prigionia durante il fascismo. I numeri descrivono l’attuale crisi in modo impietoso. Al 30 novembre 2025 erano 63.868 le persone detenute nelle nostre carceri. La capienza effettiva era invece pari a 46.124 posti. Ciò significa che si contavano quasi 18.000 posti in meno rispetto alle presenze. È facile capire cosa significhi e quanto le possibilità di risocializzazione, nonostante l’impegno di alcuni operatori, si trasformino in mito. Di fronte a tassi di affollamento così elevati è sbagliato, nonché utopico, pensare di risolvere il problema con fantomatici piani di edilizia penitenziaria. L’affollamento delle carceri può e deve risolversi depenalizzando quel che ha a che fare con questioni sociali e non deve essere gestito con politiche penali, a partire dal tema delle droghe, trattato con le armi inique del proibizionismo che mette sullo stesso piano tossicodipendenti e trafficanti. Le galere sono piene di persone espulse da un sistema di welfare selettivo. Il tasso di affollamento medio nazionale è ormai dunque al 138,5% e in ben 72 delle 189 carceri italiane è pari o finanche superiore al 150%. Non sono meri numeri, perché dietro di essi vivono persone: in alcuni luoghi manca per loro lo spazio vitale. Negli istituti più affollati – come Lucca (247%), Vigevano (243%), Milano San Vittore (231%), Brescia Canton Monbello (216%), Foggia (215%), Lodi (211%), Udine (209%), Trieste (201%), Brindisi (199%), Busto Arsizio (196%), ma anche in molte altre carceri metropolitane – non ci sono quasi più spazi per la socialità, per la scuola. Il carcere diventa così solo un grande, inutile dormitorio. Per la prima volta nella storia, dopo il cosiddetto Decreto Caivano, anche nelle carceri minorili sta accadendo lo stesso. Ma altri numeri sono ancora da segnalare. Ovvero quelli, assai paradigmatici, che ci raccontano in maniera oggettiva l’illegalità in cui versa il sistema. Nel corso del 2024, i tribunali di sorveglianza italiani hanno accolto ben 5.837 ricorsi che riconoscevano ad altrettante persone detenute di aver vissuto in carcere in condizioni inumane o degradanti. Ben 5.837 sono state dunque sottoposte a una pena contraria al senso di umanità, contraria all’art. 27 della Carta costituzionale. In tante carceri in giro per l’Italia si è tornati a vivere in meno di tre metri quadri a persona, come quando l’Italia venne condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La reazione delle istituzioni, sia per adulti che per minori, si riassume in una sola parola: chiusura. Il carcere è sempre più chiuso. C’è insofferenza istituzionale verso chi nel mondo esterno vuole cooperare per l’esecuzione di una pena più umana. Per tutti questi motivi le associazioni, anche in considerazione del Giubileo dei detenuti in corso, hanno indetto una grande assemblea da tenersi a Roma il prossimo 6 febbraio. Per ricordare a chi governa che il carcere non è proprietà privata dei custodi. L'articolo Ignorate le parole di Papa Francesco: le carceri sono ancora sovraffolate e governate dall’ipocrisia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Lecce, secondo suicidio in carcere in meno di un mese: “Condizioni drammatiche di sovraffollamento”
È notte fonda. Mentre il compagno di cella dorme, un detenuto costruisce un cappio rudimentale con un lenzuolo e lo usa per togliersi la vita. Succede a Lecce, una manciata di giorni fa, protagonista un uomo originario del barese che scontava la sua pena nel carcere di Borgo San Nicola. Sabato mattina, alle 10, le volontarie e i volontari del penitenziario hanno organizzato un sit-in davanti ai cancelli dell’istituto. Le condizioni della casa circondariale sono state spesso considerate difficili, ma nell’ultimo periodo la situazione è diventata “drammatica”, come racconta a Ilfattoquotidiano.it Davide Piccirillo, avvocato e attivista che da tempo collabora con Antigone Puglia. Il 2024 è stato già l’annus horribilis delle carceri italiane, con 91 suicidi. Sono scesi a poco più di 70 nel 2025. Nel carcere di Lecce sono stati due solo nell’ultimo mese, qualche settimana fa era toccato a un ragazzo senegalese. Antigone dice che questo mese sarebbe in realtà “il terzo, se contiamo anche quello di una persona che è poi morta in ospedale”. Il penitenziario di Lecce – che è il più grande della Puglia, la regione col tasso di affollamento (160,5%) più alto d’Italia con 4.500 detenuti a fronte di circa 2.900 posti – “dovrebbe e potrebbe ospitare massimo 800 detenuti, 798 per la precisione, ma ce ne sono anche sopra i 1.400. E a inizio dell’anno, nel 2025, erano 1.200″. E col sovraffollamento si generano problemi “qualitativi e quantitativi” come “carenza di spazio, la carenza di trattamenti, la carenza di agenti, la carenza di personale generale, la carenza di personale medico e psichiatrico”, dice Piccirillo. Nelle carceri italiane stanno tornando di moda per via del sovraffollamento anche i letti a castello a tre. Si dorme “alle volte a 20 centimetri, anche a 15 centimetri dal soffitto”. Il problema “è sistemico, è chiaro, ma è un problema anche di sentire comune” cioè – sostiene – di come la gente vuole e chiede venga represso un crimine. E con il decreto Sicurezza e le nuove pene, esiste il rischio che il sovraffollamento peggiori. Nonostante le nuove carceri da costruire previste dal governo, che probabilmente non basteranno perché “ora siamo a circa 64.000 detenuti, ci sono quasi 20.000 detenuti in più di quelli che ci dovrebbero essere, quindi nel 2027 ci saranno 10.000 posti in più, se va bene, e ce ne sarebbero comunque 10.000 in sopra organico”, spiega Piccirillo. Antigone, e associazioni simili, non sono state le uniche a denunciare la situazione. Infatti, secondo la Sappe – il sindacato degli agenti penitenziari – il carcere salentino starebbe vivendo “il momento più drammatico e critico della sua storia” proprio a causa del sovraffollamento. Il suicidio dell’uomo sarebbe avvenuto, dalla ricostruzione sindacale, con un solo poliziotto a controllo della sezione, un reparto precauzionale che ne richiederebbe almeno due. Questo dipenderebbe dalle poche unità del carcere leccese in cui “per 1.400 ristretti risultano amministrate circa 570 unità, da cui depennare le decine e decine di poliziotti a disposizione dell’ospedale militare”, e ciò comporterebbe ritmi di lavoro “impressionanti, per 12 ore ed oltre al giorno”. Il sindacato ha inviato una lettera al prefetto di Lecce, alla sindaca Adriana Poli Bortone e ai parlamentari e senatori eletti nel territorio salentino, ma dice di non aver ricevuto nessuna risposta. Non è chiaro se il sit-in di domani mattina vedrà la partecipazione anche di agenti o rappresentanti della polizia penitenziaria. Ci sarà di sicuro la garante comunale dei diritti delle persone private della libertà personale, Maria Mancarella, e sarà un evento aperto alla cittadinanza e a ogni associazione. Antigone Puglia ha fatto sapere che parteciperà e la sua presidente, Maria Pia Scarciglia, ha dichiarato – come riporta Lecceprima – che “se in una città come quella di Lecce si fossero suicidate tre persone in un solo mese e mezzo, qualcuno sicuramente si sarebbe fatto qualche domanda sulle possibili cause. E invece assistiamo a un silenzio assordante, anche da parte delle istituzioni locali”. L'articolo Lecce, secondo suicidio in carcere in meno di un mese: “Condizioni drammatiche di sovraffollamento” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Carceri, La Russa rilancia l'”indultino”: “Chi è a fine pena esca per Natale”. No di Mantovano: “Aumenteremo i posti”
Un “mini-mini-indultino” per Natale, che permetta “a chi ha scontato la maggior parte della pena di finire di scontarla dentro di sé o in un altro luogo, con l’unica esclusione dei reati contro le forze dell’ordine”. Con l’avvicinarsi delle festività, Ignazio La Russa torna a indossare i panni di alfiere dei diritti dei detenuti e rilancia la proposta di un provvedimento di clemenza per ridurre il sovraffollamento penitenziario: “Un decreto che, senza nulla togliere alle problematiche più ampie, dia un po’ di respiro alle carceri al collasso”. L’ispiratore ancora una volta è Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma recluso a Rebibbia per traffico di influenze: “Gianni mi segnalato il problema. La pena non può in nessun caso ledere la dignità della persona, su questo mi sento di continuare la battaglia”, ha detto martedì La Russa alla presentazione del libro di Alemanno, “L’emergenza negata”. “Però”, ammette, “le speranze sono modeste“: il governo finora ha chiuso le porte a qualsiasi forma di indulto, affossando la proposta di legge del deputato renziano Roberto Giachetti – che voleva potenziare gli sconti di pena per “buona condotta” – e puntando su un piano a lungo termine per aumentare i posti nelle carceri. Ma “se anche l’edilizia carceraria fosse la soluzione”, avverte il presidente del Senato, gli effetti si vedranno “di qui a due anni. E in questi due anni qualcosa si può fare”. La Russa chiarisce di non pensare più a “una proposta specifica” come quella di Giachetti, ma solo a “una mozione degli affetti“: “Consentire a chi sta per uscire, per esempio a uno che è in carcere e esce il 15 di gennaio, facciamogli fare le vacanze di Natale a casa con i figli, con la moglie, con la mamma. Questa è la mia proposta, ma non mi arrabbio se non può essere accolta. Capisco benissimo le ragioni di chi dice”, come il ministro della Giustizia Carlo Nordio, “che questo può significare un incentivo a commettere reati“. L’appello di La Russa trova sponde in una parte del centrosinistra e anche in Forza Italia, il partito della maggioranza da sempre meno ostile a un indulto: “Il presidente La Russa affronta un tema, quello della vita in carcere dei detenuti, che abbiamo sempre sostenuto. Saremmo favorevoli a un provvedimento che vada nel senso da lui aspicato. Ma ovviamente va prima letto il testo dell’eventuale decreto”, afferma diplomaticamente il deputato azzurro Enrico Costa. Ma dal governo arriva ancora una volta uno stop, per bocca del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che insiste sull’edilizia carceraria: “Noi stiamo lavorando in modo intenso perché si affronti la questione del sovraffollamento carcerario con un congruo incremento dei posti all’interno degli istituti di pena, per cui il gap esistente adesso, tra circa 53mila disponibilità rispetto alle quasi 64mila presenze, contiamo di colmarlo in due anni con un lavoro intenso”. Dalle opposizioni, però, si evidenziano i disaccordi interni al centrodestra: “Con il suo appello il presidente del Senato di fatto boccia il governo Meloni che in tre anni non ha fatto niente per alleggerire l’emergenza carceraria. Giusto pensare a soluzioni per far scontare l’ultima parte di pena fuori dalle carceri, ma per far diventare realtà questo auspicio sarebbe stato sufficiente approvare nel decreto carceri la proposta del M5s per introdurre le Case di comunità di reinserimento sociale, cioè strutture di dimensioni limitate cui destinare i detenuti che devono espiare una pena detentiva residua non superiore a dodici mesi, salvo alcuni specifici casi di esclusione”, accusano i membri pentastellati delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato. Dal Pd la responsabile Giustizia Debora Serracchiani si rivolge a Mantovano: “Sono tre anni che non fate niente per il sovraffollamento delle carceri italiane. Anzi lavorate per peggiorarne le condizioni come sta accadendo per esempio negli istituti minorili. Sono tre anni che promettete interventi, avete fatto decreti carceri urgenti e ancora non avete fatto niente. Del resto il ministro ritiene che il sovraffollamento serva come deterrente per i suicidi in carcere. Il solito gioco delle parti all’interno del governo sulla pelle delle persone”. L'articolo Carceri, La Russa rilancia l'”indultino”: “Chi è a fine pena esca per Natale”. No di Mantovano: “Aumenteremo i posti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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