Il Teatro alla Scala in festa. Un lungo e sentito applauso ha accolto al Teatro
alla Scala il maestro Riccardo Chailly, tornato sul podio ieri sera, 13
dicembre, dopo il malore che lo ha colpito qualche giorno fa, costringendolo a
interrompere la seconda rappresentazione di “Una Lady Macbeth del distretto di
Mcesk” di Dmitrij Shostakovich, titolo scelto per la Prima del 7 dicembre
scorso.
Dopo aver trascorso una notte al centro cardiologico Monzino, Chailly, tramite
la moglie e il teatro stesso aveva rassicurato il pubblico sulle proprie
condizioni di salute, assicurando che sarebbe tornato sul podio presto. E così è
stato. Al suo ingresso l’orchestra si è alzata in piedi per applaudirlo assieme
al pubblico e in molti hanno urlato “Bravo!”.
“Rivolgo un sentito ringraziamento ai musicisti e a tutti coloro che hanno
voluto esprimere vicinanza e affetto in questo momento: sono stato veramente
toccato dalla quantità dei messaggi. Desidero ringraziare tutti: tornerò sul
podio molto presto”, aveva scritto in un messaggio il maestro Chailly,
ricoverato al Centro Cardiologico Monzino di Milano.
Poi il messaggio tanto atteso qualche ora dopo direttamente dal Teatro alla
Scala di Milano: “Il Teatro alla Scala è lieto di comunicare che le condizioni
del Maestro Riccardo Chailly sono migliorate e gli consentiranno di dirigere la
rappresentazione di Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk sabato 13
dicembre”.
Il teatro e il maestro hanno tenuto fede alla promessa.
L'articolo Calorosi applausi, standing ovation e diversi “bravo!” al maestro
Riccardo Chailly che è tornato al Teatro alla Scala dopo il malore e il ricovero
in ospedale proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Teatro alla Scala
Il mondo della musica e del teatro tirano un sospiro di sollievo. Le condizioni
di salute del maestro Riccardo Chailly “sono rapidamente migliorate, dopo il
malore che lo ha costretto a interrompere la seconda rappresentazione di “Una
lady Macbeth del distretto di Mcensk”. È quanto si legge sui social del Teatro
alla Scala di Milano.
“Rivolgo un sentito ringraziamento ai musicisti e a tutti coloro che hanno
voluto esprimere vicinanza e affetto in questo momento: sono stato veramente
toccato dalla quantità dei messaggi. Desidero ringraziare tutti: tornerò sul
podio molto presto”, ha scritto in un messaggio il maestro Chailly, colto da un
malore e poi ricoverato al Centro Cardiologico Monzino di Milano.
Secondo alcune testimonianze, raccolte l’11 dicembre, il direttore avrebbe
accusato il malore verso la fine del primo atto dell’opera di Sostakovic. Il
forte pallore sul volto avrebbe convinto i suoi collaboratori a chiamare il
medico e a suggerirgli per prudenza di sospendere la rappresentazione. Lui,
però, ha voluto proseguire e ha iniziato a dirigere il secondo atto, fino a
quando la debolezza non ha avuto il sopravvento.
Il Maestro è stato quindi scortato fuori dalla buca e, sebbene avesse ancora
l’intenzione di rientrare in scena, alla fine è stato costretto a fermarsi. A
quel punto è stato portato via dai soccorritori dell’Areu 118. E, tra i
loggionisti si sono levati cori di applausi, ai quali Chailly ha risposto,
salutando con un sorriso.
L'articolo “Desidero ringraziare tutti: tornerò sul podio molto presto”: il
maestro Riccardo Chailly rassicura sulle sue condizioni di salute “rapidamente
migliorate” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Malore per il maestro Riccardo Chailly mentre, mercoledì 12 dicembre, dirigeva
la seconda rappresentazione di “Una lady Macbeth del distretto di Mcensk” al
Teatro alla Scala. Dopo il secondo intervallo dell’opera che il 7 dicembre ha
inaugurato la nuova stagione lirica del Teatro milanese con grande successo di
pubblico, la rappresentazione è stata interrotta. Il coordinatore artistico del
teatro, Paolo Gavazzeni, è salito sul palcoscenico e ha spiegato al pubblico la
situazione. Il direttore è stato ricoverato in codice giallo all’ospedale
Monzino.
Settantadue anni, alla sua ultima stagione come direttore musicale ma con ancora
tanti progetti in futuro con il teatro e con il festival di Lucerna di cui sarà
alla guida fino al 2028, Chailly ha mostrato qualche segno di “stanchezza” agli
orchestrali e già al primo intervallo, che è durato una decina di minuti più del
previsto, era girata la voce che non si sentisse bene. Poi però il direttore,
che ha da tempo un problema cardiaco che tiene sotto controllo, ha deciso di
proseguire per i cinquanta minuti successivi fino al secondo intervallo.
Velocemente è tramontata l’idea di far terminare l’opera al maestro suggeritore
e così il coordinatore artistico ha annunciato al pubblico che per la
complessità dell’opera e soprattutto “per rispetto del maestro Chailly” il
teatro aveva deciso di interrompere la rappresentazione. Nel frattempo alla
Scala sono arrivate ambulanza e automedica a prestare i primi soccorsi e a
portare il maestro in ospedale.
Lo scorso febbraio, per motivi di salute, Chailly, che è direttore musicale
della Scala dal 2015, non aveva partecipato alla tournée della Filarmonica della
Scala ed era stato sostituito da Lorenzo Viotti e nel 2023 aveva dovuto
rinunciare al concerto inaugurale del Festival di Lucerna a causa di una
operazione dopo un malore.
L'articolo Malore alla Scala mentre dirige “Lady Macbeth”: portato via il
maestro Riccardo Chailly tra gli applausi dei loggionisti proviene da Il Fatto
Quotidiano.
di Annalisa Rosiello *
Il Tribunale del Lavoro di Milano, nella sentenza n° 5214/2015, ha dichiarato
illegittimo il licenziamento per giusta causa di una maschera del Teatro alla
Scala, allontanata dal suo posto di lavoro dopo aver gridato “Palestina libera”
durante un concerto istituzionale alla presenza della Presidente del Consiglio.
La decisione del Giudice, pur riconoscendo l’infrazione disciplinare della
lavoratrice, ha “bocciato” la reazione della Fondazione, ritenendola eccessiva e
sproporzionata rispetto alla reale gravità del fatto.
La sentenza, con una motivazione – va detto – estremamente equilibrata, affronta
il tema del bilanciamento tra il diritto del lavoratore alla manifestazione del
pensiero e gli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà derivanti dal
rapporto di lavoro subordinato.
La vicenda risale al 4 maggio 2025. Una lavoratrice con contratto intermittente
a termine, in servizio come maschera durante il prestigioso evento musicale,
lascia la sua postazione pochi minuti prima dell’inizio del concerto. Si reca in
prima galleria e, mentre le più alte cariche dello Stato prendono posto, si
affaccia e grida “Palestina Libera” tentando di esporre un manifesto prima di
essere immediatamente fermata dalle forze dell’ordine e allontanata.
La reazione della Fondazione Teatro alla Scala è immediata e durissima:
contestazione disciplinare e, pochi giorni dopo, licenziamento per giusta causa.
Le motivazioni? Aver abbandonato il posto di lavoro, aver violato i doveri di
diligenza e obbedienza e, soprattutto, aver leso in modo “irrimediabile” il
vincolo di fiducia, creando “un momento di tensione” in un contesto di massima
rilevanza istituzionale.
Il Giudice del Lavoro ha dichiarato illegittimo il licenziamento per manifesta
sproporzione della sanzione espulsiva. Il fulcro della decisione risiede nel
giudizio di proporzionalità della sanzione. Il licenziamento per giusta causa,
definito dall’art. 2119 c.c. e ricalcato dall’art. 37 del “Contratto Scala”, è
la sanzione massima, applicabile solo per mancanze talmente gravi da non
consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto. Il giudice è
tenuto a una valutazione autonoma della gravità del fatto, considerando elementi
oggettivi e soggettivi.
La Fondazione aveva motivato la gravità della condotta sulla base di due
elementi: la rilevanza istituzionale dell’evento e il “momento di tensione” che
l’azione avrebbe generato in sala.
Il Tribunale ha smontato questa argomentazione, basando la propria valutazione
su “elementi concreti e oggettivi”. La sentenza qualifica il gesto come una
“plateale ma pacifica manifestazione del proprio pensiero” e ne sottolinea la
“assoluta inoffensività”. Il giudice osserva che nessun elemento concreto
suggeriva che la protesta potesse degenerare in atti violenti o pericolosi per
la sicurezza. Inoltre, la condotta si è esaurita in un lasso di tempo
brevissimo, prima dell’inizio dello spettacolo e senza causare alcuna
interruzione o modifica al programma.
Osserva il Giudice del lavoro di Milano come, “sulla falsariga di quanto
affermato dalla giurisprudenza della Cassazione, la valutazione degli estremi
della condotta, anche in funzione del giudizio di congruità della sanzione
disciplinare comminata, debba essere operata sulla scorta di elementi concreti e
oggettivi, la cui analisi non può che condurre alla conclusione dell’assoluta
inoffensività del gesto della […] contraddistinto dalla plateale ma pacifica
manifestazione del proprio pensiero e dal tentativo di esposizione di un simbolo
ad esso pertinente, bloccato sul nascere dall’immediato intervento delle Forze
dell’Ordine”. Di conseguenza, il recesso in tronco viene giudicato
“manifestamente sproporzionato” ed “esorbitante”. Il Giudice ritiene che una
sanzione conservativa (come il rimprovero, la multa o la sospensione) sarebbe
stata più adeguata alla reale portata, oggettiva e soggettiva, del fatto.
Accertata l’illegittimità del licenziamento, il Tribunale ne determina le
conseguenze. Viene respinta la domanda di reintegrazione (o “ricostituzione” del
rapporto), poiché il contratto a tempo determinato era già giunto alla sua
naturale scadenza al momento della pronuncia.
Il risarcimento del danno viene liquidato in via equitativa, ai sensi dell’art.
432 c.p.c., proiettando la media delle prestazioni mensili svolte dalla
lavoratrice (16 al mese) per il periodo dall’illegittima estromissione fino alla
scadenza originaria del contratto. Il giudice rigetta la tesi della Fondazione
di limitare il calcolo alle sole chiamate “garantite”, riconoscendo la prassi di
frequenti sostituzioni e variazioni.
La sentenza rappresenta un’importante applicazione del principio di
proporzionalità, riaffermando che la reazione datoriale a un inadempimento del
lavoratore deve essere commisurata all’effettiva lesione degli interessi
aziendali e alla gravità oggettiva della condotta, senza lasciarsi influenzare
da elementi di contesto (come la presenza di alte cariche istituzionali) che non
si traducono in un concreto e provato pregiudizio. In sostanza un gesto di
protesta, seppur in violazione delle norme aziendali, non può giustificare la
massima sanzione espulsiva se, nei fatti, si rivela innocuo e privo di
conseguenze concrete.
*L’autrice del post è anche curatrice di questo blog. Qui la sua biografia
L'articolo Perché è importante la sentenza sul licenziamento della maschera del
Teatro alla Scala che gridò ‘Palestina libera’ proviene da Il Fatto Quotidiano.
BMW Italia sceglie Achille Lauro come nuova voce del suo alto di gamma, avviando
una collaborazione che punta a unire eleganza contemporanea, creatività e
innovazione. L’artista, da sempre capace di fondere musica, moda e arte in un
linguaggio personale e riconoscibile, diventa il protagonista di un progetto
pensato per raccontare la dimensione più esclusiva del marchio bavarese.
La partnership è stata presentata in occasione della Prima della Scala, dove
Achille Lauro è stato ospite del numero uno di BMW Italia, Massimiliano di
Silvestre (nella foto, insieme): un palcoscenico simbolico che riflette la
volontà del brand di coniugare stile, cultura e prestigio. Nei prossimi mesi
l’artista sarà al centro di uno storytelling che intreccerà la sua evoluzione
creativa con l’identità dei modelli di punta della gamma BMW, in un dialogo
costante tra tecnologia d’avanguardia e visione artistica.
Eventi esclusivi, contenuti digitali e live experience contribuiranno a dare
forma a un percorso narrativo capace di trasformare ogni appuntamento in
un’esperienza memorabile. Una collaborazione che, come si legge nella mota
stampa, punta a consolidare la presenza di BMW nel segmento dell’eccellenza
automobilistica, mantenendo alta l’attenzione su stile, originalità e
sostenibilità.
L'articolo Achille Lauro nuovo volto dell’alto di gamma BMW. Partnership
ufficializzata alla Scala proviene da Il Fatto Quotidiano.
Quando, nel finale di Lady Macbeth del distretto di Mcensk, il palcoscenico
della Scala si trasforma in un rogo e due figure femminili vengono avvolte dalle
fiamme, il pubblico trattiene il respiro. Il calore arriva fino alla platea,
l’odore di bruciato attraversa i palchi. È una scena che resta impressa,
potentissima, ma soprattutto reale: il fuoco è vero, le fiamme salgono altissime
e ciò che avviene sul palco è frutto di un lavoro tecnico, fisico e umano che
pochissimi conoscono.
A raccontarlo, in un’intervista al Corriere della Sera, sono Beatrice Del Bo e
Marie Schmitz, le due stuntwomen — una italiana, l’altra tedesca — che incarnano
la parte più rischiosa e spettacolare della produzione. Professioniste del
fuoco, interpreti invisibili, “torce umane” per mestiere. “Sono più di cinquanta
volte che brucio in scena, eppure fa sempre un certo effetto”, confessa Marie,
viso delicato e lunghi capelli biondi che contrastano con la brutalità del
compito. “Quando il costume, impregnato di sostanze infiammabili, s’accende, la
vampata dilaga in un attimo, dalla testa ai piedi”.
Beatrice, bruna, attrice e acrobata, aggiunge: “La temperatura arriva fino a 600
gradi. Sono una ventina di secondi di adrenalina pura, in cui non puoi
permetterti di sbagliare nulla”. Il protocollo è rigidissimo: tuta ignifuga
sotto il costume, strati di gel protettivo su viso, collo e mani. Un rituale che
si ripete identico ogni sera. Eppure la sicurezza assoluta non esiste: “Ogni
tanto qualche scottatura ci scappa”, ammette Marie. “Fa parte del mestiere:
entri nei momenti più pericolosi, combatti, voli, cadi dalle scale. Il nostro
lavoro è morire al posto degli altri“. Un mestiere che richiede collaborazione
totale, come sottolinea Beatrice: “Per farlo senza rischi serve una squadra. La
prima regola è sapere che il fuoco è imprevedibile. Va rispettato. Il fuoco fa
come il fuoco vuole, ce lo ripete sempre Ran”. Ran è Ran Braun, live action
designer e stunt coordinator, il responsabile degli effetti speciali della
produzione e collaboratore del regista Vasily Barkhatov. È alla sua prima volta
alla Scala, ma tornerà in stagione per Nabucco. Durante la scena del rogo, lui e
la sua équipe seguono tutto da un camion nascosto nelle quinte, pronti a
intervenire al minimo segnale di pericolo.
La scelta di Barkhatov — sostituire il lago gelato previsto dal libretto con un
vortice di fiamme — ha trasformato il finale dell’opera in un’immagine simbolica
di potenza e distruzione. Le due donne che si avvinghiano nel fuoco, fondendosi
in un unico falò, hanno un impatto quasi cinematografico: la violenza,
l’annientamento, la passione degenerata in morte. Un finale incandescente che
sembra avere un’eco ironica nella biografia di Šostakovič. “In una vecchia foto
finita in copertina di Time», ricorda il Corriere, “il compositore appare con un
elmetto da pompiere”. Da studente, infatti, aveva prestato servizio come
volontario nella squadra antincendio del conservatorio. Chissà come avrebbe
guardato questa scena: un’opera che incendia, letteralmente, la Scala.
L'articolo “Il nostro lavoro è morire al posto degli altri. La temperatura
arriva a 600 gradi, il fuoco è imprevedibile”: parlano le “torce umane” della
Prima della Scala proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’avviso sui display delle poltroncine rosse avverte il pubblico sui contenuti
violenti e sulle scene a tinte forti. La storia racconta di una donna, Katerina
che desidera affermare la sua libertà e affrancarsi dal marito che le è stato
imposto. Appassionata e desiderosa di libertà, si innamora, tradisce e uccide.
In piazza, i cori delle proteste dei sindacati e dei gruppi pro Palestina – “No
al colonialismo, vergogna!” – fanno da controcanto al rito mondano della Prima.
Dentro, nel ventre dorato del Piermarini, la stagione lirica 2025/26 si apre con
“Una Lady Macbeth del distretto di Mtsensk” di Dmitrij Shostakovich, diretta da
Riccardo Chailly, mentre platea e palchi si trasformano in un teatro nel teatro:
quello dei look, degli omaggi e dei messaggi silenziosi affidati agli abiti.
Sul tappeto rosso arrivano uno dopo l’altro imprenditori, politici, artisti,
volti dello spettacolo. Pierfrancesco Favino, in impeccabile smoking blu grigio
scuro Armani, sfila al fianco di Anna Ferzetti, avvolta in un abito blu e verde
smeraldo tempestato di leggere brillantezze, anche questo firmato Armani. È uno
dei tandem più eleganti della serata, quasi un manifesto vivente di quello che
sarà il fil rouge dell’inaugurazione: la memoria ancora freschissima di Giorgio
Armani, scomparso il 4 settembre, e un tributo compatto al suo lessico di
sobrietà e rigore. Ma si sente l’assenza anche di Ornella Vanoni, altra habitué.
Achille Lauro, con il suo ricciolo di capelli che cade sulla fronte, sceglie uno
smoking Dolce&Gabbana, completato da mocassino di vernice e una spilla di
brillanti a forma di corolla. “Sono contento di essere spettatore per una
volta”, dice sorridendo. Mahmood, anche lui al debutto alla Scala, opta per un
particolare smoking Versace: giacca nera, papillon, panciotto nero con ricami
oro che ricordano i toreri spagnoli. “Sono felice, è la mia prima volta”,
confessa, visibilmente emozionato all’idea di essere, per una sera, dall’altro
lato del palcoscenico. Quando si incontrano nell’amezzato durante il primo
intervallo si abbracciano e si salutano come due vecchi amici che non si vedono
da tempo: sono spontanei e anche un filo imbarazzati davanti alla raffica di
domande dei cronisti, ma se la cavano alla grandissima. Non ci sono né la
premier Meloni né il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma tra gli
ospiti più attesi c’è Liliana Segre, affezionatissima al Teatro, presente su
incarico proprio di Mattarella. “Opera scandalosa ma interessante”, dirà a fine
spettacolo, cogliendo in poche parole lo spirito della serata: un’opera che fu
censurata per anni nell’Unione Sovietica, riportata al suo pieno potenziale
sulla scena scaligera.
Il ministro della Cultura Alessandro Giuli, unico membro del governo presente,
arriva accolto dal prefetto Claudio Sgaraglia, dal governatore della Lombardia
Attilio Fontana e dal sindaco Beppe Sala davanti all’ingresso del Piermarini.
“Buonissima la Prima, grande prova d’orchestra”, commenterà poi. Accanto a Sala,
elegantissima, la compagna Chiara Bazoli in un sofisticato Giorgio Armani Privé
in velluto nero, con corpetto destrutturato e punti luce sul décolleté: uno dei
look più fotografati della serata. Con lei, in Armani Privé, anche Giovanna
Salza e Anna Olkhovaya, moglie dell’ex sovrintendente Dominique Meyer.
Barbara Berlusconi, oggi nel Consiglio d’amministrazione del Teatro, indossa un
prezioso abito ricamato di Giorgio Armani. “È un abito di qualche collezione
fa”, precisa. “L’ho già indossato altre volte e mi è sembrato un modo bello per
ricordarlo e celebrarlo”. Poi aggiunge il senso del suo nuovo ruolo: “È una
bella emozione, c’è tanto lavoro da parte mia, ma soprattutto questa è
un’occasione importantissima che porta Milano nel mondo”.
La danza è protagonista anche fuori dal palcoscenico. Arrivano in coppia, come
sempre, Nicoletta Manni, étoile della Scala, e il marito Timofej Andrijashenko,
primo ballerino, entrambi in Giorgio Armani. Lei in un elegante abito lungo, lui
in smoking. “Una volta all’anno siamo dall’altra parte del palcoscenico ma
soprattutto per noi è una serata speciale che segna sempre un nuovo inizio”,
racconta Manni. “È una serata importante per Milano, dove vogliamo portare anche
il nome del corpo di ballo della Scala”, aggiunge Andrijashenko.
Il parterre dei danzatori crea quasi un tableau vivant dedicato alla sartoria di
via Borgonuovo: la prima ballerina Virna Toppi in completo Armani; i primi
ballerini Nicola Del Freo, Claudio Coviello e Marco Agostino in smoking della
maison; le prime ballerine Martina Arduino e Alice Mariani in abiti Armani;
Antonella Albano in una tuta elegantissima, moderna e pulita, sempre firmata
Giorgio Armani. Una sfilata collettiva che trasforma la Prima in un grande,
discreto omaggio al “Re Giorgio”.
Nel foyer passa anche Giorgio Pasotti, emozionato per il suo debutto alla Prima
del 7 dicembre. “Avevo visto la prima di un balletto con Roberto Bolle ma non
un’opera lirica”, racconta. “Mi aspetto uno spettacolo molto forte, so che
quest’opera è stata censurata per anni e anni e noi abbiamo il privilegio di
vederla. Evidentemente è qualcosa di molto impattante e per chi viene dal cinema
come me è affascinante”.
Federica Panicucci sceglie un lungo abito da sera elegante e misurato, al fianco
del compagno Marco Bacini. Tra i volti televisivi spunta anche Vittorio
Brumotti, storico inviato di “Striscia la notizia”. Il total black domina,
rassicurando i più tradizionalisti: abiti lunghi, velluti, schiene nude, punti
luce di cristalli, qualche pennellata di colore – fucsia, bianco, verde smeraldo
– ma nessun eccesso urlato. Lontani i tempi della parata di pellicce e
dell’ostentazione in stile Santanché: questa Prima parla con il linguaggio della
misura. O, per dirla con le parole del conduttore televisivo Enzo Miccio: “Il
foyer è un po’ sottotono quest’anno. C’è qualche coroncina, qualche zarina
russa, con queste bellissima mise bianche, ma in generale devo dire che regna la
sobrietà. Nel primo anno senza Giorgio Armani ci sono tantissime signore che
hanno scelto di indossare il suo stile. Come Anna Ferzetti, che ha scelto un
bellissimo abito in tulle ricamato, come la compagna del sindaco Sala (Chiara
Bazoli) e come tantissimi uomini. Tutti in blu Armani, un classico chic senza
tempo. Io però, pensando al gelo della Russia, ho deciso per il bianco”.
Dentro la sala, l’attenzione si sposta sul palcoscenico: “Una Lady Macbeth del
distretto di Mcensk” nella versione originale del 1934 – quella che fece
infuriare Stalin – inaugura la stagione con oltre undici minuti di applausi,
fiori lanciati dai palchi, nessun fischio. Riccardo Chailly, al suo dodicesimo e
ultimo 7 dicembre scaligero, guida l’orchestra con energia e chiarezza,
restituendo tutta la durezza, l’ironia e il tragico paradosso della scrittura di
Šostakovič. Sara Jakubiak, protagonista nel ruolo di Katerina Izmajlova,
racconta così la sua serata: “La mia Katerina? È stata una tigre. Non mi
aspettavo questo successo, non si aspetta mai una cosa del genere nella vita.
Non so dire quanto mi senta fortunata per questo. Penso di aver guidato la
macchina a 200 miglia all’ora in questa esperienza. E sono semplicemente
felicissima”. Accanto a lei, Najmiddin Mavlyanov, Yevgeny Akimov e Alexander
Roslavets compongono un cast solido, capace di fare esplodere tutte le sfumature
taglienti dell’opera.
La regia di Vasily Barkhatov trasporta la vicenda negli anni Cinquanta
dell’Unione Sovietica, mescolando realismo e visioni, violenza e pietà, erotismo
e grottesco. Scene, costumi e luci costruiscono un ambiente essenziale ma
potente, che dialoga con la musica senza sovrastarla. Lo spettacolo conquista
platea e gallerie, in una serata che entra di diritto nel ciclo delle Prime più
applaudite degli ultimi anni. Ma è la forza delle immagini, crude e violente,
oltre alla strepitosa musica che passa dal registro più tragico a quello
talvolta scanzonato, a fare la differenza rispetto ad altre opere. Immagini
ancora oggi di impatto, come quella che vede il suocero molestare Caterina o
quella del palpeggiamento di una lavorante nella cucina del ristorante.
Nell’ultima scena del primo atto, fortissima, il regista sceglie una
sovrapposizione di piani temporali: Caterina e il suo amante, Sergej, stanno
consumando la loro passione sulla sedia e sul tavolo del locale mentre attorno
ci sono uomini di potere che fotografano e deridono la donna. Solo lei. Anche se
entrambi pagheranno per aver ucciso. Il secondo atto presenta già nello sviluppo
iniziale un’altra scena violenta. Il garzone amante di Caterina, Sergej, è
tenuto fermo e frustato dal suocero della donna davanti ai suoi occhi. Ma è la
musica Shostakovich la vera protagonista. L’eccellenza del cast vocale, del
coro, della direzione musicale di Chailly, della regia e allestimento
‘cinematografico’. Tutti aspetti capaci di restituire al pubblico passaggi
emotivi e stati d’animo, in una sovrapposizione di piani e dimensioni. Poi il
gran finale con effetti a sorpresa hollywodiani.
Il rito sociale della Prima mostra tutta la sua vitalità. In sala, oltre al
sindaco Sala e al ministro Giuli, il presidente della Corte costituzionale
Giovanni Amoroso, il governatore Attilio Fontana, il Consiglio d’amministrazione
della Scala con Giovanni Bazoli, Barbara Berlusconi, Diana Bracco, Claudio
Descalzi e Melania Rizzoli, gli ex sovrintendenti Carlo Fontana, Alexander
Pereira e Dominique Meyer. A sorpresa, tra gli ospiti internazionali, appare
l’attore britannico Russell Tovey, in un completo Versace con camicia gialla,
molto fotografato. “È uno spettacolo bellissimo ed è davvero un privilegio
essere qui”, dice. “Non ho mai vissuto qualcosa di simile a Milano ed è un onore
essere qui a godermi questo evento”. Sull’opera aggiunge: “Ho preferito la
seconda parte. Continuo a lasciarmi assorbire dall’orchestra. Sono così
affascinato e ipnotizzato nel guardare gli strumenti. È semplicemente magico. È
un’opera difficile e sono contento che ci siano le traduzioni. È una
rappresentazione epica e le scenografie sono incredibili”. Ricorda anche la
storia dell’opera: “È stata vietata in Russia per molti anni e solo negli anni
’70 è stato permesso mostrarla di nuovo. Trovo affascinante che l’arte possa
essere così controversa e che possa suscitare una reazione tale da portare le
persone a vietarla”.
Un record, la “Lady Macbeth” di Šostakovič, lo segna comunque: con 1.896
spettatori e un incasso di 2.679.482 euro, supera di oltre 100mila euro la Prima
della scorsa stagione, diventando l’inaugurazione più redditizia nella storia
del Teatro. Per cinquecento invitati la serata prosegue alla Società del
Giardino, dove lo chef Davide Oldani firma la cena di gala con piatti che
raccontano Milano, dalla vellutata di zucca con polvere di caffè ai cappelletti
al burro nocciola fino al rustin negàa.
L'articolo Prima della Scala 2025, i retroscena dal foyer: Mahmood e Achille
Lauro emozionati (ed elegantissimi). Enzo Miccio: “Look sottotono. C’è qualche
coroncina, qualche zarina russa, ma regna la sobrietà” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Un camion che sfonda a sorpresa una vetrata, due personaggi che vanno a fuoco
sul palco, una autentica aggressione sessuale sul posto di lavoro vestita da
quella ambiguità – così moderna – del presunto equivoco, del gioco, del dissenso
“non espresso chiaramente”. Vasily Barkhatov supera con applausi e qualche
ovazione l’esame di maturità della Scala a 43 anni portando un’opera di quasi
cent’anni fa dentro il paesaggio linguistico e visivo di oggi. Non gli servono
superflui “costumi moderni”, a volte contrastati da una parte del pubblico
scaligero della Prima, perché l’idea e il lavoro è tutto nel pensiero
drammaturgico con cui ha portato in scena Una Lady Macbeth del distretto di
Mcensk di Dmitri Shostakovich. Un’opera di cui si dice che è difficile trovarne
un significato univoco. Barkhatov scavalca il quesito e rende la storia
credibile e avvincente, calcando il segno su alcune chiare volontà del
compositore (che non a caso dà alla protagonista Katerina le arie più forti) e
riempiendo di dinamismo ogni scena, anche e soprattutto quelle strumentali (che
non mancano) o dei cori, quando la scena di solito rischia di essere un po’
ingessata.
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LADY SCALA
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248_GN1A8192 PH BRESCIA E AMISANO © TEATRO ALLA SCALA
Barkhatov ambienta la sua Lady Macbeth negli anni Cinquanta, ironicamente (o
forse no) nel periodo che porterà alla morte di Stalin, il censore di
Shostakovich. La scenografia ha uno sviluppo orizzontale, diviso a metà. In una
scena ci sono sopra le cucine (sono molto i personaggi secondari anche tra la
servitù della famiglia di Katerina che compaiono via via), sotto la camera da
letto della protagonista e del marito Zinovij e l’ufficio di quest’ultimo. In
una seconda scena sotto si trova un grande salone da pranzo e sopra un balcone.
Il regista sfrutta questi molti spazi tutti a vista per spingere l’opera con
ritmo cinematografico, per non dire da thriller a puntate: una serie tv,
insomma, e ci scuseranno subito gli esperti di lirica per questa metafora ormai
un po’ logora. E però è vero che la cura registica per i dettagli fa sì che ogni
attore, anche all’opposto del movimento della scena, anche nei momenti solo
musicali e senza interventi dei protagonisti, riempie l’occhio e l’attenzione
dello spettatore.
Con questa abilità che affonda le radici nella freschezza tutta giovanile – con
quale avvenire – Barkhatov disegna una storia di libertà e di liberazione, che
non si compie fino in fondo ma che resta come icona e messaggio. Katerina vive
una vita soggiogata dai comandi impartiti dal marito e dal suocero (anzi il
primo sembra un fantoccio nelle mani del secondo). La accusano di non generare
eredi e lei ribalta l’accusa contro il poco amorevole consorte. In cucina si
consuma un’aggressione sessuale nei confronti di una cameriera, una violenza che
Barkhatov “veste” con gli ingredienti alimentari: la poverina viene ricoperta di
farina, di sugo, viene “lavorata” col mattarello, sculacciata. Le molestie
vengono interrotte proprio dalla moglie del padrone, Katerina, che già sente
crescere l’odio per il maschio che si sente tale soverchiando la donna. “Ho
bisogno di affetto” canterà poco dopo “soltanto io non ho nessun che mi
desideri”. Conosce Sergej, che lavora nell’azienda del marito e tutto cambia:
nella sua mente vede aprirsi, quando ormai non lo sperava nemmeno più, spazi
sconfinati nonostante resti poco più che reclusa. Il suocero Boris la sorprende
con lui e lo frusta. Lei non ne può più e quando il suocero le ordina un piatto
di funghi lei lo avvelena. Torna il marito Zinovij e Katerina e Sergej sono
sorpresi a letto e seminudi. Qui il ritmo si fa quasi a perdifiato. Lui si
nasconde nell’armadio, l’amante dissimula. Zinovij comincia a fare domande, lei
risponde vaga. Il marito la aggredisce, tenta di violentarla, lei chiama aiuto,
chiama Sergej che esce dall’armadio. Zinovij è sorpreso e di questo approfitta
Katerina che lo immobilizza a letto, con uno straccio comincia a strangolarlo.
Arriva anche Sergej, blocca braccia e gambe di Zinovij, Katerina prende un
cuscino e soffoca definitivamente il marito. Il quale stordito chiama un prete e
Sergej a quel punto lo finisce: “Eccoti il prete”. Gli preme il cuscino sulla
faccia finché Zinovji non smette di respirare. I due amanti restano come
scioccati ma il loro futuro insieme ora sembra assicurato.
Katerina e Sergej si sposano davanti a numerosi invitati ma nel frattempo – dopo
che finora è rimasto nascosto dentro un frigo – viene scoperto il cadavere di
Zinovij, il marito ammazzato. Qui arriva una prima trovata scenica di Barkhatov
che può assomigliare pure a una citazione. Durante la festa nuziale i morti
(suocero e marito della sposina killer) ricompaiono sottoforma di ombre e
visioni: come fantasma, diafano, Boris (e ricorda un po’ il Convitato di pietra
del Don Giovanni), Zinovji addirittura spuntando dalla torta nuziale (e la scena
reale della festa con gli invitati si “congela”). Ad ogni modo la notizia del
cadavere arriva alla polizia. “È finita” dice Katerina. “Fuggiamo” dice Sergej.
I due vengono arrestati e il cambio di scena – altra idea vincente di Barkhatov
– avviene con la dirompente entrata in scena di un camion militare.
Letteralmente dirompente: sfonda il portone di quella che sarebbe la casa di
Katerina e improvvisamente ci si ritrova nel campo di prigionia.
Il camion che distrugge la vetrata è anche una metafora efficace per
sottolineare che la vita di Katerina così come l’aveva sognata va in mille
pezzi. Nel campo di prigionia dove è stata portata con Sergej, la protagonista
vede crollare tutto. Dagli agi della villa col marito al freddo e alla miseria
del campo. In più Sergej ormai la detesta perché ha trascinato anche lui in
questa catastrofe. Non basta: lui si invaghisce di un’altra prigioniera. Di più:
l’ex amante si fa beffa di Katerina chiedendole soldi o capi di abbigliamento
che lui regala a un’altra prigioniera. Katerina ha capito tutto, e soprattutto
che tutto è perso, perfino l’amore che le aveva dato la spinta per il grande
salto nel buio, pur di raggiungere una libertà, una qualsiasi. Le guardie
gridano a tutti i prigionieri di alzarsi perché è ora di andare. Si tirano in
piedi tutti tranne Katerina che non dà segni di vita. In realtà finge. Poco
prima si è cosparsa di benzina. Dopo aver sentito la nuova amata di Sergej che
la canzona (“Guarda come mi stanno bene le tue calze”) ruba l’accendino a un
altro prigioniero poi fa in modo di mettersi vicino all’amante di Sergej e
accende il fuoco. Muoiono insieme bruciate vive. Sul palco brillano fiamme
reale, corrono impazzite due torce umane. Il pubblico della Scala è abbagliato e
conquistato.
Oltre alle ovazioni ripetute e insistite per il maestro Riccardo Chailly per la
prova d’orchestra, a ricevere gli applausi più convinti – a giusta ragione –
sono stati la protagonista, il soprano Sara Jakubiak, e Alexander Roslavets, il
basso che ha interpretato il suocero Boris.
L'articolo Prima della Scala 2025, camion che sfondano vetrate e “vere” torce
umane infuocate: la missione compiuta di Barkhatov con la Lady Macbeth di
Shostakovich proviene da Il Fatto Quotidiano.
Puff, è scomparsa la politica, dicono. Ma la Prima della Scala brulica di
vicepolitica, sottopolitica, minipolitica, ex politica, reggenti, facenti
funzioni, luogotenenti, spicciafaccende, caporioni, vecchie glorie, ex dive
dimenticate. Ogni tre metri un sottosegretario, un presidente di commissione, un
capogruppo di qualcosa: picchettati nel foyer, guasconi in corridoio, famelici
alla cassa del bar, brillanti e tintinnanti nel ridotto mentre sorseggiano dal
calice. Se non si trova la politica, magari è solo che è al bancone per
ordinare. Una cronaca più scrupolosa di questa imporrebbe di indicare nomi e
cognomi col rischio però che il cittadino-elettore-lettore fatichi a collegarli
a una faccia e a un merito tale da godere dell’opportunità di partecipare
all’appuntamento culturale tra i più prestigiosi del mondo e dell’anno. E’
sufficiente il sollievo che almeno per il momento Fratelli d’Italia non abbia
imbarcato anche Shostakovich, Chailly e il soprano nel suo pantheon che ormai ha
solo posti in piedi essendo gonfio di gente fino a Gramsci a Pasolini e
all’orizzonte chissà il Che e Cossutta. In realtà, a conti fatti, la Scala ai
tempi del potere della destra è come la Scala ai tempi del potere della sinistra
(o così almeno la chiamavano): sembra che si metta a vento e invece lo ignora.
E’ l’unico posto forse nel mondo in cui trionfa il centro: qui Maurizio Lupi lo
ascoltano davvero come se fosse importante. Ma è soprattutto il centro degli
affari, di banchieri, industriali, manager, amministratori, boiardi,
consigliori, ercolini sempre in piedi. E quindi se la politica di Roma non si fa
vedere, a Milano fondamentalmente frega zero, come ha risposto con onestà rara
il presidente della Regione Attilio Fontana, inopinatamente avanzato in seconda
fila del Palco Reale in quanto lasciato sguarnito. In questo vuoto di volti
conosciuti sarebbero da premiare con monumenti equestri fotografi e cameramen
che corrono elettrizzati dietro ogni vetro fumé che si ferma davanti
all’ingresso del teatro e scoprono che è tutta una riffa: il cuore lacrima
quando i colleghi vedono aprirsi lo sportello e, a dispetto dell’attesa, scende
un generale dei carabinieri, sia pure col tabarro tipo Batman.
La politica, dicono, è scomparsa dallo spettacolo lirico più celebre, ma appare
subito una falsa speranza. Il meloniano Federico Mollicone, anziché limitarsi a
frasi di circostanza sul meteo – clausola di salvaguardia di certe occasioni -,
si inerpica in un ragionamento che si conclude con il concetto che l’opera di
Shostakovich (che se ha un elemento su cui è difficile sbagliare è la denuncia
spietata del patriarcato) “stride molto con i valori di rispetto delle donne“.
Ricorda da vicino quella volta che Dario Nardella voleva che la Carmen di Bizet
non finisse morta ammazzata – come da trama appositamente scandalizzante – ma
diventasse una specie di Wonderwoman e magari aprisse un chiringuito a Cancùn.
Aiuto, non c’è più la politica alla Scala: o magari c’è e non si vede, come
nella riforma dei teatri lirici voluta dal sottosegretario Gianmarco Mazzi che
aumenta il controllo ministeriale sulla gestione delle fondazioni, con possibili
iniziative visibilmente benemerite come la nomina di Beatrice Venezi alla
Fenice. Ecco, sì, forse è vero quello che dicono, che la politica è “scomparsa”:
è campionessa di ghosting quando c’è da rendere meno precari i lavoratori, più
aggiornati i contratti, più dignitosi gli stipendi.
Così nel derby dell’intervistometro del foyer vince per mancanza di avversari la
nazionale cinema e spettacoli e con tutti questi ospiti che non c’entrano niente
con la politica quasi quasi ai Fratelli d’Italia gli potrebbe venire voglia di
farci Atreju il prossimo anno. Raccoglie un notevole numero di richieste di foto
Pierfrancesco Favino, bloccato in sala prima che salisse sul palco col costume
da Sergej, poi sul podio con la barba del maestro Chailly e infine nella buca
travestito da arpa. Achille Lauro fatica ad attraversare il lato corto del foyer
perché viene assalito da un commando di telecamere. Dopo qualche battuta –
svogliata o atterrita, forse la seconda – un suo assistente prova anche a dire
qualcosa come “ora basta domande, dobbiamo entrare” che però, lì, in quel canaio
che è l’ingresso del teatro Piermarini la sera del 7 dicembre, ha ricordato
l’effetto che faceva Tajani quando diceva con la faccia brutta “ora basta” ad
Israele nei mesi della carneficina. Una signora ne approfitta e a mezzo metro di
distanza grida: “Sei bellissimo!”. Poco dopo – mannaggina – Lauro fa alzare in
piedi tutto il “Senatooo” non per una standing ovation ma perché ha il posto in
mezzo alla fila e quindi gli ottuagenari spettatori che si erano già assisi con
ragguardevole sollievo hanno dovuto ripetere l’operazione daccapo con
altrettanto scorno.
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LA PRIMA DEL TEATRO ALLA SCALA DI MILANO
Economist Corrado Passera and his wife Giovanna Salza, right, arrive at La Scala
Opera House in Milan, northern Italy, Sunday, Dec. 7, 2025, for the 2025–26 gala
season premiere, which features a Russian opera for the second time since
Moscow's 2022 invasion of Ukraine. (AP Photo/Antonio Calanni)
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LA PRIMA DEL TEATRO ALLA SCALA DI MILANO
Former Italian Premier Mario Monti, right and his wife Elsa Antonioli arrive at
La Scala Opera House in Milan, northern Italy, Sunday, Dec. 7, 2025, for the
2025–26 gala season premiere, which features a Russian opera for the second time
since Moscow's 2022 invasion of Ukraine. (AP Photo/Antonio Calanni)
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MILANO, IL FOYER DELLA PRIMA ALLA SCALA 2025
Davide Oldani alla Prima del Teatro alla Scala 2025, la serata inaugurale della
stagione lirica con l'opera ‘Lady Macbeth del Distretto di Mcensk’ di Dmitrij
Sostakovic, Milano (Italia) Domenica 7 Dicembre 2025 (Foto Claudio
Furlan/LaPresse) Premiere of La Scala Theater 2025, the opening night of the
opera season with Dmitri Shostakovich's opera Lady Macbeth of the Mtsensk
District, Milan (Italy), Sunday, December 7, 2025 (Photo Claudio
Furlan/LaPresse)
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MILANO, IL FOYER DELLA PRIMA ALLA SCALA 2025
Barbara Berlusconi alla Prima del Teatro alla Scala 2025, la serata inaugurale
della stagione lirica con l'opera ‘Lady Macbeth del Distretto di Mcensk’ di
Dmitrij Sostakovic, Milano (Italia) Domenica 7 Dicembre 2025 (Foto Claudio
Furlan/LaPresse) Premiere of La Scala Theater 2025, the opening night of the
opera season with Dmitri Shostakovich's opera Lady Macbeth of the Mtsensk
District, Milan (Italy), Sunday, December 7, 2025 (Photo Claudio
Furlan/LaPresse)
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MILANO, IL FOYER DELLA PRIMA ALLA SCALA 2025
Alessandro Giuli alla Prima del Teatro alla Scala 2025, la serata inaugurale
della stagione lirica con l'opera ‘Lady Macbeth del Distretto di Mcensk’ di
Dmitrij Sostakovic, Milano (Italia) Domenica 7 Dicembre 2025 (Foto Claudio
Furlan/LaPresse) Premiere of La Scala Theater 2025, the opening night of the
opera season with Dmitri Shostakovich's opera Lady Macbeth of the Mtsensk
District, Milan (Italy), Sunday, December 7, 2025 (Photo Claudio
Furlan/LaPresse)
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PRIMA DELLA SCALA A MILANO
Bruno Vespa with his wife Augusta Iannini arrive for the season opening of the
Teatro alla Scala, the Prima della Scala, in Milan, Italy, 07 December 2025.
ANSA/MATTEO CORNER
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MILANO, IL FOYER DELLA PRIMA ALLA SCALA 2025
Giovanni Amoroso, Liliana Segre e Giuseppe Sala alla Prima del Teatro alla Scala
2025, la serata inaugurale della stagione lirica con l'opera ‘Lady Macbeth del
Distretto di Mcensk’ di Dmitrij Sostakovic, Milano (Italia) Domenica 7 Dicembre
2025 (Foto Claudio Furlan/LaPresse) Giovanni Amoroso, Liliana Segre and Giuseppe
Sala at the Premiere of La Scala Theater 2025, the opening night of the opera
season with Dmitri Shostakovich's opera Lady Macbeth of the Mtsensk District,
Milan (Italy), Sunday, December 7, 2025 (Photo Claudio Furlan/LaPresse)
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MILANO, IL FOYER DELLA PRIMA ALLA SCALA 2025
Prima del Teatro alla Scala 2025, la serata inaugurale della stagione lirica con
l'opera ‘Lady Macbeth del Distretto di Mcensk’ di Dmitrij Sostakovic, Milano
(Italia) Domenica 7 Dicembre 2025 (Foto Claudio Furlan/LaPresse) Premiere of La
Scala Theater 2025, the opening night of the opera season with Dmitri
Shostakovich's opera Lady Macbeth of the Mtsensk District, Milan (Italy),
Sunday, December 7, 2025 (Photo Claudio Furlan/LaPresse)
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PRIMA DELLA SCALA A MILANO
Maurizio Lupi arrives for the season opening of the Teatro alla Scala, the Prima
della Scala, in Milan, Italy, 07 December 2025. ANSA/MATTEO CORNER
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PRIMA DELLA SCALA A MILANO
Roberto DAgostino arrives for the season opening of the Teatro alla Scala, the
Prima della Scala, in Milan, Italy, 07 December 2025. ANSA/MATTEO CORNER
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MILANO, IL FOYER DELLA PRIMA ALLA SCALA 2025
Pierfrancesco Favino alla Prima del Teatro alla Scala 2025, la serata inaugurale
della stagione lirica con l'opera ‘Lady Macbeth del Distretto di Mcensk’ di
Dmitrij Sostakovic, Milano (Italia) Domenica 7 Dicembre 2025 (Foto Claudio
Furlan/LaPresse) Premiere of La Scala Theater 2025, the opening night of the
opera season with Dmitri Shostakovich's opera Lady Macbeth of the Mtsensk
District, Milan (Italy), Sunday, December 7, 2025 (Photo Claudio
Furlan/LaPresse)
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MILANO, IL FOYER DELLA PRIMA ALLA SCALA 2025
Diana Bracco e Fedele Confalonieri alla Prima del Teatro alla Scala 2025, la
serata inaugurale della stagione lirica con l'opera ‘Lady Macbeth del Distretto
di Mcensk’ di Dmitrij Sostakovic, Milano (Italia) Domenica 7 Dicembre 2025 (Foto
Claudio Furlan/LaPresse) Premiere of La Scala Theater 2025, the opening night of
the opera season with Dmitri Shostakovich's opera Lady Macbeth of the Mtsensk
District, Milan (Italy), Sunday, December 7, 2025 (Photo Claudio
Furlan/LaPresse)
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PRIMA DELLA SCALA A MILANO
Vittorio Brumotti arrives for the season opening of the Teatro alla Scala, the
Prima della Scala, in Milan, Italy, 07 December 2025. ANSA/MATTEO CORNER
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PRIMA DELLA SCALA A MILANO
Ferruccio de Bortoli (R) and his son arrive for the season opening of the Teatro
alla Scala, the Prima della Scala, in Milan, Italy, 07 December 2025.
ANSA/MATTEO CORNER
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MILANO, IL FOYER DELLA PRIMA ALLA SCALA 2025
Mahmood alla Prima del Teatro alla Scala 2025, la serata inaugurale della
stagione lirica con l'opera ‘Lady Macbeth del Distretto di Mcensk’ di Dmitrij
Sostakovic, Milano (Italia) Domenica 7 Dicembre 2025 (Foto Claudio
Furlan/LaPresse) Premiere of La Scala Theater 2025, the opening night of the
opera season with Dmitri Shostakovich's opera Lady Macbeth of the Mtsensk
District, Milan (Italy), Sunday, December 7, 2025 (Photo Claudio
Furlan/LaPresse)
Lo chef Davide Oldani dimostra un’invidiabile capacità di permanenza nel foyer,
almeno 40 minuti, uno sforzo tecnico-sportivo imponente, poiché la sala
d’ingresso della Scala a sant’Ambrogio si trasforma – è bene ricordarlo per
Amnesty International che è all’ascolto – in un mega-ring di combattimento per
muay thai, senza esclusione di colpi né diritti di precedenza auspicabili non
per forza da manuali del bon ton, ma si spererebbe almeno dalle lezioni di buona
educazione impartite all’età del passeggino. Sciure ricoperte da gioielli il cui
valore è di circa 8,3 buste paga delle maschere del teatro travolgono come
schiacciasassi tutto ciò che hanno davanti – vip o non vip, va riconosciuta
l’etica professionale -, i più giovani sono anche più deleteri perché obnubilati
dai telefonini e quindi caricano a testa bassa come alla plaza de toros de Las
Ventas. Eppure l’aria sembra così avvilita che c’è chi deve spiegare a chi
l’accompagna che “quello è De Bortoli, era direttore del Corriere“, mentre una
coppia di francesi è lì che si interroga su chi sia quel bel ragazzo con un
tatouage sur le visage che tutti agognano (sempre Lauro).
Si scopre che Fabio Capello è melomane e aveva una cosa che ancora non era
riuscito a conquistare: un biglietto della Prima, appunto, mentre Beppe Marotta
sembra a suo agio nel foyer come allo stadio. Milano sembra non esistere senza
Berlusconi e quindi – oltre al pugnace Fedele Confalonieri (che se ne intende)
sprofondato nella sua solita poltroncina al fianco del corridoio centrale della
platea – ecco anche Barbara che ora è nel cda della Scala. “La cultura russa è
una cultura straordinaria, una cultura antica, quindi credo che sia importante
presentare opere che sono state composte da compositori di tutto il mondo e La
Scala questa l’ha sempre fatto e continuerà a farlo”. Il padre badava ad altri
prodotti, più artigianali e più funzionali come il lettone (con l’accento sulla
o) che gli regalò quel certo amico di San Pietroburgo. Sul palco si canta in
russo, il regista è russo, russo è il tenore, è russo anche il basso ed è russa
la costumista, mentre lo scenografo è bielorusso. Ciononostante in platea
nessuno ha messo mano alla pistola, non sono inviate proteste all’Onu per
annullare lo spettacolo e al momento in cui andiamo in pubblicazione Calenda non
si è ancora fatto tatuaggi.
L'articolo Prima della Scala 2025, la politica è scomparsa? No, forse è solo al
bar. Il racconto di ciò che non avete visto in tv proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Manifestazione in piazza Scala a Milano, come ogni 7 dicembre, in occasione
dell’inaugurazione della stagione lirica del teatro. Da Da un lato è in corso il
presidio per il mondo dello spettacolo organizzato dalla Cgil, dall’altro ci
sono manifestanti di Cub e pro Palestina insieme. Scanditi anche slogan per la
liberazione dell’imam Mohamed Shahin, oggetto di un decreto di espulsione. In
piazza anche il Cub, che ha rivendicato le battaglie a sostegno dei lavoratori
del teatro, tra cui quella a sostegno di una maschera che era stata licenziata
per aver gridato “Palestina libera” durante un concerto.
L'articolo Prima della Scala, doppio presidio in piazza: protestano sindacati e
attivisti pro-Palestina proviene da Il Fatto Quotidiano.