L'articolo Ucraina, Zelensky: “Non riconosceremo il Donbass come territorio
russo”. Mosca: “Presa Kupyansk. Siamo vicini a un accordo” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tag - Russia
La vendita del gruppo Gedi è arrivata anche ai piani alti dell’establishment
russo. E la Federazione, per bocca del suo ambasciatore in Italia, ha colto
l’occasione per attaccare Repubblica e La Stampa, definite il “megafono di una
sfacciata propaganda anti russa”. “I giornalisti (di questi giornali, ndr) hanno
fatto di tutto per compiacere i loro proprietari che appartenevano al vertice
del capitale liberal-globalista – si legge in un post Telegram – Ma questo non
li ha salvati. I giornali si sono trasformati in un megafono di una sfacciata
propaganda anti russa, rinunciando di fatto alle radici e alla storia che un
tempo li rendevano un simbolo della libertà del giornalismo italiano”.
L’ambasciata “auspica quindi che con la nuova proprietà di queste testate
possano tornare alla tradizione del giornalismo serio e questo si rifletterà
anche sui contenuti”.
Nei giorni turbolenti dell’annuncio, arriva comunque la risposta del Cdr del
quotidiano fondato da Eugenio Scalfari: “Dopo gli attacchi di Giorgia Meloni al
nostro giornalismo, mancava in effetti un altro attore a calcare questo palco
della vergogna, l’ambasciata russa che ieri ha messo sotto accusa il nostro
lavoro, accusando le giornaliste e i giornalisti del gruppo Gedi di aver fatto
‘propaganda antirussa’, il tutto per ‘compiacere i proprietari’. Non ricordiamo
messaggi di solidarietà dell’ambasciata russa quando la redazione scioperava per
difendere la propria indipendenza, a proposito di compiacenza. Né quando
sfiduciò un direttore proprio a tutela di quella autonomia editoriale”.
Il Comitato di redazione rivendica infine le prese di posizione dei colleghi in
questi anni in nome dell’indipendenza del proprio lavoro: “Le giornaliste e i
giornalisti di Repubblica negli ultimi anni si sono esposti, nel proprio lavoro
quotidiano e con documenti pubblici, per rivendicare la propria dignità e
professionalità – continua il comunicato – A chi oggi specula sull’eventuale
passaggio di proprietà del gruppo Gedi e lo fa per motivi di propaganda
spicciola possiamo solo ribadire che finché ne avremo la possibilità
continueremo a fare il nostro lavoro, in primis smontando le narrazioni fasulle
di autocrati, despoti e guerrafondai che non hanno alcun rispetto per il diritto
internazionale. Perché crediamo nel giornalismo libero, autentica chimera in un
paese come la Russia – e purtroppo non solo. Riteniamo infine la nota
dell’ambasciata russa una interferenza gravissima che chiama in causa tutto il
sistema dell’informazione democratica in Italia, oltre che i vertici
istituzionali di questo Paese”.
L'articolo L’ambasciata russa contro Repubblica e La Stampa: “Megafono di una
sfacciata propaganda”. La replica del Cdr proviene da Il Fatto Quotidiano.
Bruxelles mette nel mirino alcuni attori della guerra ibrida condotta da Mosca
contro l’Ue e lo fa in maniera sistematica, riconoscendo la disinformazione come
strumento di destabilizzazione internazionale alla pari di minacce militari o
cyber. E’ il senso del nuovo pacchetto di sanzioni varato dal Consiglio europeo
contro 48 persone fisiche e 35 entità o associazioni ritenute responsabili di
interferenze politiche e “azioni destabilizzanti” legate all’invasione russa
dell’Ucraina e alla sicurezza euro‑atlantica. Se in passato nel mirino erano
finiti singoli individui o piccole entità russe, è la prima volta che viene
colpito un numero così ampio di persone e organizzazioni in un’unica tranche,
tra cui analisti, commentatori occidentali e membri di think tank accademici
strettamente legati al Cremlino.
Il primo dei sanzionati è John Mark Dougan. Ex vice‑sceriffo della Florida con
doppia cittadinanza, l’uomo è accusato di aver lasciato gli Stati Uniti nel 2016
e di essersi trasferito a Mosca, da dove avrebbe “partecipato a operazioni
digitali pro‑Cremlino – si legge nella decisione firmata per il presidente
Antonio Costa dall’Alto rappresentante per la politica estera Ue Kaja Kallas –
gestendo il network di siti di fake news CopyCop, sostenendo le attività
Storm-1516″ e diffondendo “contenuti deepfake generati dall’Intelligenza
artificiale”. L’Ue, inoltre, lo collega al GRU, il servizio segreto militare di
Mosca e lo ritiene responsabile di “aver implementato, supportato o beneficiato
di azioni o politiche attribuibili al governo della Federazione Russa che minano
o minacciano la democrazia, lo stato di diritto, la stabilità o la sicurezza
nell’Unione”.
Andrey Andreievich Sushentsov, invece, è il direttore dell’Institute for
International Studies dell’Università statale di Mosca per le relazioni
internazionali. “Appare regolarmente nei media russi e internazionali,
presentando la visione della politica estera russa in linea con i messaggi del
Cremlino. Rappresenta frequentemente la prospettiva russa ai panel del Valdai
frequentati dal presidente Vladimir Putin“. Il riferimento è al Valdai Club, un
forum internazionale di esperti, accademici e analisti di politica estera
fondato nel 2004, che si svolge ogni anno a Sochi e riunisce membri della
leadership russa, accademici stranieri e diplomatici e al quale Putin ha
partecipato ogni anno fin dalla sua fondazione. È considerato uno strumento
strategico di soft power del Cremlino, poiché permette allo “zar” di presentare
la visione russa del mondo, confrontarsi con opinioni internazionali e
diffondere messaggi ufficiali su scala globale.
Nell’orbita del Club gravita anche Fyodor Aleksandrovich Lukyanov, che del
Valdai è Research Director, oltre a essere caporedattore di Global Affairs, una
delle riviste di politica estera più influenti in Russia. Per il Consiglio Ue
“Lukyanov amplifica costantemente la propaganda del Cremlino, presentando la
guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina come una reazione difensiva
alle politiche occidentali. Contribuisce a campagne sistematiche di
disinformazione che spostano la responsabilità della guerra sull’Ucraina e
sull’Occidente”. C’è anche Andrey Georgievich Bystritskyi, presidente della
Valdai Discussion Club Foundation, il quale “contribuisce all’infrastruttura
della produzione e diffusione dei messaggi dello Stato. Le sue citazioni e
discorsi riflettono e promuovono le narrative diplomatiche russe“. Ivan
Nikolaevich Timofeev, invece, che del del Valdai Club è Programme Diretor, è
anche il direttore del think tank russo Russian International Affairs Council e
“amplifica costantemente la propaganda del Cremlino. (…) Le sue analisi
legittimano regolarmente l’aggressione militare russa e normalizzano il
confronto con l’Occidente”. Dmitry Vyacheslavovich Suslov, analista e
commentatore di politica estera, da parte sua “ha pubblicamente suggerito che la
Russia dovrebbe considerare una ‘esplosione nucleare dimostrativa’ per
‘ricordare all’Occidente i pericoli della guerra nucleare’”.
Tra i sanzionati figurano anche Vladislav Borovkov, Denis Denisenko e Dmitry
Goloshubov, ufficiali della Unit 29155 del GRU, collegati al gruppo cyber noto
come Cadet Blizzard. Secondo Bruxelles, i tre hanno partecipato ad attacchi
informatici contro organizzazioni governative ucraine, utilizzando il malware
WhisperGate, che ha causato “gravi danni ai sistemi”. Le loro attività sono
considerate parte di azioni attribuibili a Mosca volte a compromettere servizi
di interesse pubblico e infrastrutture critiche attraverso operazioni
informatiche dannose, con effetti che hanno interessato anche Stati membri
dell’Ue e la Nato.
Sul fronte della disinformazione, l’Ue ha imposto sanzioni a Jacques Baud, ex
colonnello svizzero, e a Xavier Moreau, ex ufficiale militare francese e
fondatore del sito Stratpol. Entrambi sono accusati di agire come portavoce
della propaganda pro-russa, diffondendo teorie del complotto sull’invasione
dell’Ucraina e sostenendo narrative favorevoli al Cremlino. Nella lista compare
anche Diana Vitaliivna Panchenko, giornalista con doppia nazionalità ucraina e
russa, accusata di produrre e diffondere contenuti anti-ucraini, pro-russi e
anti-Nato.
Tra le entità sanzionate figura la 142nd Separate Electronic Warfare Battalion,
unità militare russa di stanza a Kaliningrad, ritenuta responsabile di attività
di guerra elettronica e di interferenze GPS che hanno provocato disservizi anche
in diversi Paesi europei. Infine, l’Ue ha colpito l’International Russophile
Movement, accusato di amplificare a livello globale narrative destabilizzanti e
sentimenti anti-occidentali per conto del governo russo, fungendo da strumento
di influenza e propaganda del Cremlino.
L'articolo L’Ue sanziona 12 tra analisti, giornalisti e accademici: “Fanno
propaganda per il Cremlino”. Nel mirino 5 esponenti del Valdai Club caro a
Vladimir Putin proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’Ue resista ai tentativi di ingerenze internazionali, non ceda alla
criminalizzazione del diritto internazionale e, allo stesso tempo, rimanga in
guardia rispetto al tentativo russo di “ridefinire con la forza i confini in
Europa”. Il lungo intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,
in occasione della Conferenza degli ambasciatori alla Farnesina contiene un
appello alla classe diplomatica italiana, quello di continuare nello sforzo del
dialogo in un mondo che sta andando verso una sempre maggiore tensione
internazionale, col rischio, ha aggiunto, di “un generale arretramento della
civiltà”.
Sotto accusa, seppur in maniera implicita, sono le strategie messe in campo dal
presidente americano, Donald Trump, che sul dossier ucraino, e non solo, sta
continuando a prendere di mira l’Unione europea, arrivando a prevederne la
disgregazione nel caso in cui non “torni alla salvaguardia dei valori
tradizionali” e a una maggiore “libertà di stampa”. Parole che le istituzioni di
Bruxelles hanno già bollato come ingerenza. Adesso anche il capo dello Stato le
condanna: “Appare a dir poco singolare che, mentre si affacciano in ambito
internazionale esperienze dirette a unire Stati e a coordinarne le aspirazioni e
le attività, si assista a una disordinata e ingiustificata aggressione nei
confronti della Unione europea, alterando la verità e presentandola anziché come
una delle esperienze storiche di successo per la democrazia e i diritti dei
popoli, sviluppatasi anche con la condivisione e l’apprezzamento dell’intero
Occidente, come una organizzazione oppressiva se non addirittura nemica della
libertà”.
Articolo in aggiornamento
L'articolo Mattarella contro gli attacchi di Trump: “Disordinata e
ingiustificata aggressione all’Ue. La Russia vuole ridefinire in confini europei
con la forza” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Poco più di tre anni fa la storia della spia russa — sparita da Napoli dopo aver
“infiltrato” gli ambienti militari della Nato e dell’esercito americano — aveva
fatto il giro del mondo. Oggi gli stessi giornalisti investigativi, che avevano
scoperto il caso, sono riusciti a risalire al suo vero nome. A raccontarlo è
Christo Grozev, giornalista investigativo di The Insider ed ex capo
investigatore russo di Bellingcat, che in un video sul suo canale YouTube l’ha
soprannominata “Cat Lady”. Non per vezzo narrativo, ma perché è proprio un gatto
ad aver svelato la vera identità della spia.
Maria Adela Kuhfeldt Rivera – che si presentava come una gioielliera peruviana –
in realtà si chiama Olga Kolobova. Indagando sulla donna, Grozev ha scoperto che
tutti gli amici italiani di Maria Adela ricordavano un dettaglio preciso: il suo
amore viscerale per la gatta Luisa. Parte così la caccia al felino della spia. I
gatti hanno un microchip e ogni microchip possiede un numero unico a livello
mondiale. Trovato quel codice, gli investigatori iniziano a scandagliare i
database veterinari russi. Il colpo di scena arriva quando Luisa risulta
registrata presso una clinica veterinaria in Russia.
Da lì il passo è breve. Su VK, il Facebook russo, compare una donna che segue
quella clinica veterinaria, mette “Mi piace” ai suoi post e pubblica foto di un
gatto identico. Il puzzle si ricompone in poche ore. Dopo anni di addestramento,
documenti falsi e identità costruite con cura maniacale, a smascherare una spia
russa non è stato un hacker, un satellite o un traditore, ma una gatta.
L'articolo La spia russa che sparì da Napoli smascherata a causa dell’amore per
la sua gatta proviene da Il Fatto Quotidiano.
Lo hanno presentato come un Consiglio europeo decisivo per il futuro sostegno
dell’Ue all’Ucraina, nel quale si cercherà un’intesa da chiudere prima della
pausa natalizia. Ma al vertice tra i 27 capi di Stato e di governo del 15-19
dicembre che porta sul tavolo il delicatissimo tema dell’utilizzo degli asset
russi congelati a garanzia del prestito per sostenere Kiev, l’Unione europea
arriva di nuovo sgretolata. Da settimane, i vertici di Bruxelles ostentano
ottimismo: si lavora senza sosta, dicono, esiste una “larga maggioranza“,
aggiungono sostenendo che si percepiscono segnali positivi in vista del summit.
Ma tra chi da anni ormai si oppone a un ulteriore inasprimento dei rapporti con
la Russia, chi teme di incorrere in richieste di risarcimento plurimiliardarie e
chi non può ignorare la posizione contraria degli Stati Uniti, tenere insieme i
pezzi della cristalleria Bruxelles richiederà l’ennesimo sforzo diplomatico.
“ANDRÀ TUTTO BENE”
Fino a oggi, la strategia della Commissione Ue è stata quella dell’ostentare
ottimismo. A veicolare questo messaggio ha pensato più volte la portavoce della
Commissione, Paula Pinho, che ha spiegato alla stampa come sull’uso degli asset
russi immobilizzati per il sostegno all’Ucraina la Commissione Ue con gli Stati
membri sta cercando “di fare quanti più progressi possibili sui vari elementi
del pacchetto, in modo che una soluzione possa essere trovata al Consiglio
europeo”. In quella direzione si sono spesi anche alti esponenti delle
istituzioni Ue, come il presidente del Consiglio Antonio Costa: “Credo che siamo
molto vicini a trovare una soluzione – ha dichiarato – Per me è certo che il 18
dicembre prenderemo una decisione. Ma, se necessario, continueremo il 19 o il 20
dicembre, fino a raggiungere una conclusione positiva”. Posizione condivisa
anche dal commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, che l’11
dicembre assicurava: “Stiamo lavorando molto da vicino con le autorità belghe
per affrontare le preoccupazioni che esse hanno. E, in effetti, direi che
abbiamo fatto davvero grandi passi per rispondere”.
L’EUROPA SGRETOLATA
Tutto bene, quindi? Nemmeno per sogno. Il primo ostacolo sono i soliti due Paesi
contrari all’inasprimento di qualsiasi misura sanzionatoria nei confronti della
Russia: l’Ungheria e la Slovacchia. Da Bratislava, il premier Robert Fico ha
fatto sapere che non sosterrà alcuna soluzione che finanzi le spese militari
dell’Ucraina: “La Slovacchia non prenderà parte a piani che non fanno altro che
prolungare le sofferenze e le uccisioni“, ha affermato precisando di conseguenza
che non sosterrà “alcuna soluzione che comprenda la copertura delle spese
militari dell’Ucraina per i prossimi anni”. E l’utilizzo dei beni russi
congelati, ha spiegato, “può minacciare direttamente gli sforzi di pace degli
Usa che prevedono proprio l’utilizzo di tali risorse per la ricostruzione
dell’Ucraina”.
Anche il Paese guidato da Viktor Orban si è detto contrario. Budapest ha votato,
proprio come la Slovacchia, contro l’eliminazione del rinnovo semestrale degli
strumenti sanzionatori nei confronti della Russia, scelta che li ha resi di
fatto a tempo indeterminato. Poi, dopo l’approvazione con larga maggioranza, ha
commentato la scelta affermando che “oggi a Bruxelles si attraversa il Rubicone.
La votazione causerà danni irreparabili all’Unione. Bruxelles abolisce il
requisito dell’unanimità con un solo colpo di penna, il che è chiaramente
illegale“.
Se si trattasse dei ‘soliti noti’ Ungheria e Slovacchia il problema sarebbe
aggirabile: se al voto sul prestito di riparazione garantito dagli asset russi
si ripresentasse l’opposizione di Budapest e Bratislava, si potrebbe comunque
procedere con la maggioranza qualificata che richiede l’ok di almeno 15 Stati
membri e del 65% della popolazione totale. I contrari, però, questa volta sono
molti di più. In primis va tenuta in considerazione soprattutto la posizione del
Belgio che il 10 dicembre ha minacciato azioni legali nel caso in cui venisse
approvato l’uso degli asset russi congelati come garanzia per il prestito
all’Ucraina. Il motivo è semplice: nel piccolo Paese europeo sono conservati,
attraverso Euroclear, la stragrande maggioranza dei beni in questione, ben 185
miliardi sui 210 totali. Un ricorso legale di chi deteneva gli asset prima delle
sanzioni esporrebbe Bruxelles a un maxi-rimborso che, hanno spiegato
dall’esecutivo belga, per il Paese significherebbe “la bancarotta“. Una
posizione dura espressa non da un Paese ‘ribelle’, ma da uno solitamente
allineato alle posizioni della maggioranza degli Stati europei. Tanto che anche
il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha dichiarato quanto fosse importante
che tutti gli Stati membri condividessero le responsabilità economiche per
alleggerire il carico che pesa sulle spalle del Belgio. Negli ultimi giorni, il
clima tra il governo di Bruxelles e le istituzioni Ue sembra essere un po’ più
disteso, segno che le parti stanno trattando e che un punto d’incontro non è
un’utopia.
Se si parla di condivisione dei rischi economici, però, ci sono altri Paesi che
hanno espresso più di una perplessità. La Francia, che detiene circa 19 miliardi
di asset russi congelati, ha chiesto che quelli sul suo territorio venissero
esclusi dal conteggio di quelli utilizzabili come garanzia per il prestito di
sostegno a Kiev. E a dichiararsi molto dubbiosi sono stati anche Bulgaria, Malta
e persino l’Italia. La posizione del governo Meloni è stata chiarita dai due
vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. “L’Europa prima non c’era, ora mi
sembra che stia boicottando il processo di pace, forse perché Macron, Starmer e
altri leader sono in difficoltà in casa loro e quindi devono portare all’esterno
i problemi francesi e inglesi. Ma noi non siamo in guerra contro la Russia e non
voglio che i miei figli entrino in guerra contro la Russia – ha dichiarato il
leader leghista – Fa bene il governo italiano a tenere una linea di prudenza“.
Tajani ha invece sollevato dubbi di tipo legale: “Noi abbiamo approvato la
proposta di congelare gli asset russi. Ma questo non è un passaggio automatico
sull’utilizzo di questi asset congelati per finanziare l’Ucraina, noi abbiamo
serie perplessità dal punto di vista giuridico. Se fosse evitato qualsiasi
dubbio giuridico si potrebbero utilizzare anche i beni congelati”.
Anche con il ‘no’ di questi Paesi, la mossa potrebbe essere approvata, dato che
a favore resterebbero 21 Paesi e oltre il 79% della popolazione. Lo stesso anche
con l’opposizione della Repubblica Ceca che per ultima, con il neoeletto primo
ministro Andrej Babis, ha dichiarato che “ogni corona ceca è necessaria per i
nostri cittadini, non per altri Stati”, invitando la Commissione a trovare “un
altro modo” per finanziare Kiev.
DIALOGO O SCONTRO?
Alla maggioranza del Consiglio Ue resta quindi da decidere se arrivare a una
decisione la più condivisa possibile o a una sua imposizione in nome della
rapidità d’azione. Col rischio di frantumare i già precari equilibri interni
all’Ue. Lo stesso Dombrovskis sembra non avere le idee chiare a riguardo. Quando
gli è stato chiesto se il finanziamento può essere deciso anche senza il via
libera del Belgio, ha risposto: “Non entrerei in scenari ipotetici. Stiamo
lavorando con gli Stati membri. Stiamo lavorando molto seriamente, come ho
detto, per affrontare le preoccupazioni che il Belgio ha, e spero che riusciremo
a trovare una via da seguire”.
Dietro la riluttanza di alcuni Stati membri, oltre agli interessi particolari,
c’è anche la pressione esercitata dagli Stati Uniti che si sono dichiarati
fermamente contrari all’utilizzo dei beni russi congelati a garanzia del
prestito all’Ucraina, ritenendola una mossa ostile nei confronti di Mosca. E
certamente Washington avrà fatto pressione sulle cancellerie amiche, tanto che
anche Costa ha criticato apertamente l’azione di Washington: “Non possiamo
accettare le interferenze degli Usa, un alleato rispetta la politica interna del
partner”.
Resta il fatto che l’Europa, ad oggi, appare più frammentata che mai e che
prendere una decisione così determinante per il futuro economico dell’Unione e
per le sue strategie di supporto all’Ucraina affidandosi solo alla maggioranza
qualificata rischia di creare una frattura gigante tra i 27 Stati membri. C’è
tempo fino al 20 dicembre per arrivare a una soluzione diplomatica, altrimenti
Bruxelles si troverà di nuovo a un bivio: ritardare la decisione e aprire a
nuove strategie o forzare la mano e rischiare di spaccare l’Ue in nome del nuovo
whetever it takes in salsa ucraina.
X: @GianniRosini
L'articolo Asset russi congelati, per usarli è determinante l’ultimo Consiglio
Ue dell’anno. Ma l’Europa si presenta sgretolata proviene da Il Fatto
Quotidiano.
«Sono passati tre anni e mezzo e più inutilmente. Sono passati centinaia di
migliaia di morti inutilmente. Abbiamo ancora questo che dice che adesso la
Russia va in default e che quindi devono morire ancora qualche centinaio di
migliaia di ucraini perché poi facciamo fuori Putin? Siamo in mano a dei
dementi. Tra l’altro uno che non si sa nemmeno se arriva a fine anno
politicamente parlando, parla, ma purtroppo è questo il problema».Così Marco
Travaglio, ad Accordi&Disaccordi, in onda ogni sabato sul Nove, ha commentato le
parole del presidente francese Emmanuel Macron, durante la presentazione del
piano di pace di Zelensky all’Eliseo, lunedì 8 dicembre.
Altro punto che il giornalista ha voluto sottolineare è che: «L’Europa avrebbe
una forza, siamo mezzo miliardo di persone, un po’ vecchiotte ma comunque
consumatori. Un mercato pazzesco. È per questo che gli americani ci vanno
addosso da trent’anni, perché avevano paura che col gas a basso costo
diventassimo una superpotenza e li avremmo superati. Il problema è che per
contare devi farti sentire, devi dire dei no, se no non ti calcolano. Agli
americani non è che non gli interessa l’Europa, gli interessa eccome. Il
problema è che ci danno proprio per scontati, sanno di averci in tasca e per
farti notare e per contare devi trattare da pari a pari, quindi come fai a farti
trattare da pari a pari?».
Inoltre, Travaglio ha spiegato: «Qui il problema non è soltanto che c’è Orbán e
qualche nazionalista, perché quelli più proni agli ordini di Trump sono la von
der Leyen, Rutte, sulle cose importanti che darebbero fastidio. Orbán è talmente
trumpiano che ha detto a Trump: “Sai che c’è? Io il gas continuo a comprarlo dai
russi, non lo compro mica da te perché i miei cittadini non lo vogliono pagare
cinque volte tanto”. Quindi, voglio dire, il problema non è solo l’Est in mano
ai nazionalisti che Prodi fece malissimo a fare entrare in Europa e adesso
cerchiamo di trasformarli in soci di serie B del club, levando l’unanimità.
Allora che ci sono entrati a fare, se non contano più come tutti gli altri? Il
problema sono anche gli altri. Il problema sono questi qua che non hanno capito
che la situazione è devastante. Il problema è che l’ha capito persino Zelensky
che la situazione è devastante, che la Russia avanza al ritmo di tre, quattro,
500 chilometri quadrati al mese a partire dalla fallita controffensiva. Ogni
giorno che passa perdono uomini e perdono territori. E questi ancora con la
Kallas dicono: “Fateli morire ancora di più, dateci altri due anni così ci
prepariamo per la guerra alla Russia”. Questi stanno veramente sacrificando un
Paese dove i soldati scappano, dove gli abitanti scappano o si nascondono per
non farsi arruolare. E noi continuiamo a raccontarci che sono loro che vogliono
combattere”.
L'articolo Travaglio su Nove: “Macron e i leader europei convinti di poter
battere la Russia? Mi cadono le braccia. Persino Zelensky ha capito che la
situazione è devastante” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L'articolo Ucraina, Mosca replica al congelamento degli asset: “All’Ue sono
imbroglioni”. Raid russo su Odessa: “Interruzioni di elettricità e acqua” | La
diretta proviene da Il Fatto Quotidiano.
Lo scorso anno un attacco informatico al controllo del traffico aereo a opera
del collettivo di hacker APT28 e del GRU, l’agenzia di intelligence militare.
Che a febbraio, poi, avrebbe tentato di influenzare le elezioni federali
attraverso una campagna chiamata “Storm 1516”. Sono le due accuse mosse alla
Russia dal Bundesregierung, il governo federale tedesco, che ha annunciato la
convocazione di Sergei Netchajew, l’ambasciatore di Mosca a Berlino. Il
portavoce del ministero, Martin Giese, ha dichiarato che l’attacco informatico
contro la Deutsche Flugsicherung (l’ente che monitora la sicurezza dei voli)
avvenuto nell’agosto 2024 è stato identificato e attribuito con chiarezza
all’hacker collettivo noto come “Fancy Bear” e riconducibile al servizio segreto
militare. “Le prove raccolte dai nostri servizi di intelligence – ha detto Giese
– mostrano che il GRU è responsabile di questo attacco”.
Nel pieno delle trattative per il cessate il fuoco in Ucraina e delle trattative
in seno all’Ue per l’utilizzo degli asset russi congelati in Europa per
continuare a finanziare la difesa di Kiev, Berlino punta il dito contro Mosca e
collega il cyberattacco alla Flugsicherung alle più ampie attività di guerra
ibrida da tempo attribuite alla Russia. Già in passato APT28 e GRU sono stati
ricollegati a intrusioni informatiche globali, tra cui quelle avvenute durante
le elezioni americane del 2016, quando furono accusati di aver aiutato il
presidente degli Stati Uniti Donald Trump facendo trapelare le email del Partito
Democratico.
Per Giese il gruppo hacker e l’intelligence militare di Mosca non sono autori di
episodi isolati, ma di una serie di operazioni che includono spionaggio,
cyberattacchi, sabotaggi e campagne di disinformazione volte a danneggiare la
sicurezza tedesca e la fiducia nelle istituzioni democratiche. Il governo ha
affermato inoltre che la campagna di influenza “Storm 1516” è parte di un
tentativo concertato di interferire e destabilizzare la politica interna
tedesca, incluse le elezioni federali anticipate del 23 febbraio 2025.
“L’analisi effettuata dai nostri servizi – ha detto il portavoce – mostra che la
campagna diffonde ricerche pseudo-investigative generate artificialmente,
sequenze di immagini deepfake, siti web pseudo-giornalistici e testimonianze
inventate su varie piattaforme” utilizzati “per creare sfiducia e divisione
sociale”.
Le informazioni raccolte dalle agenzie di sicurezza indicano che l’operazione
“Storm 1516” ha preso di mira specificamente figure della politica tedesca, tra
cui il candidato di spicco dei Verdi, Robert Habeck, e il futuro cancelliere
candidato della Unione Cristiano-Democratica, Friedrich Merz, attaccandoli con
contenuti falsi e campagne mirate sui social media. Due giorni prima delle
elezioni, le autorità avevano già segnalato la diffusione di video falsi che
avevano lo scopo di suggerire manipolazioni nei risultati delle urne, come parte
di un’operazione di disinformazione più ampia. Per Giese le attività russe non
si limitano alla guerra in Ucraina, ma includono tentativi di minare la coesione
sociale e la fiducia nelle istituzioni democratiche in Germania e in Europa.
Berlino ha annunciato che misure di ritorsione e contromisure verranno adottate
in coordinamento con i partner europei e della Nato. “Il governo tedesco – ha
concluso il portavoce – condanna con la massima fermezza i ripetuti e
inaccettabili attacchi da parte di attori russi controllati dallo Stato.”
L'articolo Attacchi hacker al traffico aereo e interferenze nelle elezioni
federali del 2025, le accuse di Berlino: “Sono opera del servizio segreto
militare di Mosca” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L'articolo Asset congelati in Ue, la Banca centrale russa fa causa a Euroclear.
Orban: “E’ dittatura di Bruxelles”. Zelensky: “Non è detto che accetteremo un
accordo sul Donbass” proviene da Il Fatto Quotidiano.